IL
DI
^ze/zze^ <=^mere ea f^^^:^r/i
Non ita certandi cupidus quam propter aniorem.
TORINO
STAMPERIA GHIRINGIICLLO E COMP.
cou permissione.
I!\[DICE
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL SECONDO V0LU8IE.
Filosofia
...]
La religione. — Osservazioni Jilo so fiche di
G. B pag. 97
Pensieri. G » 62
Tutti gli articoli sottosegnati colla lettera G. tanto
nel primo , che nel secondo volume di questo Gior-
nale sono stati scritti dal Prof. Gaspare Gorresio
Membro del Collegio di scienze e lettere nella R.
Scienze Morali/ Università, Prof, di letter. nella R. Militare Acca-
demia di Torino.
Educazione, ^rt. i.* .^^P'j'. S. Battaglione » igS
Id. u4rt. 2.° id. . * . » 385
Delle prime costumanze e della prima
educazione. F. R » 821
Tribunali correzionali e giustizia munici'
pale in Inghilterra » i
Della riforma delle prigioni. Avs>. Seve-
rino Battaglione » 49
Cenni storici sulle casse di risparmio , e
della loro utilità ed unione colle banche
agricole ed industriali. Avv, Severino
Battaglione » io8
Saggio sul buon governo della mendicità^
degli instituti di beneficenza , e delle
carceri, del Conte D. Carlo Ilarione Pe-
titti di Roreto Consigliere di Stato ord.
di S. M. Avv. Severino Battaglione » 289
Dei primi elementi di economia politica.
Libri quattro di Filib. Demarese. m. m. » 5 1 3
Scienze Sociali
ED
Amministrative
Dizionario geografico-storìco-statìstico-coni'
Scienze Sociali] rnerciale dedl Stati di S. M. il Re di
ED \
A ) Sardesna. compilato per cura del Prof.
Amministrative | ^ ™ , t, ^. r^ i. i „ , ^
Gofiredo Casali* D. di belle lett. G. pag. 621
Des progrés de Vlmprimerie en France ,
et en Italie au 1 6.me siede j et de son
in/luence sur la littèrature ecc. Q. Q. » 19
Di una vita inedita di Alessandro VII.
scritta dal Cardinale Sforza Pallavicino.
Scienze Stor. / S. F . » 1 24
Dell'influenza della religione cristiana so-
pra la nostra letteratura. F. L. . » 204
Histoire externe du droit romain d l '«-
sage des èlèves en droit ^ par M. L. A.
Warnkoenig. Cav. Bon-Gompagni . » 4o8
Paleografia ( •^* o-lcuni recenti studi di Paleografia Fe-
ED < nicia fatti in Piemonte. A . . . » i65
Archeologia ( Cenni sulla mitologia. G » 2i3
/ Geologia. S » 65
Geologia. — Osservazioni geognostiche ^
e mineralogiche intorno ad alcune valli
delle Alpi del Piemonte j del Profess.
Scienze J Angelo Sisraonda. G » i3o
Naturali \ Esposizione ed esame critico del sistema
frenologico considerato ne' suoi principi j
nel suo metodo j nella sua teoria e nelle
sue conseguenze , del Dott. L. Cerise.
A. C, Maffoni M. C. » 4,78
Polemica m. m. . « 29
Dei drammi di Vittore Ugo. G. M. . » 3
Novelle. M, M )) 16
, , Sa^s'io che ebbero diverse relisioni sopra
Letteratura . .{ ,. , _, ^ *' '
diverse letterature. F. L » 70
Poesie scelte di T. Moore tradotte da Gio.
Flecchia. Jvv. F. C » 83
Letteratura . . i
Alla Luna versi di Ag. Cagnoli. C. M. pag. i38
FeuxFoUets, par Leon Menabrea. M. M. m i48
Manfredi Tragedia di Carlo Marenco » iSa
Gian Paolo Federico Richter. Y . , » i58
Del seicento e del P. Giuglaris. P. A. P, » 240
Della commedia italiana. G. E. Oh. . » 247
Scene Torinesi di Paolo Gindd. uéi^u. S.
Battaglione * . . » 256
Manfredi Tragedia di Carlo Marenco.
Tommaseo ......... » 33o
Prose ^ e poesie inedite di Italiani viventi
G » 342
» 4^7
» 4^*
)) 535
» 527
/ Promessi Sposi di Aless. Manzoni
La luna. Racconto fantastico. X. Y. .
Poesie di Giorgio Briano. G. • . .
\ Commedie di Angelo BrofFerio. H. A.
Paralèlle des langues de l'Europe , et de
V Inde, par M. F. G. EichhofFcfoefeMr
ès-lettres etc. F. B » 228
Nuova edizione del Dizionario de* sinoni-
mi della lingua italiana del Tomma-
seo. u4vv. Severino Battaglione . . » 237
Grammaire Egyptienne, ou principes gè- .
néraiix de V Ècriture Sacrée Egyptienne
appliquèe a la reprèsentation de la lan~
gue parlèe par Champollion le Jeune,
publiée sur le manuscrit autographe.
F. B M 347
Bibliografia j ^^S^^ scritti di Tommaso Arcidiacono di
Spalato^ storico del secolo XIII. G. » 533
Fli OLOGIA . .
Biografia
E Necrologia
Belle Arti . .
Cenni sopra Carlo Fea. C. P. . . . » 22
Colonnello Luigi Signoretti .... » 38
Lucia statua di Angelo Bruneri Torinese.
Avv. F. Concone m 33
Due nuovi quadri del Prof. Discara . » 35
// Clavicilindro. Ai>v. C. . . . . pag. i^5
Lettera VI. Sulla instabilità della musica.
B » 85
Lettera VII' Ricerche sul bello musicale.
Belle Arti .. .^ B » 261
Lettera Vili. Episodio sui giudiziì musi-
cali. B » 36o
Lettera IX. SuW espressione o linguaggio
musicale. B » 5oo
Letture Popolari " *77
Carlo Andrea Rana — Lettera . . » 179
Visita ad un poeta. X. M » 2^4
Incoraggiamento alle scienze. — Fremii
che distribuirà la R. Accademia delle
scienze di Torino agli scienziati. Avi'.
Varietà^ ) Severino Battaglione » 871
Viaggi scientifici del B. di Huegel. M. C. » 3^6
I Thugy o secreti assassini deW India. R. » 543
Secondo supplimento al Catalogo del i835
del R. Stabilimento Agrario Botanico
di Burdin Maggiore e Comp. Y. . » 563
Lettera di Vincenzo Monti a Luigi Rossi » 365
Notizie diverse » ^i, 95, i83, 283, 38o, 568
Annunzi bibliografici 45, 189J 286^ 384, ^7^
1
SciKNZlì Soi-IAH — Tribunali correzionali , e giustizia
lìiiaiicijjale in Inghilterra.
11 biioii senso pratico degli Inglesi rivelasi specialmente in
quella giustizia sommaria che castig;i sull' istante , e senza for-
malità di processura i semplici delitti , e che è di sì grande
utilità nelle vaste città. Le courts of j'eguest , ossiano corti
di coscienza , sono tribunali stabiliti per la riscossione dei pic-
coli debiti. Sono desse in numero di sei nella città di Lon-
dra , e la loro prima instituzione monta sino al regno di Eu-
rico ottavo ; ma due statuti creati dal re Giorgio terzo resero
molto più vantaggiosa codesta instituzione. Ogni mese in ca-
dun quartiere della città vengono scelti due Scabbiui e venti
abitanti notabili per fox'mare la Corte di coscienza. Questi cit-
tadini-magistrati portano il titolo di Gomniissarj. Allorché essi
seggono in tribunale in numero di tre, la loro giurisdizione è
limitata alla somma di due lire sterline ; ir.a quando essi sono
sette , quella si estende sino a 11. 5. La corte di coscienza
tiene le sue sedule ogni mercoledì e venerdì : non \i si veg-
gono quasi mai né avvocati , uè procuratori ; le parti ìiliganti
presentano esse medesime la loro domanda , o ia loro difesa.
I Commissari puonno ordinare il pagamento in una sola volta
o mediante mora ; puonno condannare il debitore alla prigione,
ma soltanto per aìlrcttanti giorni, quante lire costituiscono 11
debito, a meno che non risulti ad evidenza che il debitore
possiede danari, o mobili da lui nascosti per defraudare il cre-
ditore ed i giudici. È aperto un registro delle decisioni dtlU
corti di coscienza , e da quelle non puossi introdurre appello
a verun tribunale superiore. Le spese ascendono ordiuariamenlc
a mezza lira per ogni debito non maggiore di ìì. j.\ e montano a
2
11. I circa per un debito da 2 a 5 11. Il tribunale criminale
di Londra ( f/ie court of quavter sessioris) conosce tutti gli af-
fari che oltrepassano il potere della pulizia , e che dovendo giu-
dicarsi per mezzo di giurati, non vestono però la qualità di
delitto. Le ricerche e le nozioni ottenute dagli uffiziali di pu-
lizia vengono sottomesse a quell'adunanza di probi uomini chia-
mata il gran Giurì , il quale decide tosto se havvi luogo a pro-
cedere o non. Allorché il Giurì rispose affermativamente con
queste parole : a true bill , si fa il processo 5 se all' incontro
vien risposto ignoramus, allora l'inquisito è immediatamente
posto in libertà. Nella maggior parte delle quistioni ventilate
dinanzi a questa corte, non trovansi né avvocati, né causidici;
le parti non vogliono punto commettersi alla loro costosissima as-
sistenza. Da che l'inquisito comparisce al cospetto de' giudici,
l'attore espone le sue ragioni, e posciachè egli ha terminato,
alla sua volta l'accusato ottiene di essere ascoltato , e può anche
interrogare l' accusatore. In seguito presentansi i testimoni a
carico e a discarico , poscia il presidente espone lo stato dei
fatti. Se il Giuri dichiara innocente l'accusato, questi vien tosto
messo in liberta , se all' incontro è dichiarato colpevole , allora
i giudici si consultano , e pronunziano la sentenza. ( Rev.
Bcitan. i836).
Letteratura — Dei drammi di Vitior Ugo.
Articolo Teiizo
Maria Tudor *i.
Quando la storia accusando Maria d'Inghilterra d'animo cru-
dele, si tace d'altre colpe meno insolite al debol sesso : dopo
che David Hume si poco indulgente a quelli, che i protestanti
chiaman Papisti, accusata avendo d'ostinazione, di bacchetto-
neria, di violenza, di malignità, di ferocia, e di tirannici modi
questa fiera Cattolica, s'astenne dall' infamarne colla taccia di
disonestà i costumi: dopo ciò, dico, che un poeta drammatico
volendo dipingere una donna dissoluta, e crudele nella libidine,
*I Nel secondo articolo sulla stessa materia ( Distribuzione prima di set
tembre), oltre certe piccole mende tipograficbe , che qualunaue lettore «aura
neon „ ,., ,,,„, ^„^„^^._ ^^^ ^^^ ^^,^ ^ _ '^^^^Ji^ ^^^^ ^ e a
Ugo Cappato con dopp.a p , corsero i seguenti errori più -^ravi.
Pag. 5ia. lin. la.
non che fogliano dissimulare
Pag. 5i3 lin, 14 ,5.
11 debito onore alla gentilezza e ge-
uen.sità francese non dimenticò
di tributar loro.
Ivi lin. 21.
Che non saprei invece
Ivi lin. 25.
Sapientissima fra le antiche assemblee
Pag. 5 14. lin. 14.
L' impossibilità del suo disegno
Ivi lin. 20.
1 difetti f/e//' autore consentiti
Pag- 517.. lin. 20.
Già questa considerandosi d'averlo
vinto
CoKEEGCJ
non che vogliano dissimulare
Il debito onore alla jjcntilezza e ge-
nerosità de' Francesi non dimtu-
ticò di tributar loro.
Che non saprei invero
Sapientissima fra le italiche assemblee
L' i/nprobabilità del suo disegno
1 difetti dall' autore consentiti
Già questa confidandosi d' averlo,
vinto
e questo considerandosi , per confidandosi è quello fra tutti che più mi dia pena.
4 ,
trascini sulle scene questa Maria , le strappi tli fronte la sol.i
corona di gloria, clie la storia non 1' elibe sfrondala; né ancor
pago che questa la mostrasse ai posteri tutta lorda di sangue ,
la rappresenti a' suoi spettatori imbrattata del più sozzo fango
del vizio; siffatta violazione delle storiche tradizioni, abuso tale
dei grandi nomi, non so a qual lodevole intento possa venii-
attribuito. Era più giusto a parer mio, e più conforme a quella
vendetta, che il poeta non men che lo storico hanno diritto di
esercitare contro gl'illustri malvagi, spazzando da' nomi loro
la polve dei secoli, e costringendoli ad esser illustri malgrado
loro; era, dico, più giusto il collocare Maria nella sua vera at-
titudine di persecutrice , brandendo la face del fanatismo, pronta
ad accendere i roghi, ed esultante frai gemiti delle sue vit-
time, che non lo stenderla malgrado suo nel letto della prosti-
tuzione, e per la smania d'oscurare il bel nome italiano *i,
porle a giacere al fianco un pessimo italiano imaginario, attri-
buire a costui tutte le atrocità di Maria, tutte le sventure di
quel regno di sangue, e far che un Fabiano Fabiani, nome
senza soggetto, regni dal letto della regina tiranno e carnefice
dell'Inghilterra: e per ultimo, quasi compiacendosi dell'infelice
creazione di quel drudo fantastico, renderlo pretesto di bassi ol-
traggi contro la nostra nazione. Per buona sorte i poeti non
hanno ufficio di storici fuorché nell'infanzia de' popoli: e ben
*i Nella scena 2 , giornata 2 di questo dramma Simon Renard alludendo all'
umico costume italiano di porre al numero plurale i nomi tutti di casato, perchè
complessivi, dice rispondendo alla regina, che chiamò Fabiani il più fraudolento
e infinto uomo del inondo: « Je dis, madame , qu'on voit bien que cet liomme
» porte un noni en i » Nella scena settima delia stessa giornata Maria dice :
Il Ccstma faute. Itaìien, cela veut dire fourbe ! Napolitain, cela veut dire lache!»
E più sotto « Oh .' je devais le savoir d'avance , on ne peut tircr autre chose
)j de 1.1 poche d'un Italieu qu'uu stjlet , et de l'ame d'un Itaìien que lì trahi-
» soli ! » E più sotto ancora; « Le poison! le poignard! que dis-tu là , Itaìien?
» la vengeance traitre, la vengeance honteuse , la vengeancc par dcrrière , la
» vengeance corame dans ton pays ! »
Nella giornata terza , parte prima, scena nona , la regina dice parlando di
Fabiani : « Je veu prouver nioi-mcme au peuple qu'il n'est pas coupable. » Simon
Renard risponde ; « Prouvez au peuple qu'il n'est pas Itaìien ! » Cose insoppor-
tabili , cose false e gratuitamente asserite , cose non so se più indegne della
niiwonr contro cui sono scagliate, che della dignità di colui xhe le ha potute,
non dirò pensare , ma immaginare e scrivere.
5
loro sta, se non contenti ad infiorarli, s'arrogano di svisare e
adulterare gii anticlii fatti 5 se non paghi di non adularle , si
piaeciono di calunniare le tombe.
Questa giusta censura che amore del vero e carità di patria
mi hanno dettata, valga a dispensarmi dall' aggiugnerne verun
altra su questo dramma. Ond' io passando sotto silenzio il rav-
viluppato intreccio della giornata prima, n'andrò d'un salto là
dove mi si spiega dinanzi largo campo di lodi; cioè alla seconda
e terza giornata; non accennando della prima fuorché due cose,
che a tutta gloria dell'autore ridondano. L' una si è che Jane
non ha il menomo colloquio col suo novello amante Fabiani.
Artifizio questo degno d' encomio ; perocché dovendo costui in-
spirare avversione, e l'affetto de' spettatori volgersi intero al
suo rivale Gilberto, era pericoloso il farlo bello di quell'inte-
resse, che la rivelazione di sensi d'amore, quantunque finti
(quasiché nel seduttore riesca mirabile l'artifizio della seduzione)
suol sempre destare malgrado nostro *i. E d'altronde dovendo
Jane, prima che termini il dramma, far ritorno ai suoi prischi
amori, e cangiare se non in odio, almeno in dispetto la passeg-
gera sua passione per l'indegno Fabiani, riusciva d'effetto pes-
simo il farle dire a due personaggi diversi parole d'amore sen-
tite. Né l'esempio di Shakespeare nel Romeo e Giulietta, dove
Romeo due fanciulle successivamente amoi'eggia, sarebbe stato
valevole scusa al poeta francese: che quel sommo, comunque
diversamente sentenziasse lo Schlegel, della natura fu figlio, e
non dell'arte.
L'altra delle due cose si é questa, che Fabiani avendo con
baronale impudenza rivelato a Gilberto gelosissimo ed onorato
popolano, che Jane é sua druda 5 e mentre questi di ciò si
arrabbia e dispera, fattogli leggere il biglietto aiauroso che rice-
vette da lei, e eoa ricordargli che esso Gilberto è plebeo, e
metto ( non avendo spada al fianco ) a battersi con gentiluomini,
insultato al suo dolore: e sfidandolo per ultimo a vendicarsi,
essendo partito gettandogli ai piedi per maggior onta la chiave
*i Si è questa cred' io la ragione , per cui il personaggio Ai Don Giovanni ,
malgrado gli osceni suoi vizii , tradotto in tutte le lingue , e raffazzonato in
mille guise , piacque e piace pur sempre.
6
della casa di lui ( la teneva Fabiani dalla giovane per servir-
sene nelle notturne sue visite), aggiugnendo all'atto parole
della più amara derisione: dopo tutto questo non riesce strano
il vedere come Gilberto dotato di alto carattere, ed altamente
passionato, faccia pensatamente l'orribile risoluzione di votarsi
ad una morte certa per ottenere una cerla vendetta.
Meglio vien espresso il carattere di un personaggio ponendolo
a dirittura in azione, che descrivendolo, o faceudol parlare:
quello poi di un ingannatore non può evidentemente dipingersi
fuorché facendolo agire, perocché le sue parole non si conciliano
veruna fede. Si è perciò che felice mi parve il pensiero del
poeta di aprire la seconda giornata con far modulare da Fabiani
a' piedi della regina alcune strofe della stessa romanza, che
nella giornata prima 1' udimmo cantare sotto le finestre di Jane.
Osserverem di passaggio, che leggiadra e voluttuosa è questa
canzoncina erotica 5 migliore le cento volte di quella dell'Angelo,
nella quale non sarà credo alcuno che riconosca l'autore delle
Orientali. Quando poi Fabiani nullamente sospettoso delle
scoperte che Maria fece sul conto suo, mentre da lei é pregato
dolcemente di ritirarsi , e lasciar entrare la regina là dove non
era stato altri fin allora che la femmina, le dice coli' insolente
confidenza d'un favorito, Je veux , moi ^ que la femme Jasse
attendre la Teine d la porte ^ la risposta che ella gli dà, a mio
parere, è sublime. Vous vouleZj vous ! f^ous voulez , vous ! Re-
gardez-moìj mj lord! Tu as une j enne et channante téle j Fabiano.
Senz'arrestarmi a notare il rapido passaggio dal voi al tu,
che è pur non poco significante, quanti pensieri queste brevi
parole non racchiudono! Una donna amante che è pur anco
regina che sa, 0 almeno forte sospetta di essere tradita nell'a-
mor suo , che vede in fronte al suo favorito una cosi impudente
tranquillità, che s'ode dir tu (ce miserahle fourbe ^ qui vie
parlait d'amour j et me disait tu _, ce matin. Scen. VII), e par-
lar col tuono assoluto di un padrone, deve sentirsi risvegliare
nel cuore la ricordanza d'esser sovrana, di poter con un muo-
ver di ciglio annullar l' opera delle sue mani , distrugger la
fortuna di uno sconoscente da lei innalzato, e com'ella già
lo trasse dal fango, sommergerlo nel proprio sangue. A vedere
7
se egli è capace di verecondia, di rimorso, le dice due volte
in questo dialogo regar<iez-moJ, mylord. Fors'ella spera di leg-
gergli iu fronte la colpa, ovvero se egli persiste nella sua im-
passibilità, si lusinga che egli sia scopo di una calunnia, e che
non possa esser colpevole colui che ha tutta in volto l' imper-
turbabil pace dell' innocenza. Essa vede quella bella testa , di
che visse finallora invaghita, e mentre l'amore sdegnato più
che estinto, la porta a contemplarla con voluttà, e non le lascia
comprendere come tanta perfidia si veli di forme così belle ;
un lampo di tremenda gelosia spingendola a feroce proposito ,
le fa pensare come quella bella e giovine testa , quella testa
che riposò tante notti su' suoi origlieri, che ella si piacque a
carezzar colle sue mani, e stamparla di baci, quella testa sarà
fra breve mozza dal busto dalla scure del carnefice. E certamente
se spettatori di minor perspicacia dotati non han subito colta
l'idea terribile che si asconde in queste dolci parole , neramen
quando ripetendole aggiunge Maria alle lodi della testa e dei
neri capelli , queste altre : Mon Dieu ! Mylord j que 'vous ètes
jcune ! j quasi dir voglia : in così gioitine età andrai al patibolo !
quando poi al finire della seconda giornata la regina consegna
Fabiani al carnefice, e dopo aver detto che quella giovine e
bella testa j quella testa che poche ore prima era ciò che ella
aveva di più bello , di più caro , di più prezioso al mondo ,
ebbene quella testa essa a lui 1' abbandona ( « eh bien! cette
téle j tu la vois bien dis ? — Je te la donne » J allora que' co-
munque men pronti spettatori si ricordano di ciò che ella disse
a Fabiano poco prima accarezzando quella testa medesima, e
tutta scuoproao la ferocia di quelle carezze da tigre.
Bello quanto inaspettato si è il generoso atto di Gilberto
nella se. IV della giornata medesima , dove , ottenuta da Maria
la sua giurata parola di unir Jane, riconosciuta figlia di lord
Talbot, a quel gentiluomo che le nominerà, a patto che esso
Gilberto sia contento di morire per servir ai disegni della re-
gina, con istupore di tutti le nomina il proprio rivale Fabiani.
Siffatto sforzo di virtù degno d'un eroe di Corneille, o di Me-
tastasio, fa giganteggiare il carattere di Gilberto, e spiana, per
COSI dire, la strada al ritorno di Jane al suo primo affetto verso
8
di lui. O Gilbert! esclama essa, vous étes plus qutin ange ,
car vous at'ez tout à la fois les vcrtus cTun avge ., et les pus-
sions dhin homme. La gelosa rabbia di Maria scoppia nella scena
VII in un modo terribile o solenne. « Non, signor Fabiani,
y> ni poignard ni poison. Est-ce que j'ai à me cacber, moi ,
» à chercher le coin des rues la nuit, et à me faire petite
» quànd je roe venge ? Non pardieu , je vcux le grand jonr ,
» entends-tu, Mylord? le plein midi, le beau soleil , la place
» publique, la hache et le billot, la fonie dans la rue, la foulc
» aux fenètres , la fonie sur les toits, cent mille tcmoins! Je
» veux qu'on ait peur, entends-tu, Mylord? qii'on trouve
ìì cela splendide, effroyable et magnifiquCj et qu'on dise :
i) c'est une femme qui a été outragée, mais c'est une teine
M qui se venge! Le favori si envié , ce beau jeune homme in-
» solent que j'ai couvert de velours et de satin, je veux le
» voir plié eu deux, effaré et tremblant, à genoux sur un drap
» noir, pieds nus, mains liées, bue par le peuple, manie par
» le bourreau. Ce con blanc où j'avais mis un collier d'or ,
» j'y veux mettre une corde. J'ai vu quel etfet ce Fabiani
» faisait sur un tróne, je veux voir quel eiFet il fera sur un
?» écbafaud ! » Per ultimo la scena del carnefice, quantunque
dopo che si è veduto la regina assegnar Fabiani alla Camera
stellata, acciò lo giudichi dei supposti delitti di tradimento e
di attentato di regicidio, riesca superflua, mentre la sua mala fine
già si conosce inevitabile-, pure è preparata in modo che ne vien
naturalmente quasi conseguenza ben dedotta dalle premesse: ed
eseguita in teatro a dovere, non può non essere di sommo ef-
fetto. Dopo ciò Fabiani più non compai-e: e quando un uomo
tutto coperto di un nero velo passa sulla scena per esser con-
dotto al supplizio, un tremendo dubbio auge gli spettatori, se
quegli sia Fabiani, ovvero Gilberto. Tutto ciò è ben imaginato:
perchè l' interesse che desterebbe forse la vista di una qua-
lunque vìttima della calunnia (Mylord vien condannato a mor-
te, come accennammo, per non veri delitti) nuocerebbe a
quell'unico che destar debbono Jane, e Gilberto. Il rinascente
amor di Maria pel suo drudo , per cui salvar dalla morte vor-
rebbe sagrificare Gilberto in sua vece, mentre il pubblico di
9
nuovo abborre ([Uel favolilo dal momento che teme di vederlo
risorgere dalla sua caduta, fa palpitare vie più per la vita del
generoso e caro popolano.
La prima; parte della terza giornata schiudesi nella torre di
Londra con un dialogo oltremodo patetico di Gilberto incar-
cerato con Josvia pietoso carceriere, e suo vecchio amico, Gil-
berto, quasi uomo stanco per lo grande sforzo fatto per amor
di Jane, sente il bisogno di poter credere, quasi a compenso ,
che ella di ricambio pensi a lui , eh' ella non l'abbia del tutto
dimenticato. Da un mese in qua ei la vede tutti i giorni dalla
finestra pallida e in vesti di lutto aggirarsi come vagabonda a
pie della torre , ov' egli e Fabiano stanno rinchiusi. Per chi
vien ella? per Fabiani, o per esso? Questo dubbio fieramente
l'affligge. Giosua gli rammenta il palco, su cui fra breve ora
deve perdere il capo, e Gilberto così risponde: « Ma morti
« Qu'entends-tu par ce mot? Ma mort , c'est que Jane ne
« m'aime plus. Du jour où je n'ai plus été aimé, j'ai été mort.
« Oh! vraiment mort, Josua ! Ce qui survit de moi depuis
« ce temps, ne vaut pas la peine qu'on preudra demain. »
E prima di rientrare nella segreta, donde la pietà di Josua
l'ho ha tratto per poco, disperatamente egli esclama: « Oh!
« mourir sans étre aimé! mourir sans étre pleure! Jane!...
« Jane ! , . . Jane !. .. »
Commoventissimo è l'amoroso dialogo di Gilberto con Jane
nella Se. VII di questa prima parte. E qui mi cade in acconcio
il dire , che di tutti gli scrittori drammatici che io conosco ,
nessuno, tranne Goeth, ve n'ha a parer mio, che la passion
d'amore fortemente e naturalmente esprima al pari di Vittor
Ugo. Le scene di Didier con Marion de Lorme, quelle di Dona
Sol con Emani, quelle di Tisbe e Catarina con Rodolfo, per
ultimo le scene erotiche del dramma che abbiamo presentemente
sott occhio, ne paiono di ciò che asserimmo altrettante prove
luculentissinie. Quando io lessi la prima volta le opere teatrali
di questo scrittore, egli mi parve da questo lato invidiabile. E
per verità l' aver ringiovanita e rinfrescata una passione dai
poeti di tutti i tempi , e di tutti i climi già cotanto logorata ,
e un merito degno della più alta ammirazione.
10
Non passeremo sotto silenzio, come piena sia di verità, di
terrore, e di strepitoso effetto, la scena nona, dove il popol
di Londra dagli occulti maneggi dell' ambasciatore spagnuolo
sollevato a romore, gridando furiosamente morte a Fabiani , co-
stringe per bella forza 1' ancora amante regina a promettergli ,
per ammansarlo , la testa del favorito , e a segnare la prim'ora
di quella notte stessa per termine della sua vita. La rabbia di
Maria nel vedersi nella necessità di sacrificare quell'uomo,
pur sempre caro , le sue furie contro i signori cbe la circon-
dano , perchè pronti a devoversi alla morte per la regina non
moverebbero un dito per la salvezza dell'abborrito Fabiani , son
cose dipinte come meglio non si poteva. Bella è l' esclama-
zione dell' adirata Sovrana a' suoi Lordi : « Vous étes tous
» des ladies , et Clinton tout le premier \ » e quella minaccia
che vien subito dopo: « Ah ! Clinton, je me souviendrai de
» cela, mon ami! » E quaud'ella grida : « A cheval , Mylords,
» à cheval. Est-ce que la canaille vous iotimide? Est-ce que
» les e'pe'es ont peur des bàtons ? » bellissima è la risposta
dello Spagnuolo : « Vous pouvez encore dire la canaille , dans
» une heure vous seriez obligée de dire le peuple. » Questa
scena è preceduta da una nota che riguarda 1' esecuzione , e
prescrive scene mute , e spettacoli macchinali di beli' effetto.
Quantunque , come dice Aristotile , le bellezze d'un' opera tea-
trale non debbano esser foggiate dal sarto , né , aggiungo io ,
dal pittore, dall'apparatore, o dal macchinista, invidiabili ciò
nondimeno sono da questo lato gli autori francesi , che pos-
sono scapriccirsi quanto vogliono nelle decorazioni e nelle com-
parse , ed aggiungere al bello della poesia, il lusso dello scenico
apparato : né sono costretti a render la scena quasi deserta con
grave danno della verosimiglianza , per non esporsi a far ridere
la platea delle sgraziate o stupide attitudini delle mal ammae-
strate comparse *, le quali bene ammaestrate si veggono tuttodì
nelle azioni mimiche aggiunger cotanto all' ornamento , e alla
grandiosità dello spettacolo.
Termina la prima metà della terza giornata lasciando nell'
animo degli spettatori il già accennato dubbio, che per salvare
da morte imminente il drudo della regina non abbia a porsi
11
in sua vece Gilberto , il quale già mezzo trafugato per opera
di Jane , per un vile intrico di un Maitre Eneas potrebbe
esser arrestato , e ravviluppato nel funebre velo , che deve dà
capo a piedi coprir la vittima condotta al supplizio. Quest' in-
cidente , mentre chiude in un modo altamente drammatico
questa prima parte , spande un' orribile incertezza sulla se-
conda fin al punto in cui Gilberto si vede comparir salvo e
lieto : e al momento in cui 1' uomo ravvolto nel nero velo at-
traversa la scena , non è cuore che non palpiti di tema , che
sotto quel velo , non già 1' indegno Fabiano , ma 1' infelice
Gilberto s' asconda.
La prima scena dell' ultima parte è resa terribile dal pas-
saggio del corteggio funebre , che precede e segue in solenne
attitudine il paziente , che collo sbadacchio in bocca , ed una
torcia di cera gialla in mano , strascinando il negro lenzuolo
move lentamente al patibolo. Le bandiere mortuarie , il sa-
cerdote coperto dei paramenti del di dei morti , i partigia-
nieri vestiti di rosso , gli alabardieri colle torce accese , ad
ultimo il carnefice colla scure rivalta al viso della vittima ,
tutto accresce orrore a questo spettacolo. Un officiale ripete
tre volte con lenta voce 1' annunzio ferale , che si ode dal sof-
fitto prima di veder la lugubre comitiva , si ode di sul palco,
al distendersi eh' essa fa sovra la scena ; si ode di sotto , al
suo discendere sotto il palco medesimo , il quale rappresenta
la parte mezzana della torre. La decorazione bianca e nera ,
e nera e bianca , distinta da grandi croci nere e bianche o
bianche e nere ,• e per ultimo 1' ombra immobile della regina
profilata sur una bianca tappezzeria dietro cui ella stassi come
leonessa in agguato , tutte queste cose insieme fanno un tutto
di mirabile efietto. Bello , ma non più di bellezza macchinale
si è quel lampo di terrore e di compassione , che scoppia dal
sen di Jane al veder passare colui, ch'essa crede Fabiani. « Le
» misérable Fabiani, » grida il carceriere. « Paix, risponde la
fanciulla, paix Joshua ! Bien » misérable , mais bien malheu-
reux ! » Ah che un forte amore, comunque vinto , lascia, al pari
di un grande incendio , orme indelebili in fondo al cuore ! Le
parole dell'Ambasciatore spagnuolo, poiché il corteggio dispar-
12
Te: « Est-ce bien là Fabiani ? je le croyais moiiis grand» ride-
stano il fier sospetto nato sul finir della parte prima , che Gil-
berto e non Fabiani s'asconda sotto il velo infelice. Poi quando
compare Maria pallida , cogli occhi fissi soprappensiero , non
può meglio rompere il silenzio , che gridando come fa con un
sospiro: « Oh ! le pcuple ! » Quand'essa tira la cortina del fondo,
ed apre lo spettacolo di Londra illuminata ( spettacolo che un
testimonio della rappresentazione ne disse essere stato cosa ma-
ravigliosa ), di una città intera , come die' ella , illuminata in-
torno ad un patibolo 5 le parole ch'ella dal balcone scaglia
contro quella stessa città , son degne veramente della feroce e
sanguinaria figlia d'Arrigo IV. « Oh ! ville infame ! ville re-
» voltée ! ville maudite ! ville monstrueuse qui trempe sa robe
» de féte dans le sang , et qui tient la torce au bourreau! ....
» Oh ! l'Angleterre! l'Aagleterre à qui de'truira Londres ! Oh!
» que je voudrais pouvoir clianger ces flambeaux enbrandons,
)) ces lumières en flammes , et cette ville illuminee en une
» ville qui brulé ! »
E non è che a stento eh' io resisto alla tentazione di qui
trascrivere intera 1' ultima scena , che quantunque conchiusa
da felice catastrofe , per la natura degli affetti , e per la forza
e contrasto loro, tragica riesce quant' altra mai. Lo spavento
onde Jane è subitamente colpita all' udirsi dir ridendo dalla
regina , eh' essa ingannò la furente moltitudine, e che Gilberto
e non Fabiani è 1' uomo del nero velo, le preghiere di quella
accompagnate da lagrime, acciò questa sospenda l'esecuzione,
offrendosi di por se medesima sotto quel ferale Involucro : la
pietà , poi gli sdegni di Maria , il fero dubbio che in lei sì
desta , non sia ella stessa in inganno , e la cosa avvenuta tutt'
all'opposto, cioè il suo drudo e non già l'amante di Jane, ve-
nir condotto in quel punto al supplizio : i suoi ordini preci-
pitosi per ritardare il momento fatale : i palpiti e i timori
d' entrambe 5 e per ultimo la campana della torre che accresce
co' suoi lugubri rintocchi il loro spavento 5 son cose tutte , che
come il lettore altamente commovono , cosi nello spettatore
destano un lungo fremito , un' indicibile ansietà.
Finalmente a La cloche s'arréte. »
i
13
La Kejne
« G'est qiie le cortège est sur la place de l'exécution. L'hoiu-
ì) me n'aura pas eu le temps d'airi ver. »
e E qui un lontano colpo di cannone J
Jane
« Ciel ! »
La Reime
(( (1 moute sur l'e'chafaud. »
( Secondo colpo )
« Il s'agenouille. »
Jane
« G'est horrible I w
( Terzo colpo )
Toutts dciix
« Ah ! ... »
La Reine
« Il n'y ea a plus qu'un de vivant. Dans un instant nous
« saiirons lequel. Mon Dieu ! celui qui va entrer faites que ce
« soit Fabiano ! »
Jane
« Mon Dieu ! faites que ce soit Gilbert,
( jE" qui s' apre una cortina nel J ondo ^ e compare Simon Renard
ambasciatore di Spagna conducendo per mano Gilberto ).
Jane
« Gilbert ! >
« Et Fabiano ? »
« Mort. ))
( E si abbracciano )
La PiEIKE
La Reine
« Mort ? . . . Mori ! Qui a ose ?.. . »
Simon Renak»
« Moi. J'ai sauvé la reine, et l'Angleterre. »
Abbracciando d' un sol colpo d' occhio i tre drammi esami-
nati ( ucll'ordinc della composi/Jone, l'Angelo è l'ultimo, Ma-
14
ria Tudor il penultimo , e Lucrezia il terz'ultimo di tutti i
drammi di Vittor Ugo), la prima quistione che si presenta
alla mente si è questa , perchè un uomo dotato di sì alta fa-
coltà poetica, e cosi maestro, checché si gridi in contrario,
del verseggiare , abbia scritto in prosa questi suoi nuovi lavori.
Accusarne 1' impazienza della fatica , o la fretta sarebbe far
ingiuria grande ad uno scrittore siffatto , ed a tutti in generale
i laboriosissimi verseggiatori francesi. Qual sarà dunque il mo-
tivo , che trasformò l'autor del Gromwello , dell' Emani , ecc.
in uno scrittore di drammi in prosa ? Quanto alla Lucrezia
parmi scorgervi una ragion materiale , quella del non potersi
l'idurre in versi francesi i molti versetti latini cantati dai frati
nella terribile scena del convito. E sospettammo dapprima che
la stessa difficoltà incontrasse l'autore nella Maria Tudor, trat-
tandosi di dar forma di verso alla proclamazione di Mattile
Eneas, mentre il paziente esce della torre : « Celui qui marche
» à ma sulte , couvert de ce voile noir, c'est très-haut et très-
» puissant seigneur Fabiano Fabiani Corate de Glarabrassil ,
)) Baron de Dinasmondy » ecc. Ma oltrecchè non crediamo ca-
pace quel sommo ingegno di sacrificare la maggior bellezza
d' un intero dramma all' amore di alcune tecniche frasi , ci
sovvenne ben tosto come pieghevole si mostri nelle sue mani
la lingua francese nel Cromwello miracolo di artifiziosa verseg-
giatura , dove si comincia dall' esprimere in un verso la data
del giorno , del mese e dell'anno , e dove Is gride dei bandi-
tori , i testi biblici tradotti , le quistioni teologiche , e le più
barbare nomenclature si adattano senza sforzo alle forme dell'
emistichio. Neil' Angelo finalmente non trovammo neppur l'om-
bra di motivo siffatto. Pensò egli forse che il dialogo acquisti
dalla prosa naturalezza maggiore ? Ma già nella prefazione al
Cromwello disse tai cose, che lo dimostrano, persuaso di questa
verità già da Metastasio pronunciata , che il naturale nell'opere
dell'arti deve esser tale nei limiti dell'arti stesse 5 non già acco-
starsi di troppo alla realtà, che altrimenti corre rischio di con-
fondersi con quella , e il bello ideale andarne perduto. La verità
de' sentimenti , la naturalezza dell'espressione, ponno associarisi
alla maggior altezza di stile, alla più squisita frase, al verso
15
più nobile ed armonioso : e 1' incanto de' carmi è tale , che da
niana prosaica ingenuità può venir riscattato. Qual ragion adun-
que, ripeto , fu sì potente nel senno di Vittor Ugo da farlo
discendere dall' altezza del verso , a quella che Lord Byrou
chiamava /' umile prosa ; a strapparsi egli stesso dal ciine una
cosi bella fronda del suo lauro poetico? Spirito forse di novità?
Orgoglio di provare come il bello dell' opere sue non risiede
ne' panni , bensì nel corpo e nelle viscere di quelle ,• e come
spogliate d' ogni esterno ornamento , elleno son pur sempre
ricche d'alti sensi , e di caldissimi affetti ? Volle egli forse mo-
strare a nudo i suoi pensieri, e come altre volte espose al
pubblico i propri! parti vestiti di floride polpe , mostrarli ora
scarnati , con ossa , nervi , ed arterie allo scoperto , come la
statua dell' Apostolo che fu tratto
Della vagina delle membra sue
che il viaggiatore contempla dietro il coro del duomo di Milano?
Avvisò egli , facendo così , ad esser meglio inteso da tutte le
classi di persone ? Ma 1' evidenza del bello e del vero ha forza
di farsi sentire anche da quelli che male il comprendono : e
se le tragedie italiane dettate nel più alto stile sono efficaci a
muovere un'intera moltitudine composta d'ogni generazione di
spettatori, i quali tutti,. tranne quelli di poche provincie, par-
lano un dialetto dalla lìngua che si scrive assai lontano , quanto
più facilmente non intenderà i più sublimi versi francesi l'udi-
torio della colta Parigi , e dell' altre non forse men colte fran-
cesi città ? Quando mai si dolsero Gorneille , Racine e Voltaire
di non esser intesi dal pubblico ?
Io non mi darò vanto d' indovinare i segreti motivi del Poeta
francese : e lunge da me il supporne di quelli meno onorevoli
a un sì chiaro nome. Dirò soltanto che il difetto del verso ne'
suoi ultimi tre drammi si è forse , se non la sola , la principal
cagione, che altri giudicollì assai men belli de' primi, e si cre-
dette vedere nella sua carriera drammatica quel processo retro-
grado, che noi davvero scorgere non vi sappiamo.
C. M.
16
SLa Ione dei Corvi.
Lo Spettro Nero.
Il Cuore del Pioppo.
L' autore di queste tre novelle che per un modesto sentire
di sé, non comune ai di che corrono, coprivasl col velo dell'
anonimo , ci annunzia in una breve prefazione intitolata alle
gentili leggitrici , ch'egli non aspira che a diradare dalle belle
loro pupille le nubi della noja micidiale j e non vorrebbe che
gli accigliati sognatori di cose grandi tenessero per troppo facile
ed anche frivolo 1' assunto suo. Noi plaudenti a chi gli ozii
letterari consacra al procacciamento di quegli onesti sollievi che
più lusingano le femminili fantasie , e concordi coli' autore in
questo, che il ben novellare non è facil cosa, non la faremo da
incontentabili barbassori nel proferir giudizio sopra questo li-
briccino , ed accennando le pecche che in esso ci parve di
ravvisare , diremo pure dei pregi che il fanno commendevole.
Ecco in breve nudata d' ogni fregio episodico la novella prima,
o a meglio dire lo scheletro di essa.
11 Conte di Castelgrifo invaghitosi d'una rrvvenente fanciulla,
la fa rapire da' suoi scherani , e trasportata nel proprio castello,
adopra a vicenda lusinghe e minaccie per indui'la ad appagare
le voglie sue libidinose. L' onesta donzella cui la lusinga e la
minaccia non valgono a piegare o ad atterrire, risponde col nobile
orgoglio della virtù oltraggiata superbi rimproveri e parole di
disprezzo, dalle quali fieramente punto il Castellano ne ordina la
morte. Commessa ad un bravo l'esecuzione del feroce comando,
questi, vinto dalla pietà^ trae notturnamente a scampo la vittima
infelice, lasciando credere al signor suo pienamente eseguita la
crudele sentenza. Arriva il giorno della giustizia. Amedeo tro-
vatore e sposo promesso alla travagliata vergine, ritorna da lon-
tane peregrinazioni per condurre all' altare la fidanzata amante.
Fatto per ventura consapevole dell' attentato del Conte , ma
ignaro che fosse pervenuta a salvamento la diletta sua, ricorre
17
al Duca, da cui rileva il feudo di Castelgrifo, e chiede vendetta.
L' empio tirannuzzo viene arrestato e tratto alla presenza del suo
Sovrano , il quale scoperte d'altronde alcune macchinazioni dall'
iniquo feudatario contro la sua persona praticate , lo dichiara
fellone e traditore , gì' impone il bando da' suoi domimi , e
spogliatolo del feudo , ne concede V investitura ad Amedeo, al
quale presenta al tempo istesso la sposa, premiando così con
meritata felicità le virtù d' entrambi.
La trama di questa novella o romanzo che si voglia chia-
mare è ordita con bella semplicità , e diremo anche con qual-
che maestria. L' interesse vi si sviluppa gradatamente, ed alF
arrivo d'Amedeo, il lettore è sorpreso da un' ansia veramente
affannosa , ed anela vivamente a veder lo scioglimento di quei
casi che hanno commosso il suo core. Non aspettato giunge il
felice fine dei lacrimosi eventi , e la giusta punizione che col-
pisce il criminoso potente , il guiderdone che corona la virtù
oppressa, versan nell' animo un balsamo soave , che ti compensa
dei palpiti provati nel percorrere la dolorosa istoria. Ti pare
insomma di veder 1' ìride consolatrice che sorge dal bujo d'una
tempesta nunzia di lieti giorni e d' insperato gaudio.
Quanto ai caratteri ci perdoni 1' autore , se quelli appunto
che meglio dovrebbero campeggiare nel racconto , ne pajono
alquanto zoppicanti, e non troppo maestrevolmente tratteggiati.
Due sono i personaggi che più attraggono a sé l'attenzione del
lettore ; il Conte e Felicia. In quello io ravviso un ribaldo
bensì, ma pennelleggiato in modo che s'egli sia più scemo o più
tristo non sai. E mi pare di veder un attore che ti venga dinanzi
incaricato d'una parte che non capisce, e di cui non può inve-
stirsi. Altro è il linguaggio ed il portamento dell'Innominato e di
Rodrigo nei Promessi Sposi, ed un tal paragone che una qualche
analogia di posizioni induce per se stessa , fa per avventura mag-
giormente scapitare il ritratto del Conte di Castelgrifo. Quanto
a Felicia la principal eroina dell'azione, ella compare forse in
scena troppo raramente : ma quando essa sostiene l'assalto del
suo innamorato persecutore non ne sembra troppo naturale il
modo con cui respinge le espressioni del vSiio amore , e ne di-
sfida le minacce. L'inerme donzella non ha un accento di prò
18
ghiera, non una lacrima, l'anelo suo petto non manda un solo
di quei gridi d.' angoscia che destano la pietà perfin nell'animo
dei tiranni e son possenti talora ad ammollirne la volontà, ad
attutarne l'ira. E son pur queste l'armi più efficaci e possenti
che alla bellezza ha conceduto Iddio. Ma essa invece prorompe
di lancio in rampogne altere e disdegnose , sputa morale a ri-
bocco , ed intuonando un profetico dics irae dies illa^ pare che
quasi lieta si rassegni al suo fato, presaga internamente di futura
vendetta.
Nelle due seguenti novelle 1' autore ci narra storie pietose
del pa-o e commoventi ; sono scene domestiche di tempi cor-
renti o vicini a noi, e più semplice ancora e piana n'è l'ordi-
tura. Noi tralasciamo di farne il sunto perchè in tal sorta di
produzioni, delibato così il sapore della novità, vien diminuito
il piacere in chi legge. Solo d' una cosa vorremmo avvertito
r autore , ed è ; che quando il novellatore non fa fondamento
nella complicazione del nodo e nell' incalzarsi degli eventi per
cattivare l'attenzion nostra, allora gli è mestieri, per vestire di
più possente incanto la sua narrazione, di farci assistere a tutte
le interne rivoluzioni del core , impiegando con diligente accu-
ratezza tutte quelle tinte e mezze tinte che meglio tornano a
ritrarre le varie gradazioni del pensiero e degli alFetti. Così una
pagina di Sterne più ne commove ed attrae che non tutti i
volumi delle mille ed una notte. La qual cosa non diremo che
abbia interamente omesso l'anonimo nostro , ma stimlam pure
incomplete le sue pitture, e troppo spesso ne paiono sfumanti
soverchio, anzi che vive.
La lìngua usata dall' autore di queste novelle può dirsi in
generale di buona lega : flessibile e disinvolto lo stile. Notammo
per altro alcune poche locuzioni che ne sembrano peccanti, come
p. e. inferocire il carnefice. Quel verbo inferocire in senso attivo ,
per render feroce, aizzare alla ferocia , crediamo che suonerà
male a chi ha sapore di buona lingua 5 alcune altre ne parvero
triviali di troppo, ma, lo ripetiamo, esse son poche, e per
quelle non può l'autore venir fraudato della debita laude.
Ora se per compire all' ufficio di critico noi fummo tratti a
spigolare più minutamente, che non divisavamo, quelle mende
19
che fra non poche bellezze si trovano, a ciò ne indusse la per-
suasione, che ove l'autore voglia porre diligente cura nell' evi-
tarle, potrà darci in avvenire scritti veramente buoni e prege-
voli , ai quali toccherà altro fato che non quello che mode-
fitauiente egli accenna, cioè di' imprigionare i vezzosi ricci che
scherzano sulla limpida fronte delle belle.
M. M.
oTORIA. JLeTTERARIA — Des progrès de l'Imprimerie en France
et en Italie au 16.""' siede, et de son influance sur la Ut-
tarature '^ avec les lettres-patentes de Francois 1.*='', en date
du 17 janvier i538, qui instituent le premier imprimeur
rojal pour le grec; par G. A. Grapelet, imprimeur, — Paris ,
chez Grapelet^ i8i:itì.
Il signor Grapelet è uno dei pochi tipografi e libra] che al
dì d' oggi onorano ancora la propria professione , per quell'a-
more alle lettere , e quella dottrina che anticamente erano più
comuni fra i sostegni della tipografia. I suoi lavori k-tterarj
sono pregevoli del paro quanto il raro ingegno e 1' accurata
attenzione eh' egli reca nel materiale esercizio dell'arte sua. A
lui soa dovute importanti ricerche bibliografiche , e ristampe
di molte opere rare e di gran momento.
il libro che annunziamo contiene un rapido sguardo sullo
stato della tipografia ali' epoca di Francesco primo. Egli è ve-
ramente con un senso di gioia che la mente si ritrae a quei
primi tempi della tipografia , allorché questa invenzione , ac-
colta come dono di Dio , trovava ovunque buona accoglienza
e protezione 5 quando dotte persone assumevano il grave carco
di dirigerla , ove lo stampatore era in pari tempo un liHterato,
e sovente un distinto filologo 5 quando infine la specclazione
mercantile non forniva la base, ma era il risultamenlo delle
i«ipr«s« letterarie.
20
La staaipa progrediva con intelligenza e con metodo. Da
principio ella pose nelle mani degli studiosi gramatiche gre-
che, che venerabili professori sì celebri per scienza, per fama,
e per infortunio , come Teodoro Gaza di Tessalonica , Costan-
tino Lascaris di Bisanzio, Demetrio Calcondilo d'Atene, non
ebbero a schifo di comporre pei loro numerosi scolari. Dione
Paravisino di Milano pubblica la prima gramatica greca del
Lascaris nel 1476. La prima impressione, i primi tipi romani
e greci d' Aldo Manuzio a Venezia nel' 1494? servono a mol-
tiplicare gli esemplari di questi rudimenti greci corretti, am-
pliati e più adatti ai bisogni degli studj
Quindi tutta la serie degli autori greci si manifesta al mondo
letterario. I principi d'Italia gareggiano fra loro di benivoglicnza
e di generosità onde onorare e inanimire i dotti , eccitare il
gusto delle belle lettere , ed ajutarne al progresso. I duchi di
Ferrara , di Milano , di Firenze , il re Alfonso a Napoli fon-
dano 0 restaurano accademie , loro assegnano ricche dotazioni,
ìnstituiscono cattedre di letteratura greca e latina, e chiamano
ad occuparle uomini i più dotti e i più illuminati 5 in quel
mentre gli Aldi a Venezia prosieguono e ampliano la sfera della
loro difficile e gloriosa carriera. Il capo di questa famiglia, Aldo
seniore , giugne a creare un' accademia intera di letterati , e
dei più illustri personaggi , i quali contribuiscono alle fatiche
della sua officina tipografica, e gli impartiscono liberale pro-
tezione. A Roma un ricco mercatante , Aug. Chigi , gareggia
coi Medici per liberalità e per amore delle lettere greche , e
delle arti. Egli fonda a totali sue spese una stamperia , e ne
affida la direzione a un greco di nazione , Zuc. Calliergi di
Creta. Le edizioni di Pindaro e di Teocrito , degne d' ammi-
razione per la loro correzione , per la bellezza della stampa ,
e corredate di note dello stesso tipografo , rendono ben degna
testimonianza dello squisito gusto del protettore , della scienza
e dell' ingegno dello stampatore.
I sommi pontefici del secolo XVI pressoché tutti si mostra-
rono protettori illuminati delle lettere , ed a gran possa largheg-
giarono di favori per V incremento della tipografia.
Anche in Francia quest' arte novella trovò appoggio presso
21
i capi della nazione. Gradevole spettacolo egli è in vero la
bella gara con cui i papi ed i re contendevano a chi meglio
favorisse quell'arte nascente. Francesco primo, cui sovente vien
contestato il titolo datogli di protettore delle lettere , pare abbia
più volte impartiti i suoi favori alla stampa. E pare veramente
eh' egli nutrisse un istante l'idea di soffocarla nel suo nascere.
Un despotico instinto destava in lui a prima giunta una qual-
che ripugnanza contro quel mirabile trovato , che gettava
r eguaglianza fra i cultori della scienza , come addentellato di
più ampie innovazioni. Ma le sue intenzioni a questo riguardo
non furono mai messe ad esecuzione ; e colla stessa versatilità
che si manifestò in molte occasioni nel suo carattere , egli tosto
obbliò le sue prevenzioni ; ed il prepotente suo amore per le
lettere ebbe il sopravvento sui primi ostili divisamenti. Le lettere
patenti trovate dal signor Grapelet in una raccolta di varii
documenti conservati nella biblioteca Mazarina , provano incon-
trastabilmente che Francesco primo volle assumere sopra di sé
il progresso^ 4ella stampa in Francia , instituendo un tipografo
reale per la Hngua greca. Costui fu Corrado Neobar , cui ac-
cordò un privilegio di due e di cinque anni per le sue edizioni,
oltre a un'annua pensione di cento scudi d' oro all' impronta
del sole. Poco stante il medesimo re nominò pur anco un ti-
pografo reale per onorare la lingua francese. Lettere-patenti del
12 aprile i543 conferiscono questo titolo a Dionigi Janot.
Noi invitiamo quelli che cercano nella origine delle arti e
nelle passate loro vicende la definizione del mandato che dalla
Provvidenza hanno quaggiù , a leggere attentamente il libro
del signor Crapelet , persuasi che dalla copia di dottrina che
acchiude, dalla venustà dello stile in cui fu scritto, trarranno
utile e diletto.
22
JdIOGRAFI/V — Cenni sopra Carlo Fé a.
Le opere scritte dall'Avvocato Carlo Fea versano circa la
maggior parte dello scibile umano: predilesse però gli studi fi-
lologici, archeologici e legali; degli studi naeramente filosofici
non era digiuno , ma in tal caso egli comparisce soltanto come
dotto editore , come nell' opera del Casalasco Fallctti da lui
postillata nella seconda edizione.
Tacerei volentieri delle sue opere politiche: era il Fea troppo
tenace del suo proposito e delle sue abitudini per potere scor-
gere nelle cose de' moderni strada alcuna di miglioramento.
Trasportato d' entusiasmo per Roma e pel governo che da tanti
secoli la regge , imprendeva a spiegare in nuovo senso la di-
vina Commedia ed attribuendo a Dante idee semiprofetiche, lo
rappresentava come validissimo predicatore dell' autorità ponti-
ficia nelle cose temporali di RoLoa non solo, ma di tutta Ita-
lia : di ciò espose poche idee in suo discorso accademico ap-
petto a quel tanto che notato aveva ne' suoi fogli volanti , e che
con maggior suo agio proponevasi di comunicare al pubblico.
Sopra le stesse basi compose egli mi discorso nel quale po-
sava i principii di una nuova storia Romana. Pensava il Fea che
l'antica potenza di Roma fosse da considerarsi non solo come
preludio allo spirituale potere de' secoli posteriori , ma che i
Re, la Repubblica e l'Impero non dovessero tenersi che quali
mezzi d'incremento e di conservazione per quindi stabilire nel
mondo l'ecclesiastico temporale potere : conchiudeVà dicendo
clic non solo moralmente, ma anche fisicamente la Roma d'og-
gidì doveasi stimare più felice, più bella, più potente di quella
Roma in cui vivevano i Scipioni. Questa proposta gli valse
un amaro rimbrotto per parte dei redattori dell'Antologia Fio-
rentina. Fa però d' uopo osservare che ciò scriveva il Fea
nella sua tarda età di prtissochè 80 anni, e che^ direi quasi
senza sua saputa , vi era spinto da altri.
23
Ma la fama del Fea a buon dritto riposa grandissima nelle
sue opere aixheologicbe. Egli dedito per natura allo studio ed
alla più profonda e sottile critica ebbe la ventura di giungere
a Roma in quel tempo appunto in cui per opera di Piranesì ,
di Winckelmann , di Mengs , di Visconti , di Mari ui *i, quali
già celebri per classicbe opere , quali allora già di matura età ,
di profonde cognizioni forniti ed a lui legati di stretta amici-
zia, risox'gevano gli studii dell' anticbità e delle arti. Aveva il
Winckelmann nella sua immortale istoria per il primo riunito
in modo cbiaro ed evidente la filosofia coli' antiquaria : egli
aveya descritte le varie epocbe dell'arte con quella lucida mente
che tanto ammirasi in Buffon , ma 1' edizione ne era riuscita
scorretta , inesatte le citazioni soprattutto quelle degli scrittori
greci; oltre di ciò molti materiali mancavano al Winckelmann;
i grandiosi scavi ed il Museo Pio-Clementino, opera die può
dirsi tutta dell'immortale Pio Sesto, i tanti viaggi fatti nella
seconda metà dello scorso secolo, e le tante parziali illustrazioni
olle in quell'epoca si scrissero circa moltissimi monumenti, que-
ste cose tutte ebbero luogo dopo della sua grande istoria. Mo-
riva il Winckelmann e ristampavaiisene gli scritti in Francia ed
a Milano, ma gli editori fidando ciecamente nell'originale in-
vece di emendarne gli errori pareva anzi che adottandoli li vo-
lessero autenticare. Di tutto ciò ragiona ampiamente il Fea nella
prefazione che pose in fronte alla sua nuova edizjone; per suo
elogio basti il dire cbe questa divenne il testo ricercato nelle
posteriori ristampe, e che se il Winckelmann aveva nella sua
prima edizione palesata la potenza del suo genio, devesi al Fea
che egli ora si mostri ricco di tanta e sì varia erudizione. Im-
mane fu veramente la fatica del nostro traduttore , ma gran-
dissimo onore glie ne venne, ed in Jal modo in fresca età
pose le prime basi di quell' alta fama alla quale elevossi in se-
guito. All' edizione del Winckelmann egli aggiunse una larga
Si dottissima dissertazione sulle rovine di Roma , opera ricer-
*! Vivevano allora oltre i tre mentovati Italiani , in Roma, pure l'Amaduzzi,
il Cuncellieri , il Cardinal Borgia, il Cardinal Valenti e molli aliri eruditissimi
«oggetti. Da pochi anni mancava il VVinckchiiann morto a Tiiis!-; vu:l 1768,
24
catissìina da quanti si applicano a studiare la topografia della
eterna città. In questa egli parlò di quasi tutti i monumenti
romani , non già contento di ripetere cose note, ma ricercando
ne' particolari archivi e negli scrittori del medio evo , egli di
tali edifizii tessè un' istoria che potrebbesi chiamare compiuta,
tante essendo le notizie che dà delle loro varie e moltiplici vi-
cende soprattutto ne' bassi secoli.
Frattanto egli arricchiva di nuove note una seconda edizione
delle opere del celebre Mengs , ed a lui veniva addossata la
stampa del volume che il letterato consigliere Bianconi aveva
steso sopra gii antichi circhi come porta il frontispizio , ma
realmente sopra quello che è al castello di Capo di Bove tra il
i." ed il 2.° miglio della Via Appia. Questo era stato dal Fa-
bretti creduto fatto dal Gallieno, il Fea vi sostenne l'opinione
volgare che lo dice opera di Caracalla ; posteriori scoperte ci
dimostrax'ono quindi essere stato questo Circo edificato dall'Im-
peratore Massenzio ad onore del suo figlio Romolo. Venne quindi
il Fea in lettera scritta dal Tambroni molti anni dopo censu-
rato per non avere allora conosciuto il Circo che nella vicina Bo-
ville , tuttora lascia scorgere ruderi vastissimi : ma a vero dire
non troppo fondate devono stiraax'si codeste critiche, avendo il
Fea ignorato ciò che a nessuno di quei tempi era cognito.
Datosi poscia intieramente agli studii topografici romani ,
pubblicò il 1.° volnme della sua Miscellanea , nella quale oltre
varie monografie radunò le così dette Memorie che degli scavi
fatti in Roma à loro tempo avevano avuta notizia varii illustri
artisti come il Vacca , l'Aldovrandi ed il Bartoli. Quest' opera
giacque poscia non proseguita , tuttavia radunava il Fea len-
tamente materiali per formare un i." volume , ma ciò gli fu
impedito dalla morte ; gli scritti suoi però ordinati dal suo ni-
pote Antonio Fea viddero la luce quattro mesi sono , 4^ anni
dopo la pubblicazione del primo tomo *i.
Tralascio varie opere rustiche e di storia universale, dalle
quali non ripeteva il Fea onore alcuno , considerandosene solo
*i Questo volume è adornato io front* del ritratto somigliantissimo del no-
itro autore.
25
come traduttore od editgre , ma fu in questo spazio di tempo
eh' egli cominciò i suoi diletti studi topografici nelle •vicinanze
di Roma, e gli estese quindi a quasi tutta la superficie della
campagna romana. Mi sia permesso riunire insieme gli scritti
suoi che spaziano circa questo punto , e de' quali sarebbe de-
siderio de' dotti che se ne stampasse una raccolta, tanto sono
essi ricchi di peregrine notizie non solo ricavate dagli antichi
autori, ma l'invenute negli archivi romani e delle varie comu-
nità. Molte descrizioni avevansi dell'antico Lazio , come quella
cominciata dal Corradini e proseguita dal P. Volpi , quella del
Kirckero ed altre parziali, erano però tutte scritte in epoca in
cui non si conosceva, e non si voleva conoscere la critica , si ri-
petevano i passi de' classici senza nemmeno prendersi fastidio di
verificarli sui libri, e ciò che è peggio, quasi tutte codeste de-
scrizioni erano compilate in Roma da persone che sedute a ta-
volino parlavano di topografia, di monumenti, di storia di quei
paesi che non avevano visto mai. Unica eccezione fornivano i
due luminari della scienza Holstenio e Fabretti morti da lungo
tempo , e negli ultimi anni il Chaupy. Ma il Fea, benché ri-
stretto di fortuna , portandosi in que' siti la descrizione dei
quali egli voleva stendere , vi soggiornava lungo tempo , e ad
ogni minima notizia di scavi operati e di scoperte fattevi vi ri-
tornava , non fidandosi di relazione alcuna , e tutto volendo
esaminare di persona. Lavori classici sono quelli da lui scritti
allora ed in poi sopra Genzano , sopra le rovine dell' antica
Gabi , che furono poscia particolarmente illustrate da Ennio
Quirino Visconti , sopra gli scavi fatti nelle vicinanze di Ardea
presso Torre S.Lorenzo, dov' era l'antico borgo di Aphrody-
sium e tempio di Venere, come pure di tutta la superficie dell'
antico agro Ardeatino. Principalmente si estese sopra le magni-
che rovine di Ostia e di Fiumicino , e sopra 1' istoria di que-
sti due luoghi già emporii ricchissimi di Roma. Parlò pure in
tempi posteriori del Porto di Anzio e del modo di ristabilirlo.
Molte di queste cose egli stampava a nome proprio , ed altre
andavano sotto il nome del Cav. Giambattista Rasi Console
generale di S. M. il Re di Sardegna in Roma : era insorta tra
questi ed il sig. Ingegnere Linotte una questione circa questi
26
tre antichi porti, e fu sostenuta da ambe le parti con ijiokì
scritti , era il Rasi ajutato dal Fea, e per la parte architetto-
nica veniva fornito di disegni dal nostro Gav. Luigi Canina da
Gasale. Sosteneva il Rasi potersi e doversi ristabilire questi an-
tichi porti nel loro primo essere , onde far rivivere il commer-
cio di Roma , nella qual cosa se egli dava prova di cittadino
amante della sua patria , non compariva però egualmente pro-
fondo economista, troppo essendo mutato il sistema commer-
ciale a' tempi nostri , cosicché per ravvivarlo basti aprir uii
porto o dirigere una strada 5 così rispondeva il Linotte. Tale
questione portò con sé di dover parlare del modo di migliorare
la navigazione del Tevere , discussione celebre per moltissime
opere degli Idraulici degli ultimi secoli ; circa questo punto
molte cose scriveva il Rasi , ed altre a proprio nome stampa -
vane il Fea. Altro però non si ottenne che 1' apertura della
nuova strada di Porto ossia di Fiumicino , e maggior cura nel
mantenere sgombra dalle arene la foce del Tevere alla dritta ,
detta di Fiumicino.
Altre opere sue toporafiche ricercatissime sono quelle scritte
circa Tivoli in occasione de' terribili danni causati dall'Amene
nel 1826: in questo scritto produsse molti documenti inediti,
estendendosi a parlare anche di Subiaco. Aggiunse a ciò un suo
progetto per frenare il troppo impeto del fiume , progetto lo-
dato dalla Commissione Idraulica, ma non creduto sufficiente,
essendosi poi ora messo in opera quello dell' Ingegnere Cle-
mente Folchi. A ciò si deve aggiungere quanto scrisse circa gli
acquedotti antichi e moderni , non solo per la parte istorica ,
ma anche per la fisica e 1' idraulica. Era egli mosso principal-
mente dall' amore caldissimo che portava alla città di Roma ,
onde desiderando che sempre più venissero migliorate le acque
potabili, propose al Governo di riportare in città l'acqua Mar-
cia , e sotto la sua direzione si apri uno scavo alle terme Dio-
clcziane per rinvenire un' acqua corrente che di colà trapassa.
Né ancora contento a ciò , apri di proprio danaro una escava-
zione presso il Velabro , nella quale gli venne fatto di trovare
r antica acqua detta di Mercurio , ma infelicemente il livello
troppo basso Io costrinse a desistere dall' impresa.
27
Aveva egli sin dal 1790 nella prefazione alla sua Miscellanea
avvertilo le tante mende che ancora trovavansi negli scritti di
molti antichi e soprattutto di Vitruvio, Virgilio, Stazio ed Ora-
zio, air edizione di quest' ultimo egli pose mano con ogni di-
ligenza , consultando tutti i manuscritti di Roma , e siccome
Orazio che tanto parla di Roma e del suo agro , era stato com-
mentato sin allora da persone che circa tali cose non avevano
fatto studio alcuno speciale^ egli principalmente a ciò si volse,
e diedeci una edizione lodatissima da tutti i filologi , e che
gran fama acquistogli nelle riputate scuole di Germania.
I due più celebri edifizii di Roma furono dal Fea con gran-
dissima cura illustrati ; più volte scrisse circa il Panteon , in-
stando onde il Governo facesse atterrare le meschine case che
ne ingombrano i fianchi , e benché il voto suo non sortisse in-
tiero effetto, pure ottenne che lo stupendo pronao venisse li-
berato dalle immondezze che lo deformavano, fu aperto accanto
alla sua diritta uno scavo recinto dimostrante 1' antica forma
del basameiìto, e sgombrata la piazza dai casolari in legno che
toglievano la veduta del nobilissimo tempio. Gli scavi operati
negli ultimi anni della dominazione francese nell' arena del Co-
losseo e neir antica Basilica del Foro Trajano diedero al Fea
materia di nuovi scritti , ne' quali sempre più spiccarono il suo
amore per la conservazione degli antichi monumenti , la sua
dottrina e la sua somma probità.
Moltissimi opuscoli scrisse sopra tanti oggetti che di lui vol-
garmente dicevasi in Roma, non v' esser sasso che dal Fea non
fosse studiato ed illustrato. Egli non aveva perciò abbandonata
la scienza legale , e molte cose scrisse in favore della suprema
potestà dell' ecclesiastico governo. Autore di più di 100 opere
non deve il Fea essere giudicato severamente da ognuna di esse.
Il suo nome vivrà eterno sinché vi saranno cultori delle ro-
mane antichità.
Il Fea era nato in Pigna, provincia di Oneglia , il 4 di giu-
gno 1753, e mori in Roma il 17 marzo i836, era egli basso
di statura, ma di fattezze svelte, cosicché sino all'estrema vec-
chiezza potè adempiere a quanto richiedeva l'ufficio suo di Com-
missario delle antichità. Non volle onori , e di tal temperanza
28
diede un bel saggio allorché avendo voluto Pio VII conferirgli
la dignità di Monsignore, risposegli che non sarebbe stato de-
cente il vedere una persona in tale abito ravvolgersi tra il
fango ed i rottami degli scavi. Acclamato socio da moltissme
accademie , mai non si fece conoscere per tale ne' frontispizi
de' suoi scritti. Era il suo aspetto come di uomo burbero e
rozzo , ma cordialissimo verso tutti quanti sapeva che colti-
vassero studi d' antichità o di belle arti , ai quali , benché
fosse di troppo modica fortuna fornito, ampiamente donava
i più costosi suoi scritti. La sua probità ed il suo zelo nell'
adempiere 1' ufficio suo erano tali che saranno forse eguagliati
da altri , superati da nessuno 5 in tanti cangiamenti politici ,
e fra tanti nemici personali suscitatigli dalle opere sue tal-
volta un poco acri e pungenti , nessuno cessò mai di portare
alla sua virtù il più profondo rispetto , ed allorché il nuovo
Commissario delle antichità Pietro Ercole Visconti ne parlò
meno onorificamente , sorse contro di lui da tutta Roma una
voce d' indegnazione e di spregio. Lui vivente , ne fu collocato
il busto in Roma nella sala de' Congressi dell' Istituto di cor-
rispondenza archeologica , onore non dato che a Thorwaldsen.
Il Cav. Bunsen ne lesse un elogio stampato quindi negli an-
nali dell' Istituto , elogio veritiero e di amico ad amico , di
uomo dotto ad uomo dottissimo.
Una notizia scritta dal Coppi fu stampata in occasione de'
suoi funerali. Il Coppi nativo di Chieri , e continuatore degli
Annali d' Italia, socio della Accademia Romana d'Archeologia
si applica specialmente alla illustrazione de' siti già occupati da
famose antiche città , ed ora ridotti deserti , che trovansi nell'
agro romano : di parecchi ne scrisse dotte illustrazioni che tro-
vansi negli atti dell' anzidetta Accademia.
Lasciò il Fea un nipote dilato fraterno, di nome Antonio,
il quale pure dà opera agli studi archeologici. Unitosi coli' ar-
chitetto Angelini intraprese la pubblicazione de' monumenti che
trovansi lungo la Via Appia , e la Latina. Recentemente diede
alla luce la pianta topografica del Foro Romano , che deve es-
sere seguita dalle parziali stampe degli cdifizii che lo circou-
dano. C. P.
29
Polemica
Ite superbi e miseri cristiani
Consuriiando 1' un l'altro , e non vi caglia
Che il sepolcro di Cristo è in man dei cani.
Petrar. — Trionf.
A chi considerasse quanto magro sia il novero delle verità
così terse e lampeggianti da venire senza contrasto dall'univer-
sale degli uomini consentite : quanta sia la mole delle cose che
r umana intelligenza di secolo in secolo assiduamente operosa,
invano s' affanna a conoscere e spiegare : come oscuro 1' abisso
in cui si profonda il pensiero dell' uomo per trovare un argo-
mento, un'idea che tratti in luce valgano a rischiarare l'in-
certa via, ed esserp guida a futuri progressi; a colui non tanta
recherebbe maraviglia l' infermità delle menti umane , quanta
l'esclusiva ed imperturbata fidanza che ciascun di noi nel pro-
prio giudizio ripone , e V accanito contendere per far preva-
lere le proprie sulle altrui sentenze,
Qual è quella verità così assoluta per se slessa , che sopra
nessuno de' suoi lati possa protendersi l'ombra del dubbio?
Dov'è l'errore, che sotto nessuno de' suoi aspetti possa vestire
le apparenze del vero , ed abbagliare lo sguardo di chi per
quella parte il contempla ? E fra le cose che per vere tene-
vano gli avi nostri , quante non sono che assurde riputiam noi ?
Fra quelle che abbiamo per inconcusse, quante non ebbero
nome un giorno o di fole o di menzogne ? Eppure sempre au-
dace e securo in se stesso 1' uomo si sceglie un cammino e si
avvia per quello alla scoperta del vero : ed a quanti il circon-
dano, grida, seguite me e troveremo il vero : poi tutto che gli
vien fatto di veder nella sua via ci lo predica per vero : e se
havvi chi dal suo dire dissenta , scaltri a lui chinata la cervice
non àlee amen , allora ei s'adonta, dà taccia altrui di menzo-
gnero e caparbio, e grida: raca. Ma havvi pure fra tante scom-
poste tendenze un secreto nesso comune: in tutte (juelle forze
pugnanti fra loro havvi uno stesso impulso che dovrebbe a co-
30
mun fine dirigerle: in tanta divergenza di vie una è la mela a cui
8Ì corre: e sono l'amore, il bisogno , il conseguimento della ve-
rità. Perchè dunque le incessanti pugne , e le stolte ire ? Fu-
nesta istoria le antiche guerre dei sapienti ed i frutti loro ne
insegna : ma invano. La trista esperienza dei fatali dissidii non
pare che sia per noi maestra bastantemente autorevole di mi-
gliori consigli.
Queste considerazioni sopra un mal germe che infetta il va-
sto campo dell'intellettuale attività, ora noi, scendendo a più
umile sfera , ai giornali le applicheremo.
Già il Subalpino fin dall' apparire della prima sua distribu-
zione veniva da un giornale meritamente reputato d'altronde,
designato quale apostolo del falso , e settario di nocevoli dot-
trine. Ora in quest' ultimo fascicolo di settembre vediamo rin-
novata r accusa , cui una fiera stizza condisce d'acri e d'amaro
sentenze. Se abbietta credessimo quell' ira , che contro noi si
destò , se vile lo scopo di chi sorse alla lotta , noi non oppor-
remmo che silenzio e disprezzo : ma la gonfia ed acerba pa-
rola suona pur anco carità di patria, ed amore al progresso
dei buoni studi e della civiltà, onde noi, che vogliSm crederla
sincera, ci ascriviamo a debito il farvi sopra alcun commento.
Solo non seguiremo il nostro avversario , laddove corrivo so-
verchio ei fa dell'ingiuria argomento. Imperocché l'imprecante
contumelia è tal arma che riposa nel fango , e chi s' abbassa
a raccoglierla per ferire altrui, lorda se stesso ad un tempo,
e bruttamente si deturpa.
La prima querela che a noi vien mossa si è per essere stalo
Loke chiamato sensista in un articolo di filosofia inserito da
un pregiato nostro collaboratore nella prima distribuzione del
Subalpino. Per questo noi veniamo tacciati cV imporre tristi nona
a buone cose e buone persone ; e poiché Loke oltreché dai
sensi traeva l'origine delle nostre idee dalla riflessione, cioè
dall' atto con cui V anima si rivolge sopra se stessa e le sue ope-
razioni, vorrebbesi che rlflessionista noi lo chiamassimo anzi-
ché sensista.
Noi potremmo con qualche fondamento addurre a giustifica-
zione dell' usato vocabolo , che ]a riflessione sopraccennata
^
51
esercitandosi sopra idee procurate dai sensi , più apposita rie-
sce la voce sensista a designare quel sistema delle origini ,
che non qualunque altra ; ma schivi d' avvolgersi nei dedalici
laherinti d' una steril dialettica , noteremo soltanto come l' im-
pugnata designazione sia ornai dall' uso universale consacrata ,
e che al Subalpino, dando a quella parola il valor suo con-
venzionale , non può venir lode, né biasimo di sorta , e meno
ancora toccar l'accusa d'imporre tristi nomi a buone cose e
buone persone.
Che se con questo ci si volesse apporre a peccato 1' avere
taluni di noi in filosofia opinioni contraddicenti alle teorie Lo-
kiane , noi non sapremmo conciliare la vantata tendenza al pro-
gresso con quella tirannia che comprime gì' intelletti per ri-
durli a camminare in una data via , e gravando d' egual giogo
tutte le menti , annienta persino la sacra libertà del pensiero.
Ma ingiusto riputeremmo noi l'arrestarci a quel sospetto ; pe-
rocché non havvi ingegno colto ed aperto che non vegga quanti
mali traggasi dietro 1' intollerante domiuio d'una dottrina qual-
siasi , e come per simil fatto già venisse di tanto sangue mac-
chiata la terra europea ed in miserrimi casi travolta.
Lo stesso autore dell' articolo che ne porge argomento al pre-
sente discorso , pare che rendesse alla libertà del pensare un
giusto omaggio , quando inseriva negli Annali il proemio che
l'egregio Giuseppe Ferari fa precedere al VI volume delle opere
tutte di Vico. Leggonsi in esso le seguenti parole: — « egli (Vico)
riponeva 1' umanità nelle idee di Platone , e la filosofia di Lo-
ke degradava il pensiero fino alla sensazione 5 la storia già
trascurata da Cartesio era il campo della sua grandezza , e ve-
deva difìondersi quell' epicureismo essenzialmente antistorico
ecc. ecc. » — Al quale proemio malgrado tali sentenze ei non
restava dal tributare orrevole e meritato encomio senza tema
di venir perciò accusato d'oltraggiare la memoria d'un grande
uomo, gridando così, come a noi rinfaccia , Lohe sensista pa-
dre del sensualismo , avolo del niatei'iaUsmo e bisavolo delU
ateismo.
La seconda taccia che al Subalpino vien data si è di mo-
strarsi vago di cose disutili ed infetto d' idealismo.
32
Che disutili siea le cose nel nostro Giornale discorse , non
crediaiu noi , che vidimo con crescente benignità accolte le no-
stre fatiche -, bensì alla calda brama di giovare ( e qui intendo
parlar unicamente per conto mio ) non corrisponderà 1' effica-
cia dei mezzi : ma anche 1' obolo del povero ha il suo valore
nel tributo che si paga alla patria , ed a toglierne il conforto
di generose speranze non sarà valevole un rimbrotto più che
assennato crudele. Alla vaga accusa d' essere noi infetti d'idea-
lismo risponderemo eh' egli è uffizio d'ogni giornale , che non
sia ad una special scienza consecrato, il dare in iscorcio il
risultato delle altrui meditazioni sopra ogni ramo dello scibile
umano ; e certo ove taluno badasse al poco che per noi fu
scritto circa le discipline della filosofia speculativa, noi credia-
mo che non larghezza , ma di quelle difetto sarebbe anzi per
avvisare nel Subalpino.
— « L' identità tra le dottrine insinuate nel primo articolo
di quel Giornale e certe altre dottrine che ben si sa , feriva an-
che lo sguardo men curante di perscrutare le capillari differenze
di queste dotte inezie j intorno alle quali non sarebbe prezzo
dell'opera lo spender parole se sotto a quelle vanità nulla si
avvolgesse di peggio. Intanto però se parlando delle une ab-
biam potuto credere che fosse a un bel dipresso come parlare
delle altre , non era nostra la colpa. »
Noi confesseremo che una forte maraviglia ci scosse nel leg-
gere queste parole , perchè avendo dichiarato uell' introduzione
premessa al primo fascicolo , che gli scritti Jilosofici ai quali
'verrà dato luogo nel nostro giornale , siano essi consacrati a
recar qualche luce nelle agitate controversie j sia che versino
neir esame delle opere altrui , saranno dettati da uno spirito di
puro eclettismo j ne parve strano che per l'assonanza di poche
sentenze in quell'articolo contenute con alcune che ad un iu-
tiero corpo di dottrine appartengono , ovvero per un qualche
parallelismo di metodo , altri inferisse del costituirci noi cam-
pioni di quelle dottrine o seguaci di una setta. Chi non sa
che fra due sistemi d' opposta tendenza può essere comune il
punto della mossa, e che .un cgual metodo può riuscire ad
opposti risulta men li ?
iitj
No. qu.udi sliinjanio di protestare contro quell'apparenza
di vassal];,gyio che vorrebbesi dare al nostro Giornale, fern.i
come siamo nel non declinar mai ogni carco che potranne ve-
nir dato per le dottrine che esplicitamente professeremo , ed
alieni dal rifuggire quandunque sia sotto il manto altrui per
quanto egli possa essere venerato al volgo e largo di sicuro asilo.
Dopo il sinqui detto ne pare superQuo 1' estenderci suU' o-
peretta citata dagli Annali , della quale, come di molte altre,
se tacquimo fin ora , possono i lettori argomentare che potenti
ragioni ne consigliano il silenzio. Né la gloria di Komagnosi
abbisogna che noi scendiamo in campo a farcene propugnatori
contro chi follemente s'attenta di offuscarla. L'Italia che sì a
lungo ne ammirava e l'alto ingegno eie sublimi virtù, onorasi
di quel gran nome, cui verrà tributato un culto di gratitudine
e rispetto, sinché una scintilla del saero amor di patria co-
verà nei cori Italiani.
Queste osservazioni credemmo dover fare allo scritto inserito
negli Annali sopra il Subalpino, e confidiamo d'averle emesse
scevre da quel fiele che soglion stillare in ogni controversia le
misere passioni letterate. E qui facciam punto , e taceremo
d'ora innanzi; perchè ove ad opposte mire sian velo le dotte
ciance, interminabile fora pur sempre il procace garrito; se non:
meglio risponderanno i versi che posimo ad epigrafe del pre-
sente articolo.
M. M.
Belle Arti — Luc»
A. — S.'ali/n di Angj:lo Bruneri
Pic/noìitese.
L'Italia possiede un ingegno d'una tempra e d'un raiallire
distinto fra i molti scrittori d'Italia ed anco oltramontani. Qu*'-
sto ingegno è Alessandro Manzoni. Egli allorché si;ouava vocr
per l'Italia che fosse morta la novità in poesia scriveva i suoi
Inni ; questi eran pochi ma tali, che chi scuU' cosa sia la vera
5i
ispirazione deve coafessare , dir egli molte e belle eosc in po-
che strofe, mentre vediamo molti Poeti anche in fama dir
poco con molte parole. Una innovazione stava per farsi nella
letteratura drammatica a distruzione d' antichi pregiudizi , e a
fondazione di altra scuola : Manzoni scriveva l'Adelchi e il Car-
magnola : l'Italia non solamente difettava, ma mancava del tutto
di Romanzi ; e i Promessi Sposi mettevano a Walter Scott il de-
siderio d'esserne stato l' autore. Da questo Romanzo, che sarà
sempre un capo lavoro dal lato dell'arte e della morale , il sig.
Angelo Brunei'i traeva argomento d'una squisita opera , che ora
adorna il suo studio. Il valentissimo artista volle presentarci la
Lucia di Manzoni, allorché trovavasi nel castello dell'Innomi-
nato. Essa è in attitudine di persona atterrita e supplicante ,
ma per cui comincia a splendere qualche raggio di conforto e
di speranza: nel momento cioè che avanzatosi nella sua camera
r Innominato la conforta a non temere , dicendole non volerle
fare alcun male. — La statua ha il ginocchio piegato a terra ,
le mani avanzate in atto di domandare pietà; il capo è leggia-
dro, svelto, e tutto spirante grazia e soave mestizia, e così è
tutto il corpo mirabilmente bello e regolare ; ma lo scultore
nello stesso tempo che volle darci nella sua Lucia una vaghis-
sima fanciulla, non si dimentica della condizione e della pa-
tria di essa. La fece bella e gentile, ma contadina e Lombarda;
di forme pienotte anzi che no , e informata di quella bellezza
maestosa propria , al dire di Manzoni medesimo , delle sue
compatrlotte.
Qualche persona soverchio schizzinosa potrà forse imputare
all' artista di non aver troppo scrupolosamente seguita V istoria
e il carattere della Lucia , allorché fece nuda alcuna parte del
corpo di essa sì religiosa e modesta : ma chi non sa che la
valentia dell'artista si spiega massimamente nel nudo, e non
vorrà perdonargli quella , direi quasi , necessaria mancanza di
storica verità? Quando del rimanente tóon mancano nelle opere
dei sommi acconci esempi , onde giustificarlo.
Le dimensioni della statua sono di una statura e forme na-
turali 5 nel che saggiamente operò l'artista, perchè trattandosi aÈ
di persona direi quasi a tutti nota ( quale si è la Lucia di li
55
Manzoni ), e a cui già da molti anni ogni gentil persona ha
posto amore col darcela di statura del tutto naturale , fé' sì che
a noi pare averla avanti gli occhi viva e spirante , e nel ve-
derla mesta e tremante per la sua libertà non tanto , quanto
per la sua purezza , e nell' atto di mover preghiera al prepo-
tente, che vediam poscia pentito, sembra quasi che dobbìani
anche noi unirsi alla innocente fanciulla , e dolerci e prcgHre
con lei.
Se la passione che agita il cuore dell' uomo, se il succe-
dersi del timore e della speranza , se l' incanto della bellezza
e della virtù può esprimersi dallo scalpello , questo ha fatto
Angelo Bruneri ; e dalla sua Lucia traspira non solo un egregio
artista , ma ben anche un giovane di generoso e delicato sen-
tire : un giovane pieno il petto d'entusiasmo e di poesia, e a
cui mentre lavorava , sorridevano veramente le muse ispiratrici.
Se un ammiratore dell' arte passando a caso sulla passeggiata
che tende da Porta Nuova a Porta di Po , vedrà scritto Studio
di Scultura , chiederà se ivi abita Angelo Bruneri , e gli verrà
risposto di si: entri allora dall'artista, lo troverà modesto e
gentile, pieno d'amore per l'arte sua: amerà ed ammirerà
l'opera e l'autore: io son certo che partirà soddisfattissimo
dallo studio. *=3 Così fossero coronate da degno premio le fa-
tiche del Bruneri , e il suo modello di creta si tramutasse in
una statua di fino marmo Carrarese per opera di qualche ge-
neroso , a cui non fosse uscito di mente che l'Italia è la culla
e l'emporio delle arti , e che non si possono impiegar meglio
le ricchezze che nelle cose veramente belle e sublimi.
Avv. F. Concone.
Due nuovi Quadri del Professore Biscarra.
Il Piemonte, che posto all'estremo di questa bella penisola
ne fu da tempi antichissimi 1' antemurale e il guardiano , ed
^tjLChe ( e cosi non fosse mai slato ! ) la prima e più esposta
50
vitliiua ilelle slrai)icre incursioni, fu l'ultimo a sciMidere ncll'
arringo delle scienze e dtUc arti , ma entratovi una volta pu-
gnò con nobilissime armi , e se badiamo ai tempi presenti non
pochi degli uomini insigni cbe mantengono viva la gloria ita-
liana , è germe del Piemonte , e in esso ba ricevuta colla na-
scita r educazione. Pure quanto alle arti del disegno pare cbe
anche oggigiorno il Piemonte non abbia ancora toccato quell'
apice di perfezione, che si sarebbe potuto desiderare da una
nazione così ingegnosa e cosi atta a piegarsi ad ogni genere di
nobile disciplina. — Tuttavia esso già vanta ai di nostri molti
egregi artisti , e se le cose proseguono a camminare sulla mede-
sima via, dobbiamo nutrire fondate speranze sull'avanzamento
e sulla feconda prosperità delle arti Piemontesi. — 11 signor
Giambattista Biscarra , Primario Professore di Pittura in questa
Pi. Accademia, si è del bel numero uno di quei valenti e bene-
meriti , onde abbiamo arra e pegno di sempre più felici de-
stini per le sorgenti arti di questo suolo a nessun altro se-
condo. — Gliiamato esso nel Piemonte sua patria all'alto grido
della sua fama , non volle già esso addormirsi sugli allori colti
in Roma e in altre città d' Italia , ma mentre attendeva con
indefessa cura a informare di retti principi i propri allievi , e
a spronargli con nobile sollecitudine in sul cammino dell'onore
e della gloria , dava mano ad insigni e grandiosi lavori , i quali
fruttasser per esso riputazione altissima , e per gli altri gene-
rosi sensi di una lodevole emulazione. — Ultimi fra le opere
condotte a fine dal Professore Biscarra vengono ora due Qua-
dri-, uno di argomento antico e tolto dalla Greca Istoria: l'altro
ricavato dalla storia dei bassi tempi , e che versa sopra un
tratto della vita di uno dei nostri Principi.
Kappresenta il primo la Tebana Timoclea condotta innanzi
al conquistatore Alessandro onde subirne il giudizio. Narrano
gli storici che ne! sacco di Tebe sofferto da essa per ordine del
figliuolo di Filippo , un Trace brutale dopo aver violata la no-
bile Timoclea nella persona e nella casa , ingordo di preda ,
domandasse se mai ella avesse nascosto oro ed argento ; e che
la donna dicendogli di sì , e d'averne sepolto in un suo pozzo,
colà s' avviasse il Trace , e venisse dalla Tebana precipitato
57
dentro e morto , invece di trovarvi le mal augurate ricchezze.
— Ora condotta Timoclea nel cospetto di Alessandro, gli disse:
io sono sorella di Teogene , che combattendo contro Filippo
per la libertà della Grecia fu ucciso alla battaglia di Cheronea,
nella quale ei comandava. — Ammiiando quindi Alessandro il
magnanimo ardimento della donna e perdonandole la vendetta
da lei giustamente compiuta sopra il violatore del proprio onore,
la i-endcsse alla sua famiglia ed alla libertà.
Questo quadro va adorno di un gruppo di figure di statura
naturale , e vi spiccano precipuamente le due figure di Ales-
sandro e di Timoclea : quello è seduto sul trono e composto
in atto di amabile maestà, e par che ascolti con interesse quanto
dalla donna gli viene narrato: questa è in piedi accompagnata
dai guerrieri del conquistatore , e a quanto pare francheggiata
e difesa nei suoi discorsi da un uomo posto in sul lembo del
quadro , e il quale nei suoi modi oltremodo espressivi e ca-
ratteristici sembra tutto inteso a dir sua ragione con un guer-
riero che tenta contrastargli il potersi avanzare e liberamente
parlare. - — L' attitudine della Tebana è quale si conveniva a
donna sì forte : alla e svolta della persona , atteggiato il capo
a franchezza e coraggio : cinto il petto di una specie di usbergo,
quale dicesi che a quei tempi da qualcuna fi'a le donne si pra-
ticasse.
Il secondo quadro ci mostra Umberto II. di Savoja allorché
venne creato Cavaliere avanti la sua partenza per la terra santa:
che questo Principe facesse veramente parte della famosa spe-
dizione che ad istigazione dell' Eremita Piero , e sotto gli or-
dini di Goffredo Buglione fu decretata in Clermont , è questa
r opinione della maggior parte degli storici , benché altri come
Papirio Massonio lo neghino costantemente. La ragione addotta
da questi ultimi non è di poco peso. Gli annali di quei tempi
facendo menzione degli Eroi che pugnarono per il sepolcro di
Cristo non fanno menzione di Umberto: quando il suo grado
e la sua nascita non dovevano certamente dimenticarsi da que-
gli annalisti , i quali di persone di molto minor conto tenner
spesso parola , e ne narraron le gesta. — Però Guichenon e
seco lui la maggior pai-te ( come dissi ) degli storici stanno pel
58
sì , e s' appoggjauo essi ad autentici documenti , dai quali con-
sta che Umberto avanti di partire fece molte donazioni prin-
cipalmente ai monasteri!, e di altre cose dispose, solite a pra-
ticarsi da chi a lungo e periglioso viaggio si avventura. — Chec-
ché di ciò ne sia, ne basti il dire che il Blscarra seguendo
l'opinione conforme all'intento suo ha fatto un bello e gran-
dioso quadro del suo Umberto IL — Le figure onde questo è
composto sono più piccole che quelle del quadro sovra accen-
nato , ma questo è ugualmente animato e mostra la maestria
e la rara intelligenza dell' artista. — Gli argomenti tolti dai
mezzi tempi sono oggidì del gusto , come si suol^dire , domi-
nante , e il Biscarra , saggiamente operando , pensò di riuscir
più accetto agli amanti dell' arte se alla grandezza del soggetto
e alla perfezione del pennello suo nell' impadronirsene univa
pur anche la docilità a piegarsi a quel genere cui pare che
il secolo maggiormente propenda. — Cosi l' Italia che fu per
due volte la culla dell'arti *i, non dà pur anco perduto il suo
onore ai tempi nostri : né ultimi sono i Piemontesi a coronarlo
di eletti doni e di liete speranze : fra i quali il Biscarra me-
rita lode grandissima perché oltre di essere valentissimo artista ,
è anche uomo di alto e generoso sentire.
*i Si è opinione di molti egregi storici e antiquarj fra i quali il Micali che
1« arti fossero portato dagli Etruschi nella Grecia.
Avv. F. Concone,
JNecrologia
Un nostro concittadino ^ il Colonnello Luigi Signoretti » uf-
fiziale della Legion d'Onore, e Cav. di S. Luigi, moriva a
Metz il 31 agosto del corrente anno.
Ei fu uno di quelli , per cui fra gli stranieri rifulse 1' onore
del nome italiano ; onde stimiamo debito nostro il render un
tributo d' omaggio alla memoria delle sue virtù : il che meglio
non potr^oimo fare che pubblicando la breve allocuzione ,
39
colla quale uu prede commilitone ed amico suo , il generale
d'Artiglieria Peìletier , esprimeva il suo dolore nel toglier con-
gedo dall' esanime spoglia , che un numeroso corteo di militari
e di cittadini d' ogni condizione e d' ogni grado accompagnava
air ultimo asilo.
» Ancora un prode che noi chiudiamo in tomba ! Nato in una
terra che diede alla Francia tanti e tali soldati, che con or-
goglio essa collocava a fianco de' suoi , Signoretti cominciò a
sedici anni la sua carriera militare , e dalla 2.* campagna d'Ita-
lia sino all'ultimo combattimento del 181 5, egli non lasciò
mai il grande esercito.
)) Luogotenente a Marenco e ad Austerlitz , capitano a Jena ,
assistette ad Eilau e Wagram , e fece la campagna di Russia
in qualità di capo di battaglione 5 egli ricevette la croce d' uf-
fiziale della Legion d' Onore a Galosck , ove alla testa del suo
battaglione occupò un ridotto accanitamente disputato dai Russi
sotto gli occhi del generale Maison , che rese al suo valore un
solenne omaggio 5 ma ei si fu nel 18145 allorché Napoleone
non aveva attorno di sé che un pugno di prodi per difender la
Francia, che Signoretti trovandosi in più elevata condizione
diede della sua fermezza e de' suoi talenti le più belle prove.
Imperocché egli aveva il comando dell' undecimo reggimento
d' infanteria leggiera , più numeroso di quello che molte di-
visioni in allora non fossero.
)) L'i I febbraio i8i4 ei fu incaricato della difesa di Nugent, e
sostenne durante ventiquattr' ore lo sforzo dell'esercito nemico 5
due volte ei ritolse la posizione principale , dando ai suoi soldati
r esempio del sangue freddo , e del più intrepido ardimento.
» Il 24 febbrajo 1814 attaccò sulla fronte di Montereau, alla
testa di dueceat' uomini , un giogo che due mila soldati difen-
devano , e con focosa carica s' impadronì della posizione : là
ei trovavasi sotto gli ordini del bravo generale Duhesme , il
quale dichiarò essersi egli acquistato tutta la sua estimazione
ed il suo affetto.
» Que' fatti d'armi succedevano a vista dell'Imperatore; Si-
40
gnoretti , uffiziale della Legion d'Onore, propoeto a colonnello
uell'ctà d'anni trentacinque, aveva davanti a sé il più bello
avvenire. Venne la ristorazione , e rimosse dalle file dell'esercito
l'esperto capitano , il prode soldato. Degna opera sarebbe stata
pei governo di luglio il distinguere e collocare T uomo mo-
desto che tenevasi all'oscuro in mezzo alle pretese ed ai raggiri
che assalivano il nuovo potere.
» Chiamalo dal voto de' suoi concittadini adottivi all'onore di
comandare una legione della Guardia Nazionale , ei fece prova
che nulla aveva perduto della sua capacità e dell' antico vigore,
ed in un tempo di politiche scissioni ebbe modo dì essere da
tutti altrettanto amato quanto eslimato : e chi avrebbe negato
amore a quell' uomo che portava nel cuore la bontà e la schiet-
tezza , che i tratti del suo volto rivelavano : quell' uomo che
sempre dimenticava se stesso per consacrarsi ai suoi amici , ed
a chiunque si volgesse a lui nei dolori dell' infortunio ! Egli
che per 1' estrema delicatezza dell' animo suo non volle mai
chieder nulla di quanto eragli a tanti titoli dovuto, non esi-
tava luai nel presentare al potere le più calde sollicitazioni
ogniqualvolta trattavasi di un vecchio soldato da soccorrere ^ di
una vecchia o -di un orfano.
y, Queir uomo così pieno di forza e di caldezza di cuore ne
fu tolto in pochi giorni da un morbo che trasse da quella forza
stessa la sua funesta attività. Ei vide venir la morte colla fer-
taezza dell' uomo giusto e senza rimproveri : fra i più crudeli
patimenti ei fece con calma le ultime sue disposizioni, solo
tranquillo in mezzo agli amici suoi che il suo destino addolorava.
» Eppure quante cause di amar la vita, di cui gioiva con pie-
nezza, ed abbelliva colla benevoglienza che spandeva fra de-
noti amici , che 1' alto suo carattere e la generosa sua abnega-
zione ammiravano : gli orfani cui serviva di padre ( nobile ere-
dità raccolta da un uomo dabbene), cinque .fratelli fra loro
vincolati dal reciproco amore, rispettabile famiglia, esempio
d' ereditarie virtù , e di cui non ebbe il conforto di vedere un
solo dei membri presso al suo letto di morte.
«Addio, Signorelti, caro e venerato amico, addio, esempio
di virtù militari e private; la tua memoria vivrà eterna nei
nostri cuori. >»
41
JNoTiziE Diverse
Arti Economiche — Animali domestici. Novelle razze di mon-
toni. — Il sig. Graux, affittajuolo a Mauchamp (Aisue), os-
stirvò all'epoca del tosare la sua mandra nel 1828, un agnello
maschio , la cui tonditura gli parve offrire un carattere diverso.
La sua lana era lucente come la seta. Il sig. Graux lo separò
dagli altri, lo fece accoppiare con pecore scelte, e col tempo egli
ottenne una piccola greggia, die oggidì monta quasi a 200 capi
dello stesso carattere del padre. Si possono dagli altri distin-
guere cotesti montoni per il pelo, il quale al suo nascere, co-
prendo la testa e le gambe dell'animale, sventola continuamente,
e presenta una lana morbida qual seta, e lucida. Per ciò che
spetta alla forma, e al carcame degli animali, essi non son
punto differenti dai cosi detti Merini: la loro statura si è tra
la razza grande, ed i montoni di Naz. Egli è grandemente a
desiderarsi che questa razza di montoni, superiore a quella
della Gran-Bretagna, si diffonda in Francia, e ci liberi cosi dal
tributo che paghiamo allo straniero per aver lane a pettine di
cui siam privi, e che la stessa Inghilterra è costretta di far
venire iu parte dalla Nuova-Olanda. Il sig. Seydoux, che dirige
lo stabilimento di filatoio e di tessitura di lane pettinate del
sig. Paturle Lupin, ci dà gli indizi seguenti: codeste lane hanno
UQ tipo affatto particolare , che le classifica oltre ogni similitu-
dine 5 esse sono specialmente adatte per il pettine, poiché hanno
u\\ nervo straordinario, e perchè ancora si arricciano molto
meglio che non le lane di Parigi. Queste pregevoli qualità al-
l'incontro le rendono meno proprie a farne pannilani, e feltri.
Desse sono risplendenti come le lane inglesi , e hanno la mor-
bidezza di quelle di Sassonia. Producono una certa tal quale
bianchezza d' argento luccicante , a cui nessuna altra qualità di
lane della Francia può arrivare. La filatura n' è mollo più age-
vole, per la ragione che le fila stanno distese per tutta la loro
lunghezza. Il filo si riduce molto più liscio, e le corde fatte
42
con queste lane hanno una forzì^ straordinaria che permette-
rebbe di far tessuti alla meccanica, od anco di farne assai più
col mezzo della tessitura a mano , se codesta qualità di lana
potrà aumentarsi. ( Soc. cent, d' agr. i836).
Fisiologia — ^'^§g^ deW organizzazione degli esseri. — Nella
sua teoria deìVy4ntagonismo organico j fenomeno a cui attribuisce
tutti i movimenti vitali di composizione e di scomposizione, il
sig. Virey pone per principio che il più semplice tessuto cel-
lulare primordiale abbisogna, per funzionare, di un qualunque
eccitamento che gli imprima una specie di contrattività e di
espansione alternate, sufficienti ad assorbire le materie alimen-
tarie, e a rigettarne il superfluo. L' embrione animale o vegetale
vien risguardato dall' autore siccome prodotto dalla riunione di
due mollecole di proprietà opposte ; nomata 1' una parenchima-
tosa d'origine materna, l'altra neri'osa, proveniente dal maschio.
Nel feto animale i due elementi antagonisti sono la carena ner-
vosa del cordone rachidico, e L'apparato vascolare, ossia il cuore
colla reticella arteriale. Egli crede che questi due elementi pos-
sono venir paragonati ai poli nella pila Voltaica. Un altro anta-
gonismo, specialmente negli animali vertebrali, si produrrebbe,
giusta il suo avviso, tra il polo positivo ossia superiore, formato
dell'asse cerebro-spinale cogli apparecchi dei sensi, della vita
esteriore, o di relazione, e^l polo negativo o inferiore, compo-
sto di tutto l'apparato l'iscerale ossia di nutrizione, sotto la de-
pendenza del sistema nervoso ganglionare trisplancnico , e com-
presivi gli òrgani riproduttori. Di là seguirebbe antagonismo tra
l'encefalo e lo stomaco ossia le parti genitali, tra le parti esterne
e le interne, tra gli organi superiori e quelli inferiori. Egli
afferma esistervi simile disposizione nei vegetali: i Coljlédonés
sovrattutto sono formati di due parti più o meno equilibrate, e
il collo della radice si è il nodo intermediario tra il gambo
ascendente e la barbicella discendente. Si ritrovano due poli
opposti perfino nelle due superficie delle foglie, nelle quali la
superficie assorbente è rivolta verso la terra, e quella esalante
rivolgesi al sole. Le gemme fiorenti elevansi verso la regiono
superiore, e i germogli della radice spingonsi verso le parli in-
43
feriori. Infine il polo positivo del vegetale contiene specialmente
le sue parti maschie, ossia gli stami, ed il polo negativo le
parti femmine. ( Philos. de 1' hist. nat. — in-8.° i835).
Leggi della riproduzione degli esseri. — Lo stesso autore con-
sidera, negli esseri organizzati, l'organo maschio qual depositario
dell'elemento eccitatore nervoso, che egli paragona ancora al
polo positivo di una pila 5 e pone per base che la fecondazione
non risulta punto, come venne finora creduto, dal mescolamento
dei semi, ma si bene dalla reciproca saturazione di opposti
elementi. Egli si sforza di provare che gli organi sessuali degli
animali e dei vegetali hanno la stessa origine, le stesse dispo-
sizioni , e per fino una composizione chimica analoga 5 e dimo-
stra che la riproduzione, negli esseri i più semplici, altro non
è che la nutrizione continuata 5 che i rampolli di una piapta,
il frammento d'un polipo, il braccio di una stella di mare,
sono unicamente un uovo sviluppato , o un seme sbocciato ;
perchè il loro sistema nervoso sendo sparso in tutta la massa,
ogni mollecola raffigura come un centro glandulare, suscettivo
di forza vitale, e che rappresenta tutto l'individuo: ma a mi-
sura che il sistema nervoso acquista maggior unità, e si avvicina
sempre più al centro, come addiviene nei più perfetti animali,
allora diminuisce la moltiplicità dei germogli; e diffatti vedesi
minor fecondità negli esseri più innoltrati nella serie ascenden-
tale della composizione organica. Il sig. Virey esamina quindi
la struttura dell'uovo, del grano, e delle loro annesse particelle;
egli dimostra che nelle uova de' vivipari e degli ovipari, co-
desta struttura diversifica secondo i mezzi d' alimentarsi di cui
sono naturalmente provveduti. Egli osserva insomma i feti in
tutte le loro trasformazioni, e si arresta alla loro nascita ( Virey,
ibid. ).
Danimarca. — Condizioni per ottenere il diritto di cittadinanza. —
Non basta in questo stato di esser maggiorenne per esser citta-
dino: nessuno può godere di questo diritto, se non fu prima
munito della Cresima ; e gì' individui di qualsivoglia religione ,
purché ne sappiano il catechismo, sono ammessi alla Cresima,
e il catechismo politico delle leggi fondamentali del paese, e
44
oltracciò è d'uopo eh' ei sappia leggere, scrivere, e conteg-
giare: iu una parola tutto che viene insegnato nelle pubbli-
che scuole elementari. Così in Danimarca la Confermazione è
in pari tempo un atto religioso e politico. Se, all'epoca sta-
bilita per riceverla, dai sedici ai diciott' anni , il giovane non
si sente abbastanza istrutto, gli viene accoi'dato un ritardo; se
è troppo ignorante, le autorità fanno indagare se ciò pro-
viene da incapacità del garzone, o da incuria dei parenti col
non inviarlo a scuola. Se poi la sua ignoranza procede da in-
capacità j la cosa vien sottomessa al giudizio di un tribunale
superiore, il quale decide se debbasi a quel tale accordare o rifiu-
tare la Confermazione,- ed è sempre rifiutata allorché l'individuo
è conosciuto per affatto idiota , e da quel punto egli soggiace a per-
petua tutela. Se la sua ignoranza proviene piuttosto dalla negli-
gerfea dei propri parenti, questi sono puniti con una ammenda,
e si concede al giovane un periodo di tempo per abilitarsi.
Mineralogia : — Cera fossile — Il Dottor Meyer inviò , non
ha guari, all'Accademia delle Scienze di Parigi alcune mostre
del minerale conosciuto sotto il nome di Ozocerite, ovvero cera
fossile, rinvenuto in Moldavia, alle falde dei monti Carpazi,
presso il villaggio di Stanitz, nel distretto di Pakan ; ove si
trova in masse considerevoli coperte da uno strato di argilla
lavagna mista a bitume, che appartiene alla formazione secon-
daria. Parecchi pezzi erano del peso dalle 80 alle 100 libbre ^
e contenevano ragguardevole quantità d'ai-gento nativo. Poco
lungi dal luogo di dove si estrae questa cera fossile, si rinven-
nero alcune croste assai larghe di succino brunastro; ciò che
diede a credere al sig. Meyer che codesto fossile possa forse
essere ambra gialla , la quale sarebbe stata turbata nella sua
formazione. La tessitura di questo fossile varia d'assai; alcune
volte la sua spezzatura è fibrosa , altre fiate è sotto forma di
foglie, ed anche di aghi; allora egli è purissimo e trasparente
ai bordi : egli fonde a gradi \o° , e spande un odore bitumi-
noso. Non si è ancora potuto giugnere a purificare questo fossile.
Lavato a replicate acque, egli presenta una tinta giallo-carica,
e in questo stato si adopera per farne candele.
45
ANNUJNZJ DI BIBLIOGRAFI 4
LIBRI ITALIANI
LIBRI FRANCESI
Bibliografia critica delle antiche
reciproche corrispondenze poli-
tiche, ecclesiastiche, scientifiche,
letterarie, artistiche dell' Italia
colla Russia , colla Polonia ed
altre parti settentrionali, il tutto
raccolto ed illustrato con brevi
cenni biografici degli autori me-
no conosciuti, da Sebastiano
Ciampi, corrispondente attuale
di scienze, lettere ecc. della
Commissione dell' Istruzione
pubblica del regno di Polonia.
»i=a Firenze, per Leopoldo ^l~
leprini e Gioanni Mazzoni, —
Distrib. ni in-S." a 2 colonne ,
di pag. ■148 [ke-my) . . 2. 50
Della lettura nel doppio aspetto
dell' utilità e del piacere. Per
l'apertura della pubblica biblio-
teca maceratese , discorso reci-
tato dal bibliotecario Francesco
Tonini. Maria Borghetti ai 12
del -l 836. = Macerata , pei tipi
di Alessandro Mancini. — In-S."
di pag. 32.
Costumi de' secoli xiii , xiv e xv,
ricavati dai piiì autentici mo-
numenti di pittura e scultura,
con un testo storico e descrittivo
di Camillo Bonnard. Prima tra-
duzione ital. di C. ZardeUi.=»
Milano, dalla tipogr. e calcogr.
di Ranieri Fan/ani. — Fase, xxvii
in-4.° di pag. ]2. Con A tavole
in nero , . 3. —
Colle ta%'ole colorate ,
senz'oro 4. —
Colle tavole lumeggiate
d'oro 6, —
Mémoires de JohnHampden; histoiie
de la politique de son teins et
de celle de son parti, par lord
iVf/gent (trad. pari/. TI. J.), pré-
cédés d'une introduction histo-
rique par M. De-Sal\>andy. •—
2. voi. in-8. Prixi i5 fr. Paris,
cbez Arthus Bertrand.
Critique de la raison pure; par
Eni. Kant, traduit de rallemaml
sur la 7.*édition par C. J. Tissot.
— ^ voi. in-8.'^ Prix: 7 fr. A
Paris , chez Ladrange.
Eléments de droit public et ad-
luinistratif , ou Exposition mé-
thodique des principes de droit
public et positif, avec l'indica-
tion des lois à l'appui, suivis
d'un appendice contenaut le texte
des priucipales lois de droit pu-
blic; par 31. Foucart avocat,
prolesseur à la faculté de l'oi-
tiers. Voi. iu-12, prix 12 fr. A
Paris, chez Videcocq.
Maìnuel du banquier, contenant les
tables ou coniptes faits pour Ics
changes des priucipales places
de l'Europe etc, par P. Ichon.
In-8.°, prix 5 fr. A Bordeaux,
chez l'auteur.
Le Maf.heur du riche , et le Bon-
heur du pauvre , roinau tic
mojurs , par M. Casimir Bon-
jour. In-B.", prix 7 fr. Paris,
Duniont.
Le Chemin le plus court , par Al-
phonse Karr. Voi. 2 in-8.° , prix
i5 fr. Paris, chez Gosselin.
46
LIBRI ITALIANI
LIBRI FBAI^CESI
Le opere del pittore e plasticatore
Gaudenzio Ferrari , disegnate
ed incise da Silvestro Pianazzi ,
dirette e descritte da Gaudenzio
Bordiga. = M.ì\nno, coi tipi di
Paolo Andrea Molina , iS35. —
Fase, m in-4 , di pag. 8, e 4
tavole a contorno .... 5. —
Nuovi Elementi di Fisiologia del
barone Richerand profess. alla
facoltà medica di Parigi ecc.
Undecima ediz. riveduta, cor-
retta ed aumentata dall'autore
e da Bérard seniore, profess.
di fisiologia alla facoltà medica
di Parigi ecc. Tradotta e cor-
redata di annotazioni da Paolo
dclV Acqua, dott. ecc. e mem-
bro della facoltà medico-chirur-
gico-farmaceutica presso l'uni-
versità di Pavia. - Pavia, libre-
ria della Minerva di Luigi Lan-
doni , i835. - Fase. V. in-S."
di pag. 128 11. I'. 56
Paradisea Classica , ecc. Voi. X.
Opere scelte di Nicolò Mac-
cliiavelli , con note filologiche
di Bernardo Bellini, professore
di storia universale e di filolo-
gia latina nel liceo di Cremona.
Edizione stereotipica. - Cremona
dalla stereotipia Bellini, i835.
Yol. III. in- 16 di p. 240. 11. i.3o
Raccolta delle Poesie giocose del
dott. Antonio Guadagnali di
Arezzo , con aggiunte e corre-
zioni fattevi dall'autore. - Italia
1 835. Due volumi in-32 di pag.
itìo, 204. - Firenze, dalla ti-
pografia della Speranza 11, 2. 80
Simboli: nuove melodie italiane di
Samuele Biava. - Milano, dalla
tipograiia di Vincenzo Ferrario,
i836. -Iu-i6 di pag. 20.
L'Aborhage , roman maritime ,
par M, Jules Lecomtc. Voi. 2
in-8.'', prix i5 fr. Paris, chez
Souverain.
Invasions des Sarrasins en France
et de France en Savoie , en Pié-
mont et dans la Suisse, pen-
dant les 8.% 9.* et IO.'' siècles,
d'après les auteurs chrétiens et
mahométans , par M. Reinaud
de rinstitut. In-8.'* de 22 feuil.
prix 7 fr. 5o cent. Paris, chez
Dondey-Dupré.
Mémoires sur l'expédition des ré-
fugiés polonais en Suisse et en
Savoie, dans les année^ i833,
i834, par N. A. Kubalski etc. ,
précédés d'un avant-propos con-
tenant un coup d'oeil general
sur la situation actuelle de l'Eu-
rope , par M. A. Julien de Pa-
ris etc. — Paris i836 , chez
Merklin llb. édit., rue des Beaux-
Arts , N. 1 1 . Un Tol. in-8.° ,
pages xx-398.
HisToiRE des sociétés de tempé-
rance des États-Unis d'Ainéri-
que, avec quelques détails sur
celles de l'Angleterre , de la
Suède et autres contrées , par
R. Baird. In-S." , prix 2 fr. 5o
e. Paris , chez Hachette.
Examen de la philosophie de Ba-
con, où l'on traite diiTérentes
questions de philosophie ration-
nelle , ouvrage posthume du
comte Joseph de Maistre. Voi.
2 in-8.", prix 12 fr. Paris, chez
Poussielque Rusand.
Bagnes, prisons et criminels, par
M. Appert. Paris i836, chez
Guibert , quai Voltaire , N. 2 1
bis. Voi. 3 , in-8.'"
47
LIBRI INGLESI
LIBHI TEDESCHI
The most striking events. ( Acci-
denti i più segnalati dì una
campagna di dodici mesi con
Znmalacarregui in Ispagna), di
C. F. Henningen. — 2vol. in-S."
Parigi.
Lectures on the nervous system,
(Lezioni sovra il sistema nervoso).
In-8.°, Parigi.
The mascarenha. ( I Mascareni , leg-
genda de'portoghesi nell'India).
■ — 3 voi. in-S.", Parigi.
Narrative of a journey. (Relazione
di un viaggio nel paese di Zoolu
nel mezzodì dell' Africa ) , del
capitano Alien F. Gardiner. —
In-S.", Londra.
The chinese a general. (Descrizione
generale della China e de' suol
abitanti), di /. F. Davis. — 2
voi. in-8.°, Londra.
Robertson's new-magazine. (Gior-
nale letterario inglese, che si
piiùbiica il primo giorno di ca-
dun mese). Gr. in-8.° Prezzo
d'associazione all'estero annue
lire H. — Parigi, all' ufficio,
contrada del Bouloy, nam. 1.
Narrative of a jodrney. (Relazione
di un viaggio da Lima al Para),
del luogotenente IF. Smyth, e
M. F. Lowe. — In-8.», Parigi.
The HisTORY oF Herodotus, etc.
(Traduzione d'Erodoto in lingua
inglese, con prolegomeni e note),
di Aless. Negris. — Edimburgo,
1835, 2 voi. in-8.°
The Loseley's manuscripts etc. ( I
manoscritti di Loseley), da /.
Kempe. — Londra, ■1835, in-8.°
History of Rome. (Storia di Roma),
tradotta dal tedesco, del signor
Schlosser , dal sig. Finden. —
Londra, 1835, 2 voi. in-4 2, co«
rami.
Uebeb nationautaet der sprachew.
(Della nazionalità delle lingue),
di Rautenbach. Darmstadt, 1835,
in-8.". — Saggio sopra l'origine
delle lingue antiche e moderne
dell'Asia e dell'Europa , sovra
le loro affinità ecc.
ChRONOLOGIE der GRIECHISCHEN UNO
BOEMiscHEN KUivsTLER. (Cronologia
degli artisti greci e romani sino
al fine del quinto secolo dell'era
volgare), del sig. De-Eartsch.
— Vienna, i835, In-foglio.
BuCHERKtfNDE DER KIRCHENGESCHICHTE.
(Bibliografia della storia eccle-
siastica), di H. Beckaus-Mar-
bourg. — Elwert, 1836, 3 voi.
in-8."
Die PHYsroLOGiE . . . (La fisiologia
considerata come scienza speri-
mentale ) , di jP. Burdach. — .
Leipsic, 1835, 5 voi. in-8."
Philologisch-theologische Ausle-
gung der Bergpredigt etc. Ham-
bourg plesso Perthes , i835
(XXII et 532 p. grand in-8. )
Das Pandektenrecht aus dea Reclit-
sbuchern Justinian's , iiach den
Eifordernissen einer zwecknias-
sigen Gesetzgebimg dargestellt
etc. Vie\ àotl. P. L.Kritz ^ voi. i.
A Meissen presso Klinkicht ,
i835.
Grundsatze des orthodoxen Juden-
thuius ; del sig. A. Th. Hart-
mann; Rostock, presso OEberg,
i835.
Die Oeffentlichkeit des Strafver-
falirens. Di L. H. De Jagemann
Heidelberg, presso Mohr , i835.
Lehrbuch der inaterielleii Politik ;
di Carlo Rotteck : a Stuttgart ,
presso Hallberger, i834.
48
LIBRI INGLESI
LIBRI TEDESCHI
ElEMENTS OF BEDSIDB MEDECINK Ctc.
(Elementi di medicina clinica
e di patologia generale)^ per
/. S. Tkorbiirn.— \n-S.° Prezzo
1 4 scellini. — Parigi.
Pratical observations etc. (Osser-
vazioni pratiche sovra le malat-
tie del cnore ) , per John Mar-
sìial, — ln-8.°, Parigi.
Dl5SERTATIONS ON ETHICAL PHIIOSO-
PHY. (Dissertazione snlla filosofia
inorale), di /. Mackinlosh, con
lina prefazione del rever.° fV.
TFhewel. — In-8.°, Parigi.
Tue annual biography and obituary.
(Biografia e necrologia annuale).
Voi. XX per \ 83). — 6 voi. in-8.°
Parigi.
Narrative of voyage round the
World. (Relazione di un viaggio
attorno al mondo) di T. B. Wil-
son. — In-S.", Parigi.
A HisTORY OF BRiTiSH FisiiEs. (Storia
dei pesci d'Inghilterra), di IF.
Yarrell. — In-S." con «stampe
in legno. Londra, '1835. L'opera
sarà composta di \6 fascicoli.
A TREATISEON THEPREVENTION. (Trat-
tato sui mezzi di prevenire e di
guarire le malattie pulmonari),
di Robert Little. — In-S.", Parigi.
On THE MEANS OF COMPARINO CtC.
(Sovra i mezzi di confrontare i
rispettivi vantaggi delle varie
linee di strade ferrate, e dell'
impiego delle macchine loco-
motrici), di /. M']Vell.~ln-S.°
Parigi.
HaNDBUCH DEB ENTWICKELUNOS GES-
CHiCHTE. (Manuale della storia
dello svilnppamenlo dell''uomo,
con un sunto comparativo sullo
sviluppo dei mammiferi e degli
uccelli), del dott. G. F'alentin.
— In-8.°, -1835, Berlino.
Jahrbucher BER ARTZLicHEN. (Annali
della riunione dei medici a Mo-
naco).— In-S.", Monaco, iSSS.
Primo anno.
Die ehdfunde. (Geografia univer-
sale ) , di C. Ritter. Tom. in e iv,
Asia. — - In-8.", Berlino, 1834.
Geschichte der skythen. (Storia dei
Sciti e degli Alemanni sino ai
dì nostri), di ffalting. — In-B."
con islampe e carte. Berlino ,
'1835, tom. I.
Amtlicher bericht. (Ragguaglio of-
ficiale sovra la riunione dei na-
turalisti e medici tedeschi a
Stoccarda, in settem. ■1834), dei
sig. C. Df-Kielmeyer e G. Fae-
jer. — 111-4.°, Stuttgard, 1835.
Chirurgische hupfer tafeln. ( Rac-
colta di stampe di chirurgia per
il maggior incremento della chi-
rurgia pratica), del dott. Frorip.
— In-4.°, Veiinar, 1836. Queste
stampe giungono già a 338.
Caditna è accompagnata di un
testo spiegatii/o.
Geschichtliche tjnd statistische.
( Notizie statistiche e storiche
delle università negli stati prus-
■ siani), di fF. Dieterici. — ln-8.°
! Berlino, •IBSG.
STAMPERIA GHIRINGHELLO E COMP.
con permissione.
49
Scienze Sociali — Legislazione Cr*«iinale
Della riforma delle prigioni.
Mentre la ragione e la filosofia dirigendo e dilatando il sen-
timento di benevolenza che distingue V umana famiglia , rie-
scirono a renderlo fecondo di ottimi risultati non solamente
tra nazione e nazione , ma eziandio fra i diversi ordini della
società e fra gì' individui stessi con influire possentemente sulla
restaurazione dei codici penali: mentre Beccaria, Filangeri ,
Blacstone , Rossi , Berenger , il Duca di Broglio ed il Conte di
Sellon adoperarono a vicenda il genio , la dottrina e l'eloquenza
per accomodare a' costumi divenuti più miti, leggi più pie che
sempre in quella via li mantenessero : mentre la coscienza ,
r equità e la filantropia de' magistrati vanno ncll' applicazione
delle pene mitigando la soverchia asperità di leggi non ancor
derogate e fatte per altri tempi e per altri bisogni : mentre
tulli questi passi or più or meno veloci 1' opinione e la pra-
tica facevano verso 1' umanità e la civiltà, venne quasi univer-
salmente accolto quell'onesto discernimento che la maggior
parte dei delitti reputa piuttosto come effetti della cieca e su-
bita passione, dell'umana fragilità e della prepotenza delle cir-
costanze in cui r uomo è posto talvolta , che come parti quasi
nccessarii della/ natura corrotta , o conseguenze di una invete-
rata premcdilazione, di una satanica perversità. Nello stesso tempo
e per gli stessi impulsi prevalse pur anche la convinzione che
né lo spirito della vendetta, né quello d' incutere il patimento
ed il dolore presieder debbano all' applicazione delle pene ,
ma bensì l'emendazione del reo e l'allontanamento dai delitti.
Gomecìiè queste benefiche dottrine già s' impadronissero del
cuore da' popoli , de' magistrati , e de' legislatori , e già venisse
ogni giorno più gagliardameute combattuta la giustizia della
4
50
pena di morte , tuttavia per lunghi anni ancora le prigioni ri-
masero abbandonate all' arbitrio dei carcerieri , 1' unico scopo
fu di prevenire le evasioni , e tutta 1' ispezione si limitò alla
sicurezza materiale del carcere.
Vai'ie poterono essere le cagioni di questo ritardo nelle scienze
sociali : forse la maggior frequenza della pena di morte e dei
Bagni , sceverando la società dai malfattori , rendeva meno im-
portanti e meno osservate le quistioni lelative alla carcei'a-
zioncj forse una sorte che non si teme ed a cui non si va
esposto , ne faceva obbliare i mali, o non svegliava che una
languida pietà 5 forse ancora, come pensa V esimio professore
Kossi , perchè il fiore della società non vedendo nella giustizia
criminale che un mezzo per contenere quella classe di citta-
dini , che volentieri egli chiama bordaglia , conchiudeva taci-
tamente tra sé senza neppur darsene conto , che la giustizia
penale qualunque ne fossero i principi! e le forme era indiffe-
rente per lui.
Qualunque sia stata di queste cagioni , certo è però che per
molto tempo ancora 1' ordine e 1' obbedienza nelle carceri fu-
ron mantenuti col timore delle minacce , dei castighi corpo-
rali, delle segrete, e delle catene. In tutto il resto poi si lasciava
il carcerato padrone del suo tempo e delle sue azioni , purché
non eccedessero i limiti generalmente prescritti , nò più oltre
si prendeva pensiero né della sua sorte, né della sua moralità.
Frattanto allorché il carcere venne consideralo come una
transazione delle altre pene più atroci , e di quella principal-
mente di morte , il numero dei caxxerati veniva crescendo a
dismisura , ed ogni specie di prigione rigurgitava di sciagurati,
i;he stipativi senza distinzione veruna , ed abbandonati a loro
stessi ed al fermento di tante agglomerate corruzioni , giacevansi
nel lezzo di una immoralità turpe e contagiosa.
Ella si fu la filantropia e soprattutto la filantropia religiosa,
sempre sollecita a penetrare nei recessi più oscuri per esercirvi
la sua influenza , quella che prima si accorse di questi mali , e
vi portò l'imedio cercando di migliorare la sorte dei carcerati,
non solamente fintanto clic rimanessero prigioni , ma auche
allorquando riacquistassero la libertà.
51
L' autorità poi non tardò mollo anch' essa ad avvedersi che
la forza brutale era insufficiente a frenare 1' impeto di tanta
corruzione 5 e lo spaventevole aspetto di queste moltitudini per-
verse ognora crescenti , e clic per la maggior parte , spirato il
termine del carcere , si riversavano nella popolazione , ingenerò
un fremito che divenne ben tosto mi utile ammaestramento.
Egli fu per questa successione d' idee e di emergenze , che
lo stato delle prigioni destò 1' interesse di tutte le società, di-
venne l'oggetto di una scienza , e fu considerato come un ramo
essenziale dell' economia pubblica.
Tralasciando di fare altre celebri menzioni, quegli che più
di recente e con maggior ampiezza vi applicò l' animo si è il
sig. Lucas , ispettore generale delle prigioni in Francia , eru-
dito scrittore e sapiente giureconsulto. Intorno a questo inte-
ressante argomento egli già pubblicò due ottimi scritti , 1' uno
sopra il sistema penitenziario in Europa e negli Stati-Uniti , e
r altro che intitolò: Teoria deW imprigionamento.
Egli è di questa più recexite sua opera che compendierenio
le principali vedute, e vi aggiungeremo alcune osservazioni che
in noi si sono sviluppate dalla lettura di un articolo sulla stessa
materia inserto nella Bibliothèque Universelle de Genève.
Opportuno egli è quindi anzi tutto a sapersi, che se nello
sviluppo del sistema penitenziario il sig. Lucas trovava ancora
alcun che di vago e d'imperfetto, ciò proveniva dacché quel
solo dettato non poteva e non doveva abbracciare tutte le ca-
tegorie dei ditenuti. Era difatti , come egli stesso sci'ive, più
per simpatia che per convinzione che l'opinione andava inva-
ghita del sistema penitenziario , come di una parola magica
che conteneva se non ancora la definizione precisa, almeno l'ur-
gente bisogno della riforma.
A quanto perciò egli stesso aveva osservato mancare a quel
sistema , vi sopperì colla seconda sua opera sulla Teoria dell'
imprigionamento.
Ma questa teoria ei non la trattiene soltanto entro le mas-
sime più superficiali e ristrette , ma invece la fa risalire alle
più alle sue relazioni , e le dà 1 più grandi sviluppi. Difatli
hi grande scienza del perfezionameulu morale deli' umanità cbc
52
dalle obbligazioni sociali si estende sino alle virtù private , non
ha soltanto per fondamento la giustizia di repressione , ma prima
ancora ha quello della giustìzia di heneficenza e di -previdenza.
Né altrimenti può essere , poiché la giustizia di repressione si
occupa unicamente di reprimere e punire i delitti allorché già
sono commessi, quando invece le altre due giustizie si occupano
a prevenirli o a diminuirli.
Insegnando dunque questi principii che il sig. Lucas ha ri-
dotto a scienza , egli non li considera soltanto dal lato penale
ed afflittivo , ma li solleva a quelle parti più nobili che ten-
dono a purgar la società dalle pene e dai delitti. Per giudicare
se r autore sia pari a tanta missione , basterebbe sentire que-
ste eloquenti parole : « Il tempo è giunto , egli esclama , in
» cui la giustizia umana per la moralità del suo esercizio , per
)) la legittimità del suo impero deve lavarsi innanzi a Dio ed
» innanzi agli uomini dal terribile rimprovero di accrescere
» piuttosto che di scemare le contaminazioni del delitto. Le
)) leggi di tutti i tempi, di tutte le nazioni nelle loro pene
» temporarie o perpetue, indulgenti o sanguinarie, ispirate dal
» genio di un Bracone , o da quello di un Howard , hanno
» voluto distrurre , intimorire o correggere i colpevoli, ma cor-
» romperli giammai. »
Nello scopo di far meglio sentire 1' importanza della scienza
e della riforma delle prigioni , e di dimostrare quanto possente
istromento di moralità o d' immoralità possano essere e dive-
nire i carcerati , il sig. Lucas procede al novero di essi nella
sola Francia, e trova che in meno di i8 anni il loro numero
ascende ad un milione. Ciò posto , ei grida , quali tenibili con-
seguenze possono succedere in una società che manda ogni
anno 56\m. individui alla scuola delle prigioni , e che la scuola
delle prigioni restituisce pressoché per intiero alla società?
Se dunque si domanda quale sia l'oggetto di questa scienza
cosi importante , cosi nuova , si può rispondere che essa in-
tende a prevenire tre cose : le evasioni ; la corruzione reci-
proca de' di tenuti ; e le recidive.
I due primi di questi oggetti si riferiscono indistintamente
ad ogni sorla d'imprigionamento anche in via di semplice i)re-
53
venzlone ; ma il terzo scopo poi , cioè quello di impedire le
recidive, non concerne che l' imprigionamento dopo la sentenza.
Rivolto lo sguardo a quest' ultima specie d' imprigionamento
si scorge ben tosto ch'essa comprende due distinte categorie,
che richieggono due distinti metodi di disciplina. L' una si è
quella dei condannati a Lreve cattività , e per questi non po-
tendosi adoperare i mezzi educativi e di rigenerazione onde
opporsi alle recidive , non v' ha altra strada che quella dell'
intimidazione. L' altra poi si è quella dei condannati a lunga
prigionia , e per questi si può sperare di ottenerne l'emenda-
zione coir istruzione , coli' educazione , col lavoro , con tutte le
abitudini morali a cui si possono sottomettere.
Premesse queste considerazioni, ogni sorta d'imprigionamento
si riduce a tre classi. Esso difatti od è preventivo , o repressivo ^
o penitenziario.
11 libro del sig. Lucas ragiona per ora soltanto delle due
prime specie di prigionia. La prigionia preventiva , egli dice ,
può soltanto avere due oggetti, quello d' impedire le evasioni,
e quello di evitare la scambievole corruzione. Ad essa perciò
non possono applicarsi i metodi repressivi e penitenziarii , per-
chè ancor non si sa se i ditenuti per misura preventiva siano
meritevoli ed abbiano bisogno di quei due più efficaci rime-
dil. Quindi ne viene che questa sorta di ditenuti deve trattarsi
con tutti quei riguardi che li distingua da coloro che già su-
birono la condanna.
La prigionia invece lepressiva e penitenziaria si applica egual-
mente agli inquisiti già condannati , come a quelli che sono
ancora sotto processo , ma 1' una e 1' altra però hanno per og-
getto comune d' impedire le recidive.
Forse da una classificazione cosi tronca e distinta potrebbe
taluno dubitare che il principio dell' intimidazione debba sol-
tanto applicarsi al sistema repressivo , e non al penitenziario.
IMa noi invece siamo d' avviso che anche a quest' ultimo debba
estendersi l' intimidazione , perchè se il timore è un mezzo an-
cor esso di ovviare le recidive, e di correggere e di emendare,
non si vede il perchè esso debba escludersi dal sistema peni-
tenziario. Bisognerà soltanto temperare per esso i gradi dell'iu-
54
timìdazìone , e tener sempre lontano dalla coodanua Io spinto
della vendetta,
L' incoerenza clie a taluni parve di scorgere nella classifica-
zione adottata dal sig. Lucas applicando esclusivamente al si-
slenia repressivo il principio d' intimidazione , fece ad essi de-
siderare un' altra classificazione , la quale comprendesse da
prima sotto il governo penitenziario ogni specie d' imprigiona-
mento anteriore alla condanna , e poscia avesse assegnato a
ciascuna categoria di ditenuti od il metodo repressivo o quello
di semplice educazione , siccome meglio a ciascuna si fosse tro-
vato conveniente.
Ma la soverchia esclusività che si appone alle teorie del sig,
Lucas, sembra che possa ancora presentare dal lato pratico
maggiori inconvenienti , imperciocché se a qualch' una classe
di ditenuti si niega il metodo penitenziario, e soltanto essa si
sottopone al repressivo, allora si corre il rischio che quest'ul-
timo metodo invada il primo , e quindi che {prigioni ritornino
soggetti a tutta la brutalità dei carcerieri. Infatti questo metodo
rigoroso ed assoluto offre pur troppo maggiori attrattive per l'am-
ministrazione ed il governo delle case di punizione. Sarebbe
quindi a paventarsi che 1' intimidazione , di cui per troppo
largo pensare si vorrebbe far esente una classe di ditenuli già
condannati , soverchiasse invece a poco a poco 1' elemento rige-
neratore che deve sempre presiedere nelle teorie penali ed allo
stesso metodo repressivo.
lo non vorrei che quest' opinione di admettere generalmente
il principio dell'intimidazione nelle penalità si calunniasse come
disumana , vieta e retrograda. Non si vuole assolutamente escluso
il timore perchè mezzo sicuro ed efficace di rigenerazione, ma
nel tempo stesso affinchè non si cangi in barbarie si vuole che
sia sempre subordinato al sistema penitenziario , predominato
da esso e da esso corretto.
Siffatta opinione poi tuttoché forse spiacevole a certe utopie
più soavi, non ha per fondamento soltanto quell'antico adagio:
Odorimi ppccare mali forniidine poenac.
ma la vera ragione la si trova, secondo noi, nell'elemento dell'
55
espiazione , che in sostanza è la base delF intimidazione , e ne
costituisce la moralità.
Indipendentemente dal dogma religioso che ne formarono i
culti d'ogni tempo, il pi'incipio dell' espiazione è ingenito nella
natura umana , poiché 1' uomo percosso dalle miserie si per-
suade naturalmente nel suo segreto di averle meritate e di do-
verle soffrire , e questa persuasione facendogliele sopportare con
maggior fortezza , lo conforta colla speranza che passato quel
tempo di prova, possano sorgere ancoi'a per lui giorni più vir-
tuosi , più tranquilli e senza rimorso. Colui che soffre la sven-
tura e la pena anche inflitta ingiustamente con rassegnazione,
eleva il proprio animo e lo rende migliore ,• ed ella è persino
cosa assai frequente in chi sconta una pena non meritata , il
credere di sopportarla giustamente per altre colpe. Così avviene
che alle male azioni si associa sempre come per istinto un
mal presagio , e che chi le commette meriti un castigo , una
sventura , è sentimento di universale giustizia. Che se nulla-
meno taluno volesse disconfessare queste verità , questi do-
vrebbe arrestarsi a meditare l'incanto che si prova alla lettura
delle Mie prigioni di Pellico , anche colà dove l' illustre pri-
gioniere assiepa il suo petto di conforti semplicemente morali,
senza ancora ricorrere agli ascetici.
Se dunque 1' espiazione è un bisogno , una legge dell'umana
coscienza , il principio della punizione che mai si può scompa-
gnare dall' idea del dolore , sarà sempre necessario sinché non
più ignorata o respinta una più generale distribuzione del la-
voro e di mezzi per procacciarsi la sussistenza , non farà ces-
sare lo stimolo del bisogno mal consigliero , sintantoché le più
abbiette classi del popolo non impareranno da una fraterna
educazione a moderare le proprie passioni, a soffrire, ad amare.
Ed ella è cosa degna di osservazione che in quei paesi dove
r istruzione ha fatto maggiori progressi , ed i costumi me-
glio dirozzati, e più accomunati divennero i mezzi di sussi-
stenza, quivi se da un canto gli uomini si asieugono dalle uc-
cisioni e dalle rapine, e' pare dall'altro che corrano all'estre-
mo opposto e rivolto contro di se stessi l'impeto delle passioni,
più frequenti si trovino le tristi o solitarie ipocoadne, ie ma-
56
jùe , i suiciflj. Ben gli è vero che por recare rimedio a questa
nuova specie d'infelici, conviene clie l'educazione non sia sol-
tanto morale nel senso limitato in cni comunemente vien tolta
questa parola , ma si sollevi ad essere religiosa. Conciossiacliè
il principio della probità naturale farà bensì clic l'uomo rispetti
V esistenza e la proprietà de' suoi simili , ma non basterà per
fargli rispettare se stesso , per convincerlo eh' egli non è il solo
rd assoluto padrone di tutto ciò che v' ha in lui.
Ci verrà perdonato questo apparente traviamento dal propo-
stoci tema, ove si rifletta che quanto sinora dicemmo, giova
eziandio a provare che tutto il risultato a cui potrebbe aspi-
rare il sistema penitenziario senza intimidazione, sarebbe quello
(Iella probità al cospetto della legge. E vei-amente quando il
condannato restituito alla società più non ricada negli stessi
delitti , e più non sia pericoloso per gli altri , alloi-a tutto è
conseguito per lui. Laddove ben altro ancora dovrebbe cercare
il legislatore , vogliam dire il miglioramento e la rigenerazione
interna del ditenuto. Tale appunto si è lo scopo più nobile e
più bello della scienza di diminuire i delitti, della conserva-
zione cioè , e del progresso dell' ordine sociale.
Alla giustizia pertanto che previene , superiore alla giustizia
che reprime, deggiono anzi tutto esser rivolte le cure del fi-
losofo e dell' economista , e far sì che 1' eserciido ne venga il-
luminato ed inculcato nel governo colla previdenza e nella so-
cietà colla carità.
Ella è frattanto questa scienza che è chiamata a denunciare
alla pubblica ragione due pregiudizli che sinora 1' opinione e
persino i codici stessi hanno consacfato. Essi consistono nella
confusione delle varie moralità delittuose.
I. E quindi insegnamento rilevantissimo de' più recenti cri-
minalisti , che più. grave debba essere il tratt.imento nel car-
cere , e più grave la pena per quei delinquenti che commet-
tendo delitti in apparenza leggieri a vece che vengono soltanto
puniti con misure correzionali. Questa sorte di colpevoli si cre-
dono comunemente i meno perversi ed i meno dannosi alla
società, e per contro sono in sobtanza i più profondamente cor-
rotti ed inclinali, al delitto , quelli in cui si trovano più osti-
57
nate e maggiori le disposizioni a consumarlo , quelli infine che
più di frequente commettono le recidive. In questa classe , tu
trovi il mariuolo ed il truffatore , che nella scelta delle va-
rie maniere di vivere nella società si appiglia a quella del
furto come la migliore , perchè sa di possedere 1' arte di ri-
cavarne tutti i vantaggi , e nel tempo stesso ha tutta la scal-
trezza per scemarne i pericoli. Vedete questa razza di colpevoli
pullulare nelle popolazioni delle grandi città, dove la maggior
copia dei prodotti della civiltà sviluppa ed invita necessaria-
mente l'esercizio del loro infame mestiere, ed attribuitene in
gran parte la cagione alle misure soltanto correzionali con
cui sono puniti.
All' incontro più mite dovrebbe essere il trattamento nel car-
cere per quei delinquenti che sono condannati a pene più se-
vere, perchè il maggior numero di questi esce dalle popolazioni
agricole e più semplici, tranne coloro che vi ci sono rigettati
dal riflusso delle recidive. Questa classe di sciaurati che le più
frequenti volte male operarono non già spinti da un maggior
grado di perversità , ma per minor scaltrezza nell' eseguire il
delitto , racchiude in sostanza una moralità assai meno conta-
minata che quella di altri condannati a minor pena.
II. Oltre a queste v' ha un' altra imperfezione legislativa e
disciplinaria rispetto ai condannati a più lunghe detenzioni ed
anche alla prigionia perpetua. Fra questi esiste una quasi op-
posta diversità di origine nella carriera del delitto , e due sorta
ben distinte di moralità che il legislatore ha voluto confondere
ed il giudice concorre a riunire.
Sono questi da un canto gli eroi e per cosi dire ì veterani ,
r aristocrazia , del delitto ([uelli che hanno salita successiva-
mente per tutti i gradi V infame scala delle scelleratezze , e
dall' altro canto si trovan quelli che non avevano mai prima
trasgredito le leggi, né la probità stessa; uomini che furono
atrocemente colpevoli , ma per xin giorno solo , per un solo
istante , uno di quegli istanti che devastano e squassano il
cuore umano , e la ragione si fa naufraga nel sangue. Questi
infelici anche sotto qucst' orrida macchia , quando la lor pas-
sione è soddisfatta ed il rimorso sottentra al delirio , ricompa-
58
riscono onesti e pentiti , e ripigliano le innocue abitudini della
lor vita anteriore.
L' esperienza ha confermato la verità di queste osservazioni ,
ed oggimai tutti vanno persuasi di quanto non è gran tempo
sembrava ancora un paradosso ; cioè che sarebbe miglior par-
tito lo incominciare la riforma penitenziaria dai rei di omicidio,
che non dai colpevoli di semplici reità correzionali.
La conclusione pertanto che da questi riflessi ne trae il sig.
Lucas si è , che 1 imprigionamento repressivo dovrebbe gover-
nare tutti i condannati a detenzioni non eccedenti il biennio ,
e poscia il sistema penitenziario dovrebbe accogliere tutti i di-
tenuti , la di cui prigionia non oltrepassasse questo termine.
Tali sono le generali vedute della teoria sulle prigioni. Scen-
dendo alle applicazioni, siccome 1' imprigionamento repressivo
non esige che due cose 5 prevenire le evasioni , e prevenii-e la
corruzione reciproca ,• così per ottenere il primo intento oltre
alla materiale sicurezza del carcere , si additano li mezzi se-
guenti : la disciplina interna 5 la solitudine diiiotte^ il silenzio
di giorno, ostacolo alle trame ; il lavoro , rimedio contro la
noja e contro i traviamenti dell' immaginazione.
Quanto ai mezzi di prevenire la corruzione scambievole, eccoli:
i.° Separazione ben intesa dei sessi, delle età e delle mora-
lità , alle quali separazioni noi aggiungiamo quella delle con-
dizioni sociali.
2.° Solitudine di notte.
3.° Solitudine di giorno od il silenzio assoluto fra i detenuti
riuniti. Questo mezzo però portato alT eccesso ha prodotto ben
tristi effetti , e lion è guari in Francia si è rappresentato al
governo le funeste conseguenze, soprattutto le frenesie ed ogni
sorta di aljerrazione mentale e di disperazione che trae seco
r isolamento dei caicerati.
4.° Il lavoro concesso però in gran parte all' arbitrio del di-
tenuto.
5." Finalmente 1' esercizio delle pratiche religiose.
Riguardo ai carcerati per debiti il loro regime vorrebbe esser
intieramente diverso , e tutte le misure dovrebbero soltanto li-
mitarsi ad evitare le evasioni.
59
Dopo aver discorso suli' imprigionamento preventivo, si passa
a ragionare sopra quello repressivo. Oltre alli due fini sopra
additati , esso , come già si avverti , intende a quello d' impe-
dire le recidive.
Il solo mezzo che ne sappia suggerire il sig. Lucas si è pur
quello di sopra ammesso dell' intimidazione. Ma tutta la diffi-
coltà consiste nella scelta dei mezzi con cui si possa impiegare
r intimidazione.
Questi mezzi non possono più certamente essere né le bat-
titure , né i ceppi , uè i castighi corporali. Anche in ciò i pro-
gressi della civiltà hanno introdotto un cangiamento. Nei secoli
di mezzo , quando V uomo era non solamente ridotto nel suo
morale alla schiavitù , ma llsicamente anche parlando la sua
vita era più dura, più aspra, una barbara necessità voleva
pur troppo che divenendo egli colpevole , si sottoponesse ad
uno slato ancora più penoso, più miserabile. Oggi giorno invece
che gli uomini godono di un miglior essere tanto fisico che
morale , essi souo abbastanza punibili da questo più nobile
lato , senza che si incrudelisca contro la loro fisica esistenza.
Quindi r isolamento di giorno e di notte , il silenzio che la-
scia r imprigionato senza scuola per imparare il vizio , come
senza cattedra per insegnarlo, un tenore di vita temperante,
ordinata , solitaria , silenziosa che formi appunto il più sensi-
bile contrapposto col precedente genere di vita , per cui il di-
tenuto traviò, ecco i mezzi morali che agiscono sopra l'animo
suo , e castigandolo possono renderlo migliore.
Spetta poi alla disciplina di fare in modo che la pratica di
questi varj mezzi si ottenga anche occorrendo coli' impiego
della forza, coattivamente.
Cosi il lavoro sarà variamente imposto e distribuito in guisa
però che sia sempre lontano e dalla pubblica umiliazione , e
dall'attrattiva di un passatempo 5 esso sarà anche senza mer-
cede, oppure il di tenuto potrà soltanto goderne dopo avere
scontata la pena.
Indi il silenzio ora sarà continuo , ora tollerati i brevi col-
loquii, ora la solitudine più frequente, ed or meno 5 ora im-
poste anche le astinenze; e le trasgressioni sempre coli' alterno
uso di queste pene severamente punite.
60
Vietato finalmente potrà essere qualunque insegnamento ,
tranne quello della lettura. Austero consiglio: ma si badi clie
qui si annoverano i mezzi di repressione. Del resto se nelle
prigioni si ammettesse l'insegnamento delle scienze, e soprat-
tutto delle artlLelle^ allora il carcere non sarebbe più un luogo
di punizione , ma si trasformerebbe in un asilo di quiete ed
anclie in un luogo di piacere. Invece pare che ogni ricreazione
dovrebbe essere limitata all'esercizio indispensabile per la salute.
Il servizio religioso poi dovrà sempre essere di stretta obbli-
gazione.
Tali sono i mezzi che il slg. Lucas concede al sistema re-
pressivo , ed egli li crede e spera capaci di ottenere con essi
quella sufficiente intimidazione che può far evitare le recidive.
Tali vogliamo pur anche crederli noi in tesi generale , seb-
bene nelle particolari applicazioni la pratica dovesse forse an-
cor pigliar norma e consiglio dai tempi e dai luoghi , mentre
il risultato di queste teorie non sarebbe forse lo stesso dove
r istruzione già fosse diffusa sino alle ultime classi della so-
cietà, e la civiltà adulta e matura 5 come colà dove per contro
l'una e l'altra fossero ancora nell' infanzia, o nel primo loro
avviamento.
Ad ogni modo ecco i principj , i mezzi ed i fini della scienza
ddV imprigionamento , che il sig. Lucas se non ha creata, ha
per certo con sommo ingegno illustrata , e ne darà il compi-
mento facendo di pubblica ragione la terza parte del suo la-
voro , quella cioè che abbraccia V imprigionamento peniLenziario ,
che sinora non ha ancor pubblicato. Nessuno frattanto vorrà ri-
vocar in dubbio 1' importanza complessiva , e le vedute gene-
rose , ed 1 beneflzli immensi che dallo studio di questa scienza
possono derivare per 1' umanità. Trattasi non di meno che di
purgare la società dai delitti , disarmarla dal tristo obbligo di
infligere pene , togliere dal suo seno 1 delinquenti , o dimi-
nuirne il numero , restituirglieli poscia almeno emendati ed
onesti, e temperarne le punizioni in guisa, che queste si con-
vertano in loro vantaggio ed in bene di tutta la sociale fa-
miglia.
Questa scienza dunque mentre gioverà a stampare nei cuori
61
di tutti 1 legislatori, magistrati, officiali, cittadini qucìVoportet
misereri , che una volta si leggeva scritto sulle porte delle pri-
gioni di Firenze , non sveglìerà soltanto una commiserazione
debole e stolta , ma prudente , ma saggia non disgiunta dal pen-
siero della pubblica e privata sicurezza , dal bisogno della so-
ciale ed individuale moralità.
Già molti nomi illustri concorsero a somministrare i loro
pensamenti profondi per 1' edifizio filantropico che il sig. Lucas
volle erigere. A destare questi possenti interessi dopo il celebre
Howard , vennero in Fi'ancia Beaumont e Toqueville , in In-
ghilterra Grawford , in Prussia Julius, e più vicino e conosciuto
da noi il ginevrino conte di Sellon.
Ma chi alla profondità delle meditazioni , alla forza dei ra-
gionamenti , all' esperienza ed ai sentimenti del cuore, potè ag-
giungere e vi aggiunse 1' autoiità dell' esperienza , si fu il sig.
Lucas che ispettore generale delle prigioni di Francia quivi non
solamente , ma in molte altre partì d' Europa e di America ,
visitò questi recinti di dolore. E non sono molti anni visitò pur
anche le prigioni di Torino , sulle quali ebbe a dire di averle
trovate con tutti i germi della riforma e di un buon sistema.
Opinione onorevole che molli fatti giustificano , fra cui noi non
accenneremo che quello sanitario 5 mercè del quale invece che
nel 1818 nelle sole carceri di Torino sopra 49 1 carcerati ne
morivano Sa percento, cioè uno sopra 95 nel 1829 poi oltre-
ché il numero dei carcerati era già diminuito sino a 3j4 > il
numero dei morti era ridotto alli 9 per cento , cioè ad uno
sopra 4i-
Se di conserva a questi progressi fisici vanno crescendo i
progressi morali , lo stato delle prigioni e dei prigionieri in Pie-
monte , come tante altre istituzioni d' Italia desteranno ne' fo-
restieri più invidia , più rispetto , che pietà o dispregio.
S. B..
62
Scienze Morali — • Pensieri.
Chi nega , che la spezie umana dappoi in qua , che ebbe
suo principio sulla terra, e si succedono le une alle altre le
generazioni non abbia fatto cose grandi, e stupende od è un
ignorante, che nulla sa né vede, od è un maligno, clic tutto
calunnia, e condanna; od è uno scettico, che ogni cosa oppugna
e rifiuta. Sciagurati tutti , che non sanno , o disdegnano far
loro propria la gloria dell' umanità , ond' essi puro fan parte ,
e rinunziando a quella nobile alterezza , che loro ne verrebbe ,
inaridiscono uno de' più bei fonti delle splendide , e generose
azioni.
Le nobili piante della ragione, e della libertà, scrive l'Herder,
hanno prodotto frutti maravigliosi, sebbene molti rami sel-
vaggi abbiano sovente distesa la loro ombra sopra i figliuoli
della terra. Ei parrebbe appena credibile , se la storia noi con-
fermasse, che la ragione umana abbia potuto cotanto innalzarsi
da scoprire non solamente , ma da imitare eziandio la divi-
nità che crea , e che conserva.
L'uomo ha indagato, e discoperto l'unità, l'ordine, e la
bellezza nel caos degli esseri , che i scusi gli hauno manife-
stato. In mezzo alla varietà e mutabilità degli effetti ha colto
le leggi che li governano, ponderate le forze ond'ei muovono.
Dai particolari s'è sollevato all'universale, dal molteplice all'
uno, dal contingente e relativo al necessario ed assoluto, dal
mutabile e fuggevole all' immutabile ed eterno.
La libertà anch' essa ha nobilitata 1' umana schiatta per gli
splendidi effetti, che produsse co' suoi odj , e colle sue simpa-
tie , co' suoi rifiuti , e co' suoi intendimenti , colle sue lotte ,
e co' suoi conquisti. Sublime dote dell' uomo , la libertà è il
maggior dono , che Iddio facesse alla sua creatura prediletta ;
ella gli die signoria sopra l'universo, ed assomigliò alla di-
vina r umana natura.
65
Gentil frutto della libertà e della ragione T amore , motor
primo dell'umana sensibilità, ha scaldato colle pure sue liam-
me , sospinto co' suoi desideri , rallegrato colle sue gioie gli
uomini. Socio dell'intelligenza ha contribuito cogli ardenti suoi
palpiti , quanto quella co' suoi alti concetti , all' educazione
dell'umanità. L'intelligenza e T amore, dice il Gousin , sono
le due grandi forme della vita umana.
L' iD^magiuazione , questa facoltà cosi operosa e feconda ,
ed insieme cosi moltiforme e misteriosa , al cui impero nes-
suno può sottrarsi, quale sorgente di maravigliosi effetti non è
ella stata sia negl'individui, che ne' popoli! dal mondo sensi-
bile che la circonda, risalendo all'ideale, ella ha creato tutte
le arti ministre di gentile diletto, ritraendo quaggiù le cele-
sti, e ricreatrlci forme del hello 5 ha sparso fiori sulle gioje de-
gli uomini , lagrime sulle loro sventure , balsamo sui loro do-
lori , speranze in mezzo ai gemiti delle loro angosce. Da lei son
derivate tutte quelle misteriose finzioni , e tradizioni mitiche,
tesori di nazionali reminiscenze , di credenze e di costumi , le
quali tanto potere esercitarono sulle menti de' popoli e li go-
vernarono per lungo corso di secoli.
Alcuna volta nel volger delle età parve oscurata 1' umana ra-
gione ; abbandonate le vie diritte del vero, si dilungò dal suo
scopo,- la libertà adoperò malamente 1' efficacia della sua pos-
sanza; l'immaginazione produsse sogni, ed illusioni mostruose,
di cui bene spesso la frode altrui abusò crudelmente ; ma que-
gli errori stessi furono scuola d'esperienza, e guida alla verità.
« Una sola e medesima umanità s\ manifesta quaggiù sotto di-
verse apparenze in tutte quelle cose, le quali alcune nazioni
sulla terra hanno perfezionato, e che alcune altre hanno con arti
false travisato. »
La religione antichissima delle miaane tradizioni, esercizio
ad un tempo dell'intelligenza e del cuore, guidando la ragione
a più perfetta conoscenza dell'Essere infinito e degli eterni ed
immutabili pdncipj di verità , di bontà , di bellezza che da
quello derivano, dirizzando verso lui l'amore ed il culto degli
uomini , prò-, -ticndo loro siccome modello la perfezione della
Divinità , e confortandoli di liete speranze ha dato alle loro
64
facoltà, ai loro desiderj l'avviamento, e lo scopo il più nobile
ed il più puro.
L' uomo è portato naturalmente a concepire ed immaginare
qualche cosa d'invisibile al di là del visibile : i popoli ezian-
dio più incolti sono pur pervenuti a questo segno di cono-
scenza intellettuale. Ma quand' egli attraverso le fonne e le
manifestazioni dell'assoluto intravide al di là del finito l'Essere
infinito; scoperse la base eterna del vero a cui tutto si lega ,
e si rivolse a quella, allora toccò egli veramente la suprema al-
tezza della ragione trascendente.
Qualunque possa essere stato il principio , e la causa dell'
avviamento dell* umanità alla sua perfezione, o l'opera diretta
d' una potenza superiore , come inclina a credere Herder , o
la virtù propria delle umane facoltà, il progresso incominciò ,
crebbe via via mediante l'opera successiva delle generazioni per-
petuata colla tradizione , e l' efficacia di sommi ingegni , i quali
anteposero a più pronti e quieti diletti, a più soavi commozioni
il faticoso agitarsi, il penoso intento, l'ansia attività e i diffi-
cili godimenti della vita iutelleltuale. Sebbene già condotto
molt' oltre prosegue tutt' ora la lunga sua carriera , ora la-
sciando di so visibili segni, ora maturando a più tajde età il
fecondo suo germe; perocché è legge quaggiù, che tutto tenda
al perfezionamento : né è da credere , che tutto il tesoro delle
umane facoltà sia stato già scoperto ed esaurito. " Foiose noi sarà
quaggiù mai intieramente ; essendoché, dice l'Herder, l'uma-
nità è come un fiore, il quale sbattuto in su questa teri'a da cru-
deli tempeste, soffocato da aliti maligni, contaminato sovente
di sangue, ha bisogno per dischiudersi in tutta la sua bellezza
d'altro giardino, che il terrestre. Con tutto ciò l'umauilà non
può essere quaggiù, sebbene talvolta cosi appaja, né retrograda,
né stazionaria. In mezzo agli errori, ai rivolgimenti, alle rovi:. e
ella progredisce e compie nel suo corso gli occulti e sublimi
disegni della Provvidenza. Seguitare 1' andamento di questo pro-
gresso, considerarne le cause, le leggi, e gli accidenti, atte-
nendosi sempre ai fatti siccome base d'ogni ragionamento, è
fare la filosofia della storia dell' umanità.
11 secolo si va maturando all' intraprendimcnlo di si grand'
65
opra. Le cognizioni filosoCclie s' accrescono , e si distendono
ampiamente. L'Oriente, antichissima culla dell' umanità , è ora
aperto all' indagazione dei dotti ; tuttodì si vanno discoprendo
monumenti , studiando le lingue , le tradizioni , le dottrine ,
i costumi , la storia fisica , e politica degli antichissimi popoli
orientali, le migrazioni di genti, e di dottrine dall'oriente all'
occidente. Un ingegno pari a quello del Vico, o dell'Herder,
meditando 1' efficacia che ebbero sull' andamento progressivo
delle spezie umana i due principali elementi dell' educazione
dell'umanità, le facoltà dello spirito, e la natura esterna, al
primo de' quali s' attenne principalmeale il Vico , al secondo
r Herder , potrebbe coi sussidi novellamente procacciati por
mano ad un' altra opera di scienza nuova , o di filosofia della
storia dell' umanità. G.
Scienze Naturali — Geologìa.
Negli antecedenti fascicoli di questo Giornale si è parlato di
due rivoluzioni geologiche che lasciarono di loro grandi traccie
nel suolo del paese nostro. Per compiere l'intrapreso assunto
rimane a discorrere di quelle accadute durante la formazione
dei terreni terziarii, le quali non furono né minori ^ né meno
importanti delle prime : i fatti che lo comprovano guidano
eziandio a scoprire le cagioni per cui siffatti terreni non sono
dapertutto gli stessi , ma cambiano di natura , e racchiudono
fossili diversi secondo i luoghi e le profondità. I geologi attri-
buiscono queste cose a tre sollevamenti succeduti nel tempo di
questa formazione, ciascun de' quali essendo stato causa di essen-
ziali variazioni nel suolo e nelle altre condizioni fisiche , gli es-
seri organizzati che vivevano in una data epoca, non si trova-
rono più conformati per rimanere in quelle che sopravrennero.
Il terreno terziario è composto di ciottoli, ghiaja, sabbia e
di argilla variamente tinta. Tutte queste sostanze sono dispo-
ste a strati paralelli ora inclinati , edora orizzontali secondo li-
5
66
località e 1' epoca loro di formazione. Uu sugo lapidiscente ,
per lo più calcare, bene spesso ha agglutinato queste materie,
le quali in tal caso presentano roccie tenaci e resistenti, alle
quali si danno nomi diversi secondo la grossezza e la natura
delle parti componenti. In questi strati, che costituiscono la
parte essenziale della formazione, sono t-alvolta frapposti ban-
chi o strati di gesso e di calcare compatto. Nel Piemonte se
ne osservano in più siti , e dove la vicinanza ai luoghi abi-
tati, e la facilità del trasporto il consente, si estraggono e sul
luogo istesso si sottopongono alle solite ignee operazioni , per
cosi renderle atte alla fabbricazione , ed agli altri usi a cui
nelle arti si adoprano.
Cominciò a deporsi il terreno terziario subito dopo la for-
mazione cretacea 5 e questa circostanza invita a credere ch'essa
ne debba essere dapertutto coperta , il che è ben lontano dal
vero essendovi moltissimi siti, ove la creta se ne giace scoperta
d' ogni posteriore sedimento , ciocché al credere nostro , eh' è
appoggiato a numerosissime osservazioni , nasce dall' essere essa
stata elevata fuori delle acque quando successe il sollevamento
del sistema Pireneo-Appennino 5 ma questa non è Tunica causa
da cui si debba ripetere questa nudità della creta , essendovi
più e più fatti, i quali provano nel miglior modo possibile che
essa è dovuta all' impetuosità e gagliardia , con cui fu urtato
il globo nostro nei tre sollevamenti accaduti posteriormente
all'accennato , e pei quali le falde di sostanze disgregate e
poco coerenti vennero rigettate e disperse. Anche le grandi cor-
renti o fiumane che si vogliano dire , ebbero la loro parte in
questi trasporti di terreno , ma qualunque sia stata 1' azione
loro, certo è che fu piccolissima in confronto di quella che i
fatti fanno supporre opera dei sollevamenti.
I fossili sepolti nelle varie falde di questa formazione servi-
rono a dividerla in tre serie, e di tutte le divisioni che si sono
fatte della corteccia del globo, nessuna, a mio credere, presenta
tanta naturalezza , quanta si ravvisa in questa. Perocché oltre
all' essere le tre serie suddette distinte per la disparità di molti
dei loro fossili , la soprammentovata partizione si accorda an-
clie coi tre sollevamenti , che abbiamo detto essere accaduti
67
durante il deposito dei terreni terziarii , la parte più antica si
chiama terreno terziario inferiore, perchè collocata sotto tutte
le altre. Essa, come si disse , succedette alla creta e cessò di
formarsi quando appari il sistema di monti chiamato Sardo-
Corso , il quale si suppone essersi sollevato a quest' epoca. I
fatti che confermano quest' opinione sono quivi meglio dispie-
gati che in ogni altro luogo del nostro paese , nel quale proba-
bilmente tutti i segni che rimasero di quella formazione, furono
annullati o cambiati dalle rivoluzioni successive , le quali sta-
bilirono le cose nello stato in cui le osserviamo presentemente.
I fossili pertanto di questa parte della corteccia terrestre sono
le reliquie di quegli esseri organizzati che popolavano i monti
formatisi nelle anteriori rivoluzioni , ed il mare che li circon-
dava. E quando si faccia di questi il paragoiie con quegli che
sopravvennero, si riconoscerà che le condizioni fisiche dopo
questo sollevamento persistevano presso a poso nello stato di pri-
ma, cosicché non solo si ravvisa una grande rc.sscmiglianza
ne* generi, ma vi furono ben anche molti animali che a quella
rovina sopravvissero , eie cui spoglie si ritrovano nei sedimenti
di età più moderna. Di qui le difficoltà che vi sono ialvolta per
distinguere questa serie da quelle posteriori, e quando si hanno
pochi fossili e per soprappiù male conservati , la distinzione
riesce quasi impossibile ; laonde se è utile cosa il tener conto
delle dislocazioni degli strati, in simili casi diventa indispen-
sabile , imperocché chi è esercitato a simili osservazioni ne può
trarre utilissime conseguenze, le quali poi se avvenga che possano
essere fondate su qualche avanzo di corpi organici , allora si
arriva a risultamenti pressoché sicuri e certi. E la cosa è tal-
mente dimostrata che mai non accadrà di collocare colle se-
rie terziarie falde p. e. dislogate nel senso del sistema Pire-
naico-Appennino, quantunque prive di fossili, sapendosi mercè
le ricerche e gli studii de' più distinti geologi , che i terreni
in tal guisa disposti non sono mai più moderni della creta su-
periore. Oltre a questi segnalati vantaggi, moltissimi altri se
ne possono ancora trarre di non poco giovamento al progredi-
mento della scienza quando le osèervazioni sieno fatte con es.tt-
tez2a e maestria.
68
Il sollevamento dei monti del sistema Sardo-Corso non mancò
di cagionare molta confusione in tutta la natura. Succedette
a questo una perfetta e lunghissima calma , che fu favorevole
allo sviluppo ed alla riproduzione degli esseri organizzati , come
lo testifica la prodigiosa quantità che delle loro spoglie si trova
nei sedimenti posteiiori , chiamati a diffei'enza dei primi, ter-
reni terziarii medj : e questo nome è loro molto adattato ,
ricordandoci la loro posizione che in generale è tra gli infe-
riori e quelli più moderni detti superiori; e se talvolta questa
nomenclatura pare erronea , perchè mancano ìe due accennate
serie, e la media trovasi tutta sola, e su terreni molto antichi,
non ce ne dobbiamo sgomentare e tanto meno tacciare d'im-
proprio questo modo di dire , il quale ci rammenta un fatto
esattissimo, quale è quello della loro formazione, che fu né
prima, né dopo dei summentovati terreni; ma bensì preci-
samente tra di essi.
Gli stessi fossili , che ci palesano la calma succeduta allo
scompiglio , in cui gli elementi si trovarono pel sollevamento
del sistema Sardo-Corso , ci guidano più innanzi , e ci fanno
arguire molto verosimilmente , quale fosse lo stato delle con-
dizioni fisiche dopo questa rivoluzione. Nesruno per certo vi ha
che sia talmente estraneo alle scienze naturali per ignorare che
ciascuna regione , secondo la sua posizione e la sua elevazione,
è stanza d' animali e di piante molto diverse. Ora i fossili che
tuttodì si dissotterrano nelle falde dei colli Torinesi sono per
la maggior parte di generi esclusivi ai mari dei tropici , e qui
non si può dire eh' essi sieno stati di colà trasportati , poiché
hanno uno stato di conservazione che afferma avere essi vìs-
suto , dove ora sono sepolti j ma la ragione si è che a quei
tempi il Piemonte godeva dì un clima assai più caldo, che
non è presentemente. Queste ragioni cosi generali non appa-
gheranno forse la curiosità di tutti , ma taluni vorranno ancora
sapere come avvenga , che gli stessi terreni , per essere in un
paese od in un altro , racchiudono ordinariamente spoglie or-
ganiche di specie diverse. Un tale fatto che pare molto imba-
razzante, non lo è affatto quando sia preso nel suo verso, anzi
allora sempre maggiormente comprova le stesse verità, l solle-
69
vamenti Don furoDO già fenomeni locali , eh' abbiano cambiato
0 modificato una piccola porzione del globo 5 ma ebbero ad
ogni volta una estensione vastissima, e sotto tutte le latitudini
alzarono nuove isole , ne fecero avvallare di cjuelle già d§ lungo
tempo esistenti : cambiarono qua e là la profondità del mare ,
e dove prima era profondissimo lo restò meno, se pure il fondo
non uscì dalle acoue. Giaiili avvenimenti ripetutisi più. volte ,
divisero appoco appoco la terra in tante porzioni , dove si ave-
vano tanti climi , quanti erano esse , e queste col tempo ven-
nero poi popolate di animali e di vegetabili , i quali erano di
conformazione adattata al luogo in cui dovevano rimanere. Non
vediamo noi un' immensa diversità tra gli animali e i vegetabili
della Nuova Olanda e quelli dell'Europa , e tra questi come
sono diversi quelli che ne abitano il Nord ovvero il Sud? Ora
per rendere più chiaro quanto è detto , supponiamo una grande
rivoluzione che sommerga e distrugga tutto il mondo conosciuto.
1 posteri che verranno ad esaminare le novelle falde non trove-
ranno essi a un dipresso quelle stesse anomalie , che noi rico-
nosciamo negli strali della terra , che sono ora oggetto delle
nostre osservazioni ; e per tutto questo sarà raen vero che tutto
ciò che d' organico troveranno non abbia vissuto contempora-
neamente, e che una sola e medesima rivoluzione non 1' abbia
distrutto 0 sepolto ?
Di questi sedimenti ve ne sono dei marini e del lacustri,
e sì gli uni che gli altri esistono nel Piemonte, ma più ab-
bondanti e comuni quelli, che questi. Ai primi appartengono
i sedimenti del colle diSuperga, e tutti quelli che alla sinistra
ed alla destra di esso si estendono , ritenendo il nome di colli
Torinesi ; parecchi ss ne conoscono nella valle del Tanaro
piuttosto scarseggianti di fossili, ma quei pochi che si sono
trovati, e la direzione delle loro dislogazioui accertano essere
essi della serie terziaria media. Egli è ancora in questa stessa
valle che esistono depositi medj lacustri. A Bagnasco ve ne sono
dei molto importaati per la lignite che racchiudono , e non
credo di sbagliarmi pronosticando fin d' ora , che un giorno o
r altro quel combustibile diventerà oggetto di utili speculazioni
per l'industria patria, la quale pur troppo per difetto di com-
70
bustiàiil* comincia a decadere in molte delle sue importanti
parti. Un altro di questi depositi da ben lungo tempo conosciuto
è a Cadibona presso Savona. Da esso si ritira con vantaggio
cospicuo r accennato combustibile, nel quale di quando in
quando s'incontrano fossili : e tra questi si scoprono mandi-
bole ed altre ossa del pachiderme , cbe il sig. Cuvier nominò
Antracoterio animale, ora non più esistente, ma piuttosto co-
mune iu quei tempi.
Rimane la questione, se questi due depositi siansi formati in
laghi ovvero allo sbocco di qualche gran fiume sul mare. La
soluzione non è cosa cosi facile , tuttavia avendo io visitato
ambe le località , mi credo di dover palesare quanto i fatti
su tale particolare raccolti mi fanno opinare. Il terreno lacu-
stro di Bagnasco è in una specie di bacino chiuso da una parte
da monti antichissimi , coronati di banchi d' una bellissima
poddinga, dall'altra va confinarsi coi terreni evidentemente ma-
rini , anzi in certi luoghi s' innoltra talmente in questi che
non troppo facilmente si possono segnarne i veri limiti. E que-
ste ragioni sono quelle che mi fanno propendere a credere che
un gran fiume gli abbia portati nel mare, che ne riceveva le
acque della poddinga, non saprei in altro modo rendermi ra-
gione, se non supponendo che i ciottoli e i massi di cui è com-
posta sieno quivi stati radunati in occasione di grandi e forti
tempeste, e poscia solidamente legati insieme da un principio
pietrificante che le acque correnti toglievano ai monti calcari
circonvicini ; ben diversa è 1' origine del terreno di Cadibona.
Quando l'osservai mi venne il pensiero ch'esso sia il deposito
di un lago d' acqua dolce, il quale era incavato in mezzo a
monti del sistema Pireneo-Appennino. Le varie materie che lo
riempirono, ora convertite quali in arenarie, quali in pod-
dinga e quali in lignite ed altre tuttora allo stato di argilla ,
di sabbia, e di ghiaja, sono state tolte dalle acque, che sco-
lavano verso il basso giù giù per !e pendici dei monti, ed ar-
rivatevi per la conformazione del luogo abbandonarono secondo
la gravità specifica gran parte di quei principi ^^^ ^^^^ porta-
vano. Ciò si è continuato per un tempo da noi incalcolabile ,
e !ae seguirono i diversi strati più o meno grossi, feeondo che
71
questa loro formazione è stata più spesso o più di rado inter-
rotta da rovinose pioggie, le quali menarono al basso i grandi
massi ivi esistenti, i materiali delle poddinglie , e la maggior
parte delle piante, che di poi furono cambiate nelle ligniti.
Tutte queste diverse falde da bel principio presero sicuramente
la posizione orizzontale , e la causa che in seguito gli mosse
e gli collocò pressoché verticali, noi la vediamo nel sollevamento
delle Alpi occidentali , nel quale sistema sono dislocati pres-
soché tutti quei monti ; e per le rotture che in tal occasione
si fecero negl'argini, le acque discesero nelle regioni sottoposte,
e lasciarono così allo scoperto un terreno , che fa fede come
fossero le cose in que' remotissimi tempi.
Mentre che le acque deponevano gli accennati sedimenti ,
quelle forze per noi tuttora enigmatiche ed oscure che tanti
sconcerti avevano già cagionato, di bel nuovo animandosi, alza-
rono qua e colà giogaje di monti , le quali dove toccarono e
dove non toccarono, lasciarono traccie di loro sul globo nostro
per la gagliardia con cui l'urtarono. Chi mai può descrivere lo
stato d' allora ? oppure ricordare con verosimiglianza 1' aspetto
eh' aveva questa immensa mole di materia tutta sconcertata
e sossopra? In vero io non credo che vi sia geologo da tanto;
e quando penso alle innumerevoli novità , ai fenomeni così
svariati che tutto in una volta nascono in occasione di terre-
moti, o d'eruzioni vulcaniche, allora maggiormente comprendo
r impossibilità di farsi una precisa e giusta idea degli antichi
avvenimenti.
In questa rivoluzione sebbene siansi formati in più luoghi
giogaje di monti , egli è però singolare e curioso il vedere
eh' essi non s' allontanarono dalla direzione del N. 36. E., al
S. 26. O; l'avere tenuta una direzione costante non è più
particolare a questo sistema de' monti detto delle Alpi occi-
dentali , di quel che fosse stato a quelli eh' erano sin qui suc-
ceduti , ma quel che più deve maravigliare , sono i molti e
svariati fenomeni che ne seguirono. Non la finirei cosi presto
se gli volessi tutti enumerare , ma poiché conosco di non potere
soddisfare a tanto, non voglio pei'ò nemmeno tralasciare di dirne
quel poco che comporta la natura dello scritto , e fra questo
72
fo scielta di quello , che io giudico di maggiore importanza a
chi s' occupa della geologia ; la maggior parte di quelle modi-
ficazioni che si notano nelle roccia e ne' monti provengono
dall' essere essi stati attraversati dalla materia fusa , che nei
sollevamenti posteriori alla loro consolidazione venne spinta
in alto dalle parti più interne del gloho ove essa risiedeva.
Di fatto chiunque voglia per poco contemplare la natura nelle
sue odierne operazioni, si convincerà come essa costantemente
adopera a modificare e cambiare i suoi primi lavori. Non altri-
menti è succeduto nei sollevamenti ; e noi 1' abbiamo in più
maniere provato. Ora per viemmaggiormente corroborare le cose
dette, se pure n'hanno d'uopo, noi proponiamo d'osservare
nei monti dove esiston filoni metallici o di altra sostanza ,
come le roccie ivi son modificate. Allora s'acquistei'à la certezza
che vi è stata reazione tra la materia del monte e quella del
filone, ed il risultamento è stato un prodotto particolare di-
sposto in una data direzione , ed il quale non suole occupare
un grande spazio. Ma perchè ciò si compisse, fu certamente
necessario che la materia fosse liquida, e questa liquidità nello
stato attuale della scienza bisogna attribuirla alla sostanza a-
sceudente dall' interno della terra , la quale potè così liquefare
uua porzione della materia solida che 1' attorniava , e metterla
in circostanza favorevole, perchè le diverse affinità ed attrazioni
fisiche potessero operare secondo le leggi stabilite. Oltre a que-
sti gravi cambiamenti chimici che ne seguirono per la pene-
trazione di sostanze liquefatte in quelle già consolidate , o se
sì vuole dire nell' incontro di due sollevamenti, uno antico ed
uno che si formava, altri ne successero, i quali sebbene tutti
fisici , tuttavia non cessano di essere molto importanti per le
conseguenze che in seguito ne derivarono. Tra i principali fe-
nomeni di tale natura si deve annoverare la maggiore elevazione
acquistata da quei monti, che si trovavano sul passaggio della
materia che doveva uscire , e siccome questo avveniva in forza
d' una gagliarda spinta, non è dunque maraviglia che gli strati
di questi monti abbiano in simili occasioni cambiato sensibil-
mente di direzione e d' inclinazione , quando però erano di
sostauiie stratificate, come neppure ci deve sembrare strano che
73
taluni siansi in vari sensi rotti e fessurati. Nel nostro paese
abbiamo molti di questi monti , i quali debbono la loro attuale
altezza e molte delle loro rotture e fessure a spinte ricevute
in vari sollevamenti; il monte Bianco, il monte Viso, il monte
Rosa ecc. sono tutti di questo numero , e diffatti essi sono
attraversati da filoni composti di varie sostanze i quali giacciono
alineati in varie direzioni.
Gli esseri organizzati non comparirono sulla terra immedia-
tamente dopo i sollevamenti , ma vi volle un tempo assai lungo
prima che vi potessero vivere per 1' elevata temperatura che
acquistò il globo. Il continuo irradiamento , ed altre cause che
qui è inutile dichiarare, potendo parere opinioni non ancora
abbastanza mature , avendolo infine condotto in quelle condizio-
ni tutte opportune e favorevoli a molte maniere di essi , non
tardarono a svilupparsi per ogni dove con organizzazione adat-
tata al luogo in cui dovevano rimanersi. Quegli che sono succe-
duti all'avvenimento delle Alpi occidentali conservavano molta
analogia con quelli che poco addietro eransi perduti , e tal
Cosa si comprova facilmente mettendone in confronto le spoglie
sparse nelle due ultime serie terziarie. Il paese nostro è oppor-
tunissimo a questi studj , imperocché in varie delle sue parti
tali sorta di terreni sono abbondantissimi. Chi è curioso di
queste maraviglie meglio che altrove può osservarle nei colli
dell' Astigiana , composti pressoché di sabbie e argille della se-
rie terziaria superiore , nelle quali si sono trovate bellissime
spoglie di pachidermi, di ruminanti, di rettili, di carnivori,
di cetacei ecc. , ed un' infinità di conchiglie univalvi , e bi-
valvi , delle quali alcune vivono tuttora o nel Mediterraneo
o nell'Oceano , altre invece sono intieramente perdute , e sap-
piamo avere esse esistito per causa degli avanzi che ci restano.
I terreni terziarii superiori , ossia quelli che si formarono
dopo il sollevamento delle Alpi occidentali sono ricchissimi di
queste spoglie. Questa abbondanza che non si osserva in quelli
delle serie sottogiacenti deriva , a mio credere , da un com-
plesso di circostanze, il quale ne' primi tempi anziché ajutare
e favorire la vita , le era contrario. La terra secca in quelle
epoche era poca , e quella poca sottoposta a una temperatura
74
eccessiva , ed attorniata da uu' atmosfera sopraccarica d' acido
carbonico. la simili condizioni pochissimi sono gli animali
che possano vivere , e vi vollero tutti i sollevamenti i quali
cambiando e ricambiando la faccia del globo , alla fine l'acco-
modarono in modo tale , perchè ogni maniera di generazioni
organizzate vi potesse prosperare.
Lo stato del globo tale quale noi l'osserviamo , a giudizio dei
geologi gli fu dato dall' ultimo sollevamento detto delle yélpi
Orientali ossia dall' uscita di più propagini di monti tutti di-
retti dall'E. i;4 N. E. all' O. 1/4 S. O. In questo avvenimento
gran parte di quanto esisteva è stato distrutto , e restarono a
secco tutti quei luoghi ove esiste il terreno terziario superiore,
il quale componeva il fondo del mare ovvero di estesissimi la-
ghi.
Il terreno alluviale , cioè quei sedimenti terrosi , sabbiosi ,
ghiajosi e di ciottoli che formano la crosta del globo nostro,
è eziandio di quest' epoca. Io ne avviso la cagione in quelle
portentose cori'enti, che in simile occasione si sono generate
per la quasi istantanea liquefazione delle nevi e dei ghiaccia)
di cui dovevano essere coronati i monti dei sistemi anteriori.
E sebbene sappia che distinti geologi gli derivono da altre cause,
nulladimeno non posso acconsentire a mutare d' opinione ; im-
perocché tutti i fatti da me fin qui osservati invece d' allon-
tanarmene , sempre più me la confermarono. E per non troppo
diffondermi, giacché sou ito senza avvedermene troppo lungi di
quanto a bel principio m'era proposto, mi contento ora di ci-
tare quelle località , che si difficile e ritroso mi rendono a ri-
nunziare alla dichiarata opinione. I colli ed i piani alti che da
noi si chiamano Serre e Vaude, non che i materiali della no-
stra bella e fertile pianura , e quelli che coprono il dorso dei
monti e il fondo di molte valli sono di terreno alluviale , il
quale, quando sia attentamente esaminato, ci scuopre che le va-
rie sostanze sono state rottolate , e certo per buon tratto di
strada, perchè taluni diventarono minuti granelli e granellìni
che si depositarono tra il polverio risultante dall' attrito vicen-
devole di esse sostanze. Chiunque esamina , come noi abbiamo
esaminato queste alluvioni, ci pare impossibile, che non trovi
75
adattata e soddisfacente la spiegazione , che ne diamo , alla cui
credenza invita ancora la conformazione complessiva di quella
parte del suolo , la quale veduta da un' altura si dipinge come
il letto d'un vastissimo fiume, sul quale si solcarono tanti alvei
decrescenti a misura che le venivano mancanti le acque per
alimentarlo.
Da questi strati si dissotterrano talvolta spoglie ben conser-
vate di pachidermi e di ruminanti, le quali non furono fran-
tumate, e così disperse, forse perchè restarono tosto coperte
di limo 5 o perchè qualche grande masso le difese dall' urto e
dall' attrito di quanto vagava per le acque. Nelle pianure del
Tanaro e del Po in Piemonte se ne sono trovate delle bellis-
sime, che ora sono riposte e conservate nel Museo della Regia
Università di Torino. Anche le breccie ossee le opino di que-
st' epoca , ma per ora tralascio di parlarne , avendo già tra-
passato di gran lunga , non so come , i confini che m' era
prefisso in mente quando presi la penna , e ciò ho fatto cou
istile secco , e digiuno d' ogni leggiadria, perlocchè non è im-
possibile che ne venga da molti biasimato , ed io non saprei
contraddirlo: ma se arrivai al mio scopo di spingere al rintrac-
ciamento della verità, la quale come dicea Seneca : Omnibus
patet j nondum est occupata : qui ante nos fuerunt , non Do-
mini , sed duces sunt ; multum ex illa etiam futuris relictum
est; io me ne terrò contentissimo.
76
JjETTERATUIVA — Saggio sull influenza che ebbero
diverse, religioni sopra diy^erse letterature.
La letteratura delle più antiche nazioni fu mai sempre annessa
alla loro religione. L'uomo in quelle prime età rivolgendo at-
torno a sé lo sguardo , e rimirando da ogni lato e sopra il suo
capo tanti prodigi a sé inesplicabili del cielo e della terra ,
non potea essere che non ne concepisse T immensa possa di
un Nume operatore di quelle meraviglie. Da quello perciò ri-
conosceva tutti i grandi avvenimenti che succedevano nella sua
nazione. Nelle calamità ne implorava atterrito la clemenza , e
nelle felici avventure ne esaltava con impeto di allegrezza la be-
neficenza. La religione estendeva ancora la sua forza su tutte le
grandi azioni e pubbliche opere , e i sensi e il linguaggio della
religione erano quali gli dettava 1' entusiasmo della poesia. Le
arti e le scienze trovavansi allora come nel germe implicate in
quella poesia religiosa. Laonde il poeta o vate era insieme il
sacerdote , il legislatore , lo storico e il filosofo della sua na-
zione , e con quel sacro carattere ammaestrava le genti. Gli
antichi sacerdoti dell'Oriente, e le memorie che ne rimangono
ne rendono testimonianza. Questa verità apparisce pure espressa
elegantemente da Orazio , là dove chiama Orfeo sacer inter-
presquG Deorum , e poco appresso
.... Fuit haec sapientia quondam
Publica privatis secernere , sacra profanis
Concubitu prohibere vago : dare jura maritis
Oppida moliri : leges incidere liguo.
Sic honor et nomen divinis vatibus , atque
Carminibus venit.
Da questo si chiarisce come la religione improntava del suo
proprio carattere tutta la letteratura della nazione in cui ella
dominava. Non sarà perciò senza utilità né diletto il conside-
rare brevemente quale eia stata l'influenza che diverse religioni
n
ebbero sopra letterature diverse , e come le abbiano segnate
del loro proprio marcbio 5 per modo cbe conosciuto il carat-
tere di una religione , si potrebbe quasi anticipatamente desi-
gnare quale sia stato il carattere della letteratura sotto quella
stessa religione. Io verrò gittando solo i semi delle idee cbe poi
nei vividi e fecondi animi potranno esplicarsi e crescere am-
piamente.
Egli non si può rivocare in dubbio cbe la remota orìgine
della greca civiltà e delle grecbe istituzioni anticbe si trovi sulla
costa dell' Egitto , nelle pianure della Persia , e forse sopra
l'alto piano dell'Asia centrale. Ma l'idea dominante dell'Oriente
era quella della religione. Leggi , istituzioni , lettere ed arti
erano sotto l'imperio di quella. Ma qual era la loro religione?
Quelle antichissime genti forse ancora vicine a una tradizione
primitiva cbe presumeva riscbiarare la culla del genere umano,
esser doveano fort^tnente colpite dalla immagine oscura sì, ma
certo grande di un Nume eterno, onnipotente, immutabile; e
sopraffatte da questa grande idea , e quasi smarrite considera-
vano come un nulla la loro fragile esistenza. Quindi la prima
epoca dell' umanità fu il predominio di questa idea dell' asso-
luto, dell'immutabile, dell'infinito di quel principio eterno,
e del nulla dell' uomo rimpetto a quello. Di questa idea erano
improntati i monumenti simbolici e misteriosi della loro reli-
gione e le opere delle arti , grandi e smisurate. Le piramidi
dell'Egitto, i templi, i monumenti di Babilonia, di Persepoli,
e quelli dell' Indostan ne fanno testimonianza. Questo pensiero
apparisce a chiare note scolpito in un episodio del gran poe-
ma indiano intitolato Bagavalgita, riferito pure dal Cousin nelle
sue lezioni di filosofia. Ivi si l'acconta come due grandi eser-
citi stavano a fronte 1' uno dell' altro per venire ad una cam-
pale giornata ; era quella una guerra civile , epperciò da una
parte e dall'altra doveano azzuffarsi per togliersi la vita parenti
e concittadini. Un giovane guerriero per nome Ardscuna ,
cbe era uno de' principali capitani dell'esercito, nell'ora immi-
nente di versare tanto sangue di parenti e di amici è compreso
da pietà , gli vien meno il coraggio , e confida questa sua ir-
resolutezza a Crisna. Or ecco nella risposta di Crisna', che
7S
pur era una divinità, la dottrina di quella filosofia o religione.
« Invero tu mi sembri puerile con questa tua pietà I che parli
d'amici e di parenti? che parli d'uomini? uomini, animali,
tronchi o piante sono lo stesso. Una forza perpetua ed eterna ha
creato tutte le cose che vedi, le affatica e le rinnova senza posa.
Ciò che ora è uomo era jeri pianta o materia inerte; domani
tornerà al suo primo stato. Il principio di tutto questo è eterno;
tutto il rimanente che monta? nulla. Tu come uomo della Ca-
sta o ordine de' guerrieri sei condannato a combattere ; com-
batti. Ne nascerà una spaventevole strage : che importa? domani
il sole risorgerà sul mondo a rischiarare scene novelle : e il
principio eterno sussisterà : fuori di questo tutto è illusione.
L' errore fondamentale è di prender per reale ciò che non è
se non apparenza. Se dai qualche importanza a queste appa-
renze t'inganni, se dai importanza alle tue azioni t'inganni
ancora. Il merito dell'azione consiste nell' esser fatta con una
profonda indifferenza dell' animo per rispetto al risultamento
che ne può sorgere. Conviene che 1' uomo operi senza che si
prenda cura dell' effetto che ne può nascere , imperturbato
e immobile nell' interno , e con gli occhi di continuo fissi sul
principio assoluto , che solo esiste di una vera esistenza. »
Ecco adunque il perchè in faccia di questo deismo terribile
figurato in que' loro simboli e monumenti strani e giganteschi,
la natura umana dovette smarrirsi ; e le arti e le lettere ten-
tando talvolta di esprimere quella infinita e assoluta possanza,
abbandonarsi ad opere ed a concetti grandi e smisurati. A que-
sta idea dominante del grande e smisurato contribuiva pure la
natura de' luoghi. Vasti deserti , immense pianure , sterminate
catene di montagne e la vastità dell' oceano testimoniavano la
immensa possa del Nume , e la picciolezza dell' uomo. Aggiun-
gasi a questo il linguaggio orientale di sua natura metaforico ,
perchè non ancora copioso di termini. Ma il carattere del
sublime più chiaramente apparisce nella sacra scrittura. Ivi
eziandio le leggi , le istituzioni , le arti erano sotto 1' imperio
della religione , essendo mera teocrazia il governo del popolo
d' Israello. Rapiti ad ammirare la infinita possa di Dio , a lui
riferivano tutti gli avvenimenti che intorjoo a loro succedevano;
79
e slanciandosi le loro menti a quella ineluttabile volontà eterna,
creavano spesso il sublime. Tale è la Genesi di Mosè , l' inno
sul passaggio del mar rosso o eritreo , e quello del suo testa-
mento. Sublime il libro di Giob , e sublimi i Profeti , che
nella visione della potenza eterna con grandi commozioni ne
vaticinavano il futuro. In tutti predomina quella idea della
sterminata possa del Nume , e del nulla dell'uomo e delle umane
cose : u Dov' eri tu , dice all' uomo Iddio nel libro di Giobbe,
quand' io gittava i fondamenti della terra , e quando gli astri
lodavanmi in sul mattino , e giubilavano i figli di Dio ? » Ed
Isaia esclama: « cbi colla destra misurò i mari, o i cieli pesò
colla palma ? Ecco i popoli riputati sono come una goccia d'acqua.
Tutte le genti al cospetto di lui quasi un vacuo e nulla. » E
Abacuc; « Stette Iddio, e misurò la terra d'un guardo. Mirò,
e distrusse le nazioni : ridotti furono in polvere i monti del
secolo. Le montagne ti videro, o Signore, e tremarono, anda-
rono a nascondersi nell'Oceano. Il gorgo dell'acque passò: l'a-
bisso mandò il suo grido. » In que' tratti è scolpito il sublime
orientale.
Le lettere dall' Asia e dalle rive del Nilo discendono a sta-
bilir la lor sede sulle coste della Grecia. Generate di un pro-
gresso le lettere , le arti e le istituzioni greche sono natural-
mente progressive. Esse vengono a mano a mano svolgendosi
e separandosi dalla religione ; e già più non formano una cosa
medesima con quella , ma pur ne ricevono ancora il carattere
e il lume. Ritengono ancora una qualche idea del deismo orien-
tale rappresentata specialmente in quel fato ineluttabile, ferreo,
sempiterno , innanzi a cui tutto cede e frangesi. Onde i primi
tragici , Eschilo principalmente nel Prometeo , rappresentan-
done in parte quella dottrina orientale , solevano esporre in
sulle scene qualche eroe dell' antichità nella lutta col fato ,
combattuto dalle sventure che evitar non potea. Ma il colmo
della virtù era d' esser tetragono a que' colpi inesorabili , di-
mostrar l'animo invitto e superiore in certo modo al fato stesso.
Qui dunque 1' umanità non più si annichila in faccia a quel
principio eterno degli orientali, non più si considera come un
nulla , ma attribuisce pure qualche importanza , qualche va-
so
lore alle sue proprie azioni. Ed ecco nel suolo greco eorge la
greca religione , ed accanto al fato , immagine di quel nume
orientale , crea mille altre divinità pieghevoli ai bisogni ed al
sollievo degli uomini. Il cielo , la terra , il mare sono popolati
di numi benefici. Un nume è il sole , che guidando pel cielo
il suo carro accompagnato dalle Ore e dalle Stagioni , e prece-
duto dall'Aurora ravviva e feconda la natura. La Luna e la Notte
sono pur esse consolatrici deità. Le selve , i monti , le valli ,
i fiumi hanno i loro dei e le loro dee , che favorevoli all'uomo
han cura di far germinare la terra, coprir di frutti gli alberi,
ondeggiar di messi il suolo, e versare da inesauribil urna le
acque ai fonti e ai fiumi. Il mare stesso , 1' oceano non è più
un deserto vorticoso e inospitale , ma un mondo di divinità :
Nettuno , Teti , le Nereidi , ì Tritoni rendono più giocondi que'
gorghi immensi. L'idea della bellezza, della varietà, dell'ele-
ganza si diffonde sulla greca religione : e tale è pure il carat-
tere della greca letteratura , che traeva dalla religione i suoi
colori va^ii , vaghi , e ridenti. Ne sono una vivissima immagine
i poemi di Omero : e quel carattere dai poemi di Omero si
diffuse non solo ai diversi generi di poesia greca , ma agli sto-
rici altresì , ai filosofi ed agli altri scrittori. Le belle arti ani-
mandosi dello spirito di quella religione ne improntavano co' più
famosi pennelli e scarpelli le immagini divine.
Grande è il progresso che si è fatto dall'Oriente nella Grecia.
Là tutto è immobile, arti, istituzioni e lettere ravvolte nell'
oscuro velo di quella religione col carattere del grande e smi-
surato. Qua tutto è mobile , tutto è varietà , vita , grazia nelle
arti, lettere e istituzioni. La religione riflette sopra queste, qual
iride bella, i suoi vaghi colori. Ma per meglio comprendere
questa diflerenza tra 1' Oriente e la Grecia varrommi di una
similitudine ingegnosa del Cousin. Immaginate un'antica statua
egiziana, p. e. quella della dea Iside o del dio Osirij e di
fronte a quella immaginate una statua greca « quella di Mi-
nerva o di Venere. Nella prima voi vedete una colossale figura
massiccia e rude nell'aspetto, colle braccia in giù distese e ser-
rate al corpo, coi piedi giunti insieme, senza alcun atto di mo-
vimento o indizio di vita. Ma nell'altra statua tutto il contra-
81
rio apparisce: si scorge cìie qiieìla fronte, quel volto sono ani-
mati da un sentimento che non é privo d' affetto verso gli
uomini; quell'atteggiamento, quelle braccia, quelle membra
tutte ben contornate e sciolte dimostrano una grazia divina ,
un alito di vita. Ora quella statua gigantesca d'Iside o d' Osiri
rappresenta l'idea del genio orientale nella letteratura non men
che nelle arti; e la statua di Minerva o di Venere riassume
l'idea del genio greco. A questa idea del bello nelle lettere ed.
arti greche contribuì pure la natura del luogo. Quelle regioni
jmene, irrigate da bei fiumi , svai'iate da colline , da valli e
da vaghissimi prospetti , circondate da rive e stretti di mare
ispirar potevano alle lor menti immagini gioconde ; e la lor
lingua ricca, pieghevole e arnoniosa si arrendeva mirabilmente
ad esprimerle. E nota la religione e la letteratura de' Romani.
Il mondo greco e romaiìo formano, per modo di dire, un solo
mondo : se non che la religione appo i Romani in sembianza più
grave , e la grandezza del loro imperio valsero per avventura a
dare alla lor letteratura un carattere di una maggiore gravità.
Or vogliam noi sapere quale sìa stata la letteratura di alcuni
popoli del settentrione, per cagion d'esempio, degli Scandinavi?
Osserviamone la loro religione : un complesso di spaventose tra-
dizioni , di streghe , di lemuri , di geni del male e di tetre
oiubre che funestavano la lor fantasia. Tetra perciò è la tinta
della loro letteratura. Le poesie de' poeti Scandinavi , le loro
storie favolose ne fanno fede. Si ponga a canto a quella la
letteratura degli Arabi , e si conoscerà come quella volut-
tuosa religione del lor Maometto abbia pure giovato a quelle
deliziose e incantevoli immagini de' loro poeti e romanzieri.
Noi non abbiamo vcrun monumento certo dell antica lettera-
tura de' Galli o de' loro Druidi, che ne erano i maestri , i sa-
cerdoti e ì giudici: ma ne basta sapere, per conoscerne la na-
tura , quanto fosse feroce e crudele quella loro religione che
si compiaceva di vittime umane : basta sapere che solcano qvie'
druidi in certe solennità raccogliersi nell'interno delle loro selve,
ed ivi con riti misteriosi costruire di rami e di vinchi simu-
lacri di smisurala grandezza al loro dio Eso , empierne le mem-
bra tra i rami e vinchi d' uomini vivi , e appiccare il fuoco a
6
82
quella orribile forma del nume; tal che le Gamme stridenti e
le orrende grida delle vittime tra le scintille del fuoco e i vor-
tici del fumo rendessero un grato concento all' orecchio di quella
crudele divinità. I cittadini e qualche volta i fratelli, le mogli
e i figliuoli non andavano esenti dalF abbominevole sacrifizio.
Chi potrà perciò dubitare che non fosse sparsa di atroci sensi
ed immagini quella loro, qual che si fosse, letteratura ? Tras-
portiamoci ora col pensiero nelle valli della Scozia tra gli an-
tichi Caledonii , udiamo il canto di que' Bardi e del principe
de' Bardi Ossian. Quali dolci e vaghe immagini non prestò alla
lor poesia quella a noi oscura religione ? Ivi le anime de' con-
giunti e degli amici estinti vedeansi errar sulle nubi , e spesso
affacciarsi dal seno di una leggiera nuvoletta e sorridere agli
amici. Ne sentivan la voce sul fioco sospiro di un' auretta che
passava lamentevole^ e talvolta nella tacita notte vedeva un
amico dolente scendere sul pallido raggio della luna lo spirito dell'
amico, e udialo rispondere in debil suono, o toccare le corde
dell'arpa pendente. Erano i valorosi, al partir della vita, in-
contrati dai loro padri in lieto e luminoso aspetto, e ricevuti
dentro le nubi in un palagio aereo. Queste e cento altre imma-
gini dolci e delicate somministrava all' Ossian quella religione
de' Caledonii. Gli spiriti del cielo, dei colli, della notte, della
tempesta vi fanno pure di sé bella mostra. Che se non si deb-
bono nella nostra poesia trasportare quelle fantasie proprie di
altra religione, di altro cielo, di altri costumi, non è perciò
men gradevole 1' illusione che producono nell' aniirio di chi
coir immaginazione si trasporta a que' luoghi , a que' tempi, a
quelle credenze. Ora io dovrei ragionare della nostra religione
cristiana, vera consolatrice de' cuori, dovrei dimostrare quale
sia stata la sua influenza sopra la nostra letteratura , e come
l'abbia diversificata dalla letteratui'a de' Greci e de' Romani, e
in alcune parti l'abbia resa ancor più sublime e veneranda,
come si è ella stessa; ma essendo molto ampio il campo che
mi si para innanzi , mi giova per ora di chiudere come il Fer-
rarese poeta :
All' altro canto vel farò sentire ,
Se all' altro canto mi verrete a udire.
Francesco Lanieri.
83
Poesie tceiie di T. Moore tradoice da Giovanni Plecchia.
La conoscenza delle straniere ielterature è ai nostri tempi
sì necessaria, che coloro i quali con anticipato giudizio, e mal
inteso nazionale orgoglio le sprezzano , non già amanti della
patria reputar debbonsi, ma sibbene ostinati settarj di un st-
£temd quanto in sé falso, altrettanto nocivo al vero progresso
dell' italiana letteratura. — Infatti allorché noi ci studiamo di
prender conoscenza delle bellezze, che sfavillano nelle opere
degli egregj stranieri, qual' altra cosa facciamo che cercar di
arricchire vieppiù il patrimonio delle li;ttere italiane , trapian-
tando quale eletto frutto in suolo straniero educato quanto han
di bello e di buono le straniere nazioni ? Lo sdegnar di cono-
scere i migliori parti di chi nacque al di là delle alpi e del
mare si è lo stesso come se volessimo vietare l'uso degli aromi
e dei semi cresciuti in un altro continente solo perchè non
bevettero l'aria e il sole d'Europa. — Lode quindi si deve
( e non volgar lode ) a tutti quei benemeriti , che coli' uopo
di belle ed acconce traduzioni delle migliori opere straniere
sanno trasportarci in un mondo novello , rendendoci famigliari
le idee e le creazioni più vaghe e più profonde , che misero
radice e germogliarono al di là del mari e dei monti. — Ora
fra le moderne nazioni che sono più feconde di sublimi tro-
vati, di pensatori egregj, d'immaginosi poeti si è certamente
r Inghilterra: e invero qual' altra nazione può vantarsi di un
genio pari a Sakespeare ? Forse la sola Crocia può mettergli
a confronto il suo Omero e 1' Italia il suo Dante. Ai dì no-
stri qual altro vate di qualunque nazione poteva e può dirsi
pari a Bjron , al sovrano poeta, la cui sfolgorante fantasia si
stese con ugual forza a svelare l' abisso il più profondo dell'
umano cuore , a cantar le gesta degli eroi come ad aggirarsi fra
le inezie dei molli seguaci d' Epicuro e degli scioperoni del
84
trivio? Ora nel novero dei molti illustri poeti, dei quali la mo-
derua Inghilterra s'onora, merita un luogo distinto Tommaso
Moore, il cantore degli Amori degli Angeli e di Lalla-Rooh -^
del quale annunziamo ora tradotte alcune scelte poesie. Il tra-
duttore di queste si è il sig. Giovanni Flecchia, già noto per
altre purgate e immaginose poesie originali. Se io dico che que-
sta traduzione del Moore è una delle migliori , che abbiano ve-
duto la luce in questi giorni in Italia, io son certo che nes-
suno vorrà appuntarmi come appassionato e parziale : diflflcil
cosa ( e più che qualcun non crede) si è il ben tradurre e spe-
cialmente la poesia : quando il dover ir dietro ai voli della bol-
lente fantasia in uno straniero poeta, e il farlo sì che senza
tradirne 1' intenzione , tragga veramente un vantaggio dal tras-
latamento la nostra letteratura , e se ne arricchiscano le posses-
sioni , richiede gran forza d' intelletto , cognizione d' entrambe
le lingue , e cuore che molto addentro senta nelle più riposte
bellezze. Di tutti questi pregi va certamente adorno il signor
Giovanni Flecchia : e se togli qualche leggera tinta di monoto-
nia che qua e là regna in qualcuna delle annunziate poesie ,
la sua traduzione può sfuggire alla critica più acuta. I suoi versi
sono sì armoniosi e leggiadri, che io credo che nella tradu-
zione poco o nulla scapiti , se non avanza 1' originale. Facciasi
dunque plauso al traduttore, eh' ^gli è grandemente benemerito
dell' Italia.
ji{'i>. F. Coiicone.
85
Belle Arti — Lettera vi.
SULLA instabilità' DELLA MUSICA.
Varium et rnulabile semper.
VlRC.
A voi parrà tempo d' uscire di chiesa , e d' udire le musiche
profane 5 cosicché io sarò costretto a continuare la sinfonia con-
ducendovi ai teatri, alle accademie, ai concerti, su per le piazze,
pei trivj , e forse anche per le taverne , onde ve ne facciate
un' idea compiuta e perfetta 5 nella quale passeggiata talvolta
dovrò dirvi: eh! badate bene; anche questa è musica, quan-
tunque poco differisca dal guaire dei gatti , o da strepitoso bac-
cano. Del resto guardate che la passeggiata sarà lunga 5 poiché
la musica avendo ottenuto un passaporto d' ubiquità , o privi-
legio di cosmopolizia che vogliate dire , ed essendo perciò cit-
tadina di tutto il mondo, saranno innumerevoli i buchi in cui
dovremo visitarla. Ma come il bell'autunno ancor ci fa grazia
di sue lusinghe, sarei quasi tentato di menarvi tosto lungi dalla
città per le campagne a udire i bei concerti de' contadini , e
dei pastori ; onde da questa musica semplice e rozza fai'ci scala
a quella della città . , , Ma adagio 5 che io non potrei assicu-
rarvi di farvi gustare tra i boschi, e lungo i ruscelli le belle
Egloghe de' Goridoui, e degli Alcssi accompagnate dalle pive ,
dalle zampegne , dalle cornamuse , in breve da tutta la bosche-
reccia orchestra. Pur troppo, amico , le valli e le selve non
risuonano più come una volta ! i pastori non son più poeti ,
non son più musici ; essi, come crtdo, perdettero tanta abilità
dopoché i musici e i poeti diventarono pastori. Però vi sarebbe
in cambio un'altra musica da udire in campagna , musica pur
seuipllcc , bella, varia, inalterabile, e veramente ferma, siccome
fermo é l'istinto che la produce, voglio dire l'armonia del
coro pennuto... Che ve ne pare? sarebbe ella degna del vo-
stro gentilissimo orecchio, della vostra mente osservatrice? Io
vi accerto che udiremmo de' bei trilli, e gorgheggi, e modu-
lazioni^ e volatine di gola da disgradarne le Catalani e le Ma-
librau , e che saremmo anzi accolti con piacere nel loro gra-
tuito teatro, poiché anche gli uccelli ambiscono d'essere ascol-
tati, d'essere ammirati nelle loro gare, nelle loro bravate, e
vi so dire che amano più questo che il dar nelle ragne , o
l'essere arcobuglati dai barbari cacciatori. Ma quale non sarebbe
poi la vostra maraviglia, quando in un momento di pausa io
vi dicessi all'orecchio: ehi I badate bene anche qui; che questa
è musica maestra. Imperocché non è dubbio che noi uomini
avendo molte cose imparate dalle bestie, come per cagion di
esempio dalla volpe la frode, dal serpente la sottigliezza, dal
leone la ferocia, dai cani l'ingordìgia, avrem pur dagli augelli
appresa la musica , non dico la stromentale , ma la vocale ; di
modo che le rondinelle e i cardellini ci saran stali maestri di
melodia, i rossignuoli d'armonia, i merli di contrappunto, e
via discorrendo. E come anticamente usavansi contraccambiare
le fatiche de' maestri, e d'altra parte dando j et accijjiendo la
società si mantiene, e l'amicizia si conserva; noi uomini e sco-
lari ci saremo addossati in generale di donar le belve feroci ,
e malefiche , che sono i turbolenti della repubblica belvlna ,
ed in particolare in quanto ai pennuti d'insegnare l'articola-
zione ai pappagalli. Ma quesito contratto non dovette durar molto,
avendo gli uomini mossa guerra anche ai quieti ed innocui
animali, incarcerati molti uccelli pei loro sollazzi, e destinatine
molti al supplizio delle loro mense. So bene che alcuni non
ammetteranno l'esistenza di questa scuola, né di questo contratto
siccome non necessario, avendo potuto gli uomini imitare il
canto degli uccelli, come s'imitano le altre cose, procurando
di migliorare , e direi quasi umanizzare quanto vedevano farsi
da loro. Ma per me poi fa lo stesso, sapendo che l'imita-
zione è una scuola muta 5 né per altro la natura fu chiamata
maestra che per aver tacitamente insegnato agli uomini quanto
dovessero a lor vantaggio e diletto operare.
Comunque però sia la cosa, allorché gli uomini lasc'.asono
I^a '■/era scuola della natura, e uieùer^i a contraiLìre Tun T altro,
87
o ad imìlare il peggio , le arti cominciarono a decadere. Né
allrìmenti doveva avvenire alla musica allorché i suoi cultori,
trascurato il canto degli augelletti, si volsero ad imitare il rug-
gito del leone, 1' urlo del lupo, il brontolio del tuono, il fra-
casso dell' artiglieria , facendoli credere più belli , più dolci
delle soavi melodie de' boschi , avvezzando la moltitudine ad
accorgersi dal rumore della esecuzione d'una sinfonia, come
dal tuonare avvedevaiisi gli antichi dell' esistenza di Giove. Per
questo reo costume accadono tempi, in cui non si sa più dove
stia il buono ed il bello , in cui i figli trovan belio e buono
quanto ai padri ed agli avi era paruto cattivo, e disgustoso, e
viceversa; accadono tempi in cui le arti s'aggirano in un vor-
tice d'incertezza, d'errore, d'instabilità, in cui ogni palato è
diversamente soddisfatto, e gli ingegni debbono cucinare su tanti
gusti quanti sono i commensali. E questo caos d' incertezza si
osserva principalmente nella storia musicale.
Infatti ( per non trattenervi più in preamboli ) dall' età pol-
lo meno di Palestrina sino a' goriii nostri , il che vuol dire per
tre secoli , altro non fece la musica e sacra e profana che di-
vagare qua e là incerta ed instabile , cangiando ad ogni età e
metodo , e gusto, e tenore, prevalendo sempre il nuovo sulla
distruzione del vecchio. Cosi le prime opere musicali del sec.
XVII, in cui un Caccini, un Carissimi, un Peri, un LuUi ,
uu Zarlino avevano abbozzato il nostro melodramma con molto
senno e gusto , caddero in un eterno obblio all' apparir dei
drammi di Zeno , e poi di Metastasio , su cui i più valenti mae-
stri sudavano a prova. Correva allora 1' età aurea per la musica.
Vinci , Pergolesi , Porpora , Marcello , Gluck , Hasse con altri
cccelleuti erano ricercati per tutta Europa; l'opera in musica
aveva toccato il colmo della perfezione, e della gloria. Eppure
cinquanta, o sessaut'anni dopo la fama e le opere di costoro
erano ecclissate perpetuamente dai Cimarosa, dai Paesiclli, dai
Tarchi , da Mozart , dagli Hajdn , e poco dopo da Majer, da
Paer, da Generali, da Fioravanti, da Guglielmi. I quali videro
i padri nostri, e noi oscurarsi allo splendore de' maestri viventi
che trionfarono di loro, e di tutti quelli che per tre secoli
avevano guerreggiato ne' campi teatrali. Eccovi toccata di volo
88
la storia di cjuesta musicale incertezza, la quale non ha biso-
gno di più lungo e minuto racconto per essere dimostrata. Ella
è cosa certa e nota, verità ammessa universalmente.
Che se il fatto è chiaro , la causa non lo è egualmente ,
almeno per tutti 5 pochissimi, cred'io, potranno immaginarsi
d' onde tanta instabilità derivi, da qual misterioso fonte queste
onde incalzantisi continuamente scaturiscano. Questa incertezza
deriverebbe dalla natura medesima della musica, e da circo-
stanze che su lei influiscano? Io noi saprei, ma nella mia igno-
ranza sarei tentato a domandare se p. e. la musica sia una
scienza, od una moda, e non un'arte imitatrice? Imperocché se
è scienza, dovendo progredire e far contiaai acquisii, e perfe-
zionarsi coir andar de' giorni, la sua instabilità è quasi spiegata,
benché il suo fermarsi non ancora si possa prevedere. Se poi
è articolo 4^ moda com3 le foggie del vestire, e dell'ornarsi ,
ella debbe essere naturalmente variabile , valium et inutahile
seniper. Che se voi con moìlissimi altri la volete arte bella ,
arte imitatrice come la pittura e la poesia , io vi domanderò
perchè sia così dissiatile dalle altre belle arti , per cui é già
fermo e consentito qu:into è buono e bello, quanto debba pia-
cere in ogni età, in ogni paese? Io vi domanderò perché in
fatto di musica la prcclri-ione del giorno, V opera nuova sia
sempre la meglio arrivata, e faccia dimenticare le antecedenti,
e le vecchie come abiti logori, 0 scarpe sdruscite? Che qualche
periodo d'anni infausti sopraggiunga alla musica come alle altre
arti , che siavi per lei anche l'età marinesca , ed ossianesca dopo
le quali passi a miglior secolo non vi è meraviglia ; ma che
venga continuamente travagliata dalle vertigini, dal capogiro ,
uè trovi pausa una volta nel consenso d' un bello stabile e vero,
in un tipo, in un'idea regolatrice, io non la capisco.
Né vi tacerò che alcuni bau voluto spiegare questa incertezza
musicale 5 le cui opinioni perchè a me paiono singolari credo
pregio dell'opera addarvi qui con qualche mia osservazione ;
dopo di che io vi proporrò i miei dubbi ( perchè torno a dirvi
che non ne so niente ) e così darò fine alla lelLeia. li Betti-
nelli dopo d'avere discorsa l'incertezza della musica, asserisce
che allora sarà certo il riaorgiiuenlo di lei ( che egli teneva
89
ancora per morta ) quando sì aura Vequivalente d'una poetica
di Aristotile j e d' Orazio _, d'una rettorica di M. Tullio , e di
Quintiliano. Quantunque i lamenti del P/ Bettinelli sulla in-
stabilità di quest' arte siano giusti, e le sue osservazioni storico-
Jilosojiche di qualc'ie peso; nondimeno l'aspettare il risorgimento
della musica dall' autorità d' un codice, e dalle regole de' pre-
cettori è cosa arrischiata. Se la poesia p. e. nacque, e crebbe,
e maturò prima delle poeticlie , e senza i precetti, anzi se le
regole dei maestri si modellarono sulle opere dei poeti, perchè
la musica avrà bisogno di questo meschino equivalente onde
prender fermezza? Se Omero e Dante non aspettarono né Ari-
stotile, né Gravina per fare quanto han fatto, perchè do-
vranno aspettarli i maestri di musica? Foi'sechè i musici non
nascono come i poeti , o non han da imitare come i poeti ?
Conceduto che le poetiche abbian guidato qualche verseggiatore,
esse non crearono mai poeta. Perciò il rimedio del Bettinelli
non otterrebbe effetto. E poi come potè egli asserire che la
musica non abbia avuti i suoi precettori? Cosi poco gli erano
noti i teorici dell'arte, un Doni, un Galileo, un Mei, un
Zarlino, un Rosseau , e molti altri, i quali se non furono né
Grazi , uè Quintiliani scrissero però cose siffatte sull'ai'monia ,
e sul bello musicale, che ove fossero state necessarie, la mu-
sica n' avrebbe avuto gran vantaggio. Perciò il rimedio del Bet-
tinelli non ottenne eiTelto.
Il Mayer, da me altra volta lodato, si fa nel suo Discorso
tale domanda : « Se l'espressione musicale è fondata su prin-
» cipii stabili , e certi al pari di quella di tutte le arti imi-
» tative , d'onde nasce che il gusto in fatto di musica varia
» ad ogni età a tal seguo, che quelle stesse composizioni che
)> formavano la delizia degli avi nostri , sono divenute insipide
» ed insoffribili per noi ?» E vi risponde con una osserva-
zione degna del suo sapere, ma non sufficiente a risolvere la
difficoltà. Imperocché dice egli che il tipo dell'arte stando più
nei cuore, e nell'immaginazione del maestro mentre crea le
melodie, che negli oggetti sensibili della natura, come nella
pittura, e simili, ne seguita che al compositore richiedesi mag-
gior forza di fantasia, e maggiore squisitezza di sentimento
m
onde crear melodie originali; ed inoltre siccome l'armonia è
una maga che affascina ed inganna i sensi 5 così per le accen-
nate difficoltà non è maraviglia se poche sieno le cognizioni ,
in cui brillino i veri pregi dell'arte, ai quali pregi sostituen-
dosi continuamente ornamenti falsi , che tosto generano sazietà,
egli è gioco forza d' andar sempre in traccia di novità che sol-
letichino le orecchie degli uditori. E questo, dico io, è quanto
accade più spesso non per le difficoltà dell'arte, ma per il poco
senno, e la molta premura de' compositori anche valenti. Im-
perocché in quanto all' assoluta difficoltà addotta dal Mayer, io
non so se i maestri debbano essere ingegni più trascendenti ,
ed immaginosi de' poeti e de' pittori , e se quelli intendano a
cose che sieno fuori della sfera del vero, del bello, del buono
che questi dilettandoci a noi van presentando. E poi tanto i
poeti , quanto gli altri artefici abbiano pure i tipi negli oggetti
sensibili, ma se nulla ricavano dal ripostiglio della fantasia, se
nulla astraggono, stan freschi. Io direi piuttosto che la difficoltà
consiste non tanto nel crear melodie, quanto nell' adattarle al
soggetto. Infatti quante idee originali non troviam noi ne' mo-
derni compositori , le quali per essere fuori di luogo come i
delfini nelle selve , e i cignali ne' mari fanno cattiva figura !
Quanti bei motivi originali sono guardati in cagnesco dalle pa-
role, dalla scena, dalla situazione drammatica!
Vengo ad un tei'zo osservatore. Il Carpani nelle sue lettere
sopra Haydn attribuisce F instabilità del gusto musicale alla
mancanza d' un vero bello riconosciuto , e canonizzato -per tale
nella musica. La ragione che egli assegna è questa : « Nelle altre
» arti il piacere intellettuale è maggiore del fisico, e quindi è
» toccato alla ragione a fissare questo bello , e la ragione es-
» sendo immutabile , lo devono essere pure le sue decisioni , i
» suoi teoremi 5 ma nella musica, il cui diletto per ben quat-
» tro sesti è fisico , tocca al senso a decidere 5 e primiera-
» mente il senso decide con infallibilità del piacevole, ma non
)) COSI del bello : poi la stessa sua decisione sul piacevole è
» bensì vera pel momento , ma non lo è più pel tratto suc-
M cessivo , perchè il senso non prova gli stessi gradi di pia-
)) cere nelle successive scosse dello stesso oggetto stimolante...
91
» Ciò posto oserei profferire un'eresia (e non è la prima)
» che per altra ha in se molto di vero , ed è che gran parte
» del hello nella musica consiste nella novità. » Che cosa tì
dissi io fin da principio ? che 1' opera nuova è sempre la me-
glio arrivata 5 ed il signor Carpani ve lo conferma , e soggiunge
tosto che pure ia musica vi è un bello reale d' armonia j non
di melodia, perchè l' archetipo di questa non è ancora Jis salo.
Che volete ? anche la musica ha i suoi sensisti. Ma per me
che iu musica sono per quattro ed anche cinque sesti spiri-
tualista , osservo con piacere , non esservi differenza tra questa
e le altre arti ia quanto all'influenza che esercitano sui nostri
sensL Se questa differenza esiste , non può trovarsi che nella
diversità degli slromenti che ciascuna impiega , dirò meglio
nella materia. Imperocché se vuoisi far credere che la musica
perchè adopera suoni , e non colori , non. versi , nou linee ,
non form« debba essere quasi esclusa dal dominio intellettuale,
e star fuoruscita ai confini de' sensi , occupandosi a grattar
semplicemente 1' orecchio , io domando se i colori , e le forme
siena qualche cosa di più nobile , e spirituale dei suoni ; se
r udito sia. più materiale dell' orecchio , se sia il senso di ri-
fiuto , il plebeo tra i sensi nostri? Che tale possano averlo te-
nuto finora alcuni maestri, cantori , ed impresari con somma
ingiuria del pubblico non si può negare ,• ma che tale real-
mente sia , e tale creato , nessun lo vorrà credere. Inoltre quella
ragione infallibile chie ha fissato il bello nelle altre arti, di qual
mezzo ha cominciato a servirsi ? dei sensi cred' io ; altrimenti
come avrebbe fatto ? Se i colori , e le forme entrano per gli
occhi e vanno all' anima per farsi giudicare , quale intoppo
trovano nei meati acustici le note musicali , che loro impe-
disca di presentarsi al medesimo tribunale , tanto più quando
sono accompagnate dai versi? Non dico di più, perchè forse
un' altra volta dovrò intrattenermi su questo particolare.
Finalmente alcuni credettero che la musica fosse troppo gio-
vane , né ancora capace di fermezza. Parve loro la cadetta delle
arti , bisognosa preciò di più lungo tempo per maturare e senno
e temperamento. E certamente se essi vogliono guardarla da
Metastasio in qua non conterebbe che un buon secolo. Ma come
92
la musica aveva dati segni di vita fin dal secolo XVI , pare a
me dover essere nata gemella colle altre anziché cadetta , ge-
mella dico di tempo non di fortuna. Imperocché allora quasi
ogni ingegno essendo rivolto alle lettere, alla erudizione, al di-
segno, pochissimi ne restavano alla musica, la quale per colpa
de' suoi cultori non pareva fatta per andar di pari passo colle
altre sorelle. Egli é ben vero che i musici erano i ben venuti
alle corti de' principi 5 ma come vi entravano coi gìocolari , e
talvolta coi poeti , per la mala compagnia di quelli , e per
le prerogative di questi non potevano accattarsi che gli ultimi
favori. Inoltre nessun Ariosto , nessun BonaVroti contava allora
la musica, benché alcuni de' suoi cultori superassero la favorita
mediocrità di molti verseggiatori, ed eruditi. Ma che? forse
fin da' suoi primi anni era destinata alla sventura ! forse era
nata sotto maligni influssi!...
E questi forse vi avvertono dei dubbi che mi sono nati in
capo fin da principio che io meditai questa cicalata sulla in-
stabilità della musica. Dunque udite anche la mia , ed abbiate
pazienza se oggi son troppo lungo ,• io vi prometto di non e-
sporvi che un piccolo nuiiiero di questi dubbj. — La musica nel
suo rinascimento non trovò modelli antichi come le lettere, e
le arti. Egli é ben vero che trovò delle poetiche , e delle ret-
toriche , voglio dire de' trattati latini e greci sull'armonia; ma
questi siccome furono e saranno sempre per lei oscurissimi in-
dovinelli , cosi non le poterono in modo alcuno giovare. — La
musica mette i suoi cultori in circostanze molto diverse da
quelle in cui trovansi gli altri artefici. I poeti scrivono in una
lingua genei-almente nota a' suoi; i loro versi si leggono, van
per le mani di tutti con poca spesa, si traducono in altre lin-
gue, i giornali, i maestri, i censori ne parlano, e via discor-
rendo. I pittori, e gli scultori espongono le opere loro al guardo
e giudizio del pubblico il quale con un po' di vista, e di buon
gusto dà un giudizio che non é senz' appello ; poiché que' la-
vori 0 di pennello o di scalpello stando continuamente o in pub-
blico o in privato esposti il tempo corregge i torti giudizj. Il
maestro di musica all'opposto comincia a scrivere in un gergo
ignoto alla maggior parte; scritto che ha, la sua opera viene
93
in balia degli esecutori , i quali la espongono al pubblico per
qualche giorno. Se l'esecuzione è favorevole al compositore, e
corrisponde alla bontà della musica, questa piacerà per qua' gior-
ni , e forse per altri in cui verrà richiamata sulle scene ; ma
se l'esecuzione gli è sfavorevole, benché qualche dotto s'accorga
del pregio dell' opera , la sua musica è nulla. In qualunque
caso poi , siccome una composizione musicale non è un libro
che si moltiplici sui tavolieii di tutti , né un quadro che si
copii su mille stampe , dopo le poche rappresentazioni divenuta
un oggetto di archivio teatrale , o buona o cattiva debbe perire.
Né mi si dica che pur i lavori musicali acquistano pubblicità
colle stampe 5 poiché questo in vece di giovamento loro ar-
reca danno ; primo perchè quell' opera è fatta per essere udita
non letta, fatta per gli orecchi non per gli occhi; secondo per-
chè pochi ne sono i buoni lettori ; terzo perchè divenendo
popolare per mezzo di que' smembramenti , storcimenti , tra-
visamenti, detti riduzioni, per cui tutta l'illusione di uno spet-
tacolo si riduce ad un flauto solo, o ad una scordata chitarra,
è impossibile che possa in ogni luogo in ogni tempo andar per
le mani di tutti quale fu dal maestro creata , e scritta. — La
musica in generale non è libera 5 ella è serva della poesia , o
per lo meno indivisibile amica si che quello che 1' una vuole
debba pur 1' altra volere, e ciò non per forza ma colla mas-
sima e piacevole intelligenza ; ma questo è appunto ciò che
di rado accade ,• il poeta scrive quel che vuole , e il maestro
fa a modo suo ; e quel che più decide in questa materia si è
che il poeta non s'intende di musica , ed il maestro non sa di
poesia. Quindi non è maraviglia se quando i poeti erano mu-
sici , le cose andassero meglio che ora non vanno. — La musica,
voglio dire il melodramma è gettato alla moltitudine (e questa
K la sua esposizione o edizione) che ha pagato per udirlo, in
un'ora in cui gli accorrenti, vogliono divertirsi, distrarsi dalle
serie 0 frivole occupazioni della giornata , che amano durante
lo spettacolo celiare, adocchiare, amoreggiare, visitare, rumo-
reggiare , onde quel tempo passi più presto e più leggiero. —
La musica ma lasciamo così. Ora fate voi il conto di que-
sti dubbj, e guardate se dalla mancanza d'antichi modelli,
94
dalie sue circostanze , dalla sua servitù , dalla sua fortuna po-
tete dedurre la sua instabilità; io già non ve ne sarò garante,
perchè torno a ripetervi che non ne so niente. Ma, direte voi,
non sarebbe mai ora venuto il fine di cotesta incertezza ? i
moderni non avrebbero eglino coi loro lavori , colla loro auto-
rità formato il gusto, stabilito il bello della musica? chi potrà
in avvenire far meglio d' un Rossini , d' un Bellini , d' un Ma-
jer-beer veri Rafaelli, e Ariosti , e Tullii dell'armonia? Se è
cosi io me ne rallegro ; e godo che questi sommi ci abbiano
data la vera musica maestra, il vero modello dell' opex-a. Ve-
ramente doveva essere riservata al secol nostro già fecondo di
tante invenzioni la canonizzazione del gusto musicale. Lode al
cielo, che finalmente l'astro benefico spnntò, l'astro che deb-
bo per certa e sicura via guidare d'or innanzi la musica nostra!
laa. per 1' amore che porto a quest' arte ho paura che i nostri
nipoti non siano del nostro parere. Ho paura che la benigna
stella da qui a pochi anni non si cangi in cosaeta, od in foco
fatuo , {juod dii averruncent ^ poiché a congetturare dal passato,
io veggo vario , ed incerto 1' avvenire. I padri nostri udendo
le belle melodie d' un Cimarosa , d' un Mayer d' un Paesiello ,
e di alcuni altri divini maestri avevano pur esclamato : ecco
gli astri benefici della musica avvenire ! ma non erano ancor
morti , che quegli astri già s' ecclissavano e sparivano per ce-
dere il posto ad altri. Splendore , ed ecclissi. Ecco la storia
della musica passata e presente 5 ecco forse la profezia della
musica futura. Dunque ha ragione il Carpani che il bello mu-
sicale sta nella noi^ìtà; e noi non abbiamo altro a fare che
attendere continuamente questo bello mutabilissimo dalle opere
nuove che gli scolari, e gli imitatori ci van preparando alla
cadente luce de' loro capi-scuola. Addio.
B.
95
Notizie Diverse
Asia: Laos, abitanti — L'Abate PallegoiXj missionario del
Tong-King , ba dato alla luce, non ba molto, un ragguaglio
molto interessante sovra questa contrada ancor poco nota. Il
Laos si è una regione vasta e pressoché tutta montagnosa, ec-
cettuate però le sponde del gran fiume Camboge y ove trovansi
belle pianure. Tutto il paese è diviso in piccoli regni princi-
pali , abitati da tre razze assai differenti d' uomini , che appel-
lansi, r una Phoung-khao ( uomo bianco ), 1' altra Phoung-dam
(uomo nero), e la terza Phoiing-knis (uomo verde). La prima
non usa di screziarsi il corpo, la seconda si dipinge in nero
le braccia e le coscie : e la terza si dipinge queste medesime
parti del corpo in color verde. Ciò non ostante codesta scre-
ziatui'a consiste soltanto nello imprimere sulla carne alcune fi-
gure d'orsi, d'elefanti, di tigri od anche di un certo drago fa-
voloso. L' origine di questi abitanti è assai oscura, e tanto più
difficile a ravvisare, in quanto che non posseggono archivj, né
banno istoriografi, ossia, per dir meglio, tutte le loro antiche
storie vennero abbellite con simboli meravigliosi e trasformati
in favole. Ciò nulla meno la sola ispezione delle due razze ben
distinte dipinte e non dipinte che veggonsi nel Laos , può con-
vincere che i popoli che conservano V usanza di screziarsi, di-
scendono dai Birmani, e che quelle che non si dipingono sono
derivate dai Siamesi , i quali pure banno in orrore questo co-
stume. Ecco intanto i nomi dei principali Stati che compon-
gono il Laos: essi traggono tutti il nome dalla loro capitale:
Muang-Com ossia Loùm, Muang-Vieng-Tian , Muang-Louang,
Phó-Bang, Muang-Phoneune. Codesti quattro Stati sono abi-
tati dalla razza bianca. Tre altri lo sono dalle razze dipinte .
cioè: Muang-Phlè, Muang-Nan, Muang-Xeung-Maic. Tutti que-
sti Stati son posti a levante di Siam, eccetto quello di Mnang-
Phoneune che trovasi al noi'd-est, e Muang-Xeuug-Mai'c il quale
guarda esattamente il nord. A torto erasi detto che Vien-Tau
fosse la città capitale di tutto il Laos 5 imperocché tutti questi
paesi sono indipendenti gli uni dagli altri , ed anzi una parte
di essi obbedisce al re di Siam , e 1' altra è soggetta a quello
della Gochinchina. Il sig. Langlois, antico missionario del Tong-
King, nelle sue note di cui arricchì il ragguaglio del Pallegoix,
dice che la voce muang la quale nella lingua di Laos significa
regno o città, suona lo stesso che il vocabolo ananii to me/zong,
il quale in questa stessa lingua serve per denominare i popoli
che abitano le montagne poste a ponente e settentrione del
Tong-King , risguardati dai Tong-Kinesi quali popoli barbari.
Così la voce menong che nel linguaggio di Anam si è un ter-
mine di disprezzo e corrisponde presso noi al vocabolo sel-
vaggio, ha nell'idioma di Laos un significato onorevole. Non
bisogna poi confondere i Menongi con altre orde affatto selva-
tiche chiamate iJfoi' : questi ultimi abitano le montagne che se-
parano la Gochinchina dal Gamboge ; essi sono neri e molto
meno inciviliti che noi sono i Menongi. Parecchie delle loro
orde sono persino antropofaghe ; al contrailo i Menongi hanno
il medesimo coloi'e che i Tong-Kinesi : i lox'o costumi sono
dolci; essi sono semplici, sinceri, buoni e ospitali verso gli
straniex'i , se si eccettuano i loro nemici, verso i quali eglino
sono assai vendicativi. (Bull. Soc, Geog. i83G).
STAMPEKIA GHIRINGIIELLO E COMP.
con pennissioue.
97
Filosofia — La Rsli^ione
Ossvivuzioni Jìlosofiche di G. B. *
L'Uomo! Essere prodigioso sulla terra, la mente di cui è
l'espressione del presente e dell'avvenire, il cui cuore è la
rivelazioqe di due mondi , 1' uomo è il gran mistero della natura !
Schiavo nel senso, libero nell'intelligenza, osò talvolta prostituire
la libertà dello spirito alla schiavitù della materia, e, creato
per il fine supremo della ragione, fa meraviglia e dolore che
tanto s'affaticasse a conoscere le cose esteriori, e tutto ciò che
circonda l'uomo, e s\ poco ciò che è l'uomo, ciò che ei può
divenire, ciò che può fare di bello e di grande. Tutto occupato
nel vano del suo desiderio, studiando l'universo l'uomo obliò
se stesso, E gran cognizione è l' uomo , solo ed unico obietto
delle cognizioni, necessario principio della scienza , elemento
immutahile della natura. Ed ha in sé una cognizione , cogni-
zione di gran cosa, di tutte le cose la più necessaria, e a sa-
persi utilissima, sola nella vita sorgente di quelle ineffabili con-
solazioni che stillano balsamo sulle piaghe del cuore lacerato
dal presentimento medesimo della gloria. Un Dio abita in noi;
un movimento religioso ci viene dalla coscienza , e il cuore
umano palpita. La religione, questa fiamma divina, che arde
" Nel pubblicare le seguenti osservazioni 6losorictjc che ci vennero gcatilinente
dall'autore comunicate, ci facciamo un dovere di dargli una pubblica testimo-
nianza del molto pregio in cui teniamo il core , o 1' ingegno che a lui delta-
rono queste pagine. E ciò tanto più ne giota , cLc ravvisiamo in esse alcune
sentenze contrarie ad opinioni già da noi manifestate , ed alcune proposizioni che
per se stesse , o per le remote conseguenze loro offendono alquanto il nostro
giudizio. Siccome di queste noi terremo forse un qualche giorno ragionaaicnto ,
se non con pari eleganza , almeno con egual candore di fini , speriamo che que-
sta previa dichiarazione varrà in tal taso ad allonlanare da noi ogni »ospetto
di superbo, o d'illaudabile intento.
M. M.
liei fondo delle anime pure , come posa una goccia di rugiada
entro il calice di un fiore, n'investe del sacro suo fuoco, e
lontana n'addita una speranza, quella speranza che è l'ansia
continua del desiderio. L'uomo non opera, o non dee operare
in vista della terra, né il calcolo, ma la coscienza esser dee
la regola alle sue azioni, e mira il cielo: non è quaggiù «ib e '
la filosofia può pervenire alla soluzione dei gravi probletìii che
riguardano l'essenza dell'uomo, e i fini dell'umanità. E vero
che usano gli uomini a far centro di se medesimi in tutti i
loro voti , e a poco a poco chiudendo 1' orecchio ad ogni voce
più santa di pietà e di giustizia, fanno della virtù lo strumento
del supremo vilissimo fine loro, l'interesse. Ma gli errori degli
uomini formano una serie nei fatti dell'umana imbecillità, e
non costituiscono le leggi generali della natura. Molti però che
fecero dell'errore un fatto irremeabile della natura , fondando
unicamente le loro teorie sull' incostanza delle generazioni ,
diedero nelle più strane insieme e più malvagie conseguenze.
L' amore dei preconcetti sisl'emi , la troppa vaghezza di nuovi
ritrovati fondati su teorie puramente astratte , e il vezzo di
/sostituire l'ipotesi allo studio severo dei fatti positivi, portarono
molti ingegni a snaturare l'indole del vero, e del sarcasmo,
e della favola fare la storia delle nazioni. Quindi ragionarono
essi, e ragionarono male. Le dottrine irreligiose che poi si vi- •
dero correre l'Europa, portarono funesti disinganni nell'ordine
intellettuale e sociale, sicché la religione e la filosofia, cui da
principio una secreta colleganza apparentava ed univa fra loro,
si bandirono addosso la croce, a gravissimo danno dell'uma-
nità, finché l'eccesso stesso del male fu precipuo motore del
bene. Una dottrina tutta fondata sulle astrattezze della ra-
gione, o tutta sul senso, sopra cose prive di realtà appli-
cando gli oggetti sensibili , e sopra cose spirituali gli oggetti
materiali , doveva produrre un troppo funesto risultamento.
Porre un falso principio, e trarne quindi le conseguenze fu
l'imperfezione di questa vecchia falsata filosofia. Cosi la piena
dell'errore sovrastò alla verità della dottrina, si calpestarono
i più sacri doveri della morale, si parlò male dell'uomo , e di
Dio. Ma ai secoli sovrasUmo i secoli, e all'età che viviamo , sia
99
conforto pei buoni il vedere le mentì bramose di verità più e
più infervorarsi nello studio d'una ben ragionata filosofia, sic-
ché sia gloria della Italia l'aver felicemente conteso tra le na-
zioni come nelle difficili scienze della natura , così nello studio
della religione, che è tutta la filosofia dell'uomo.
Partendo dai fatti della natura umana, e seguendo l'osser-
vazione dei medesimi , si viene allo scoprimento delle leggi
che li governano. E se per formare un giusto e severo giudizio,
è duopo governare la ragione secondo La realtà , e la realtà
secondo la ragione , introdurre U impero dei fatti nelV ordine
intellettuale j e quello delle intelligenze nell'ordine sociale^ una
mente guidata da un saggio eccletticismo non potrà non avere
la persuasione , essere la religione in intima relazione coll'essere
umano, col bene individuale e sociale. — Dio ha fatto le intel-
ligenze per conoscerlo, ed alle intelligenze parla nel suo silenzio
la voce dell' universo. Chi intese questa voce e non ha la co-
scienza di Dio? Che cosa è l'uomo, e T universo che lo cir-
conda? — Io penso, e il mio pensiero mi rivela una facoltà
capace di pensare, libera come libero è lo spirito che la pro-
duce, non soggetta alla legge universale dei corpi, perchè priva
di parti e di forme, nello spazio e nel tempo non è com-
presa. E l'idea congenita dell'essere universale, la forma dell'
intelligenza, l'elemento della ragione, riverbero in noi di
quella suprema ragione che essa presuppone, e dee necessa-
riamente presupporre , se lo spirito non . procede dalla mate-
ria, e se la tnateria non costituisce per sé il fondo dell' essere
umano, che é l'intelligenza. E se é vero, che la privazione
del senso porta seco la privazione totale delle sensazioni, per-
chè lo spirito nel suo stato di perfezione non ha più bisogno
né di organi per sentire, né di sentire per giudicare,- é pur
vero che il principio delle sensazioni dee assolutamente ripe-
tersi da quel principio che ci fa vivere, che è l'essenza di
tutto r uomo spirituale , perché capace di tutte quelle mentali
operazioni, che formano la proprietà esclusiva dell'animo, e
che il senso per sé non ha potuto produrre giammai. E quando
animato dallo spirito sente e giudica, non potrà giudicare con
altra legge da quella con cui giudica lo spirito; che non è il
100
senso , ma lo spinto che giudica , e può giudicare con altra
legge da quella con cui le sensazioni sono all'ani me trasmesse,
cioè indipendentemente da tutte le molteplici combinazioni della
materia. Né adunque, perchè il maggiore o minore sviluppo dell'
intelligenza possa dipendere dalla maggiore, o minore imper-
fezione delle forme, la facoltà intellettuale dovrassi ripetere dall'
organizzazione: la sua origine è superiore all' ordine fisico della
creazione, è un tutto spirituale che non ha certamente servito ad
Epicuro nella strana combinazione di quegli atomi semoventi
negli eterni spazi del vuoto. I sensisti, da che il senso ci tras-
mette le sensazioni, confondendo l'effetto colla causa, e ponendo
per principio ciò che non è, che mera conseguenza, credettero
di persuadere, la materia avere in sé la causa delle operazioni
intellettuali, sicché la varia disposizione degli organi dia tutta
la spiegazione dell' uomo. Pure la materia non sente; essa pa-
tisce: è la parte spirituale che agisce su di essa, la quale ci of-
fre tutt' altro risultamento di una macchina, e di un bruto che
agisce ed opera per impulso, e per un istinto puramente mac-
chinale. Giudicare delle cose, comporre e scomporre le idee , la
forza di astrarre , sono tutti effetti di una potenza, che è il vi-
vere dell'uomo razionale. Nihil est in intellectu quod prius non
fucrit in sensu nisi ipse intellectus ^ diceva bene Leibnitz; havvi
dunque in noi quel primo germe di perfcltihilitd che dee es-
sere sbocciato col tempo , quell' elemento primitivo dell' essere
pensante, che spetta all'educazione ed all'osservazione di svi-
luppare, l'avevamo in noi questa intelligenza dal momento che
abbiamo cominciato ad essere, prima che il senso servisse all'ap-
plicazione della medesima , ed alla formazione del raziocinio.
Se dunque quell'/^Ae intellectiis , o meglio, l'idea generale dell'
essere, fu prima nel senso, avrà ben tutt' altra causa che il
senso, né mai si potrà colla materia spiegare lo spirito, senza o
materializzare lo spirito, o spiritualizzare la materia. E una causa
universale, l'essere costitutivo della creazione, Dio, e la ragione
che ci rischiara , e l'anima che ci vivifica, è in noi lo spi-
rito di Dio. — Ma senza il Dio del suo essere il [freddo ma-
terialista diventa il più bel meccanismo a vedere!!!..
Io penso , e come il pensiero presuppone una facoltà suscet-
101
libile di cjuesta modificazione anteriore all'azione di pensare,
così mi poi'ge l'idea generale dell'essere non meno capace di
produrre l'azione, che le varie modificazioni della medesima,
e che dà un' infinita dilatazione all' elemento delle idee , neces^
sario principio della scienza. L' imperfezione dell' organica no-
stra costituzione ci toglie di avere la cognizione di questo prin-
cipio ; ma la causa che opera il suo sviluppo , è il mondo. Il
me non va senza contraddizione disgiunto dal fuori del me , e
se la cognizione del me porta seco la cognizione del non me,
che è la natura , mi darà insieme la nozione della causalità
del me, e del fuori di me. Dio. Le cose che formano 1' insieme
di questo tutto , contingenti e deperibili, non si danno per sé
l'esistenza; la creazione fu dunque necessaria perchè esistessero,
e tanto necessaria che bisognerebbe farne un fatto mitologico
almeno, se il fatto non fosse reale, per ispiegar l'uomo e la
natura. In un mondo , dove tutto è soggetto ed oggetto , ogni
fatto di ragione, o meglio, ogni cosa che la ragione ci presenti
osservabile nella semplice forma della realtà, vuole, e suppone
l'intrinseca ragione dei fatti, la verità, la realtà delle cose,
la natura obiettiva ad un tempo, e subiettiva, come l'idea
dell'attività e della creazione, vuole e suppone una potenza at-
tiva, indipendente, creatrice, senza la quale diverrebbe la crea-
zione una mera concezione della mente , se pur tolta 1' idea
dell' essere supcriore col mondo delle realtà, non sfumerebbe
il regno delle astrazioni. Havvi dunque un princìpio che dona
l'esistenza, senza mai esaurirla a se stesso, perchè in sé esi-
stente è per sé di sua esistenza la causa. E il caso sarà il pa-
dre della creazione? Può essere, se il principio incommensura-
bile della natura , se quella ragione che, diffondendo un raggio
animatore nelle spesse tenebre del caos , diede una forma reale
e sensibile al nulla , se la potenza che le correnti della vita
fé' circolare per la natura , è il caso. Questo caso allora sarà il
Dio che io predico 5 però vi è Dio. Il negarlo sarebbe negare
il nostro essere; in esso viviamo, ci moviamo in esso, e siamo
per esso. Quindi gli Atei predicando non esservi Dio, confessa-
vano nello stesso tempo , e credevano a Dio , come credevano
alla loro esistenza. L'ateismo è una contraddizione di se stesso :
102
uii' aderma/.ione negativa racchiude l'idea di essere, la grande
idea dell' eiFetto e della causa, di Dio tutto intero, lide» cioè
ilei creato, e del creatore, dell'uomo, della natura, di Dio,
che sono le tre sorgenti inesauribili del pensiero , i tre feno-
meni elementari della coscienza , inseparabili elementi della
realtà, l'uu dei quali è l'irrefragabile prova dell'altro. Gon-
ciossiachè ógni uomo che si conosce, conosca la natura e Dio, e
credendo alla propria esistenza, creda al mondo ed a Dio, ed
ogni sua parola, ogni suo atto, sia un atto di fede, che dall'al-
tare della creazione innalza a Dio. La più orribile bestemmia
della divinità è una concessione sacrilega di Dio.
Appare come la creazione costituisca una necessaria univer-
sale relazione delle cose create a Dio,- poiché non può 1' uomo
aver la coscienza né di sé , né delle cose fuori di sé , se non
considera insieme quell' ordine superiore, da cui dipende l'or-
dine inferiore della creazione. Questa relazione universale, che
forma come il vincolo del cielo e della terra, spiegò nel mondo
la religione, però ch'io dico religione la secreta colleganza del-
l'effetto colla causa, l'unione del contingente, e del necessa-
rio, la relazione intrinseca del molteplice all'uno, l'unità che
si risolve nelle tre grandi idee della scienza, l'idea dell'essere
univei'sale , 1' essere universale dell'idea, e 1' applicazione del-
l'idea generale dell'essere, uomo, natura, e Dio. Neil' animo,
come nella natura abbiamo 1' indelebile impronta di questo
fatto , sicché un cantico continuo d' amore si leva dal fondo
dei cuori all'autore dell' esistenza, e le tacite maraviglie della
natura esalansi in suoni pieni d' armonia , e narrano ai secoli
la gloria di colui eh' era , è e sarà nell' immensità del suo
essere. E questa la devozione della creatura , tipo dell' obbe-
dienza politica e sociale , che spiegandosi in altrettanti atti
esterni di pietà religiosa, costituisce il culto, interprete fedele
della ragione e del cuore , e secreto motore della civiltà dei
popoli. Si scorge come la religione poggi tutta sull' ordine im-
menso della ci'eazione ; pure 1' uomo talvolta nulla si scuote
alle grandi vicissitudini , nelle quali la provvidenza si rivela.
Un eterno prodigio cessa d' essere prodigio , e V uomo cessa di
credere -, cessando di credere , cessa di esistere. La fede è il
103
germe della morale nostra esistenza , e chi più non crede , ne-
gando la provvidenza , è prossimo a negare se stesso. Ecco il
scetticismo, il quale ha l'orgoglio per fonte, e il mondo all'
orgoglio è un libro chiuso.
L' essere religioso è 1' essere politico delle nazioni , perchè
1' essere religioso è 1' essere universale , che crea e che prov-
vede, causa elementare dell'ordine, che è per tutto e in tutto,
perchè è il tutto costituente delle parti e delle contingenze ,
e tale impero esercita sulla parte morale ed intellettuale degli
uomini , qual n' usa nel regno materiale e fisico della natura.
E desso l'anima delle nazioni, perchè è l'anima dell' uomo 5
ond' è la religione il fondamento della morale e della legisla-
zione. — La ragione universale , eh' è la ragione dei popoli ,
che forma il consentimento del genere umano, è infallibile su
questo principio ; tutto doversi fare con onestà e secondo l or-
dine. E r ordine scolpito nel cuore umano a norma delle a-
zioni , su d' una gara reciproca stabilito di uffizi , dell' uomo
verso Dio, dell' uomo verso i suoi simili, dell'uomo a sé stes-
so. L' animo rifugge dal male per sentimento d' un' interna
giustizia emanata da quest'ordine costituente un costume, fon-
dato nel tacito consenso degli uomini. Che altro è mai que-
st' ordine , se non è la religione naturale , che la mano di Dio
stampò coir idea di sé nel cuore dei mortali. Se alla stipula-
zione d' un contrattò , ed allo stabilimento d' una costituzione
l'idea presiede dell' ordine; non può non efser utile il consi-
glio , il . fine òttimo , equo il patto e lodevole il trattato , come
al bene dell' universale diretti. Sono molti i fini , che dirigo-
no le umane azioni, e il proprio interesse n' è l'ultimo; pure
r amore soverchio di sé fa nel mondo una funesta inversione
di quest' ordine , e 1' uomo si vede insidiare al suo simile per
un titolo mercenario. A cotesta inquietudine soccorre la re-
ligione. Essa sola c'insegna la vita non esser lotta d'interessi,
ma scala di diritti e doveri reciproci, vicendevole permuta-
mento d' amarezze e di dolcezze , gara d' amore , una procella
di sventure , attraverso alla quale fulgidissimo rifulge il giorno
beante dell' immortalità.
1 reggitori dei popoli proposero le leggi come diretlameute
104
emanate da uu Nume, e loro persuasero la religione senza in-
ventarla. Gonosceano bene essere la medesima base inconcussa
dell' economia politica e civile j collocarono perciò gli antichi
la culla di Licurgo e di Giove vicine ; e gì' Imperatori Romani
univano il sacerdozio alla potestà degli eserciti e del tribunato
dicendosi Pontefici Massimi, a significare il felice accordo della
religione e della politica. A render più sicura la disciplina con-
veniva interessar la moralità degli uomini , loro ispirando la
persuasione della divinità. Privi di questa persuasione, tali che
sono tristi per consuetudine , osserveranno le leggi , o finge-
ranno d' osservarle per sottrarsi alle pene dei trasgressori 5 ma
scevri da timore , nulla di più santo sulla terra, nulla saravvì
di più grande , che la malvagità loro rispetti , e che non de-
turpi una mano sacrilega tinta del sangue de' suoi fratelli. Le
leggi umane senza religione non fanno dei buoni , ma degli
ipocriti ; uè si mantiene società , né prospera uno stato privo
di religiose credenze. Nulla v'ha di grande sulla terra, che ciò
che é stabilito nell' ordine marale ed intellettuale*, e nelle idee
dell' ordine materiale non havvi stabilità senza i principj dell'
ordine morale. I principj quando sono veri, dominano le in-
telligenze , e per conseguenza le volontà. La religione però ch'è
tutto r ordine morale signoreggia le intelligenze , tempera le
volontà, e si da funesti dissidj rassicura le famiglie, e gli stati
da rivoluzioni. 11 talento è un fantasma senza un carattere, ed
il nemico dell' ordine , se 1' idea universale di Dio noi regge
nella vìa difficile della rettitudine. E un popolo privo di spe-
ranze religiose è privo della suprema ragion civile, che lo man-
tiene, e vicino a dissolversi. Quindi le massime propagate per
la filosofia, ma bugiarda filosofia, portarono talvolta al suici-
dio, agli assassinj , agli attentati politici, e mostrarono, che
r uomo senza religione è un animale, che non sente la sua li-
bertà, se non quaudo sbrana e divora. L'irreligione ha l'orgoglio
per principio , dura nei rivolgimenti sociali, ed il suo fine è la
rovina delle repubbliche.
La religione fa gli uomini sociali, e perfezionando la società
li rende civilizzati. Se ti suggerisce la pietà per un misero tuo
simile , e come di ucciderlo , così ti vieta di non curare la tua
105
conserta2Ìone , se ti fa avverso avvizio, e alla virtù ti conforta,
ti muove ad amare , ed a fare agli altri ciò che vorrestu ti
fosse fatto 3 ciò tutto è per unire gli uomini e formare la so-
cietà , e formata perfezionarla con una progressiva civilizzazio-
ne , cosicché r uomo non possa essere sociale senza essere reli-
gioso, ed essendo religioso debba essere necessariamente sociale.
Numa ridusse nelle obbedienze civili un popolo ferocissimo
colla religione ; onde temevano i Romani più assai di rompere il
giuramento, che disobbedire le leggi. — La religione vuole il
culto, e r osservanza del culto è cagione della grandezza delle
repubbliche , e il progresso della civiltà è in ordine al grado
di culto stabilito. Ove niun culto o cerimonia, non v'ha ve-
stigio di società, ove maggior culto sino all'estrema supersti-
zione , ivi società più colte , leggi più estese , ma anche più
arbitrarie, come presso gli Egiziani, ì Messicani, i Bramini.
Le cerimonie operano molto sulla massa più numerosa della
società , la quale crede al senso più che allo spirito , e legano
gì' individui in un senso comune , spingendoli ad osservare le
leggi della giustizia interna, le leggi razionali, che sono il prin-
cipio delle leggi civili. Si provi questo fatto confrontando l'au-
mento delle arti col grado della più o men complicata religione.
Romolo non oltrepassò il diritto di natura , Numa il diritto
delle genti. Servo Tullio compose il gius civile, e la religione
acquistò tutto il suo apparato di cerimonie e di superstizione.
Quindi il gius Papiriano , ed allora si stabilì un culto pubblico,
e la società si trovò costituita in governo civile. Si pareggino
ora le società presenti colle antiche troveremo il grado di
civiltà essere nelle nostre maggiore, perchè noi abbiamo reli-
gione più perfetta *i con maestoso apparato di riti , con un culto
tutto simboli e misteri , ma senza superstizione. La religione
accrebbe nell' uomo il sentimento di sociahilitd, ed opera la
perfezione sociale , perfezione più o men progressiva , secondo-
che più o men perfetta è la religione , e più o men progres-
siva è la perfetta religione degli uomini.
I Paragonata la nostra religione alle religioni pagane , non si deve dire che
« più perfetta , ma eh' è vera, e la soia Tera , perchè rirelata da Dio all'uomo.
106
Religione ! chi non crede la tacita natura che ti predica ,
crederà il cuore che ti rivela ! parla il cuore , e la sua voce è
la voce d' un infinito numero di viventi , che si lacera 1' esi-
stenza per sottrarsi a quel male, che viene dalla smania sover-
chia del hene. Un gran bisogno ha scritto la mano di Dio nel
cuore dei mortali , è il bisogno di Dio. Circoscritto nella sua esi-
stenza, infinito ne' suoi voti , l'uomo è quasi un Dio diseredato ,
che si sovvien dei Cieli , e la sua ricordanza coli' immensità de'
suoi deslderj gli è da lungi presaga della futura grandezza.
Schiavo sulla terra geme tra i ferri di sua prigione , e gli
bolle in petto animo di libertà : un aspirar continuo alla feli-
cità è il tormento maggiore d' un cuore deluso e sempre in-
felice , vuole amare , e ciò che ama è fragile. Avida sempre
del nuovo e del meglio, quest'infinita capacità del desiderio si
slancierebbe oltre i limiti della creazione A questo bisogno
universale soccorre una potenza^ che dirige gli umani destini , e
tutto vince, tutto si assoggetta, anche la forza soverchiatrice delle
società, e fa tremare chi la conculca. E il sentimento religioso,
il più forte degli umani affetti , essere divino, che spinge quel
cuore che tutte non abbia impietrite le emozioni ad atti gene-
rosi nella società, e formando da questa valle di pianto, dove
gli uomini abbandonano gli uomini, delle relazioni al di la del
mondo, lo regge sull' ali del desiderio e dell'amore fin là, ove
un bene perfetto lo compenserà dell' essere stato giusto , e ■ il
martire della vita coronerà 1' alloro della gloria. Ed è questo
sentimento , che la consuetudine indurre , né la forza potè sof-
focare giammai, che portò la religione sopra la terra. E la sua
influenza, che non è un costume, ma legge universale, non
soggetta alla restrizione degli umani statuti , prova come la
religione non sia opera degli uomini, ma all'uomo connaturale,
ed in intima relazione coi fini dell'umanità. Havvi degli istanti
nella vita, che questo sentimento si fa più vivamente sentire.
Havvi dei secreti, che le menti volgari non possono né com-
prendere, né sentire; degli uomini condannati all'oblio edalla
miseria , cui la singolarità è spregio e la grandezza delitto ,
sembrano maledire la provvidenza. Sorge allora quest' essere
divino e benefico, e mossi gli animi a religione, loi'o inspira
107
quella costanza, senza la quale non hanno pace le coscienze,
e le nazioni grandezza , rendendoci maggiori della propria de-
bolezza, e dell'altrui prepotenza. La sciagura è scala al cielo.
La religione scese dal cielo in terra a infiorarne di care spe-
ranze la vita, e non v'ha un giorno mai, che dell'umana di-
sperazione sorger non faccia il pensiero di Dio un' immortale
speranza. Ch'egli è dolce a un'anima desolata senza un cuore,
un sol cuore almeno che 1' ami, ove la piena riversi di quel
dolore che l'opprime, ch'egli è dolce nel sacro recesso d'un
tempio, quivi dove tace il tumulto delle passioni, e l'eco dei
mondani non ripercote le solitarie pareti, sposare i suoi lamenti
all'ara benefica della religione, invocando un nume propizio
agli esseri sventurati , confidare a Dio ciò che gli uomini non
sanno, e stemprati in lagrime di pietà volgergli il prego puris-
simo della sventura! e Dio non è sordo all'infelice. Una gioja
secreta discenderà nel fondo del suo cuore , inondandolo di
quelle consolazioni , che formano il continuo salmo d'amore dei
beali. Ecco l' uomo e la sua religione. — Se la filosofia più cre-
dendo la ragione , che l'entusiasmo non avesse tropp' oltre va-
gato nel mondo aereo delle astrazioni, ma fermata sull' uni-
verso avesse maggiormente pensato e sugli oggetti esistenti, e
sopra il subjetto medesimo delle cognizioni che è l'uomo, meno
increduli avrebbero lacerato il mistico velo della religione , e
meno turbamenti sociali e polìtici rivolgimenti conterebbero ne-
gli annali delle nazioni. Così avrebbe il filosofo veduto, chela
ove più pesa la barbarie , e più lurida miseria rode le viscere
della terra , a più chiari segni si rivelano i fini altissimi della
provvidenza, e che ove stridono più furiosi gli aquiloni, v'aleg-
gia anche più soave uno zeffiro di paradiso.
108
S<]iEivzE Sociali e Amministrative.
Cenni storici sulle Casse di Bisparinio _, e della loro utilità ^
ed unione colle Banche agricole ed Industriali.
Ricordevoli della promessa che abbiam fatta in uno de'
precedenti numeri di questo Giornale , noi si facciamo a dare
alcuni ragguagli sulle casse di risparmio , considerandole sotto
i varii loro rapporti.
Partendo dal punto storico i nostri lettori già sanno cLe si
credeva generalmente che 1' istituzione delle casse di risparmio
ripetesse la sua origine dall'Inghilterra: e questa non solamente
era l'opinione del volgo, ma quella pur anco delle persone
Istrutte. Dall'Inghilterra difatti ci era venuta la conoscenza delle
casse di risparmio quali ora noi le vediamo costituite, e senza
la popolarità ed il perfezionamento che colà ricevettero, ci sa-
rebbero forse ancora ignote.
Fu quindi soltanto il sig. Alfonso di Candolle il primo che
in una sua recentissima memoria cercò di rivendicare la glo-
ria della loro origine alla Svizzera sua patria.
Stando dunque alle ricerche di questo scrittore il nascimento
delle casse di risparmio avrebbe avuto luogo nella Svizzera, e
la prima sarebbe stata quella ch'egli scoperse fondata in Berna
sino dall'anno 178^5 e così undici anni avanti che sorgesse la
prima cassa inglese.
Ignoto rimase il nome del suo fondatore. Modesto cittadino
egli volle lasciarne tutta la gloria alla sua patria , che già aveva
tanti titoli all' ammirazione delle altre nazioni.
Ben è vero che questa prima cassa elvetica non era stata
aperta col nome di cassa di risparmio , ma bensì con quello di
cassa de' domestici:, ed ove si consideri che in quell'epoca spe-
cialmente, ed in un paese come la Svizzera i domestici non do-
vevano essere molto numerosi, sì comprenderà di leggieri che
le operazioni di quella cassa non dovevano essere molto estese-
109
Ciò nulla meno sulle tracce di q^uesta , un' altra seconda
cassa venne cinque anni dopo ( 1792) fondata in Basilea, alla
quale però venivano eziandio ammessi i depositi di qualunque
altro individuo ancorché non fosse famiglio. r
Prima però ancora del 1789 un'altra già ve ne esisteva in Gi-
nevra, ma ancor meno analoga alle odierne casse di risparmio j
e eebbene queste tre più antiche casse non fossero neppure fra
di loro propriamente le stesse, egli non è però men vero che
presentano tutte un germe , uno sviluppo , ed uno scopo con-
forme a qudlle delle vigenti casse di risparmio.
Se volentieri non si dovesse perdonare al sig. di CandoUe
quella predilezione eh' egli in simili ricerche accorda alla sua
terra natale , ben gli si potrebbe osservare che quando ,'si voglia
tener conto delle lontane analogie, anche in altri paesi e nel-
r Italia soprattutto si ritrova da remotissimo tempo il tipo delle
casse di risparmio. Lo possono attestare le corporazioni così
potenti delle arti di Firenze, quelle di Genova, e di Napoli;
e non ultime a fare la stessa testimonianza sarebbero le compa-
gnie degli artisti di Torino. *i.
Sarebbe difatti impossibil cosa non che un errore lo immagi-
nare che queste associazioni sussistessero senza avere per prin-
cipale oggetto i mutui sussidii de' suoi membri, e senza che negli
antichi loro statuti si trovasse per legge espressa V obbligo di
formare un deposito proporzionato alle forze di ciascun confra-
tello, che dovesse servire a sollievo dei confratelli invalidi, o
caduti nella miseiùa.
*i. Sino dal XVI secolo troviamo in Napoli sintomi non equivoci dello spi-
rito di associazione. Nelle regie Prammatiche del i558 si leggono queste indi-
cazioni : Sociftà di assicurazione tanto pei casi di naufragio , prede ed altre
fortune di mare, guanto pe^ rischi e pericoli per terra — Esistevano pur anche
i Monti Jì-umeiUari, la compagnia i/i sicurezza marittima approvata sino dal l'jSi,
quella del Corallo del 1790, e finalmente le cosi dette Colonne di assicura-
zione vinaria , olearia , v.suviana.
Non mancano neppure gli esempi patrii. Citeremo soltanto quello dell' Z7/iio/ie
Pio-tipograjica eretta in Torino sino dal 1788, dove si trova stabilito il de-
posito di un soldo da farsi da ciascun individuo per ciascheduna settimana, ed
il soccorso di 5o soldi per settimana in caso di malattìa. — Questi sussidi! ia
progresso si aumentarono.
110
Ma continuando a parlare delle cTfcsse di risparmio fondate
nella Svizzera, diremo dietra alle iadagini dello stesso sig. di
Candolle^ che esse non tardarono lungo tempo a propagarsi in
tutti i cantoni di quella repubblica, cosicché dal i8o5 sino al
giorno d' oggi undici regolari casse di risparmio nella più fio-
rente loro attività già vi si trovano stabilito ; fra cui quella re-
cente del cantone Ticino aperta soltanto in dicembre i833.
La trascuratezza e 1' ingiustizia talvolta con cui si studiano
le istituzioni di alcune meno potenti o meno felici nazioni ,
trasse dall' amore di patria del sig. Candolle questa eloquente
esclamazione che dovrebbe eccheggiare in tutti i cuori italiani. —
« Si scorre la Svizzera per vederne i laghi, le montagne, le
» cascate, come si viaggia in Italia per vedere i monumenti
» delle belle arti. Ma poi va in questi due paesi troppo so-
» venti dimenticato che vi esistono altresì delle istituzioni degne
» di essere esaminate , non fosse che per il carattere della loro
» originalità. »
Passando alla storia delle casse di risparmio in Inghilterra ,
giusto è di confessare , eh' egli è quivi dove ricevettero maggior
regolarità ed ingrandimento a segno che divennero il modello
di quelle che poscia quasi ovunque si fondarono.
Egualmente ingiusto sarebbe tacere che i primi a fondare
queste istituzioni in Inghilterra furono le donne e gli ecclesia-
stici: le donne rivolgendo a questo genere di beneficenza quel
senso di compassione e di sagrifizio di cui la natura le ha più
largamente dotate 5 gli ecclesiastici consacrandovi quello zelo e
quella carità che la religione ed il proprio stato loro insegna
dovunque.
Cosi una donna, la signora Vakefield, fa la fondatrice della
prima cassa inglese nel 1792, e nell' amministrarla vi venne
poscia secondata da un rispettabile proprietario il sig. Sperling.
Questa cassa era da principio soltanto destinata per le donne
ed i fanciulli poveri , ma dopo la signora Powell ne prese nel
i8o4 la direzione, e veggendo prosperati i suoi sforzi , la cangiò
in una cassa di risparmio aperta per ogui classe di persone.
In seguito il reverendo signor Giuseppe Smith nel 1799
fondò a Wendover una cassa di risparmio col titolo di Società
Ili
per r incoraggiamento della prudenza e dell' industria. Ingegnoso
si è il metodo adoperato da questo zelante ecclesiastico. Egli
compose un Prospetto, e la fece circolare nella sua parrocchia.
Vi annunziava che avrebbe ricevuto ogni domenica, pendente
la bella stagione , i piccioli risparmi de' lavoratori , obbligan-
dosi in fine dell'anno a restituirli coll'aumento del terzo. Per
diffondere poi questo Prospetto ei lo fece copiare dai giovani
scolari, e stanziò in loro capo il tenue prodotto che loro aveva
assegnato per questo lavoro. Non è mestieri soggiungere che ad
un benefiziò così generoso sopperivano le volontarie largizioni
de' più ricchi e caritatevoli parrocchiani.
Il bell'esempio fu di lì a poco seguitato nella Scozia, e quivi
anche per cura di altri ecclesiastici si fondarono due casse di
risparmio negli anni 1807, e 1810.
Già nel 1808 un' altra ne era stata instituita in Bath a fa-
vore -dei domestici per opera di Isabella Douglas , e nel 1 8 1 3
la società di Edimburgo coli' intento di estirpare la mendicità
lina ne fondò di più estesa portata , che ebbe un grandissimo
successo. Così se nella Scozia più non si troverebbe oggidì quella
povertà e quella rozzezza selvaggia che con sì parlanti colori
ci viene dipinta da Walter-Scott, vi sì troverebbe però ancora
quello spirito fermo , prudente , calcolatore che tanto favoreg-
gia questo genere d'istituzioni. Prova ne sia, l'averne il Dottor
Baird, fatto stabilir quattro in quattro distinti sobborghi col
titolo di succursali.
Nella stessa città di Bath poi che già aveva veduto prospe-
rare la cassa de' domestici, si eresse nel 181 5 una vera cassa
di risparmio accessibile a tutti , e tale fu la perfezione de' suoi
statuti che ben tosto meritò la più grande confidenza del pub-
blico.
Londra ebbe allora finalmente anche la sua cassa di rispar-
mio, fondata nel 1816 da una società di benefattori sotto la
presidenza del signor Tommaso Baring. Quindi le casse di ri-
sparmio cominciarono a moltiplicarsi a segno che il 12 luglio
i8iy il parlamento dovette intervenire onde dar loro una re-
gola certa ed autorevole. Così sul fine di questo stesso anno
nella sola Inghilterra e nel principato di Galles già si conta-
112
vano »oi casse di risparmio, e da quell'anno poi insiuo a noi
il loro numero si è ancora prodigiosamente accresciuto.
Avuto riguardo all' attività fiaucese, ed alla facoltà di que-
sta nazione , non diremo di far propria ogni altrui scoperta , ma
bensì di fare tutti gli esperimenti su di qualunque nuova molla
sociale ed amministrativa che venga trovata , quella delle casse
di risparmio tardò alquanto in Francia a venir messa alla prova.
Quindi la prima che si vide in Francia fu quella fondata in
Parigi il i5 novembre i8i8 mercè l'opera del signor Beniamino
Delessert, che avendo meditato sui regolamenti delle casse di
risparmio fondate in Londra, li comunicò alla compagnia delle
assicurazioni marittime che ne fece redigere gli statuti , stati po-
scia il 29 luglio 1818 approvati dal Governo. Questa compa-
gnia presieduta dal Duca Kochefoucaud-Liaucourt ne rimase quindi
la direttrice.
Ma dato appena e ricevuto l'impulso, più non cessarono in
Francia le casse di risparmio dal fare i più rapidi progressi :
e questi sono in gran parte dovuti allo zelo ed alle fatiche^
dello stesso sig. Delessert , il quale sia per le interessanti rela-
zioni, che per le proposizioni che presentò alla Camera dei
Deputati , procacciò alla Francia quella legge che ora regola
questa istituzione, e che avrà forse il vanto di far ancora aprire,
come colà si spera , una cassa di risparmio in ciascun circon-
dario, quantunque il loro numero al primo d'ottobre i835 già
salisse a cento quarantasette.
Ad imitazione frattanto della Svizzera , dell' Inghilterra ^ e
della Francia , molti altri stati d' Europa , ed anche fuori
d' Europa si affrettarono d' introdurre le casse di risparmio. La
Sassonia, le città libere dell' AUemagna, gli Stati-Uniti, il Belgio,
la Svezia , e la Norvegia non solamente le adottarono, ma colla
più nobil gara le favoreggiarono , ed il vantaggio delle popo-
lazioni premiò i loro sforzi generosi.
Notarono alcuni che lo stabilimento delle casse di risparmio
ebbe l'iniziativa nei paesi protestanti, ma se ciò è vero, si
deve però tosto convenire che 1' esempio filantropico non indu-
giò poscia gran fatto a metter anche radici nei paesi cattolici.
Ptrj non solamente in Francia, ma anche in Italia ebbero
115
accoglletiza e favort;, Sarebbe qui troppo luuyo farne 11 novero
di tutte, e diremo soltanto che havvene In Napoli, cbe una
floridissima ve n'ha in Toscana, e clie in Lombardia, oltre a
quella centralo di Milano ve n' hanno sette altre figliali. Recen-
temente poi ancora una se ne apri in Roma *i.
Torino già ne conta una sino dal ìS-a'J , testé ampliata colla
notlficanza del 9 ^bre i83(J. Questa e quelle fondate in Clam-
berl, in Novara ed in Alessandria provano sufficienlemeule ,
che In Piemonte lo spirito di beneficenza e di associazione non
è aiFatto sconosciuto , né inattivo.
Qualora dal punto di vista storico si voglia risalire a con-
siderare le casse di. risparmio dal lato morale, si vede in un
tratto la loro immensa utilità.
Dopo le dimostrazioni teoi-lche € pratiche, che sono oggimai
a notìzia di chiunque, sarebbe soverchio aggiunger nuove pa-
role per confermare una verità già tanto conosciuta.
Basti pertanto riferir quelle che il sig. conte Roy pronunciò
nel suo rapporto alla Camera del Pari — « Nessuna Istituzione,
» egli dice, merita la benevolenza, e dicasi pure il favore della
» nazione, e del Sovrano, quanto quelle che tendono a chia-
» mare le classi inferiori al lavoro ed all'economia, a procurarsi
» de' proventi , ed a crearsi delle sostanze per la vecchiezza. »
— Non v' ha dubbio difaili che colui il quale da questa isti-
tuzione è invitato a fare nn risparmio sui propril guadagni , e
che è poi certo di ritrovarlo nei giorni del bisogno , quegli
che viene cosi avvezzato alla previdenza, ad una, direni quasi,
attività morale, questi coutralterrà l'abitudine del lavoro, e
l'amore dell'ordine, e mentre più non resterà adescato dalle
attrattive dello scialacquamento, sarà nello stesso tempo riscat-
tato dalla necessità, o disingannato dalla speranza di trovare
nella carità pubblica un riparo alla miseria, cesserà dal pol-
trire ueir ignavia, e quando il delitto venisse a tentarlo saprà
resistere al perfido invito.
*i È coniolante l'avvertire che la sola cassa di Firenze al 3i dicembre i83'(,
e dopo «oli cinque anni di-esistenza, aveva già di utile uelto fiorini i6,75G,a6,
per nna qual somma non msncò poi 1' impiego in aumeuto della sicssa Cd^^i^.
114
La altro benefizio morale meno Torse osservalo , ma però
non meno importante, viene con queste parole rappresentato
da quei caldi filantropi di Firenze. — « Il sussidio fatto per
» mezzo della cassa di risparmio al povero che si vuol sov-
» venire sarà più rispettato e ricevuto a seconda del biso-
» gno . . . Piglierà agli ocelli delle persone soccorse un certo tal
» qual sembiante di proprietà che risparmierà qualche rossore
» ai bisognosi occulti e verecondi ,• e nei bisognosi avviliti dal
» sentimento di non aver nulla, rialzerà quel coraggio e quella
» dignità morale che è il principio della interna rigenerazio-
» ne, e che non può sussistere senza la coscienza di posse-
» der qualche cosa. Esso piglierà ancora il sembiante di un
« capitale che si riproduce
» Questa potenza morale che può acquistare la limosina, fa
» al povero un maggior bene di quello che possa fargliene il
» suo materiale soccorso. »
Risultali cosi soddisfacenti sono dovunque confermati dall'
esperienza, la quale ha mostrato che fra i mezzi di diminuire
il pauperismo, le casse di risparmio sono ì più efficaci.
Sotto il rapporto politico poi le casse di risparmio fruttano
pur auco un gran bene. In effetto per esse si aumenta il numero
degli individui più direttamente interessati al mantenimento
dell'ordine pubblico, imperocché colui che possiede una quan-
tunque piccola rendita che gli preme di conservare, è il primo
a paventare le conseguenze delle rivoluzioni e dell'anarchia ,
perchè è il primo che riceverebbe danno dai fallimenti , dalle
deficenze dell' erario , dal saccheggio de' fondachi. Due esempi
si adducono in prova di questo fatto. Il primo si è il contegno
della guardia nazionale di Parigi , composta massimamente di
piccioli capitalisti. Il secondo viene offerto dalla stabile tranquil-
lità dell'Inghilterra e dell'Olanda, dove le grandi masse della
popolazione nulla posseggono in benifondi, e tengono tutto il
loro patrimonio in tenui capitali, e nelle rendite.
Dal lato legislativo, non appena l'istituzione delle casse di
risparmio prese incremento, che dovette trarre a sé la solleci-
tudine del Governo. Dove però cominciarono a reggersi con leggi
dello stato si fu nell' Inghilterra, (jàindi la legislazione che vi
115
venne applicata fu pressoché dappeilulto ricevuta, con quelle
modificazioui però che le circostanze locali parvero suggerire.
Così in Francia 1' ultima legge generale, che dopo varie altre
speciali ordinanze si pubblicò per sottoporre a sanzioni unifor-
mi le casse di risparmio, si è quella del 5 giugno i83j. Se-
condo 11 suo disposto le casse possono fondarsi tanto dai corpi
morali , come dalle società private. La loro durata è libera. I
depositi non possono eccedere li 3[m. franchi, né essere minori
di un franco. La legge inglese si riservò espressamente la facoltà
sia di rifiutare un deposito, come di restituirlo se già accettalo.
Lo stesso si pratica nell'amministrazione delle casse di Francia,
sebbene la legge taccia su questo particolare.
In Inghilterra le donne, i fanciulli, ed i minori sono am-
messi ad avere delle cedole sulle casse di risparmio. Soltanto
a riguardo di queste persone circa i depositi ed i rimborsi sono
prescritte alcune discipline tanto in Inghilterra, come in Fran-
cia neir interesse della pubblica morale.
In Toscana la legislazione non ha ancor pres^ iniziativa in
questo importante ramo di pubblica economia. Esso viene sol-
tanto regolato dal manifesto costitutivo della società fondatrice
della cassa di risparmio ^ e dal relativo regolamento approvato
dal Gran Duca.
La società è composta di cento soci fra i più cospicui cit-
tadini di Firenze, fra cui vent' una donna, delle quali sei prin-
cipesse. La somma esposta dai socj per la dote della cassa si è
di 6[m. fiorini. L' interesse che si corrisponde ai deponenti è
fissato come in Francia al /^ per cento. Ma assai meglio che in
Francia viene preveduto il caso dello scioglimento della cassa e
della società', egli non vi è premesso , che per l'effetto di cir-
costanze m>aggiori , e non mai della libera volontà dei jiocj.
In Piemonte neppure è sinora sancita alcuna legge dello Stivto
sopra le casse di risparmio. I particolari regolamenti emanati
dalle città stesse che ne hanno fondate, sono ancora le vsole leggi
che le reggono. Lo scioglimento di esse rimane facoltativo alle
città medesime. L'interesse è pur anche stabilito al 4 P*^^' *^'
Nell'ordinamento della cassa di Torino ampliata colla già
citala notificanza del <> ^bre i8d6, si osserva una disposi/ioifè
110
pia generosa , che In quella di Firenze, la questa si paga il li-
bretto che vien rilasciato al prestatore, eolie gli serve di titolo
personale , in quella si rilascia gratuitamente. Fra le altre limi-
tazioni necessarie e ben pensate , non si potrebbe egualmente
locar quella che ammette soltanto gli abitanti di Torino, e del
stio territorio a far depositi nella cassa di risparmio , se però
questa troppo municipale provvidenza non racchiudesse il tacito
consiglio alle altre città di fondare anch'esse delle simili casse,
e non facesse lo stesso invito ai generosi di riunire una società
con questo scopo. Del resto ottima provvisione si è quella dell'
aver stabilito l'impiego a moltiplico, per modo che anche sugli
interessi non esatti, e per ogni cinquina di lire torna a decor-
rere lo stesso benefizio del per \ cento.
Da queste poche osservazioni si conosce che in Italia, e spe-
cialmente in Piemonte le casse di risparmio non hanno ancora
ricevuta tutta quella estensione e popolarità, di cui abbisognano
per essere profittevoli all'universale, e che sinora sono ancora
piutt(?sto un'agenzia municipale a guisa di semplice esperimento,
che una istituzione nazionale, compresa dal pubblico, genera-
lizzata e sussidiata dalla potestà superiore.
Il dare maggiori ragguagli sulla legislazione delle casse di
risparmio, che già divenne in qualche contrada alquanto com-
plicata, ci trarrebbe fuori dei limili di questo Giornale: perciò
speriamo che i nostri lettori vorranno perdonarci il laconismo,
con cui per ora 1' abbiamo trascorsa.
Non ci resta più che a parlare delle casse di risparmio sotto
il rapporto della loro opportunità pratica e locale, poiché i loro
progressi ed i loro vantaggi potranno bensì essere veri in astratto
o presso qualche nazione ; ma saranno poi esse egualmente op-
portune intatti i paesi, convenevoli alle abitudini ed agli inte-
ressi locali, riuscibili dappertutto insomma? Ecco il problema che
agli occhi di taluni non può ancora risolversi affermativamente.
Quanto a noi già vedemmo provato coli' autorità dei fatti
che questa istituzione con prospero successo pose radice in pa-
recchi stati d'Italia, e che in Piemonte pur anche può alli-
gnare e portar frutti preziosi.
Sarebbe soltanto da desiderarsi che il loro numero si mol-
117
liplicasse, e che il loro piano venisse formato sopra basi più
larghe , e poscia spiegato con tutta ij[uella , direm cjuasi , evan-
gelica semplicità, che si trova nelle istruzioni annesse al rego-
lamento della cassa di Firenze. Al fanciullo , e al debole si deve
spezzare quel pane che loro si vuol dare per nutrimento.
Del resto il credito dello stato salito a un grado, a cui pochi
altri stati pervengono, osi mantengono pervenuti, prova che in
Piemonte molta e gagliarda è la pubblica confidenza, e questa,
come ognun sa, è la prima base delle casse di risparmio, ove di-
scenda eziandio, come non può dubitarsi, nelle private relazioni.
Quanto ai mezzi materiali nessuno farà al Piemonte il torlo
di credere che in esso siano insufficienti per lo incremento
delle casse di risparmio, quando veggiamo che prosperano in
Scozia e nella Svizzera, paesi assai meno ubertosi del nostro.
Ad onta di ciò, e ad onta anche che non si possa dissimu-
lare che lo spirito di associazione sfavilla pur anco in Piemonte,
come lo attestano molte società ed imprese per assicurazioni ,
e per opere di pubblica utilità, pure certuni credono tuttavia
che le casse di risparmio non possano ancor farvi un felice
riuscimento.
Le difficoltà che si mettono innanzi sono le stesse che più o
meno s'incontrarono dappertutto, e che più o meno dapper-
tutto si superarono.
O difatti si parla della difficoltà di trovare persone che vo-
gliano , o che volendolo abbiano capitali da impiegare nelle
casse di risparmio , ed allora convien ripetere che bisogna avere
miglior speranza nella generosità, e nella carità del pubblico,
quando massime tutto ci porta a credere che non mancano in
sostanza i fondamenti per averla,
Una Tolta aperto e conosciuto che sia questo nuovo campo di
beneficare l'umanità, sarà una grande ingiustizia il supporre che
il governo , ed i cittadini più agiati non gareggino a percorrerlo.
Ora che si sa di quanti buoni frutti sia fecondo , il governo
sarebbe sicuramente il primo a venire in soccorso delle casse
di risparmio, con accordar loro ancorché temporariamente quelle
più urgenti sovvenzioni, che sarebbero necessarie per il primo
loro attivameuto.
118
L' esempio del governo non tarda mai ad essere seguìtq dai
buoni cittadini, e bentosto le volontarie sottoscrizioni, o per una
somma determinata , o per uiia annuale sovvenzione verrebbero
in sostegno delle casse di risparmio.
Così in Firenze, come già si è narrato, si trovarono ben
tosto cento individui die fecero alla cassa di risparmio una dote
di 60 fiorini per ciascuno.
Egli è poi universalmente riconosciuto che nelle casse di
risparmio troverebbero un sicuro collocamento i capitali di ri-
serva che molti padri di famiglia a motivo di preveggeuza so-
gliono conservare improduttivi.
Partendo inoltre dal principio che la base di questa istitu-
zione è di mera beneficenza , e non di commerciale speculazione ,
siccome già si è detto essere accaduto in altri paesi , dove la
prima spinta a questa istituzione si diede dalle donne, e dagli
ecclesiastici , cosi noi crediamo che in Piemonte non si farebbe
un inutile appello alla sensibilità, ed alla carità che animano
in eminente grado, ed il gentil sesso, ed il clero. Le facoltà
non solamente morali, ma quelle pecuniarie eziandio che l'uno
e l'altro posseggono, non sarebbero sicuramente lente a con-
tribuire alla" fondazione delle casse di risparmio.
Indipendentemente da questi, esse potrebbero ancora aspirare
ad ottenere altri mezzi di dotazione.
1.° I diversi istituti di beneficenza secondando il vero loro
scopo potrebbero a quest' ufficio erogare una parte dei proprii
fondi, specialmente ove questi fossero abbondanti. A ciò do-
vrebbero tanto più disporsi, se si riflettesse che in ultima analisi
le casse di risparmio procurano una vera economia a tutti gli
altri stabilimenti di beneficenza, agli ospizi, alle congregazioni
di carità, e persino alle case di punizione. Quindi è che quanto
esse da un canto verserebbero nelle casse di risparmio, fra non
m.olto il ricupererebbero indirettamente dall'altra, facendo ces-
sare molte esigenze che nell' attuale mancanza delle casse di
previdenza aggravano gli altri stabilimenti.
2.° Alla dotazione delle casse di risparmio potrebbero senza
disagio di chicchessia concorrere pur anche le comunità coi
redditi comunali soprav\'anzati all'annua necessaria uscita. Men-
119
tre così i nmiiiclpii potrebbero avvantaggiare per se stessi que-
sti maggiori fondi, procaccierebbero eziandio un maggior van-
taggio ai loro amministrati , e si eviterebbe in tal guisa il pe-
ricolo non insolito che tali fondi vengano dissipati in spese inu-
tili, od anche senza che neppure appaia in quali.
3." Rianimata con questa nuova istituzione la pubblica bene-
ficenza , ad essa si rivolgerebbero i legati, e le donazioni pie
di preferenza forse agli antichi istituti, perchè molti già li cre-
dono per vetustà inerti o degenerati. Così naturale è questo mezzo
di dotazione per le casse di risparmio, che la legge di Francia
le ammette con apposito articolo a ricevere siffatte liberalità*
Esistono dunque in realtà i mezzi per dotare le casse di ri-
sparmio , ma non vi mancano forse che due sole cose: l'una
di dare movimento, ed una confacente direzione ai capitali
inoperosi che giacciono in varii altri stabilimenti, non che ai
loro redditi superflui: l'altra di rendere più famigliari e più
spiegati all'intelligenza popolare i benefizi, le cautele, le pra-
tiche di questa istituzione.
Del resto siamo persuasi che assieme a tutti i mezzi che sinora
abbiamo discorsi accorrerebbero pur anche come in Firenze ì
capitalisti, che per via di azioni create con cedole sul debito
pubblico, e con ipoteca sopra immobili costituirebbero alle casse
di risparmio quella dotazione , che sarebbe di permanente salva
guardia per gV interessi d' ognuno.
La stessa facilità poi che con queste casse si apre ad un infinito
numero di persone d'impiegare le loro piccole economie che di-
versamente non troverebbero impiego attivando la circolazione
del denaro, sarebbe altresì un mezzo per agevolarne l'esercizio.
E qui ispirerà forse coraggio ai più increduli l'avvertire che
alla fin fine non è poi subito necessario di aver alla mano forti
somme in contante per intraprenderne l'esercizio, ma che ba-
stano probabilmente in sul principio i depositi che verrebbero
fatti , per soddisfare i primi sconti.
Laonde chi voglia ben ponderare queste circostanze che non
sono certamente chimeriche, verrà persuaso che molte delle
difilcoltà che si fanno tuttavia alla moltiplicazione delle casse
di risparmio, poggiano sopra ipotesi fallaci.
120
Cos\ se taKirio volesse imcnaginuré ciò clie dillicilmenlc può
accadere, uì'- mai in alcun luogo accadde, vale a dire che tulio
ad uu tratto si chiegga la restituzione di tutti i depositi, allora
a costui si dovrebbe osservare che le casse di risparmio , sia
coi fondi disponibili di cui sarebbero sin dalla prima loro fon-
dazione dotate, sia col proprio credito, sia colla rappresenta-
'/ione e valore dei henifondi a prò di esse ipotecati dagli azio-
nisti , non verrebbero mal meno alle richieste.
Qui ancora non finiscono le obbiezioni , ed ancora si pone
in campo la difficoltà dello impiegare nuovamente le somme
che verrebbero depositate nelle casse , onde cavarne quel pro-
fitto che intanto si dovrebbe corrispondere a titolo d' interesse
ai deponenti.
Ma anche qui l'opera del Governo sarebbe la prima a mo-
strarsi generosa. Egli dlfattl potrebbe facilitare a prò delle casse
di rispai'mio grirapieghi sul debito pubblico. Egli inoltre, quando
avessero un' amministrazione capace, potrebbe preferirle nell'af-
fidar loro la esecuzione di qualche opera pubblica o l'esercizio
di qualche pubblico appalto. In Firenze quest' ostacolo fu tolto
incontanente. Il Gran Duca provvide generosamente al rinvesti-
niento sull'erario della prima dote di fiorini 6^m. e poscia con-
cesse che fossero parimenti rinvestiti i primi 24|m. fiorini che
venissero depositati nella cassa.
Per altra parte la stessa apertura delle casse in varii luoghi
dello stato presenterebbe uu nuovo sfogo all' impiego del da-
naro , e così le stesse casse di risparmio gioverebbero a dimi-
nuire appunto quelle difficoltà che oggidì si lamentano.
Non mancherebbero finalmente gli speculatori in ogni genere
di commercio, che per l'andamento delle loro particolari specu-
lazioni ricorrerebbero alle casse di risparmio, da cui potrebbero
mediante cautela e pagamento dell' interesse ottenere capitali.
Havvi ancora un altro partito per rendere le casse di rispar-
mio pili utili , e meno imbarazzate dei depositi che già avessero
ritirati.
Questo partito sarebbe quello di consolidare in se medesime
un' altra analoga istituzinne , quella cioè delle Casse agricole
ed industriali.
121
Appena operata questa fusione si vedrebbero, ne slam certi,
le casse di risparmio crescere di forza ogni giorno , ed acqui-
stare nuovi elementi di sussistenza e di prosperità.
Allora in fatti di semplicemente passive che prima erano le
casse di risparmio, diverrebbero pur anco attive. Mentre fareb-
bero r incasso dei risparmi , distribuirebbero prestiti destinati
a migliorare 1' industria agricola e manufattrice. La loro entrata
come la loro uscita sarebbe egualmente provveduta, aperta la
facilità dei reimpieghi , accresciuta la circolazione del danaro
e r attività delle classi lavoratrici, trovato in somma nella re-
ciproca azione delle due accoppiate istituzioni un nuovo pegno
della loro stabilità e del loro successo.
Perciò in Francia ed in altri luoghi già si veggono delle casse
di risparmio annestate ai Monti di pietà, e ad altri simili isti-
tuti di beneficenza.
Noi non ignoriamo che il progetto di una simile unione es-
sendo stato nel i83i proposto alla società di Firenze, esso non
piacque alla commissione nominata per esaminarlo. Ma ciò
nulla meno si sentirono da quei dissidenti tutte le forti ragioni
per adottarlo, e la commissione allora se ne astenne unica-
mente per la religiosa delicatezza di non alterare le casse di
risparmio dalla primitiva loro natura di pura beneficenza sot-
toponendole a rischievoli innovazioni *i. Lodevole certamente
era allora l'intenzione dei commessai-ii fiorentini, ma noi pen-
siamo che quando questa stessa quistione venisse dibattuta in
Piemonte le locali circostanze di esso farebbero prevalere i reali
vantaggi che si trarrebbe dall' annestamento delle casse di ri-
sparmio colle Banche agricole, alle troppo scrupolose circospc-
zioni. In questa sorta di cose ben si può dire che è meglio una
infedele feconda che una fedele sterile.
Inutile poi sarebbe lo enumerare tutti i vantaggi delle banche
agricole e d'industria, che ora ad esempio dei Monti frumen-
tari di Napoli versano i loro beneficii nella Germania.
Si prenda soltanto ad interrogare quel piccolo proprietario ,
quei fittajuolo , quel padre dì famiglia che non ha scorte per
*i. Vedi Aatologia di Firenze fase, di marzo i83a , pag. 48 e scg.
122
coltivare le tcri-e che per qualche infortunio dovette far distratto
de' bestiami , e delle masserizie, e talora delle sementi stesse,
che non può pagare i lavoratori , che deve trovare una dote
per la figlia a cui è uscito un onesto partito, che infine per il
sostegno della famiglia vorrebbe conservare nel seno di essa quel
figlio che viene chiamato a lasciare 1' aratro per la sciabola 5 e
questi individui tutti risponderanno unanimi che nelle Banche
agricole troverebbero i fondi necessari per sopperire a siffatti
bisogni senza dover ricorrere a contratti rovinosi , a vendite
con riscatto, all'ingordigia degli usurai, alle dispendiose caTÌl-
lazioni del foro.
E cosi quante fortune, quante moralità si conserverebbero
illese, quante migliorie succederebbero ne' poderi, qual aumento
di prodotti si otterrebbe specialmente a profitto delle piccole
proprietà, delle classi più laboriose, e più indigenti?
Non potrebbero esse dirsi salvate da quelle sozze arpie che
nei villaggi soprattutto stanno cogli artigli aperti per divorarne
le sudate sostanze ?
Tali sarebbero i principali risultati che a favore dell'industria
e del piccolo commercio presenterebbe l'esecuzione di un pro-
getto tendente a riunire in una sola istituzione le casse di ri-
spàrmio, e le bancìie agricole e d' industria.
Ove poi seguitando queste vedute loro si volesse ancor dare
una più stabile estensione , in ciascun mandamento gioverebbe
fondare uno di questi stabilimenti che poi dipendesse da una
direzione centrale in ogni provincia.
Chiamate così le casse di i-isparmio e di soccorso peli' agri*
coltura e pell'industria al doppio uffizio di queste due istituzioni,
diventerebbero bentosto come una banca locale sopra cui ver-
rebbero collocati con vantaggio le economie delle classi povere
e lavoratrici, e da cui nel tempo medesimo queste potrebbero
ricevere quei sussidii che fossero necessarii alla miglior coltura
dei terreni, all'aumento della pastorizia, del commercio e delle
manifatture.
Egregio uffizio della legislazione e del fisco sarebbe poi fi-
nalmente quello di ridurre alla più possibile semplicità, al mi-
nore dispendio , alla speditezza maggiore tutte quelle pratiche
123
e formalità che sono , o si conoscessero sufficienti per caute-
lare neir universale interesse le operazioni di queste casse com-
binate. L'esempio della Germania è troppo bello per non essere
citato. Quivi le operazioni delle banclie agricole sono esenti da
tutte le formalità inseparabili dai prestiti con ipoteca, e le let-
tere ipotecarie con essa contratte si negoziano in commercio come
i migliori effetti , o come le iscrizioni di rendita sul Governo.
Egli è neir intima convinzione di tutti questi risultamenti ,
che noi non possiamo a meno di conchiudere che o l'amor di
patria ci fece stranamente travedere, o le supposizioni delle quali
si creano altrettante difficoltà alla moltiplicazione in Piemonte
delle casse di risparmio ed agricole , piuttosto che veri ed in-
superabili ostacoli , sono nudi sospetti ingiuriosi a quel senti-
mento di beneficenza , di ordine , di fratellanza che riscalda
pur anco i piemontesi petti 5 sono pretesti che oltraggiano i
mezzi reali di pubblica e di privata ricchezza , di cui la Prov-
videnza ci ha forniti.
Siamo con tutto ciò ben lontani dal negare che la fonda-
zione , la diffusione e 1' esercizio di questa combinata istitu-
zione non trovino da principio delle difficoltà; ma qual è quell'
istituzione per quanto poi utile sia stata , che non abbia in
sulle prime avute le sue contraddizioni ed i suoi nemici ?
Basta talvolta un primo sforzo , un primo esempio, uno slan-
cio dato alla beneficenza ed alla carità, e diciamolo pur anche
air ambizione , basta un impulso dato opportunamente dal Go-
verno, o da qualche savio potente per schiacciare quella bieca
diffidenza, quell'isolamento di persone e d'interessi, che è ve-
leno così micidiale d' ogni bella e magnanima impresa.
Possano frattanto questi nostri pensieri raccolti e gittati cosi
alla rinfusa sopra una materia che esige tanta esattezza e pro-
fondità di calcoli e lumi tanto maggiori dei nostri , sgomberare
la via dalle preconcette opinioni, aguzzare l'emulazione negli
indifferenti , infondere una fiducia civile nei cuori meticolosi ,
persuadere insomma coloro che più possono , dell' opportunità
delle Casse di risparmio ed agricole in Piemonte ed in tutti
quei stati d'Italia ove non sonò ancor introdotte, o poco esteso
ne hanno V esercizio!
S. B.
124
SciEJNZE Storiche — Di una vita inedita di Alessandro VII
scritta dal Cardinale Sforza Pallavicino.
Fin dagli studii suoi giovanili il Marchese Sforza Pallavicino
aveva conseguito tanta fama d' ingegno e di dottrina , che Fa-
bio Chigi Sanese , giovane il quale alla nobiltà del casato univa
bellissimo ingegno e grande amore delle lettere, recandosi a
Roma non ad altri che a lui cercò di essere accomandato.
Pertanto quei due valorosi giovani contrassero la prima cono-
scenza in Roma 5 e gli animi loro si trovarono così concordi
neir amore del vero e del buono , che da quel punto ebbe ori-
gine la loro amicizia, la quale solo flnì colla vita. Sforza, iu
allora Principe dell'Accademia degli Umoristi, vi ascrisse an-
che il Chigi , richiamandolo cosi alle muse latine dal gio-
vane Sanese con felice successo già coltivate. Lo introdusse pure
nella grazia di Urbano Vili , il cui favore Sforza godeva per
antica divozione di famiglia, e per la indole sua studiosa e gen-
tile. Quindi trasse principio la fortuna del Chigi , che a mano
a mano lo condusse alla porpora ed al triregno. Intanto il Pal-
lavicino abbracciata la vita chiericale ebbe varie prelature , e
fu prima Governatore a Jesi, quindi ad Orvieto , di là a Ca-
merino \ d' onde contro 1' aspettazione di tutti passò a vita più
tranquilla ed a coltivare i suoi diletti studii nella Compagnia
di Gesù.
In questo mezzo il Chigi progredì nella sua carriera , e fu
Vicelegato a Ferrara , Inquisitore a Malta , Nunzio a Colonia ,
Nunzio straordinario a Munster per conciliare la pace tra l'Im-
peratore , il Re di Spagna e quel di Francia , Segretario di
Stato, Vescovo d'Imola, all'ultimo Cardinale. Passato di vita
il Pontefice , il Cardinale Chigi entrò anch' esso in conclave ,
ed oltre il suo credere ne uscì Papa col nome di Alessandro
VII. A lui Cardinale il Padre Sforza aveva dedicato il Tomo 1.
delle sue djsputazioui in prirnani secundce Divi Thoince \ dal cui
125
proemio possiamo argomentare quanta fosse la loro famigliarità,
dicendovi il Pallavicino : « Equìdem si ahsque te dies invito
» mihi aliquis elahehatiir ^ illuni vitce non adnumeraham , quasi
» anima caruissem. •» NuUaraeno , quantunque in privata for-
tuna amicissimi, lo Sforza recatosi con molti a prestare omag-
gio al nuovo PonteGce non osò farsegli apertamente inanzi ,
e si tenne tra gli altri confuso. Ma il Chigi , nel quale l'altezza
dello stato non mutò l'animo, scorgendolo tra la folla a sé
il chiamava , e gli diceva che d'allora in poi avrebbe 3vuto me-
stiero de' suoi consigli. Grato a tale dimostrazione il Pallavicino
si affrettò di compiere la seconda edizione della sua storia del
Concilio di Trento , e la intitolò ad Alessandro VII. Questi
memore degli antichi benefizii, e perchè alla porpora ne venisse
onore , poco stante lo promosse al Cardinalato con espresso
comando di accettarlo, dacché l'Instituto e la modestia del Pal-
lavicino rifuggivano da sì gran dignità ; e d' allora in poi ninna
cosa di qualche momento Alessandro VII deliberava senza con-
sultarne il lido amico.
Questi brevi cenni intorno all' amicizia di que' due perso-
naggi stimai opportuno di preporre , perché mi parve che al
tempo stesso avrei narrata 1' origine e le cagioni della vita di
Alessandro VII scritta dal Card. Pallavicino , ed insieme di-
mostrato che nessuno poteva narrarla più accuratamente di lui,
come egli stesso osserva nel proemio dell' opera. E scritta dif-
fusamente, divisa in sei libri, condotta fino all'anno i65g. E
verosimile che la morte non abbia conceduto all' Autore di
condurla a termine.
Lodare questo lavoro uscito dalla penna di uno dei più chiari
autori del suo secolo , sarebbe opera perduta. Bensì mi giova
xli avvertire alcuni sbagli commessi dall' Oudin nella vita del
Cardinale Sforza Pallavicino , ove dice : « Scripsit etiam ita-
» lice viLam Jlcxandri VII diligenti s siine scriptam , sed
» rudi minerva, cum ad suum privatum commodum et ad reco-
» lendam iucundissimi temporis memoriam eo commentano uti
» vellet : ignarus aliquando /ore ut ille plagiariorum astu et
» invìdorum calumniis /cede corruplus magno cum amanuensium
» lucro evulgaretur. » Dalle quali parole s'inferirebbe primie-
126
ramente, che questa vita non fosse scritta dal Pallavicino con
proposito di porla in luce : in secondo luogo, che sia stata ma-
lamente straziata dai plagiarli e dagl' invidiosi. Ma la falsità
della prima di queste asserzioni si scorge ad evidenza da tutto
il proemio dell'opera, il quale soggiungeremo come per saggio.
Del pari priva di fondamento è la seconda, intorno alle inter-
polazioni colle quali Oudin afferma essere questa vita a bello
studio stata corrotta dagli amanuensi ; che in due codici con-
frontati , se bene , come vedremo , non trascritti dal medesimo
esemplare , si trova bensì diversità di ortografìa e corruzione
di parole causata da negligenza o da ignoranza degli amanuensi,
ma non corruzione di senso , od interpolazione di periodi.
Con tutto ciò uno scritto tanto importante alla storia ed alla
letteratura italiana si giacque finora inedito. Sulla speranza di
fare cosa grata agli amatori delle patrie lettere ho col chiaris-
simo Cav. Carlo Bandì di Vesme , membro della Deputazione
sopra gli Studii di Storia Patria, deliberato di farla di publica
ragione.
Il testo verrà emendato col confronto di due codici. Il primo
esistente nella Reale Biblioteca della Università di Torino ,
pressoché contemporaneo, copiato con assai correzione, è re-
gistrato nel Tomo II, pag. 4^5 del catalogo dei manoscritti.
E probabile sia trascritto dall' autografo , come quello che fu
con molti altri codici recato di Roma da A. Bencini , già bi-
bliotecario della R. Università. Il secondo ci venne fornito dalla
cortesia del Marchese Ludovico Pallavicino-Mossi dell' illustre
casato dell' Autore. Questo è copia del codice posseduto dal
Marchese Valenti di Mantova , ^ quantunque di buon testo
è scorretto per negligenza dell' amanuense.
127
VITA DI PAPA
ALESSANDRO VII
PRIMA CARDINAL FABIO CHIGI
DESCRITTA
DAL PADRE SFORZA PALLAVICINO
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
POI FATTO CARDINALE DAL SUDDETTO PONTEFICE,
PROEMIO
» E opinione di molti che non si debba scrìver istoria se
» non delle cose antiche , intorno alle quali la speranza o la
)) paura, 1' amore o l'odio verso le persone commemorate non
» abbian luogo, né possano infoscar la verità, eh' è l'anima
■n di tali componimenti. A me persuadono la contraria sentenza
») due potissime ragioni.
» La prima è eh' assai maggior impedimento possono recare
» al pieno racconto del vero 1' ignoranza e 1' errore intorno a'
» successi lontani , che i rispetti e gli affetti intorno a' pre-
» senti : e per l'altro lato le medesime istorie de' successi lon-
» tani conviene che finalmente si traggano da quel barlume
» che ne resta nelle memorie scritte quando essi erano presenti.
» La seconda ragione si è, che bene ancora sopra 1' antico
» possono molti e gagliardi essere gì' incitamenti a mentire ,
)) ma non già i ritegni come sopra il moderno. GÌ' incita-
» menti sono spesso 1' affetto buono o reo verso le famiglie, le
» città, le nazioni; e se non altro una tal vaghezza dimostrarsi
» consapevole d'arcani e d'ingrandire gli avvenimenti per fare
» sé stesso ammirabile e dilettevole ne' racconti. All' incontro
» il ritegno appena può esser altro che un religioso amore
>) della veracità , il quale siccome non ha gran forza se non in
0) alcune menti più dilicate , cosi poco vale ad assicurare uni-
» versalmente i lettori. Ma dall' altra parte fortissimo riteni-
» mento hanno anco gli animi communali dal contaminar di men-
» zogne le relazioni de' successi recenti , potendo temere innu-
» merabili testimonii che gli smentiscano , e mutino loro la
» gloria in vergogna. Ed a confermazione di ciò veggiamo come
128
» l'istorie più inverisìmiU e che più sanno del favoloso sono
» quelle che hanno per tema i secoli più remoti. Onde ac-
» conciamente Plutarco nel principio delle sue Vite paragona
» gì' istorici delle più vetuste cose a' dipintori delle terre lon-
» tane ed incognite , i quali si fanno lecito di figurarvi mari ,
>) monti e fiumi di capriccio, senza veruna cura del vero.
» Questa mia generale opinione, e molte ragioni speciali mi
ì) hanno consigliato a scriver la Vita di Alessandro VII, as-
» sunto in questi giorni al Pontefìcato 5 quando io per avven-
)) tura più che qualsivoglia altro ho i necessarii fornimenti per
» così fatto lavoro , cioè le sicure ed intime informazioni. Im-
» perocché mi è toccato in sorte d' aver con questo Principe
» nella sua fortuna minore una singolare corrispondenza d'af-
» fetto , di communicazione or con la lingua or con la penna,
» per lo spazio già di trent'anni, sì che appena io credo che
» mi sia rimasa occulta veruna parte non solo delle sue opere .
» ma del suo cuore ; e ritenendo egli nella nuova grandezza
» r animo antico non ha ricusato di commetter anco in fu-
» turo alla mia fede quei secreti , la cui notizia faccia mestiero
» per quest' impresa.
» Né può esser pericolo che o 1' appetito di lusingare o il
» risguardo di non offender il vivente mio Principe m' induca
)) ad alterare od a tacere il vero : primieramente , pei'chè mi
» sono incontrato in un argomento , dove non può, secondo il
» proverbio , la verità partorir malevolenza 5 non essendo già
» per molti secoli addietro asceso a regnar nel Vaticano ve-
)) run altro con maggior suffragio di tutta la preterita vita ,
» e con maggior applauso degli Elettori di Roma e del Cristia-
» nesimo ; talché s' egli per l'avvenire del tutto non degenera
» da sé stesso , 1' unico mio rischio nel raccontare il vero sa-
n rebbe il cader in sospetto d' adulatore alla remota e non in-
» formata posterità, quando non fossero per assicurarmi di
» questa nota 1' uniforme linguaggio col quale io confido che
» parleranno di lui altri narratori, e la considerazione appunto,
)> che avendo io scritto in un'età la quale sarà stata spettat-
» trice de' medesimi fatti , troppo sarei stato folle nel fingere
V con certezza d'infamia e senza speranza di fede. Secondaria-
129
» mente , il Principe del quale io icrivo è di tale iucljua-
» sione , che il più efficace mezzo di perdere la sua grazia sa-
li rebbe la menzogna , come aborrita da lui sì forte sin da
5» fanciullo , che dal suo parlare sono state quasi bandite le
» voci superlative e le amplificazioni , per qualche affinità che
M hanno con lei.
» Posto ciò, essendo io dedicato nella vita religiosa ad impie-
» garmi in servigio di Dio ed in edificazione degli uomini,
» massimamente con la penna , e secondo lo speciale instituto
» del mio Ordine , e secondo qualche particolare abilità che mi
M hanno acquistata i miei preteriti studii : mi son avvisalo che
» molto possa conferire una tal opera a questo fine. Ciascun sa
» quanto giovi all'edificazione del Cristianesimo il sapersi che
» chi è adorato per suprema dignità sia venerabile per suprema
» virtù, e che il più prossimo a Cristo nel grado gli sìa vicino
» ancora nell'imitazione. Oltre a ciò dipendendo dalla bontà del
» Sommo Sacerdote , quasi dalla propizia influenza del primo
» mobile , tutto il ben della Chiesa , ed essendo agli uomini
» il buon esempio recente il più profittevole d' ogni altro mae-
» stro : ne segue che la vita palesata al mondo d'un Papa ot-
» timo giovi per diuturno tempo a sommo prò* della Chiesa ,
» cagionando una lunga serie di Papi buoni. Ma oltre a que-
» sti rispetti io voglio discoprirne con libertà un altro non
» meno efficace, il quale però non potrebbe esplicarsi da chi
» scrivesse le azioni di un Principe vivente che non fosse si-
» mile al nostro. Mi sono ricordato che le fatele misteriose
» e' insegnano come la medesima Dea della Sapienza fu bi-
» sognosa di contemplar la sua effigie nel fido specchio d' un
» fonte per non deformarla. Ho considerato adunque che veg-
» gendo Alessandro VII tutte le sue azioni successivament«
» narrate , rimirerà ogni dì l' iraagine de' suoi costumi in uno
* specchio intellettuale, laddove il materiale per contemplarvi
» quella del suo sembiante già son diciott' anni si è da lui
T» disusato; e saprà che di lui avviene ciò che Seneca, autor*
•» a lui famigliarissimo, raccomanda per ottimo presidio al man-
» t«DÌmento della virtù , cioè d' operar sempre come iu teatro.
Spirilo Fossati.
9
Scienze ÌNaturALI — Geologìk - Ossetvazionì geognostiche
e mineralogiche intorno ad alcune valli delle alpi del Pie-
monte, del professore di mineralogia Angelo Sis monda.
Torino dalla Stamperia Reale.
La storia fisica della terra occupò universalmente sin dalle
più remote età 1' umano pensiero , e fu soggetto d' antichissime
osservazioni e credenze. Gli eventi che a quella apparten-
gono , come offersero ampia materia alle tradizioni de' popoli ,
varie secondo la condizione di questi, e la natura, e le qualità
de' paesi che abitavano, cosi apersero pure lai-go campo alle
investigazioni della scienza esploratrice dell' andamento della
creazione. Rivolgendo lo sguardo attorno sulla terra , adden-
trandosi nelle sue viscere l'uomo vide dappertutto manifesti
segni di rovinose violenze , che la conquassarono 5 scoperse
indizi! di grandi mutazioni avvenute , vicende assidue di di-
struzione , e di riproduzione ; e comechè paresse dover es-
sere il suo intento vinto dalla difficoltà dell' impresa , volle
pur nondimeno ricercarne il come , e il quando , e diradare
per quanto ci poteva l' oscurità , entro cui erano ravvolti i
grandi avvenimenti fisici della terra, ove ei nacque. Lunga e
soverchia opera sarebbe il riferire qui le diverse opinioni, con-
getture, ed ipotesi che nacquero a mano a mano intorno allo
stato primitivo della terra , agli orribili sconvolgimenti, che
le impressero orme cosi profonde , al ridursi che ella fece a
tanta ineguaglianza di piani , di montagne , di rialti , ed a
COSI maravigliosa varietà d' esseri organici ; che via via gli uni
dopo gli altri la vennero ricoprendo, secondochè le forze or-
ganiche della natura, eccitate dal Creatore davano loro forma
evita nell'ordine e nella successione, che richiedevano le na-
turali loro proprietà, e lo stato fisico delle cose. La differenza
dei sistemi , l' incertitudine , e la stranezza delle opinioni in
fatto di geologia derivò in alcuna parte dalla malagevolezza
della materia 5 ma soprattutto dalle scarse, ed inesatte osserva-
131
z,ioni,, dalla vaghezza di nuovi, ed inaiidili il trovali , dal uou
essersi nel dedurre prlucipii generali abbastanza posto mente
ai fatti, i quali in ogni scienza, ma più nelle più ardue vogllonsi
sopra ogni altra cosa considerare , acciocché la scienza non venga
oscurata dalla caligine di contrari pareri. Dentro le viscere della
terra, ne' suoi graniti, ne' suoi marmi, nella sabbia, nell'ar-
gilla conveuiva ricercare i documenti della storia fisica della
terra. Le qualità degli strati che la ricoprono, la loro giacitura,
l'ordine della loro soprapposizìone nelle pianure , e ne' monti,
la natura degli esseri organici animali e vegetali , che dentro
essi si racchiudono , la loro diversità da strati a strati , questi
e cotali altri indizii che oflre il gran libro della teri-a, dovevano
guidar^ i geologi a determinare con qualche certezza i fatti
principali della storia fisica del globo, i suoi periodi di rivol-
gimenti , e di quiete , e le rovine colossali di quella protogea ,
ditoni sussistono così chiari monumenti. Dappoiché i geologi si
misero per la via delle osservazioni , raccolsero fatti da ogni
parte, e chiesero soccorso ai loro studi dalle diverse scienze
naturali, la geologia che prima altro non era, al dire del sig.
D'Arago, che una collezione di strane ipotesi, ottenne luogo tra
le scienze esatte, pose principii, e dedusse risultati non imme-
ritevoli d'attenzione e di fede. E la teoria de' sollevamenti fu
corroborata da valide prove , e stabilita con non mediocre
probabilità 1' antichità relativa delle differenti catene di monta-
gne europee, comparata a quella della formazione dei diversi
terreni di sedimento ; e scoperta e determinala la somiglianza
d'andamento delle montagne contemporanee, e furono compro-
vate le mutazioni cagionate nella condizion fisica della terra
dalle successive rivoluzioni che la travagliarono, colla testimo-
nianza della diversa natura degli esseri organici, che dentro ai
dilFcrenti suoi strati si ritrovano. Gli studi geologici vanno frat-
tanto sempre più oltre progredendo per la via non fallace delle
osservazioni, le quali, superati a mano a mano con mai\ivigliosa
perseveranza gli ostacoli, si distendono a luoghi finora raen
conosciuti, si moltiplicano, si raffrontano per dcdui-ne risultati
generali, che sieno come slabile base alla certezza, ed all'ac-
•rescimento della scicuza. Forse verrà tempo in cui dalla coni-
152
page della corteccia terrestre in ogni sua parte svolta e ricer-
cata, emergerà per quanto la difficoltà dell'opera il comporta,
chiara ed ordinata la storia fisica della terra, come dagli avanzi
de' monumenti, opera degli uomini, s'intende con ogni studio
a chiarire la storia primitiva dell'umanità, che sopra cumuli
di rovine lasciò impressi i vestigi delle passate sue condizioni
e vicissitudini.
E sommamente commendevole è questo comune sforzo e con-
senso degli studi geologici ed archeologici così efficacemente
a' nostri di coltivati, e non alieno dalla loro natura il rispon-
dersi degli uni agli altri: che degli studi geologici potrà alcuna
volta l'archeologia nelle sue ricerche giovarsi a meglio e più
addentro comprendere le memorie cosmologiche, che tauK parte
occupano nelle tradizioni de' popoli , e a trarne il vero senso
di sotto al velame de' simboli, e delle allegorie che il più delle
volte lo nasconde ; e spesso avverrà che la stox'ia degli eventi fi-
sici conferirà non poco ad illustrare la storia degli eventi umani ,
i quali sono sovente con quelli strettamente collegati. Molti
chiari ingegni contribuirono recentemente cogli studi, e coll'opere
loro all' incremento della scienza geologica , e il Cuvier che ri-
volte le profonde sue indagini agli sparsi avanzi d' una natura
organica spenta , meditò sopra quelli i rivolgimenti fisici della
t«rra, che originarono nuove generazioni d'esseri, ne ricompose
in gran parte , e ne riprodusse le antiche forme con universale «
maraviglia di tant' opra d'ingegno, e il Brougniart, e il Blu- 1
caud, e il Gordier , e 1' Hutton , e l'Hyell, e il Playfer, e il
dottissimo ed infaticabile sig. Elia di Beaumont , de' cui studi
e lavori ogni di s'accresce la scienza. A questi nomi illustri,
onde s'onora la Francia, l'Inghilterra, e l'Alemagna, noi non
dubiteremo d'aggiungere quello d'un egregio nostro compaesano
ed amico il sig. Angelo Sismonda, professore di mineralogia, il
quale preso di grande amore per la scienza che egli professa , e
quella applicando siccome potente sussidio alle cose geologiche,
con dotte ed assidue elucubrazioni , e con frequenti viaggi per
valli, e per monti, coopera a gara coi valenti geologi d'oltr'alpe,
e dolile mare all' accrescimento della scienza geologica. Frutto
d' una sua receute peregrinazione fatta in compagnia del sig.
155
di Beaumont aj^i'averso alcune valli delle alpi del Piemonte ;
sono le osservazioni che noi qui annunziamo. Sopra questo
medesimo tema sci'ive pure il sig. di Beaumont : ma il suo
lavoro si diversifica da quello del sig. Sismonda, in quanto che
il primo s'attenne più particolarmente alla parte teorica fon-
data sull' osservazione, laddove il secondo ehbe per iscopo prin-
cipale r esatta esposizione dei fatti : non omettendo per altro
di render ragione d'essi, dove cadeva opportuno il farlo.
Attraversata in tutta la sua lunghezza la valle d'Aosta, i due
geologi si condussero al passaggio del piccolo s. Bernardo 5 varcato
questo monte, e discesi al borgo di s. Maurizio si dirizzarono
quindi al colle di Reme nella valle dell' Isera: percorsa questa:
valle, e quella, di Reme, di Cogno, e Val-Pellina , pervennero
alla valle del Gran s. Bernardo , dove si terminò la loro pe-
regrinazione. Nessuno degli indizi che potevano condurli alla
conoscenza de' teri-eni di tutto quel tratto di paese trascorso ,
e de' rivolgimenti cui andarono essi sottoposti, sfuggi loro inos-
servato. Dal fondo delle valli salirono su pei dorsi de* monti ,
che le chiudono sino alle loro cime, ricercando dappertutto i
fessi de' monti, i burroni, le frane, le quali danno opportu-
nità di osservare la natura degli strati gli uni agli altri ad-
dossati, di notarne l'andamento e le diverse inclinazioni. Dove
i fianchi rovinosi e dirupati delle montagne impedivano loro
la salita, raccolsero, ed esaminarono i ciottoli svelti da quelle
alture inaccessibili , e portati al basso dalle fiumane alpestri ^
per giudicare da quelli della qualità delle roccie , cui non po-
tevano esaminare più dappresso. Noi addurremo qui in brieve
compendio i risultati delle osservazioni del sig. Sismonda , quali
egli li notò in una carta geologica annessa alla sua scrittura.
I terreni che si incontrano lungo la valle di Aosta, spettano
a quelli, che i geologi appellano di sollevamento, primitivo,
giurassico , ed alluviale ( diluvium ). La Diorite roccia di sol-
levamento si mostra sulle porte della città d'Ivrea, ed in vari
siti della valle sorge di mezzo ai terreni stratificati la serpen-
tina. Lo gneiss terreno primitivo si trova poco distante dalla
città d'Ivrea, e continua quasi senza interruzione rimarchevole
fino alle vicinanze di Veires , dove si nasconde sotto la for-
154
Trazione giurassica, cui la forza dell' urto noa fu abbastanza
gagliarda per disperdere. Il terreno giurassico occupa la più
gran parte di tutto lo spazio compreso tra le valli soprammen-
tovate. Stando alle divisioni più generalmente ammesse dai geo-
logi , il terreno giurassico della valle d' Aosta appartiene alla
parte detta giurassica superiore. Le roccle di questo terreno ia
complesso sono : arenaria ( grès ), scisti , e calcarei. Esse si al-
ternano insieme senza mantenere per altro una costante rego-
larità, dimodoché or le une, or le altre a vicenda compajono.
Questi sedimenti mostrano d' essere stati urtali, e smossi più
volte ; dal che si deriva la cagione dei frequenti cambiamenti
delle loro inclinazioni, e di quelle altre anomalie di posizione
che iu essi si osservano. Il terx'eno d' alluvione, sotto il qual
nome 1' Autore comprende i sedimenti lasciati indietro dalle
acque nell'epoca, in cui la terra ricevette la presente sua con-
figurazione, si distende per una striscia, che da S. Vincent va
fino ad Arise.
Il monte del piccolo s. Bernardo non offre al geologo copiosa
materia d'osservazione; non vi si incontrano che poche varietà
di roccie del terieno giurassico superiore. Delle stesse roccia
si compongono pur anche i monti circostanti al borgo di s.
Maurizio, in uno de' quali si trovarono rottami impressi di belle
forme di piante.
1 molti pezzi scantonati di roccie del terreno primitivo tro-
vati dal sig. Sisraonda nel letto della Thuile, la quale raccoglie
le acque del ghiacciaio ^MJfor5 , e nell'alveo d'un torrente che
dai monti, a cui si varca per le gole, che han nome di col
da Mont, e cól dii Lac , discende poco distante da s. Foy nella
valle dell' Isera, l'indussero a giudicare con molta verosimi-
glianza che sulle cime di que' monti, da cui debbono essere
stati divelti que' frammenti di roccie, v'abbia una ellisoide di
terreno primitivo scoperto, la quale ha il suo più grande asse
presso a poco dal N. al S. ; nella qual linea comprendonsi le
creste de' monti sopra mmentovati , ed il ghiacciaio Jiuìtors. La
medesima congettura gli occorse di dover fare rispetto ad al-
cune cime di monti che fiancheggiano la valle di Reme, in
fondo alla quale gli vennero veduti grossi massi rotolali di
135
terreno primitivo , indizio del trovarsi sopra le cime d' alcuni
monti , end' è chiusa quella valle , nudo della formazione giu-
rassica, e scoperto quel terreno.
Dal frequente , ed ineguale ristringersi , ed allargarsi delle
catene di monti che chiudono la valle di Cogno , dagli spessi
suoi torcimenti , dalle varie rotture e ripiegature osservate nella
stratificazione del suolo, dalle roccie di questo essenzialmente
modificate nella loro composizione, giudicò il signor Sismonda
turbati da due dislocamenti i monti, e il piano della valle di
Cogno. Le varie modificazioni prodotte da que' dislocamenti
nelle roccie della valle potrebbero far credere a prima vista
trovarsi in essa più terreni ; laddove ricercando più addentrò
(Quattro soli se ne discoprono : quel di sollevamento , il primi-
tivo, il giurassico, e l'alluviale. Il terreno di sollevamento che
è qui una serpentina verdescura sorge per un picciolo tratto
nelle vicinanze di Cogno. Il terreno primitivo comincia a tro-
varsi poco prima di J^ielle, e si continua fin oltre il piccolo
luogo di Pìnet. In varii siti per altro frapposti a questi due
punti il terreno primitivo è nascosto sotto al giurassico. 11 ter-
reno giurassico coperto allo sbocco della valle dal terreno al-
luviale incomincia ad apparire oltrepassato il piccolo paese di
S. Le'ger. Alcune falde di questa formazione si protendono fina
al di là di f^ielie soprapposte allo gneiss. 11 terreno alluviale,
depositi terrosi con dentrovi ciottoli , e massi incorporati rico-
prono le chine de'monti situati allo sbocco della valle verso Aosta.
1 monti che corrono lungo Val Pellina si compongono di
tre sorta di terreni: primitivo, giurassico, ed alluviale. Il ter-
reno primitivo comincia a mostrarsi sotto il villaggio di Val
Pellina, dove per lo sporgimento di un contraforte della catena
principale la valle si divide in due rami^ l'insieme del terreno
primitivo di questa valle rappresenta la figura d' un ellisoide.
Il terreno alluviale copre il dorso delle montagne giurassiche
poste allo sbocco della valle , ricche di copiosa vegetazione.
Ha quindi principio l'apparizione del terreno giurassico, che
si protende su pei monti della valle fino al Chalet du Piiy
posto all'estremità superiore di Val Pellina. Quivi s'apre la valle
del Gran s. Bernardo.
136
« i monti di questa valle, scrive il signor Sismonda» «ono
alquanto variati nella loro composizione , motivo per cui ap-
pariscono numerose varietà di roccie^ le quali però mi parvero
appartenenti a due sole formazioni, che sono la primitiva eia
giurassica. — Bene sovente questi due terreni compajono, e scora-
pajono a vicenda , onde conviene credere che il suolo sia stato
inegualmente urtato, e alzato, non potendosi attribuire alla
forza delle acque la denudazione fatta qua e là del terreno giu-
rassico. »
IS^e' fianchi de' monti prima d' Etrouhles cominciasi a disco-
prire il terreno primitivo, il quale indi a poco si nasconde sotto
falde giurassiche, né più ricompare che oltrepassato quel paese
d'onde poscia si propaga fino nel Vallese. L'ossatura del monte
del Gran s. Bernardo è di terreno primitivo, in istrati molto
disordinati con sopravi qua e là masse considerevoli di terreno
giurassico, cui la forza del sussulto non fu abbastanza efficace
a rimuovere. Sotto il villaggio di Lìd il terreno giurassico in-
vestì tutti i monti, ed il primitivo non ricompare che al pas-
saggio della galleria situata a poca distanza da S. Barthelemi
nel Vallese.
Neir esporre queste brevi notizie noi non abbiamo fatto altro
che descrivere secondo i suoi scompartimenti la carta geologica
tracciata dal signor Sismonda , astenendoci per amor di bre-
vità dall'indicare tutte quelle particolarità geologiche, che l'au-
tore registrò nella sua pi-egevole scritta. Quel poco, che ne ab-
biam detto , potrà forse gradire anche a coloro tra' nostri let*»
tori, che non sentono molto addentro nella geologia. Quelli,
che più dì proposito applicano a questa scienza il loro ingegno
non istieno contenti a questi nostri brevi cenni, ma leggano da
capo a fondo le osservazioni , che noi facendo il debito nostro,
abbiam loro annunziato. Svolgendo la scritta del signor Sismonda
ne occorse di doverci dolere , che egli tutto intento all' esame
dei terreni abbia omesso di toccare alcuna cosa della giacitura,
dell'andamento, e di tutte quelle altre particolarità geografiche
delle valli da lui percorse , che potevano riuscire di qualche
utile alla geografia fisica. Trovammo qua e là nello scritto del
signor Sismonda alcune inesattezze di locuzione , le quali se
137
macchiano ogni scrittura, molto più viziano le opere, che ra-
gionano di cose scientificlie, cui principalmente s'addice l'esat-
tezza , e la precisione. Per lo che vorremmo noi, che maggiore
opera si ponesse nello studio della propria lingua da coloro che
coltivano le scienze. Egli per caso d' esempio adopera il voca-
bolo principii a significare sostanze 5 a pag. 20, princìpii ema-
nati dalle profondità terrestri : il che non ci par detto con molta
proprietà ed esattezza ; benché ve n' abbia esempi in alcuni
scrittori di cose scientifiche : usa il vocabolo intaccato per al-
terato, mutato; a pag. 20, le piriti del forro appena vengono
in contatto degli agenti atmosferici , ne sono profondamente in-
taccate : parlando del principio d'una valle, ora intende per
esso il sito, dove ella sbocca; ora il luogo, dond'ella partendo
incomincia a dichinarsi : il che genera spesso confusione nelle
indicazioni geografiche. Da queste ed altre simili inavvertenze
desideriamo di veder purgati in avvenire gli scritti dell'esìmio
professore ed amico, affinchè al pregio di bella e peregrina scienza
s'accoppi in essi quello d'uno scrivere più eletto, e più pre-
ciso. Terminiamo esortando il sig. Sismonda a pubblicare sopra
altre regioni del nostro bel paese nuove geologiche osservazioni,
che frutteranno a lui degna lode, ai cultori della scienza uti»
lità , e diletto.
G.
138
LEtTEBATURA — Alla. Luna versi di Agostino Gagnoli.
Parma, tipografia Fiaccadori, i836.
La natura mai non invecchia ; e sempre giovine del pari è
la poesia della natura : e quando alcuno de' suoi fonti dal con-
tinuo attignervi di mille poeti par disseccato , sorge in qual
èecolo 0 sotto qual clima che siasi un potente ingegno che da
quella sorgente inesauribile sempre novelle e fresche sa far sca-
turire le acque. Ai giorni nostri nell' ultimo agonizzare della
mitologia , che pur fu lungo , molti sognarono una grande e
mal riempibil lacuna nella poesia avvenire. Compatisco ad alcuni
sommi *i , che ne lamentarono la caduta , e intuonarono Su
quella quasi un funebre canto: perocché delle cose che furono
nella giovinezza, e poscia per lungo tempo soggetto degli stu-
dir nostri , duole altamente veder la ruina ; e non è certo senza
Una ragione che la sapienza degli antichi italiani la parola stu-
dium fece sinonima d'amore. Così gli ultimi saggi del pagane-
simo videro con orrore e pietà cader d' ogni parte quell'antico
edifizio , al quale si appoggiava la loro qual che si fosse fi-
losofia. Così Gibbon cristiano, pure innamorato dell' incompo-
sta macchina del politeismo dagl' indefessi studii sovr' essa , ne
manifestava perfin negli scritti uno strano desiderio.
Ma la mitologia , perchè conservasse fino all' età presente
un' apparenza di vita , non è per questo che non fosse già
morta assai prima-
Era morta dacché si spensero affatto le credenze religiose ,
sulle quali è fondata, benché la forza dell'abitudine e delle
reminiscenze , come lungo oscillare di ben pulsata campana ,
desse alle sue finzioni quell' attrattiva che esercita su persona
desta la memoria d' un bel sogno testé fatto.
Era morta e sepolta da lunga stagione quando 1' era felice
*i Vedi l'epitalamio di Vincenzo Monti, che incomincia Audace scuola bo-
real ecc.
139
del risorgimento la tlisotterrò dalle rovine Larbariche, quando
gli esuli della Grecia ricoverati in Italia la portarono nella terra
del lor rifugio , come i posteri loro a' di nostri portarono seco
in esiglio il freddo cenere degli avi. E gli occhi de' nostri pa-
dri , che dopo un sonno di più secoli si riaprivano alla luce
delle lettere , delle scienze e dell' arti , la videro colla mera-
viglia che desta la scoperta d' un tesoro nascosto , e bella della
venerazione dovuta all'antichità.
Era (mi si perdoni Timagine) paralìtica a' tempi d'Augusto,
quando in petto a' Romani che da' Greci 1' avean tolta a pre-
stito , o dirò meglio ad essi da conquistatori rapita , destar
non poteva quel divoto entusiasmo che una religione avita
può sola far nascere 5 quando labbri credenti avean cessato di
predicarla a creduli orecchi , e derisa in segreto da que' me-
desimi che ne infioravano i loro scritti , avea perduta quell'
efficacia che dà alle cose narrate un mutuo consenso di fede.
Quindi a Virgilio pseudo sacerdote delle divinità mitologiche,
vien meno, cred' io , quando s'interna ne' lor misteri quel re-
ligioso affetto, quella, dirò così, unzione di che sparge le sue
mitiche nanazioui il buon Omero, verace e devoto sacerdote
di quelle.
Quando alla mitologia morta, come dissi, tanto tempo prima
mancò perfin la grandezza del nome , quell'ombra potente che
alle cose grandi sorvive ancor lunga pezza dopo la loro caduta ;
il vuoto eh' ella minacciava lasciare nella poesia futura , quella
gran lacuna tanto vaticinata e temuta, non comparve in ef-
fetto , e la ragione si è questa, che le menti s'erano già prima
avvezze al meditare , e in luogo della mitologia col corredo
delle sue fantastiche imagini allettatrici de' sensi, venne a porsi
la psicologia con tutti i reconditi tesori dell' anima. Molti ed
illustri esempii di questa felice metamorfosi mi sarebbe agevole
addurre tolti dalla nostra e dalle straniere letterature : ma sic-
come alcuni versi alla Luna formano il soggetto di quest' arti-
colo , dalla luna stessa io trarrò unicamente l'esempio. Dacché
questo fido satellite s'aggira variabile intorno alla terra, dac-
ché uomini vigilanti e meditabondi , e dotati di un delicato
sentire la van contemplando , d' innumerevoli poesie la luna
140
fu tema : pur questo tema non è paranco esaurito ,"" e fa tut-.
tavia presentemente le delizie di alcuni nobili ingegni.
Usi gli antichi poeti a tutto vestire d' imagini , a parlare alla
fantasia più che all' intelletto ed al cuore , immedesimando
colla figlia di Latona 11 dolce astro della notte, di tutti gli at-
tributi di quella Dea l'arricchirono, ed apersero cosi alla poe-
sia un vasto campo di allusioni. Così Niso , mentre sta per li-
berare dall' arco la freccia , che doveva infìggersi nel tergo del
Kutulo Salmone , rivolti gli occhi alla Luna , prega quella di-
vinità cacciatrice , quella custode delle selve a dirigere al fis-
sato scopo il suo strale :
Ocyus adducto torquens bastile lacerto ,
Suspiciens altam Lunam, et sic voce prceatur.
Tu Dea , tu praesens nostro succurrc labori
Astrorum decus, et nemorum Latonia custos.
Hunc sine ine turbare globum, et rege tela per auras *i.
Cosi Enea visitante l'inferno, all'approssimarsi d'Ecate,
che colla Luna stessa e con Diana soleva scambiarsi; cioè al
tramontare che fa la Luna per dar luogo alla luce del sole,
sente tremare il suolo , e ode 1' ululato de' cani, che precedon
la Dea :
Ecce autcm primi sub lumina solis et ortus
Sub pedibus niugire solum , et juga ccepta moveri
Sylvarum , visseque canes ululare per umbram ,
Adventante Dea *2.
Pei moderni poeti la Luna non è più la triforme Dea de-
gli antichi. Ella perdette il suo carro guidato da cavalle o da
*l Eheid Lib. IX. Dall' episodio Virgiliano di Eurialo e Niso trasse Ariosto
il suo non men bello di Cloridano e Medoro (Fur. Canto XVIII ) , nel quale
è notabile 1' accorgimento di scegliere frai Mori Maomettani di religione , e per-
ciò avvezzi a prestar culto alla luna, questi due personaggi, affinchè l'invocazione
alla luna , cbe pur imitò dal latino , posta in bocca dell' un d' essi , non fossa
irragionevole e strana.
*2 Ekeio. Lib. IV. All'identità della Luna con Ecate allude Dante nell'In-
ferno canto X, dove Farinata predicendo al Poeta l' esiglio a cui doveva esser
condannato prima cbe cinquanta lune fosser corse , dice :
Ma non cinquanta volte fìa raccesa
La faccia de la donna che qui regge ,
. . Che tu saprai quanto qucll' arte pesa.
141
cerTe : il latrato de' cani più non annunzia il suo arrivo , e
quei tanti suoi predicati , che Foscolo raccolse in una famosa
orazione, più non le convengono. Ma non per questo sarà mai
detto, che il vero sia micidiale all'ispirazione poetica, e che
la Luna spogliata di tutte coteste mitiche dovizie , altro più
non rimanga agli occhi d'affettuoso contemplatore, che un
corpo opaco che splende di una luce riflessa. E d'una luce as-
sai più pallida e riflessa , che non risplenda in cielo , ella ri-
splenderehbe ne' moderni versi , ove dalle mitologiche allusioni
derivasse pur tuttavia ogni poetico lume, ove i cantori presenti
non disperando di vestirla di una luce propria, e non men vi-
va, le loro ispirazioni ad una fonte inesausta non attignessero:
questa è la contemplazione della natura.
Prova di quanto asserimmo finora siano i versi alla Luna
del sig. Agostino Gagnoli , i quali senza il sussidio delle gre-
che tradizioni , pur appajono ricchi di poesia pittrice ed affet-
tuosa : perocché contemplando lo spettacolo d'una notte tran-
quilla da mesto e placido raggio di Luna illuminata , rien-
trava egli dentro di sé , e le voci del cuore e dell' anima a
quella vista commossa attentamente ascoltava , siccome uomo
che dal cuore e dall'anima coli' esterna natura posti a con-
tatto , vuol far uscire poetiche scintille. Da questa doppia con-
templazione e della natura e di se stesso, emergea poi una
poesia , che Maroucelli con un vocabolo più espressivo che ben
sonante, direbbe, cor-mentale. Ne sien prova i seguenti versi,
che scelti qua e là noi citiamo per tutto elogio , confidando
più che nella maestria nostra a farne conoscere le bellezze ,
nel buon gusto de' lettori a discernerle.
Come tu sorgi, di pallor dipingi
I nativi miei poggi, e quanto guardi
Di tacita mestizia si ricopre.
Tutto veggendo sconsolalo il mondo
Proveggo al mio dolor 5 indi sul nudo
Suolo mi getto , e gli occhi, che di pianto
Rugiadosi si fanno , io mando in giro
Per l'Etra, e te, placida Dea, pur seguo
142
Fra la nube die velati la faccia ,
E che, da lei sciogliendoti, saluti ,
Mentre un orlo le fai di schietto argento.
Poe aere prendi , e squallida ritorna
La nube , che solinga erra , e si perde.
Tal io m'attristo, e dico: se de' verdi
Anni così r illusion mi lascia ,
Andrò perduto.
AUor che la pupilla
Al natio fonte io giro,
E sull'onda tranquilla
Passar lenta ti miro ,
Ricordo il dì che a queste limpid' acque
Venne Lide a specchiarsi , e più mi placciuc.
E con sospir rammento,
Che a te gli occhi volgea ,
E r animo contento
Sul volto a lei splendea -,
E s' era bella al paragon d' ognuna ,
Tu ancor più bella la rendevi , o Luna.
I seguenti mi parvero segnati d' un' impronta Foscoliana.
Stan sulla terra altissimi silenzii ,
E per r interminabile quiete
Corre della mia fiera alma il tumulto.
Nel dolce sonno di natura io solo
In pianto veglio ? e queste cran le notti
Che sperai nella bella alba di vita ?
Ah ! che allegrezza di tranquilla sera
Ove amor più eloquente ne {livella
In cor per sempre ho morta. A me la speme
Fu come astro fallace , che nel cielo
Lascia dopo di sé lucida riga.
Che neir azzurro tacita si perde.
Pur un alletto , una speranza è forte
143
Necessitade , ed io la sento; e chieggo
^ Alto gridando disperatamente
Una gioja , ma invano; che natura
Al dolor non provvede , e meco piango
Di nostra infelicissima famiglia.
Ma tu , o Luna , mi giovi , e benedico
Alla dolcezza di tua luce queta
Che di pace ragiona e di memorie
Al giovinetto infortunato , e splende
A sua casa paterna.
Un altro canto alla Luna , e questo inedito , ne comunicò
cortesemente il eh. autore; e noi credendo far cosa grata ai
lettori, ci facciam lecito di qui pubblicarlo.
Alla Luna *.
Oh come entra solinga
Per le tacite vie del firmamento
La luna, e par che tinga
La nuvoletta di pallido argento !
Oh come in terra dal suo queto albore
Sparge una mesta voluttà d' amore !
O de' cieli seconda
E prima della sera meraviglia,
Regina vereconda
Alla bella degli astri aurea famiglia.
Passi nell'alma che di te non tace,
La tua santa dolcezza, e la tua pace.
In su la notte bruna
Hanno le stelle poca luce e stanca :
Ma la candida luna
L' immensità dell' universo imbianca :
Mostra la terra, come pria distinta,
E in più mite color tutta dipinta.
* Imitazione da Her^cy.
144
Pura pura discende
Melanconica luce alla collina ,
E giù leve si stende
Alla valletta per l'erbosa china,
Le foreste rischiara erme e segrete,
E argenta le marine onde quiete.
Per entro le serene
D' un bellissimo aprii notti tranquille
Chi non guarda a Selene ?
È il paradiso di mortai pupille,
O ne segni un sentier di mezzo ai prati,
O ne guidi ne' boschi amoreggiati.
Sempre dolce soccorre
Al peregrin che su la poppa canta ,
Mentre impavido corre •
Di volubile mar onda cotanta,
E pietoso ripensa il suol natio ,•
Ove disse alla sua vergine addio.
Oh ! piena di contento
Età mia prima, quando solo in riva
Stetti d' oceano , e lento
Vidi il flutto che al monte si moriva !
Ivan l'acque perdute in lontananza,
E degli astri si fean specchio alla danza.
Dell' etra tuttoquanto
Ingemmava il zaffiro , e senza velo
Lenta la luna intanto
Per la muta salia vòlta del cielo,
E vagheggiarsi più che mai ridente
Amava nell' azzurra onda lucente.
Ganzon , alma seduta
Troverai sulla berica pendice *i ,
Che d' un inno saluta
La notturna d' amore ispiratrice :
Dille che bella come luna, e onesta
E colei che la mia vita fa mesta.
'"i Jacopo Cabiìine».
145
A giustificare il paragone che da noi si fece tra la mitolo-
gica e la psicologica poesia , niente a parer nostro è più ac-
concio del confronto che può istituire il lettore frali' ode safjfica
tradotta dal greco , e gli altri versi tutti originali di questa
breve raccolta. La prima abbonda d' imagini. L'eburneo trono,
le vergini stelle, il candido cocchio, i bianchi cavalli, e si-
mili luoghi comuni della greca poesia son tutti colori sensibili,
fatti (mi si passi la frase) per materializzare il peusitìro. Ora
s' ascolti il Gagnoli :
Mestizia alla sventura
iSai che si fa dolcezza :
Ferma, e la tua tristezza
Tutta mi versa in cor.
Tu non n»' ascolti , ornai
Tramonti , e dir mi sembri
Co' moribondi ral ,
Gli' io pur tramonterò.
Ah! tjual tu adesso, in breve
Tramonterà mia stella,
Tu sorgerai più bella ,
Io più non sorgerò.
Questo può dirsi uno spiritualizzar la materia. Quale dei
due sia il più nobile, il vero fine della poesia , lascio giudi-
carne al lettore. Non dissimuleremo per altro che il pensiero
di paragonar la morte dell' uomo al tramonto degli astri , è
Catulliano: e chi noi sa? ma dalla nuova e gentil forma dell'
incastonatura, questa gemma antica acquista novello splendore.
Lodando l'impasto dello stile e del verso, l'amore dell' arie
c'ingiunge di annotare al Ch. Autore quelle poche cose che ne
parvero mende , e oftesero il nostro gusto, il quale però non
presumiamo della benché menoma autorità rivestito. A pag. 5
leggiamo i seguenti versi :
Nella mano dimentica
Tu r arpa le inargenta .
E tosto udrai che all' aerw
Un' .Trmonia lamenta.
IO
146
Questo verbo lamentare non appai- bene se sia attivo n neu-
tro , se regga il sostantivo armonia , o ne venga retto. Coraun-
ane sia di ciò, V armonia che lamenta all' aere j o che vien
lamentata , ne pajono locuzioni oscure e viziose *i.
L' ultima stanza della canzone inedita dice cosi :
Canzon , alma seduta
Troverai sulla berica pendice ,
Che d.' un inno saluta
La notturna d' amore ispiratrice.
Le voci alma, anima, spirito, allor soltanto dovrebbero im-
piegarsi a significar tutto l'uomo, quando all'uomo stesso dar
si vuole un qualche attributo che dell' anima sia proprio e
particolare. Così a lodar taluno di gentilezza, spirto gentile,
ad accusarlo di codardia, alma codai'da, a rampognarlo d'ava-
ilzia, anima avara il chiamiamo; perchè la gentilezza , la co-
dardia, l'avarizia, all'anima appartengonsi , e non al corpo.
Non così dell' azion del sedere che è cosa tutta del corpo, né
r anima v' ha parte se non col muovere ed atteggiare i membri
in forza dell' impero che eserce su quelli. Nelle nostre ingenue
osservazioni possa 1' autore scorgere un pegno della stima che
abbiamo di lui concepita, e ricordarsi che il biasimo fra certi
limiti costretto è quell'aromato che preserva la lode dalla nau-
sea , e dal puzzo dell' adulazione.
Ci gode r animo nello intendere dal signor Cagnoli medesi-
mo , eh' egli ad un nuovo e più importante genere di poesia
si accinge a consecrar le sue veglie. E se i nostri conforti hanno
qualche efficacia presso di lui , noi lo esortiamo a mettei-si a-
lacremente sul quantunque arduo sentiero , aiisiosi quali siam
noi di segnare con altri scritti simili a questo ogni beli' orma
che nella sua nuova carriera egli sia per istampare.
*i Non è qui fuor di luogo I' osservare come sia divenuto «m vezzo de' mo-
derni scrittori italinni , principalmente de' poeti , il far neutri que' verbi die
dovrebbero esser neutri passivi.
C. Hf.
147
Trascriviamo qui una lettera di Cesare Arici al nostro Au-
tore, la quale crediamo non indegna de' lettori , sia per esser
questa un documento di amorevolezza esemplare fra letterati ,
e di rara modestia d' uom letterato , sia per alcune cose nota-
bili che ne par contenere.
Lkttera di Cesare Arici ad Agostino Cagnoli-Reggio.
Mio preg.° Signore
Bre&cia i8 ghn i834.
Dopo molta aggirata di viaggi e di villeggiatura con la mia
famiglia, sono tornato in città, e trovo con altre lettere in
casa la veneratissima vostra scrittami sino dagli ultimi di 8bre :
alla quale, sebben tardi, rispondo oggi. Scusimi appo voi , preg."
signore, l'assenza di città, e mi sciolga dal sospetto di scor-
tesìa e di poca creanza.
Dalle care espressioni vostre argomento molta e specchiata
gentilezza, e tenendomi per meritato tutto ciò che tiene a be-
nevolenza e comune attenzione a'baoui sludi, rimandovi indietro
tutto quello che io non merito, né meriterò giammai* l'eccel-
lenza di scrittore. Questa gloria non V lio amata quando erami
tra i possibili di conseguirla: orane ho persa la speranza e la
voglia fin anco : e mi basta il compiacere qualche volta a me
stesso , scrivendo alia mia maniera , che non è affatto più della
età che viviamo.
Questi inni supposti tradotti dal testo di Bachilide ( slimo
che v' intendiate di quelli ) , li scrissi più per istudio che j)«;r
ispirazione , e per tener dietro ai modi di un celebrato mio
collega dell'istituto italiano: Dionigi Strocchì. Sonosi allora
stampati in Brescia; ma né io, né altri li possiede. La scuola
romantica ne ha acquistati gli esemplari , ed ha fatto quello
che giudiziosamente era solito fare nel suo compleanno 1' egregio
Puliiiano di Marziale : furono tutti Wuciati. A ogni modo ai
148
pensa in Padova a un'edizione coinplela delle cos«w mie, nella
quale vorrò si comprendano anco quelle greclie contrattazioni,
< (] io allora ve ne manderò una copia.
Se mai qualche cosa io valgo qui nel mio paese, ricorda-
tevi dell'attenzione mia, e della servitù che intera vi profe-
risco, ed amate
L'Afr.'»° V.'" S."
Cesare Arici
Feux foUets — Par Leon Menabrea (*).
Già sta per gocciolarne sul capo, o lettori prestantissimi,
l'anno trentesimo settimo di quel secolo decimonono che al
suo apparire proclamò il regno della realtà, e stranamente si
battezzava dandosi nome di secolo positivo. Il nuovo nome fece
fortuna , perchè i nomi stanno alle cose come la maschera al
volto del bipede umano, ed il volgo credendo che quel nome
valesse a designar cose nuove, plaudì e sperò, come l'imberbe
giovane sogna felicità , e giura amore al dominò incognito, cui
una bionda perrucca, ed un viso di cera copre il crine bian-
castro e la faccia aggrinzata. Portentoso fu il prestigio di quel
nome, attalchè chiunque volle vestirsi agli occhi altrui di sa-
pienza, o mercar pregio di assennato, o esercitare sull'opinione
degli uomini una qualche influenza , predicò se stesso per alta-
mente positivo. E le scienze , e le lettere , e le arti , e la mo-
rale perfino, tutto soggiacque al prepotente dominio dell' invalso
andazzo, ed il valor positivo, o l'utile materiale fu la pietra
di paragone che servì a giudicare ogni cosa, ogni disciplina ,
(*) Sì vendono [irckso i lil»iai Bocca e Reycend.
149
ogni azione. Cosi la sentenza del disperante Bruto, che nel sot-
trarsi eoa volontaria morte allo spettacolo della patria caduta,
esclamava : o virtù , non sei tu dunque che un nome vano !
quella malaugurata sentenza vediamo oggi salita in onore , e
ripetuta da tanti che pur non son Bruti.
In tal condizione di cose con qual fronte mi farò io ad in-
trattenervi, o lettori umanissimi, di un libro che porta per
titolo Fuochi fatui? E non è già ch'io creda che l'infido ba-
gliore di certe labili meteore abbia perduto presso i riveriti
signori contemporanei 1' incanto antico 5 ma dire tondo tondo
questi son fuochi fatui , e consigliare di correrci dietro , e pro-
mettere ad un tempo che non sarà per fallire 1' idolato torna-
conto, ella è impresa da spaventare il più ardimentoso fra i
campioni della periodica letteratura.
Eppure ove piaccia al cortese lettore di librare nel suo senno
il candido consiglio che a lui sto per dare , fors' egli avviserà
che paradosso ei non è quanto a prima giunta sembrare potrebbe.
E polche r utile è pur sempre la corda che egli è mestieri far
vibrare, qualunque sia il tuono della musica che si suona, chi
fia che nieghi emergere in fatti un' utilità positiva dall' alto
per cui si fugge ad un danno sovrastante ? Ora se come addi-
viene talvolta si può cambiare una realtà che stomaca, ed ac-
cora con una qualche finzione che lusinga e conforta , forse
il cambio non sarà tutto di guadagno? Una tal considerazione
dovrebbe scemare l'altero disdegno di molli , che avvoltolati
sino agli occhi nelle misere bisogne del mondo positivo , non
sanno patire che chi trova in esse amarezza o fastidio rifuggasi
a cercare un compenso di dolce fra gli effimeri fantasmi del
mondo ideale. Egli è pur bello quel mondo ideale che ciascuno
può fare a piacimento irradialo da eterna aurora , dove si spazia
libero e felice senza inciampo di dogane o polizie , ove le rose
non ascondono maligne spine, e .l'ottimismo può regnare asso-
luto senza che il mal genio della realtà opponga a' suoi desi-
deri r Irrcvocabil V^eto, lo amo il mondo ideale, ed amo i fuo-
chi fatui del slg. Menabrea , che son vaghe creazioni di uua
lecouda e calda fantasia ; e più gli amo pensando a molti fuochi
cjie non son fatui purtroppo, come le cruzioal di quel \esuviu
150
che minaccia talora la bella Partenope , 1 nefandi incendi che
disertan la misera Spagna, quei tonanti fuochi di fila, di bat-
taglione, e di divisione per cui la terra si copre di cadaveri.
Cinque sono le novelle, o racconti che sotto il modesto titolo
ci presenta l'autore, dei quali comechè scritti sotto l'impero
d'una diversa inspirazione, noi non ci faremo a giudicare col-
lettivamente. — Diremo soltanto alcuna cosa sopra il primo e
l'ultimo di essi, a ciò consigliati non da ìnstituito paragone
coi rimanenti , ma dal sembrarne che 1' indole dello scrittore
maggiormente in quelli si riveli, ed apparisca*, e tralascieremo
anche di dare ai lettori il sunto degli eventi nei medesimi
descritti, perchè gran parte della vita e dell'interesse che spi-
rano sta nei colori di che li vestiva l'autore, ed il portare lo
scalpello anatomico nei parti dell'immaginazione, è forse il peg-
gior modo di farli conoscere.
La novella prima porta per titolo 1' Organo di s. Giorgio :
una chiesa gotica che l'autore fedelmente dipinge, il magico
effetto di una soave armonia sopra un' immensa folla accorrente
al tempio, un qualche rapido sguardo sull'età cui si riferisce
l'azione, ne costituiscono le parte descrittiva. In essa il signor
Menabrea fece prova di molta maestria nel tentar di risuscitare
in noi le impressioni che dovean produrre sugli animi una for-
ma di culto altramente solenne , ed il suono nuovo in allora
di un maraviglioso stromento, che esercita tuttora sugli incalliti
sensi nostri un sì possente incanto. E quando a notte buia egli
introduce il giovane protagonista del suo racconto in quella
chiesa spintovi da affetti e speranze terrene, il mistico terrore
che invade il suo core in tumulto fra tanto silenzio ed oscurità,
in mezzo alle larve che un' immaginazione fortemente scossa ,
e le credenze del tempo gli presentano, quel terrore vago ed
indefinito si comunica a chi legge, ed è principalmente in queste
pagine che riverbera assai vivo il potente genio di Ofinan.
Alla parte drammatica porge argomento una creatura bella,
misteriosa, infelice, per cui ardono d' amore un dabben gio-
vane, ed un tristo uomo. La pura e fantastica passione dell'uno
in lotta con quella dell'altro, brutale per lo scopo, scellerata
pel carattere di chi la nutre, dà luogo a scene fra le quali Taf-
151
fetto e l'azione progrecllscono vivi e concitati del paro. L'atro-
cità della catastrofe con cui termina la narrazione viea diminuita
dallo scampo schiuso alla candida coppia dei travagliati amanti,
che un perverso rivale tentò indarno, e con danno proprio di
sacrificare al satanico suo talento. Foi'se male non s'apporrebbe
chi volendo indicare la fonte di alcune inspirazioni in questa
novella consegnate , designasse alcuni capitoli del romanzo di
Victor Hugo, intitolato Notra Dame de Paris , e qualcuno fra
i Coiitcs fanLasqiies di Ofnian 5 ma è giusto il dire , che se
alcune rare volte l'imitazione s'appalesa, di plagio pure nou
v' ha orma. ^
Un'altra musa agitava l'autore quando egli scrisse l'ultimo
de' suoi racconti che vien sotto il nome di Coclite, ed è l'Iro-
nia: quella che dettava a Lord Byron T incomparabile suo Don
Juan , e che vorremmo chiamare la musa per eccellenza del
secol nostro: quella. che allorquando l'onesta indignazione stanca
di fulminare impotenti anatemi sui vizi, e sulle stranezze degli
uomini si tace , a lei sotteutra per riprovarli coli' amaro suo
ghigno, e li assale col mordente sarcasmo. L' orditura di questa
novella è pressoché un nulla; lo scriltore non si propose di
esporci un' accozzamento di casi stretti in nodo, per poscia pre-
sentarcene lo sviluppo e Io scioglimento. Egli s' avventura iu
alcune vicende con un mariuolo di scolaruccìo orbo d' un oc-
chio , d'onde il nome di Coclite, e procedendo senza scopo
prefisso, toglie dal menomo incidente occasione per entrare in
ogni soggetto, ed andare, come dice il buon Passeronl
Alla brigata rivedendo il pelo.
Quindi la narrazione è sovente interrotta ora da una discus-
sione che egli stabilisce col lettore, ora da riflessioni filosofiche
suggeritegli dalle cose , il cui nome trovasi come per caso sotto
la sua penna , ed ora da un arguto motteggio con che iri-ide
le umane follie.
Arduo sentiero imprese a battere l' autore , perchè egli è
difficile, visto la copia di transizioni che un tal genere di com-
ponimenti richiede , il trovarne sempre delle spont:iaee e felici,
152
e rlove esse putaiio alquanto del lambiccato, o non siano uiae-
strevolmente condotte, il lettore facilmente si stanca e infasti-
disce. Il quale scoglio fu per lo più felicemente sfuggito dal
sig. Meuabrea , e se talvolta accade che per un troppo lungo
divagare dal soggetto non riesca subito a chi legge di racapezzare
il filo delle prime idee, molti pregi di sostanza e di forma lar-
gamente ricomprano quel leggiero difetto.
Forse potrà chiederci taluno a qual genere di letteratura
appartengano questi racconti, o di quale scuola si mostri di-
scepolo l'autore; e noi, guardando al complesso del libro, volen-
tieri risponderemo, di nessuna. Li assiomi dei diversi sistemi, i
precetti delle varie scuole che insegnano il comporre , trattan-
dosi di lavori d' immaginazione , sono indigesta pastura , buona
a ruminare per chi non avendo in sé alcuna favilla del fuoco
sacro, vuol pure intromettersi fra i sacerdoti delle muse. Ma
quegli cui un raggio della fiamma celeste feconda l'anima e. la
mente, colui prenda consiglio da se stesso, perchè qualunque
volta vorrassi imporre al genio il giogo dei sistemi , e delle
scuole , ei produrrà pur sempre reffetto d' uno spegnitoio calato
sui divampanti stami di una splendida face.
1)1 CARLO MARENGO
Questa Tragedia felicemente rappresentata per la prima volta
l'anno scorso sulle scene del teatro d'Angennes, vicu d'essere
pubblicata colle stampe onde fare di sé il secondo e decisivo
sperimento. Per ora noi astenendoci dal dissertare sul merito
del poema , stimiamo di far cosa grata ai nostri lettori coll'of-
153
ferir loro due composizioni liriche che in essa ban luogo e che
nella rappresentazione furono omesse.
La prima è romanza cantata da uno dei Trovatori di Man-
fredi , la seconda è un coro di guerrieri Siciliani.
1.
De' Saracen ricovero ,
A tue profane mura
Giunse , o Luceria , il Principe
Nei di della sventura.
Con pochi amici profugo,
Dalla sua reggia in bando,
Avea del padre il brando
Per tutta eredità.
« O d' Ismael progenie ,
» Di Federico il figlio
» A te tae vien per gì' ispidi
» Sentier del mesto esiglio
» (Gridò), fuggendo un perfido
» Rigor d' avversa sorte,
» E cerca alle tue porte
M Asilo e fedeltà.
Palpila il cor d' ogni Arabo
Al riverito nome.
Splendea la luna. Eì slacciasi
L' elmo , e le bionde chiome
Diffuse all' aura ondeggiano.
Dal gentil volto un raggio
Spira , che chiede omaggio ,
Che ravvisar lo fa.
« Le porte al Prence schiudansì.
» Ahi , n' ha le chiavi un fello !
» Sotto la soglia scorrere
» Mira un uniìl ruscello.
154
» Le auguste membra credere
» Non temi a varco indegno ?
» Osa. Dal limo al regno
» Altri salito è già. »
Ei dal destrier lanciatosi.
Già si prostrava al suolo.
» Come il figliuol dell' aquila ,
» Cui sol s' addice il volo ,
» Quasi un osceno rettile
» Strisciar vedrem pel clivo,
» E dal fangoso rivo
» Al trono ei salirà ? »
Di mille urtanti all' impeto
Discardinate, e infrante
Le gravi porte cadono
All' esule davante.
In faccia a lui già piegasi
Ogni ginocchio altero.
Già del conteso impero
Coglie r eredità.
2.
coito
Pugliesi all' armi ! Dal Calabro adusto
Al duro Apruzio sorgete, sorgete,
Se al Danno , al Marso , al Lucano vetusto
Non tralignata progenie pur siete.
Squillò la tromba, L' estranio è per via.
Quei, ch'oltre i monti natura locò,
Ha fastidita la terra natia.
La nostra terra bramoso guatò.
Torbida è fatta la Senna e 1' O'isc ,
Voi che agognate a' lavacri del Liri ?
In cor de' Franchi natura non mise
Dolce un pensier , eh' alla patria sospiri ?
155
Quei, che vi trasse a viaggi remoti,
Un' altra patria promessa qui v' ha ?
Illusi ! A stento fia patria a' nepoti ,
Ma esiglio a voi, che nasceste colà.
Ha questa gioia ogni popolo oppresso ,
Che r oppressor, che da lunge è venuto ,
Mal puossi , e tardi , confonder con esso ,
Né obblia sì tosto il suo nido perduto.
Dei vinti abborre le usanze, il linguaggio.
Linguaggio, e usanze pur vincer non puoL
Han r alma i vinti. De' corpi 1' oltraggio
Non giunge all' alma, se 1' alma non vuol.
E sotto un cielo , sovresso una terra ,
Dove natura fa nascer fratelli ,
Vivon rinascon due popoli in guerra ,
Ben eh' uno asconda gli spirti rubelli. ' -
Ambo in disparte nel proprio idioma
Parlan parole di mutuo livor.
Gli scevra il sangue. L' etade noi doma.
Chi son que' popoli ? Oppresso , e oppressor.
Oh ! duri eterna co' nuovi tiranni ,
Se vinceran, la discordia primiera ,
E non sien qui , dopo cento e cent' anni ,
Fuor che stranieri su terra straniera.
La pazienza de' fiacchi tal sia ,
Che sempre i forti costringa a temer:
Né degli oppressi 1' assenso mai dia
Nome di dritto a un feroce poter.
Se vìnceranno ! . . . Dal Calabro adusto
Al duro Apruzio sorgiamo , sorgiamo ,
Al Dauno , al Marso, al Lucano vetusto
Se non degenere prole pur siamo.
Squillò la tromba. L' estranio è per via.
Quei , eh' oltre i monti natura locò ,
Ha fastidita la terra natia ,
La nostra terra bramoso stiatù.
156
Pugliesi air armi ! De' Cesari il figlio
Alla battaglia , al trionfo v' invita.
E fia , se chiama a respinger il Giglio ,
Ch' a voi sua voce non suoni gradita ?
Quand' ei gridovvi : « De' prodi è la terra ,
» A un veglio imbelle sdegnate servir ,
Voi qui sorgeste terribili in guerra ,
Di queir imbelle le torme sparir.
Or vuota è Apulia , oppur terra di morti,
Ch' aver la dén que' oh' altrove son nati ?
Quando saranno da estrane coorti
Le nostre stanze , e i bei campi occupati ,
Che giova a noi, che la terra sia vasta ?
Noi cinge intorno ed incarcera il mar.
Natura istessa il fuggir ne contrasta.
Poco è il combatter. Convien trionfar.
Come la tigre difende il covile,
Resa più fiera dal rischio de' figli ,
Tal vuoisi a noi contro 1' impeto ostile
Truce un valor, eh' alla rabbia somigli.
Qual chi propugna 1' asilo supremo
Del Liri il passo n' è forza guardar.
In Cepperano se vinti saremo ,
Dove n' andremo? Convien trionfar.
O tu natura , eh' a Italia cingesti
De' tre suoi mari riparo e corona,
Perchè la cerchia dell'alpi non festi
Insuperata da gente predona?
Inutil siepe di monti compose
Forse al Britanno tua provvida man ?
Dall' orbe intero 1' ha svelto. Gli pose
Custode eterno il gran padre ocean.
Hegna egli sol nel suo nido inaccesso^
Le avare genti lo guatano invano.
Scevro da tutte, non languono in esso
L' aspre virtù del sqlingo isolano.
157
Fòrs' è Brìtania il giardìn di natura ?
Ma il tuo giardino, rammentalo, è qui.
Più bello il raggio del sole , più pura
L' aura vi festi , e lo guardi così ?
Pugliesi all' armi! De' Cesari il figlio
Ha dispiegata la sveva bandiera ;
Air abborrito stendardo del Giglio
Oppon gl'artigli dell'Aquila nera.
I verdi panni , le gemme depose :
Le belle membra di ferro gravò.
Colla visiera le luci amorose ,
Le bionde cbiome coli' elmo celò.
Nou è Manfredi più quel che solca
Fra le delizie di corte bandita,
Quando alla cetra soave stendea
II magistero dell' agili dita.
Non son dolcezze di siculi carmi ,
Ch' or dal suo labbro s' udranno volar :
Ma fere voci , che suonan frali' armi ,
Voci di duce, che invita a pugnar.
Sicule donne , non sempre fia spento ,
Ben eh' oggi taccia, quel canto diletto,
Ritornerà dopo il vinto cimento
Manfredi agli ozi del plettro negletto.
Non più la molle romanza d' amore
Allor fia tema al regal Trovator.
Canterà Italia , il nemico furore ,
E la virtù , che prevalse al furor.
Voi, che l'udrete, insegnatela ai figli,
Sicule donne , la nobil canzone :
Ed ora a correr fra gli ardui perigli,
Siate ai mariti non freno , ma sprone.
Se non volete davanti orgogliosa
Veder passarvi francese beltà ,
Oggi, lor dite , non ama la sposa
Chi cinge un brando, e al suo fianco si sta.
15S
Obbrobrio, obbrobrio a chiunque un vessillo
Vide spiegarsi , e sott' esso non corse :
E a chi invitato da bellico squillo ,
Soccorritor della patria non sorse :
E a chi vlltade , o perfidia nel petto
Della battaglia covando nel dì ,
Dell' inimico non resse all' aspetto,
Ma svergognato dal campo fuggì.
Straniero oltraggio il suo talamo impronte ,
E lui contristi una prole rubella.
Vindice fama scolpiscagli in fronte
Quell'anatema, cui niuno cancella.
L' esecri Italia , il Francese lo spregi.
Fin che non pera ogni senso gentil ,
Ovunque fede e valore si pregi ,
Viva r infamia dovuta a quel vii.
Gian Siiofi.' e'K'Oeiico oA-icfitei
Federico Richter , soprannomit»ato Gian Paolo , nacque in
Munsiedel , piccola città della Baviera, visse casalingo ed in
mediocre fortuna, e morì nel 60. '"° anno dell'età sua. Le sue
opere principali disposte secondo 1' ordine cronologico sono le
seguenti :
I processi Groenlandesi iy83
Scelta nelle carte del diavolo 1^88
La loggia invisibile '793
Espero '79^
Vita di Quinto Fixleiu '79^
Le Palingenesie , '79^
Titano 1800
Estetica 1 8o4
Levana libro delle madri 1807
La Cometa iBao
Selìna iB-ij
159
« Ciascuna terra ebbe un compenso per le <lolorose priva-
» zioni cui venne condannata ; il gelato nord la sua ferrea
X) forza , il malaticcio mezzodì il suo sole dorato , la bruna
•» Spagna la sua fede ; 1' arguzia acuta rallegra il francese la-
» borioso , e la libertà dissipa le nebbie dell' Inghilterra. A
» noi Tedeschi venne dato Gian Paolo , ma egli non è più ,
» e con lui ha perduto la patria nostra la forza , la dolcezza ^
1) la fede , lo scherzo sorridente , la libera magniloquenza che
» r adornavano in quel nobile suo figlio. » Queste parole pro-
nunziava in Fi'ancoforte da pubblica cattedra all' udire il me-
stissimo annunzio della sua morte quel robusto ingegno di
Boeme , di cui non so se la Germania vanti ora prosatore più
splendido, e pensatore più ardito:
Per potere parlare degnamente di tanto scrittore si richie-
derebbe ben altro spazio che non è quello che ci siamo pre-
fissi, eduna ben altra dicitura che non è qìiest' umile nostra,
noi non faremo quindi il torto ai lettori del Subalpino di vo-
ler dir loro in poche righe chi fosse quel Gian Paolo, che,
come vedemmo , Boeme salutava quasi compenso ai dolori di
un' intiera nazione , di cui Goethe si mostrava geloso, alle cui
produzioni mentre ancor viveva, Otto Spazier, scrittore ori-
ginale di bella fama non sdegnava dettare commenti ed illu-
strazioni, che madama di Stael chiamava spesso sublime, di-
chiarava nella parte seria e patetica delle sue opere superiore
a Sterne e pareggiava a Montaigne, a cui, come narra Loeve
Weimar nella sua elegante storia della letteratura alemanna ,
giunto al termine della mortale carriera a Bareith sul finire
del 1835, fu decretato un onore non reso giammai a scrittore
dell' età nostra , quello cioè che gli uomini più distinti seguis-
sero il suo funebre convoglio recando ciascuno sopra cuscini le
opere di lui. Stampando un episodio tolto dal suo Quinto Fixlein,
abbiamo cercato solo di provare che fu troppo precipitosa quell<i
sentenza con cui accoppiandolo a Klopstock venne imposto a co-
loro che sono rimasti stranieri alla lingua alemanna di rasse-
gnarsi ad ammirare questi due sorami onori della letteratura
del nord sulla parola degli altri.
Mentre ci è noto che il Cav. Malici non tarderà guari a mo-
160
strare falso il sovr' enunciato giudizio per ciò che risguarda
Klopstok , rendendo di pubblica ragione la traduzione della
Messiade , forse non anderà a vuoto la speranza che questo
saggio possa invogliare qualche cultore della lingua dei Schiller
e degli Herder a fare dono all' Italia di un' opera di Gian
Paolo tradotta per intiero , emulando cosi la vicina Francia ,
cui oltre ad un' antologia pubblicata recentemente dal Mar-
chese Lagrange quel brioso Filarete Chasle regalava , non è
ancor passato un anno, la versione del Titano.
Y.
Za Morte di un Angelo *.
A noi viene mandato per angelo dell' ultim' ora , che noi col
brutto nome di morte chiamiamo, l'angelo il più tenero, il più
benigno, acciocché egli soavemente e dolcemente raccolga dalla
vita il cuore umano languente, e con calde mani, senza punto
comprimerlo, lo trasporti dal gelido petto nell' alto e ben ri-
scaldato Eden. A lui fratello è l'angelo della prima era, il quale
bacia due volte 1' uomo 5 la prima volta affinchè egli cominci
questa vita , la seconda perchè là sopra senza doglia si desti ,
ed entri nell' altra vita sorridendo, siccome in questa piangendo.
Mentre i campi di battaglia stavano pieni di sangue e di
pianto e 1' angelo dell' ultima ora ne traeva le anime trepi-
danti , inumidissi il suo tenero occhio, ed egli disse: « Ah !
» voglio io pure morire una volta come l'uomo, onde poter sa-
» pere quale sia il di lui estremo dolore, e poterlo consolare,
» allorquando dalla sua vita scioglierollo. » L'immensa cerchia
d' Angeli che lassù si amano circondò l'angelo compassionevole,
e promisero essi al loro diletto che dopo 1' istante del suo morire
circondato 1' avrebbero col loro cielo di raggi , per fargli sapere
* Avverta il lettore che il senso da attribuirsi alla parola Angelo sì spesso ricor-
rente in questa bizzarra e strana fantasìa non è il proprio , cioè quello che gli
vien (lato n.;Ile sacre carte: quella parola deve togliersi qui in S(nso figurato
come equivalente di Genio.
161
che ciò era slato la sua morte; ed il di lui fratello, il cui bacio
apre le irrigidite labbra , come 11 raggio mattutino i freddi
fiori, baciollo teaerameiite iu viso e disse: « quando io te,
» o fratél mio, ribacierò, tu sarai morto sulla terra, e di uuovo
» qui fra noi. »
Commosso ed amoroso calessi egli sopra un campo di bat-
taglia, ove solamente un bel focoso giovinetto pur anco palpi-
tava agitando il lacerato suo petto; presso all' eroe niun' altro
si trovava che la di lui sposa : egli più non poteva sentire le
calde di lei lagrime, ed il di lei cordoglio risuonava impercet-
tibilmente al suo orecchio , come remoto grido di battaglia. Al-
lora l'angelo lo coprì immediatamente, aspirò con un caldo ba-
cio dallo squarciato seno l'anima travagliata , e cpnsegnolla al
suo fratello ; il fratello colassù ribacioUa , ed ella di bel nuovo
sorrise.
L'angelo dell' ultima ora penetrò nel deserto petto come un
lampo, animò la fredda spoglia, e mosse nuovamente con cuore
più fortemente vibrante la corrente di vita. Ma come lo sor-
prese il nuovo incorporamento? il suo sguardo lucente fu rav-
volto fra il vortice del nuovo spirito nerveo; i suoi pensieri dap-
prima alati guadavano ora per la nebbiosa cerchia del cervello.
Il grazioso, tenero, vaporoso colore degli oggetti, che prima
soavemente brillare gli faceva, arido apparve e questi oggetti
sotto forma di colorite macchie verso di lui dall'aria riscaldata
ed ardente trasportate una dolorosa sensazione in lui produce-
vano ; tutte le immagini più oscure bensì, ma più tumultuose
al suo cuore si affollavano, e sotto forma d'istinto a lui compa-
rivano; laceravalo la fame, ardevalo la sete, lo pungeva il do-
lore. Allora rialzò 1' angelo lo straziato suo petto ed il primo
suo fiato fu un sospiro verso la patria abbandonata. È questa
la morte dell'uomo? pensò egli, ma non vedendo il promesso se-
gnale di morte, nissun angelo, e nissun cielo raggiante, s'avvisò
egli bene che questa non era che la vita.
Mancarono sulla sera all' angelo le forze terrene, e parvegH
di sentire sul suo capo un altro mondo che lo schiacciasse ,
poiché il sonno mandava i suoi corrieri. Le immagini Interne
mutarono allora il loro chiaro brillante aspetto iu un fuoco ra-
II
162
poroso , le ombre del giorno gettate nel cervello ivi si aggrup-
pavano r una coir altra in colossali forme, ed un elevantesi in-
domabile mondo ideale precipitavasi sopra di lui , perchè il
soglio mandava i suoi messaggieri : finalmente il funereo velo
del sonno avviluppossi doppiamente a lui d' intorno ed egli
piombando nella caverna della notte , vi rimase solitario , ed
immobile siccome noi poveri uomini. Ma allora tu, o sogno
celeste, volasti co' tuoi mille specchi innanzi alla di lui anima,
ed in ogni specchio a lui mostrasti una cerchia d'angeli, ed un
cielo di raggi, ed il velo terreno parve con tutti i suoi tor-
menti abbandonarlo.
Ah ! disse egli con vana estasi , il mio addormentarmi fu a-
dunque la mia morte? ma quando egli ridestossi col cuore ser-
rato ingombro da pesante sangue, e rivide la terra e la notte,
disse a se stesso : « ciò non fu la morte , ma soltanto la di lei im-
magine , benché io abbia veduto il cielo stellato e gli angioli. »
La sposa dell' eroe trasportato in cielo non s'avvide che nel
seno del suo diletto soltanto un angelo albergava. Ella amò
ancora la rialzata efilgle della di lui anima scomparsa , e teneva
tuttora lieta la mano di lui che già da lei si era dipartito. Ma
l'angelo riamò con cuore umano il di lei cuore deluso, e, ge-
loso della propria forma, bramò di morire prima di lei , per
amarla tanto tempo, finché ella ciò a lui incielo perdonasse,
e colassù ad un tempo un angelo ed un innamorato al proprio
seno stringesse. Ma ella morì prima 5 il precedente cordoglio
troppo aveva chinato il capo di questo fiore, cosicché rotto ne
lu lo stelo, ed esso giacque prostrato al suolo. Ahi! ella tra-
passò nelle braccia dell'angelo piangente, non già come il sole
che pomposamente in faccia alla natura spettatrice si getta
nel mare, ma come la luna silenziosa, che inargenta verso
mezzanotte una nebbia, e sotto la pallida nebbia inavveduta
scompare. La morte si fece precedere dalla sincope sua più dolce
sorella, la quale toccò il cuore della sposa , ed il caldo viso
rimase agghiacciato, i fiori delle guancie si chiusero, la pallida
neve del verno , sotto di cui verdeggia la primavera dell' eter-
nità , coprì la di lei fronte e le di lei mani. Allora 1' occhio
gonfiato dell'angelo si sciolse in una bollcnle lagrima , e siccome
165
egli pensata che il «no cuore sotto forma d'una lagrima da lui
si staccherebbe , quasi perla dalla tenera conchiglia , allorquando
la sposa destatosi nell'estremo delirio volse a lui per l'ultima
volta lo sguardo e stringeudolo al seno, e baciandolo gli disse:
''« ora son io teco, o fratel mio, » allora iramaginossi l'angelo
che il suo fratello dato gli avesse il segno del bacio e della
morte. Ma nissun cielo stellato lo circondò, ed egli cinto da
una oscurità di duolo sospirò che ciò non era la morte , ma
soltanto r umano dolore per la perdita altrui. O voi uomini
oppressi, sciamò egli? come resistere potete alla stanchezza?
come iuvecchiare potete, quando il cerchio delle forme giova-
nili si rompe , e finalmente interamente scompare : quando le
tombe dei vostri amici a voi servono di gradini per scendere
alfa vostra, e quando la vecchiaja a voi si mostra come la de-
serta ora della sera di un raffceddantesi campo di battaglia? oh',
poveri uomini ! come potete a ciò durare ?
Il corpo dell' involatasi anima dell' eroe pose il dolce angelo
fra i duri uomini, fra le loro ingiustizie, fra i rivolgimenti del
vizio e delle passioni Egli vide il serpe gigantesco
dell' iniquità circondare con negre spire 1' intiero globo lerra-
queo, ed insinuare la sua velenosa testa nell' umano seno. Ah!
dovette allora il suo tenero cuore , che era stato perpetuamente
frammezzo ad angeli caldi d'amore, sentire l'infuocato pungolo
dell'inimicizia, e la sua santa anima piena di benevolenza spa-
ventarsi dovette per l'interna dilacerazione. « Oh , disse egli ,
» quanto è mai dolorosa la morte dell' uomo ! » ma nou era
la morte , poiché nissun angelo comparve.
Così in pochi giorni fu egli stanco di una vita, che noi pure
per mezzo secolo sopportiamo, e desiderò di morire. Il dolore
cagionatogli dalle scheggie del ferito suo petto esaurivagli le forze.
Egli entrò quindi mentre la sera indorava le di lui guance nel
cimitero, l'ultimo verde recesso della vita, ove i veli di tutte le
belle anime ch'egli spogliate aveva stavano raccolti. Egli appog-
giossi con dolorosa brama sulla nuda tomba della defunta da lui
inesprimibilmente amata, e guardò il sole che impallidiva. Su
questo diletto promontorio mirò egli il suo tormentato corpo
e pensò: « tu pure, o petto traforalo, ove io te più nen so-
164
» stenessi, cadresti quivi in dissoluzione, né più mi cagioneresti
dolore. » Poscia egli riandò soavemente la gravosa vita del-
l'uomo, ed i palpiti del suo petto ferito mostrarongli con quali
pene gli uomini comprano la loro virtù e la loro morte, le quali
pene eli benigno all'anima di questo corpo risparmiato aveva.
Profondamente lo commosse 1' umana virtù, e si sentì pieno di
infinito amore per gli uomini, i quali fra i latrati dei loro bi-
so<^ni fra le nubi accavallantisi, in mezzo alle dense nebbie
cbe l'umana via attraversano, non obbllano però la stella del
dovere, e fra le nebbie tendono le loro aperte braccia ad ogni
petto tremante che incontrano, mentre ad essi non brilla niente
altro che la speranza di tramontare come il sole nel vecchio
mondo per risorgere nel nuovo. Allora la commozione riaprì
la sua ferita, ed il sangue, la lagrima dell' anima , sgorgò dal
«uo cuore sul diletto monticalo, ed il corpo dissolvendosi cadde
dolcemente immerso nel sangue presso all' amata 5 lagrime dì
voluttà Iramutarongli il sole che volgeva all'occaso in un mare
color di rosa , lontani suoni dell' eco come se ogni moto ter-
reno fosse nell'etere ripetuto, si fecero sentire per l'umida
splendida sera. Allora un'oscura nube, ossia una piccola notte
passò avanti agli occhi dell'angelo, ed egli fu pieno di sonno.
Quindi un cielo di raggi si aprì, e circondoUo con mille angeli
fiammeggianti. « Oh eccoti nuovamente, o sogno illusorio, » disse
egli: ma l'angiolo della prima ora spiccossi verso di lui in
mezzo ai raggi e gli diede il segno del bacio dicendo : « questa
fu la tua morte, o tu eterno fratello, celeste amico, » ed il gio-
vinetto e la sua amata ripeterono sotto voce queste ultime
parole.
X. Y.
165
FaLEOOBAFIA — Di alcuni recenti studi di Paleografia Fenicia
fatti in Piemonte.
La scoperta del vero, in qualunque ramo delle umane disci-
pline ella: avvenga , suole riempir l'animo di tanto diletto che
non è maraviglia se veggiamo uomini dottissimi trascurare que-
gli studi che paiono maggiormente allettare per rivolgersi con
lunghe ed ostinate veglie a ricerche in apparenza ingratissime,
e dall' universale o tenute in dispregio , o malamente apprez-
zate. Il volgo che non iscorge più in là suole sorridere nel ve-
dere scienziati intraprendere lunghi viaggi, e sopportare inu-
mane fatiche , ora arrampicandosi su pei dirupati gioghi dei
monti, ed ora esponendosi a navigazioni perigliose, per isco-
prire od istudiare qualche ignota legge , o produzione della
natura 5 nello stesso modo che alza le spalle se sente dire che
alcuno consacri il suo ingegno a dilucidare qualche conteso
punto d'antichità, o s'avventuri negli aridi e spinosi campi
della filologia. Si conceda pure al volgo di farsi beffe di ciò che
non giunge a comprendere, purché le persone assennate ono-
rino, come si conviene, quei coraggiosi, che con tanto disagio,
e spesso con niun' altra ricompensa, fuorché l'interna satisfa-
zlone vanno aggiungendo alla somma delle nostre cognizioni ,
e scoprendo nuovi anelli onde vieppiù collegare le infinite parti
dell' umano sapere.
Il nome di colui il quale, non son molti anni, alzò inaspet-
tatamente un lembo del densissimo velo che copriva i gerogli-
fici, sarà immortale quanto quello dello scopritore del galva-
nismo, e colui che giungerà a rimuovei'e le tenebre che ancora
involvono le reliquie delle antichità Fenicie, sarà meritevole
di gloria al pari di chi rivelasse al mondo un novello pianeta.
Sia lode pertanto a coloro che guidati dall' amore del vero si
ado^)erano con tutte le loro forze a chiarire qualche punto di
queste astruse ed oscure antichità , e cercano per cosi dive, di
166
dissotterrare 1« fondamenta , su cui si possa ricostruire la sle-
ria di due uazioui già sì potcati e celebrate, quali erano la
Fenicia e la Cartaginese. Ogni passo benché lento che si faccia
verso la verità diminuisce la distanza che ci separa dalla metaj
ogni raggio di luce gettato nella tenebrosa via che si ha da
percorrere è un aiuto per chi vlen dietro, e un incoraggiamento
a tentare di vincere gli ostacoli che rimangono. — Ma se sono
da lodarsi quei savi che accoppiando alla dottrina la prudenza
e la modestia, procedono con pie' di piombo , e non arrischiano
un'opinione, la quale non sia, per quanto il soggetto lo com-
porta , matematicamente dimostrata , e non comunichi altrui il
convincimento di chi la palesa , che si dovrà dire di quegli
ardimentosi che con teorie concepite a priori, e fondate sul
capriccio, rimescolano e confondono nuovamente quegli elementi
che a fatica si erano tratti fuori dell' antico loro caos , renden-
done la notte per quanto in loro .sta sempre più buia e più
profonda ? Questi , se non pazzi , presontuosi inventori di ca-
pricciose teorie , come non mancarono mai in alcun secolo ,
così non mancano neppure nel nostro : e i cervelli torli fab-
bricatori d' ipotesi colle quali pretendono chiarire ogni cosa ,
furono e sono pur troppo comuni in ogni paese. — Così vi fu
già un P. Kircher che con una fantasia disordinata tentando
di spiegare i Geroi^U/ìci , disse le più strane cose del mondo,
e pretese doversi leggere lunghe ed insulse dicerie là dove non
si trovò altro che il nome di un Tolommco , o di un Imperator
Romana- Così un altro visionario sostenne che sul portico del
magniBco tempio di Deriderà stava scolpita una traduzione del
centesimo salmo di Davide, dove poi si lessero nomi e cose
le mille miglia lontane. Né il sistema del Champollion , che è
pure fondato su fatti in gran parte incontrastabili, ha potuto
ancora persuadere certi increduli, i quali negherebbero la luce
del sole , piuttosto che rinunziare alle loro dilette utopie. Per
ciò ninno si maravigli se un Fiammingo , fanatico per la lingua
Ebraica, vuole che sotto i caratteri demotici nuli' altro si na-
sconda se non memorie scritte nel sacro idioma : mentre un
francese si prepara a riempiere il mondo di stupore , interpre-
tando l'iscrizione di Rosetta ed ogni altra Egizia scrittura per
167
mezzo della lìngua dei Bramini. Cosi dopo le erudite memorie
dell'autore del f^iaggio d'Anacarsi, dopo le diligenti ricérche
di varii dotti in Paleografia , e fra gli altri delF illustratore della
lapida di Nora , è venuto fuori il signor Ricardi , di egiziana
celebrità, che aiutato, Dio sa come, dagli apici vocali e da
una volontà determinata di non lasciarsi arrestare da alcuna
difficoltà, ha in poche pagine troncato il nodo Gordiano di
quanti monumenti Punici gli sono capitati per le mani, e pro-
nunziato ex cathedra là dove gli altri hanno modestamente
proposte le loro congetture *i. Noi non muoveremo guerra al
8Ìg. Ricardi per quegli apici vocali che egli impiega nella let-
tura della lingua Ebraica ^ e per conseguenza della Punica o
Fenicia f ben sapendo che la sentenza a favore dei punti maso~
retici non è cosi universalmente accettata, che T uso di questi
sìa dappertutto ricevuto 5 anzi, ove noi sappia, gli diremo che
in Inghilterra, dove gli studi Biblici sono in grandissimo onore,
prevale tuttora lo studio dell'ebraico senza punti, in un modo
che forse non è molto lontano dal suo sistema. E benché noi
incliniamo grandemente a far uso delle noie Masoretiche dove
si trovano , confesseremo che nei monumenti privi di quelle ,
l'introduzione di vocali brevi o di apici vocali che si vogliano
chiamare, quando sì faccia al solo Gne di aiutare la pronunzia,
e di produrre suoni intelligibili, non ci pare altro se non un
trastullo affatto innocente, che non può né giovare, né nuocere
alla interpretazione. Ma ci lagniamo del sig. Ricardi che non
avendo riguardo né agli studi de' suoi predecessori nella Paleo-
grafia Fenicia , né alle spiegazioni lodevoli già da essi date, né
ai solidi argomenti coi quali si é già stabilito il valore di pa-
recchie lettere, senza degnarsi di dare la menoma ragione cri-
tica che giustifichi il suo variabile alfabeto^ e colla sola scorta
delle antiche lettere Samaritane delineate nella gramatica ebraica
del P. Guarin *2 ( sebbene non si voglia negare che le Fenicie
*i Lettura e spiegazione dei superstiti monumenti Punici, dedicata aW om-
bre generose dei Sufeti di Cartagine da Francesco Ricardi , fu Carlo.
Genova i835.
*2 II Ricardi nel suo libretto diinzi citato ha scritto : Grammatica del P.
Qiiarin. Ma ha sbagliato il nome. La grammatica che egli voleve citare è di
l'ietro Guarin, stampala in Purigi nel i-jX^ in 7. voi. in-8.
168
dalle Samaritane, o queste da quelle siauo derivate), egli alj-
bia voluto decidere quasi inappellabilmente, e come se fosse
ispirato, mandando fuori a guisa d'oratolo certe iuterpretazioùi
così inintelligibili, o così poco d'accordo col buon senso, che
il più delle volte eccitano il riso come il celebrato parto della
montagna. A questo modo non adoperava il Lindberg, nel suo
comentario de insciiptione Melitensi Phaenicìo - Graeca , che
pigliando a spiegare nuovamente quell'iscrizione bilingue, già
illustrata sin dal 1708 dal Barthelemy *i, rendeva omaggio
alla dottrina di questo, confermando in gran parte la sua le-
zione, e trovando come lui nelle quattro linee Fenicie una
parafrasi delle tre greche che vi sono sottoposte. Ed era pur
cosa naturale il supporre che le due iscrizioni ripetessero nelle
due lingue lo stesso voto fatto dai Tirj Dionisio e Serapione
ad Ercole, invece di riguardare la pi-ima come un capitolo di
una legge sacra dei Sidonii , e la seconda come una coda greca
di nn corpo Fenicio , siccome piacque al Ricardi di fare, ap-
piccandovela con un quapropter che vi sta propriamente a pi-
gione. Ma avesse pure questo novello interprete data una spie-
gazione se non più d'ogni altra convincente, almeno soddisfa-
cente quanto quelle del Barthélenij e del Lindberg? — Basti
il dir* che dove gli altri leggono, quasi d'accordo Dionisio e
il suo fratello Serapione , figli di Serapione figlio di Dionisio ,
( ovvero coi nomi Fenici di Abdassar e di Asseremor sostituiti
a quelli di Dionisio e di Serapione) il che perfettamente coin-
cide coir iscrizione greca, il Ricardi propone di leggere = ipse
( Hercules ) servahit eum ,• negotiationetn servabit deprecantis ,•
U^^a serbata erit deprecantis dominum ; ipse solus seri'abit. =
E con questa stessa felicità procede il Ricardi nell' ardua
impresa di sciferare il monumento di Carpentras , impresa nella
quale a dir vero, pare che lo stesso Barthélemj , così acuto
interprete in altri casi , abbia infelicemente smarrita la via *2.
Imperciocché se v' ha alcuno che intenda ciò che il Ricardi
ha voluto dire in queste frasi della sua traduzione = ut orna-
*i Mémoires de l'Acadcmie des inscriptìons Tom. XXX. pafj. l\oò.
*a Mémoires de l'Aeadéniw des intcriptions Tom. XXXII. pag 7a5.
169
rei eam $cientia elationis , promovendo perjkctam celebrationem ,
= e più sotto =: removit exteram elatìonern j appetere faciens
ohjinnationem Domini^ = si può credere che colui non abbia
bisognOs di Sfinge per ispiegare il più intricato degli enimmi ,
e sia predestinato dal cielo a dichiarare quante leggende furono
trovate , o si troveranno fra le rovine di Cartagine. Non par-
leremo, per amore di brevità, del monumento del conte Borgia
scoperto in Tacca y riveduto, di molte lettere accresciuto e per-
fezionato a suo modo dal Ricardì , la cui spiegazione è anche
essa una vera gemma ; né dei quattro Cippi Cartaginesi pub-
blicati dal maggiore Humhert, tutti interpretati, con aggiunta
di ben altro che di apici vocali, e con la consueta Ricardiana
maestria , per saggio della quale si dirà soltanto che dopo di
aver tradotta letteralmente una linea con le parole = credendo
verbo expectatae probae, = queste sono poi nella parafrasi
italiana spiegate = credendo nel precetto del giudizio finale. ==
Ma nulla ci può trattenere dall' accennare che venendo ad im-
battersi in un animale simbolico scolpito su di uno dei Cippi,
animale che sebbene goffamente delineato, ha tutto 1' aspetto
e le fattezze di un agnello, il nostro archeologo lo dichiara un
somaro con testa d' agnello ^ emblema d'uomo giusto e buono y
che ha reso servizio al pubblico , stante che il somaro era il
simbolo di chi porta il peso per gli altri, e l' agnello quel del-
l' innocenza e dell'onestà. — Lascieremo che sull' addotta evi-
dentissima prova della credenza dei Cartaginesi nel giudizio
finale, e sull'apoteosi dell'uomo pubblico sotto la sembianza
di un somaro -agnello, il lettore mediti a suo bell'agio, e fac-
cia le sue riflessioni, se trovandosi nei panni delle ombre gene^
rose dei Sufeti, non si chiamerebbe insultato, e ci affrettiamo a
venirne alla. Lapida ^^ iVbra , pubblicata daiìVabate Giannanlonio
Arri sul disegno ricavatone dal cav, Alberto della Marmora.
Chiunque , avendo una sulEciente idea delle lingue Semitiche,
leggerà la dissertazione dell'aiate Arri *i, nella quale si prende
a svolgere il senso di questa iscrizione Fenicia , non potrà non
riconoscervi la somma diligenza adoperata dall' autore nell' ap-
*i Memorie della R. Accad. di Torino Tom. XXXVIII. pag. Sg.
170
poggiare ad autorità la sua opinione sui valore delle lettere ,
non meno elle sulla interpretazione delle parole che ne forma,
la costante sua precauzione di nulla mai arrischiare che non
sia avvalorato da argomenti almeno probabili , e un procedere
con chiarezza e con ordine tale che alletta, e non lascia gene-
rare stanchezza a dispetto dell' astrusa natura della materia. Né
in mezzo a tutto questo manca quella modestia che non mai
si scompagna dalla vera dottrina , la quale fa che sebbene altri
fosse talvolta di diverso avviso , o noii fosse pienamente con-
vinto, non può tuttavia non lodare la sincerità d'animo e la
buona fede, colla quale vi si va in traccia del vero. Non di-
remo che la dichiarazione deWArri non lasci desiderar nulla ,
e sia convincente a segno che non si abbia a sperarne una più
perfetta, perchè non sappiamo appagarci dell'applicazione che
si fa della parola NGRSH, parendoci che intesa per motus a
ventis , il traslato sarebbe ultra-orientale, e per altra parte non
si possa senza stiracchiatura voltarla in vela dedit, quand'an-
che i passi citati d'Isaia e di Amos potessero, contro l'opinione
di tutti gli interpreti dai LXX in giù , ricevere il primo signi-
ficato. Parimente ci sembra alquanto strano il senso dato alla
settima ed aW ottava linea, dal quale risulterebbe che ì\ Padre
Sardoìi portasse opinione che Nora fosse posta rimpetto l'Afri-
cana Lixus ( quam Lixo novit adversam ) , perchè da un canto
l'errore geografico sarebbe incredibile anche pei tempi di Sardon,
trovandosi Nora (la moderna Pula) nel seno di Cagliari, e
Lixus nello stretto Gaditano , mentre dall' altro non si sarebbe
addotta ragione probabile , a credere nostro, per cui importasse
di ricordare avere Sardon conosciuto che Nora stesse piuttosto
in faccia a Lixus che ad un altro paese. Ma a queste critiche
si suol rispondere con ragione , provatevi a far meglio , e dimo-
strate col fatto che si possa trarre migliore partito dei materiali
che non facessero gli altri. Noi confesseremo ingenuamente che
non ci sentiamo da tanto , massimamente vedendo l' interprete
universale Ricardi non riuscire con tutta la sua dottrina a buon
porto, e darci anche di questa lapida una di quelle sue ver-
sioni che fanno trasecolare. Ben è vero, che se le sue traduzioni
letterali sono al di sopra del nostro intendimento, egli suole
171
regalate per soprammercato al lettore almeno un paio di pa-
rafrasi metriche , e non metriche , in cui non si può ammirare
abbastanza la destrezza, colla quale dà un nuovo aspetto al
suo primo pensiero, e la facilità con cui schicchera distici latini,
e versi italiani né più , né meno eleganti , e poetici , che la
sua prosa. Non é quindi da dire che sin qui 1' interpretazione
àeìVjirri è la sola che dia qualche appagamento, e che essa è
senza misura superiore alla Ricardiana, come vince pur quella'
del dottissimo nostro orientalista il fu Giamhernardo Derossi ^
a difesa del quale lo stesso Arri ne avverte che egli ebbe a
lavorare sopra un imperfettissimo esemplare, e in un tempo in
cui parecchie lettere Fenicie non erano ancora da sufficiente
autorità confermate in quel posto che le vediamo ora occupare.
La stessa sjuperidrità si vuole senza esitazione alcuna concedere
a\V abate Arri nella dichiarazione di un altro monumento Fe-
nicio da lui recentemente pubblicata in una sua lettera francese
inserita nella terza serie del Journal Asiatique *i. — Si tratta
di una iscrizione bilingue di sette lettere latine ( AVG. SVFF ),
e di quattordici Fenicie , trovata nelle vicinanze di Tripoli di
Barberia, dove era l'antica Leptis Magna, oggidì conosciuta
sotto il nome di Lebida. — La lapida mostra di essere un
frammento segato da ambi i lati, imperciocché l'A di AVG
non è più che mezzo, e la prima lettera Fenicia a destra è
pur anche in parte mozzicata. Tuttavia i vari Paleografi, che
vi si sono esercitati dattorno, le hanno dato un senso pieno,
sebbene, com'è da presumersi, non tutti con eguale fortuna.
L'uno ha letto nella parte latina augustales Suffetes , un altro
augustalis Suffectus, un terzo augusta Suffetula^ mentre il no-
stro Arri, con maggiore probabilità di aver dato nel segno, vi
legge augurale Suffetis. Quanto é alla parte Fenicia VHamaker
interpreta = ut precatio ( se\ precandi causa) propter defe-
ctum ( vel exsiccaiioneni ) canalium. Il dotto Gesenius domus im-
perii Romani (\\. e. domus augusta) stai in aeternum. Il Lind-
berg = Torcular reginae in loco perenni j => interpretazione
*i Lettre àM.r Quatr£mére meinbre de l'Institut sur une inscription Latine-
Phénicienne tronvce à Leptis, Journal Asiatique i83G.
172
che avrebbe dovuto uscire dal cervello del Ricardi, cui questo
torchio verrebbe a pelo per quella certa uva che ha data a
conservare ad Ercole condottiere ^ dichiarando 1' iscrizione di
Malta. Ma l'y^m che neW augurale Suffetis trova indicato il
Praetoriurn di un campo romano , fa che le parole Fenicie cor-'
rispondano alle latine , traducendole per Locus Ducis Romae
excelsae, ed ha così il inerito di spiegare 1' una iscrizione col-
r altra, che in un monumento bilingue è certamente il metodo
più probabile di scoprire la verità. Se non che il Ricardi pensa
diversamente, non già per rispetto a questo monumento, sul
quale non appare ancora che egli abbia pronunziata la sua sen-
tenza finale j ma; nella sua lettura e spiegazione delle monete ,
ed iscrizioni riferite in un saggio accademico del cav. Alberto
della Marmora *i. Fra le monete di cui parla il bel lavoro
del cav. della Marmora , e di cui si danno gli impronti in due
tavole , ve n' hanno alcune con iscrizioni Fenicio -Latine , ed
una con leggenda Greco-Fenicia. Si direbbe a prima giunta che
il greco ed il latino debbono essere di un grande aiuto nello
sciferare la parte Fenicia delle leggende, e che il Bartlièlenij,
vedendo fatta menzione della dea di Sidone nel greco, leggesse
a buon dritto LSDNM, ovvero Sidoniorum, nelle cinque lettere
inferiori , tanto più che la loro forma vi si adatta maraviglio-
samente. Parimente trovando INS. AVG. dalla parte destra di
altre leggende; parrebbe che il cav. della Marmora, seguendo
il Barthélemy , avesse ragione di leggere Al , cioè insula ^ nelle
prime lettere Fenicie della parte sinistra. Ma ciò non cura il
Ricardi ^ il quale tutto devoto come egli è agli Dei Cabiri, ( che
per verità si veggono stampati col martello in mano su gran
parte di queste monete ) trova dappertutto la parola CABIR ,
o CBR , senza badare al solito , se la forma delle lettere lo con-
senta , e se sia la stessa , o almeno somigliante in tutti i casi.
E con questo chiodo fitto in capo procede a riferire trentotto
testimonianze di autori Greci, e soprattutto di Proclo j toglien-
dole dalla Collection of Chaldean Oracles pubblicata nel Clas-
*i Saggio sopra alcune monete Fenicie delle Isole Baleari. Mem. della R.
Àccad. di Torino Toni. XXXVIII. pag. 107.
175
sìcal Journal for June i8i8 , e dandone egli stesso una versione
che umilmente asserisce essere esattissima a preferenza di qua-
lunque altra già fattane j cosa che, secondo il Fabricio , è di
non lieve momento. Chi volesse sapere come queste testimo-
nianze confermino la trasformazione delle accennate lettere
Fenicie in CABIR , ricorra all' opuscolo del nostro autore , e
vedrà che i Caldei in orìgine furono adoratori dell' unico Dioj
cioè della Triade da essi chiamata Mente Paterna delle tre
intelligenze j Vuna dalle altre distinta, cosa che noi siamo lon-
tani dal voler mettere in dubbio, ma che ci sembra utile a
far distinguere VJleph dal Thau nelle scritture Fenicie, quanto
è atta a dar la chiave dei monumenti del Messico. — Tuttavia
si vuol confessare che messer Francesco, fu Carlo, ha un inge-
gno fervido , ed una mente acuta e profonda , e se dopo aver
vedute queste opinioni religiose dei Caldei, dalle quali egli ar-
gomenta che i Cartaginesi erano ortodossi, non fosse troppo
grave peccato il credere alla Metempsicosi, diremo che tutta
l'anima del buon padre Kircher si è in lui travasata, cotanto
egli è sagace nello scoprire sensi reconditi in un picciol sim-
bolo , e in poche letteruzze. — Abbiamo già detto qual uso il
nostro archeologo faccia di quell'animale in cui trova congiunte
le due nature di agnello e di somaro, riferiremo adesso fra
le sue maravigliose rivelazioni di questo genere la dichiara-
zione di una delle monete Baleariche , che egli dà cattedrati-
camente in queste parole = Caput hominis pileatum j et for-
ceps. — Postica. — Porcus supra et infra lettera D — Expl.
— Suh gubernatore sapiente valde floret agricultura. :=: Dopo
questo più non rimane se non ad inarcar le ciglia, e ad am-
mirare in silenzio una mente così vasta e così piena di arcana
dottrina. — Dagli oracoli e dai sogni del Ricardi torniamo ,
per ricrear 1' animo , e per ben augurare fra noi degli studi di
Paleografia Orientale j, alla lettera dell'abate Arri, là dove ci
annunzia un suo lavoro sui tenipj degli antichi degli adoratori
astri; e senza fermarci su ciascuna delle osservazioni di lui
intorno all'interpretazione di alcune espressioni bibliche data dal
Gesenius nel suo dizionario ebraico , accenneremo soltanto che
l'opinione che egli manifesta sui SVCCOTH BENOTH , con-
174
corda appieno con quella del dottissimo Parkhurst, autore del
più stimato lessico ebraico ed inglese senza punti , il quale ci-
tando pure Erodato, cosi si esprime: è oramai fuor di dubbio
che cotesti Succoth erano tabernacoli frequentati da fanciulle ,
che si davano alla prostituzione in onore della dea Babilonese
Mjlitta ; opinione che troviamo eziandio seguita dal Taylor,
dissenziente in questo dal Calmet , del cui dizionario biblico
ha data un' edizione compendiata in inglese.
Sarebbe qui da parlarsi della dissertazione latina dello stesso
jirri sopra alcune monete degli Abbasidi , ed altri monumenti
Arabo-Cufici *i , nella illustrazione dei quali egli dà novelle
prove di sana critica , e di non comune dottrina 5 nia il timore
di esserci già troppo dilungati su di un soggetto poco grato al
comune dei lettori , fa che ci asterremo affatto dal toccare que-
sta materia. Gonchiuderemo quindi rallegrandoci colla patria
nostra nel vedere, che mentre gli studi orientali fioriscono ma-
ravigliosamente in Francia , ed hanno molti celebrali coltiva-
tori nella Germania, e nella Gran Brettagna ^ non manchi
presso noi chi segua le illustri pedate dei Valperga-Caluso ,
dei Derossi, e àoi Pejron ^ e dia fondate speranze di esserne fe-
lice emulatore.
Questo intanto sappiamo di certo che il modo con cui \Arri
mette innanzi le sue congetture, e il raziocinio, e le autorità
cui le viene appoggiando , non armeranno mai il padre della
letteratura Araba in Europa il sig. Silvestro de Sacy ^ di quella
sferza magistrale con che dovette correggere un giovane profes-
sore d'Arabo Siciliano j il quale colle arrischiate sue produzioni
meritò d' essere rimproverato di leggerezza, e rimandato a pren-
der posto fra gli scolari. *2.
*r Mera, della R. Accad. di Torino. Tom. XXXIX. pag. 38.
"a Nouveau Journal Asiatique inois d'avril ib35.
175
Belle Arti — // ClMùdUndro.
V han cose nel mondo la cui magica potenza par clie rìa-
neghi la materia dalla quale hanno origine, e trasporti l'uomo
in un altro mondo ideale e fantastico, in cui sono oggetti ignoti
la bassezza e la corruttibilità della creta mortale. — Che havvi
mai in quel sentimento aereo, misterioso, inesplicabile, di cui
non sappiamo render ragione, e che affascina sì mirabilmente
la mente ed il cuore di chi lo prova ? Qual arcano spirito pre-
siede a quei moti involontarj a quell' agitarsi di un' aura vivi-
ficante e feconda di nuove idee al guizzo rapidissimo di una
luce sconosciuta che ti cerca le fibre e ti chiama a sensa-
zioni più energiche , a più soavi pensieri ? Più volte sarà a
voi occorso nella vita di esser l'oggetto di moti siffatti. — In-
noltratevi un bel mattino d'estate nella gola d'una ii-suta ed
elevata montagna j salitene la cima e di là contemplate 1' a-
spetto di quella natura selvaggia ed indomita 5 da qual rapi-
mento non vi sentirete voi compresi, qual fremito di pia-
cere inesprimibile e insieme di sublime spavento non vi scor-
rerà per r animo ? Fissate gli occhi in un bel volto su cui
sorridano le grazie, e che in sé unisca tutta la leggiadria delle
forme le più attraenti temperate dallo sguardo dell' innocenza
e della bontà, qual senso di dolcezza e d'ammirazione non vi
si diffonderà per tutta la persona ? Ma donde muove mai quell'
elettrica scintilla che in tal guisa vi invade, s' impadronisce di
voi tutti, vi trasporta in regioni remote e sconosciute?
Effetto non dissimile da quello che io ora additava , vien
prodotto dalla musica. Quest'arte divina, i di cui benefici in-
flussi si spandono su tutti i ceti degli uomini , e che sommi-
nistra un piacere innocente, e sgombro di conseguenze funeste
ad ogni cuore , che sente quest'arte che sveglia sì mirabilmente
gli affetti i più teneri e soavi , e insieme più forti e sublimi ,
è anch' essa una delle cause di quelle straordinarie commozioni
delle quali teneva discorso. Assistete ad una scenica rappiesen-
176
tazione, o udite soltanto dalle canore labbra di un gentile
cantore un concento melodioso : unitevi alla geniale conversa-
zione di una musicale adunanza , attendete alle voci che escono
da una flebile tibia o da una romantica arpa, qual misto di
voluttuoso e di malinconico non vi si insinuerà nel sangue, non
verrà ad esaltarvi il pensiero ?
Ora parlando della musica e dei suoi mirabili effetti , io dirò
come nessuna voce , nessun instromento abbia mai in me pro-
dotta una sensazione più patetica del Clavicìlindro. Quest' istro-
mento, ignoto forse a moltissimi, fu composto nel principio di
questo secolo daChladni, fisico e scienzato Alemanno di molta
fama , e in Italia poscia unicamente fabbricato e perfezionato
da Luigi Concone. Consta egli d' una maócbina a tastiera d'assai
minor mole di un gravi-cembalo, con un cilindro di vetro che
6Ì fa girare per mezzo di un pedale insieme con altri ingre-
dienti cbe io non nomino. Qualità essenziale di esso si è di
poter prolungare il suono con tutte le gradazioni del crescendo
e del diminuendo a misura cbe si aumenta o si diminuisce la
pressione dei tasti. Ma la proprietà che possiede desso eminen-
temente si è una tale dolcezza e soavità d'espressione che dif-
ficilmente si potrebbe conseguire da un qualunque altro istro-
mento. Sul Clavicilindro mal si potrebbe eseguire un pezzo
come si suol dire di forza e di bravura. Ma provate a suonarvi
sopra una tenera romanza , uno di quei sentimentali motivi per
cui abbiamo tanto a lamentare la perdita di Vincenzo Bellini.
Provate a espiimere con esso quanto la passione ha di più com-
movente , quanto la malinconia ha di più simpatico e interes-
sante , con nessun altro istromento voi avrete potuto produrre
un più magico effetto. Vi richiama esso alle più care memo-
rie, ai moti i più teneri e dolci. La lusinghevole rimembranza
d'una diletta persona, i lieti sogni della prima giovinezza, i
puri palpiti dell'amicizia, l'avvicendarsi della speranza e del
timore, d'un utile rimorso e della serena gioia d'un benefico
e candido cuore , insomma quanto v' ha di più patetico , ap-
passionato e soave, questo è quanto maravigliosamente si espri-
me col descritto istromento.
Avv. F. Concone.
177
KuOTK PkODCZIOUI Lellura pepolari.
Torino. Presio l'editor* Barora lilu-aio.
La scienza è il maggior tesoro che possedano gli noailni ;
ma come la ricchezza materiale di un popolo produce maggior
prosperità ed agiatezza, quanto più essa è divisa fra i cittadini,
così perchè il sapere sia fecondo di utili risultati , ed avvia-
mento alle migliorie della civiltà, conviene che egli sia comune
a tutte le classi della società , e che ad ognuno ne siano acces-
sibili i frutti. Un gran fondo di dottrina diviso fra poche in-
telligenze alte e privilegiate può dar nome e gloria alla nazione
che le produsse : ma una massa anche minore di cognizioni
generalmente diffusa fra i membri della famiglia sociale, oltre
il lustro che procura, conduce al morale perfezionamento,, ed
al fisico ben essere di tutti. Però fanno santa cosa coloro che
imprendono a sparger nel popolo i semi della scienza, e a di-
rozzare le menti dell'artigiano, del contadino, dell'operaio. In
tal modo si abbellisce il presente, e si coltiva con utile certo
il campo dell' avvenire.
Egli è argomento di gioia il vedere gli iterati sforzi che si
fanno da qualche tempo in Piemonte per lottare contro i mali
dell'ignoranza, e diffondere i lumi nelle classi meno agiate.
Cominciava il Pomba a pubblicare la sua Biblioteca popola-
re ^ buona scelta d'ottimi libri, che per la tenuità del prezzo
otteneva un mirabile smercio. Altri calcava in seguito la via
aperta da lui, benemerito in ciò della patria. Il leggere non
fu d'allora in poi esclusivo privilegio dei ricchL Veniva quindi
in luce V Emporio delle cognizioni utili, giornale a 5 fr. l'anno,
destinato a giovare ad ogni sorta di persone, molto sparso, e
che vorremmo vedere diffuso ancor più, perchè pari alla no-
biltà dello scopo è il senno con cui vien diretto." Ora escono
12
178
ì„ luce le Letture Popolari a cent, io il foglio. -- Q«al sia
la mente degli editori di questa pubblicazione, ce lo rivelano
le seguenti parole del prospetto:... se per noi il nome mode-
sto ed ignoto di coloro che fanno il benefizio, e solleciti riti-
rano la mano, rimarrà nella bocca deW uomo beneficato, ere-
deremo ai^er fatto una cosa buona, non ignorando quanto grande
impulso sia al benfare la pubblica gratitudine ^ se per noi verrà
a maggiormente diffondersi l'amore del lavoro , il rispetto e
V amore verso le pubbliche autorità , U santo affetto di famiglia;
se V artigiano laborioso nei riposi della domenica crederà meglio
collocato r obolo destinato a suoi piaceri, impiegandolo nella
compera di questo foglio . anziché in quei luoghi o.e spesso la
<^ioia d' un' ora viene a convertirsi neW indigenza, e nelle lacri-
me d'un' intera famiglia, noi ci terremo paghi, e crederemo
nel modesto circolo d'azione, in cui siamo nati, aver fatto quel
poco di bene che maggiore per noi si poteva.
Noi non possiamo che altamente commendare coloro che
danno opera a questa pubblicazione per essere venuti m tale
divisamelo, enei far plauso alla generosa impresa non cre-
diarno di fare un puro atto di cortesia, ma bensì di adempire
ad un sacro dovere.
M. M.
VAKIETA
Uu articolo inserito nella seconda distribuzione di aprile del
Subalpino, ove incidentemente si parlò di. alcuni uomini grandi
nelle scienze militavi, de' cui nomi il Piemonte s'onora, diede
luogo ad una lettera del sig. Avogadro di Quaregna nella quale
egli lamenta il silenzio in cui fu lasciato il nome di un uomo
illustre, e provoca la riparazione di un torto fatto alia memoria
del medesimo, secondo 1' autore della lettera. Abbenchè noi ci
credessimo innocenti dell'apposta colpa, perchè in quei poclii
nómi non erasi inteso di compendiare le patrie glorie, ma sol-
tanto di rammentarne alcune, e le più fulgide: tuttavia noi ci
proponevamo, per soddisfare al pio desiderio di chi ne scrisse,
di cogliere la prima occasione che si discorresse nel Giornale
un qualche soggetto avente tratto alle scienze da quell'Illustre
coltivate per far parola di un i^omo adorno veramente di molti
ed alti pregi.
Ora l'impaziente sollecitudine del signoE-^ Avogadro di Qua-
ret^na e' invita a far ili pubblica ragione quella sua lettera ^ e
noi per aderire alla sua brama la diamo qua fedelmente tra-
scritta.
///,'"" Si-. SiiT. P. Col.
Il motivo della presente che ho il pregio di diriggere alla
S. V. si è un articolo testé letto dalla mia moglie, nata Rana,
wA Subal/jcno , (aprile distrib. 2.*) segnato m. m., nel • quale
a pag. 81 dicendosi, che il Piemonte superbisce ricordando i
BcrLola, Tignola, Bozzolino , De ì'iiueiid ^ e quel D\liiloni,
tee, vi si obbliò poi l'architello militare e civile Carlo Audrert
180
Raiia , gran zio paterno della medesiuia , nato in Susa ed ivi
pur resosi defunto sul principio di questo secolo in età di uo-
vant' anni ; stato pubblico professore di teorica e pratica nelle
scuole d'artiglieria e fortificazioni, delle quali si trovava allora
direttore generale il Deantoni, reggendo Bogino il Ministero
di Guerra. Egli fu il primo a comporre trattati di fortifica-
zione a dettarli e figurati spiegarli , conprendendovi ogni specie
di casi applicabili alla diversità dei siti da fortificarsi. Ricavò
dagli antichi autori più classici cinquanta e più sistemi de' quali
fece li modelli in bosco coslrurre, oltre i molti che di propria
invenzione produsse. Celebre tra gli altri è quello di un trofeo
d'armi antiche, rappresentante una fortificazione composta di
quattro archi tesi mediante le rispettive corde, moiette, e saette
in atto di essere scoccate verso le loro, mire , di quattro lancie
colle loro aste, punta, fiocco, puntale, e scudo di difesa, di
otto scimitarre unite al suo manico col pomo e conveniente
guardia, di otto altri dardi a mano e giavelotto , e di trenta-
due coltelli , dei quali gli attigui manichi formano le piazze
d'armi della strada coperta figurata dalla lama dei coltelli 5 li
quattro turcassi che stanno rimpetto alle loro saette servendo
di quartiere alla guarnigione. Di questo sistema fa menzione il
Flavigni, francese, conchiudendo: et Rana est un piemontaìs *i .
11 medesimo modello venne poi inviato in Portogallo al Prin-
cipe Reale del Brasile; mentre li suddetti trattati furono tra-
dotti in francese dal nominato Flavignl, come in tedesco, ed
in Russo dalli Rosomowschi e Gallitzin.
Che il Rana (della cui scienza ereditava il di lui nipote G.
B. Cav. Rana Maggior Generale nel Genio militare, passato in
dicembre ultimo a miglior vita, zio di mìa moglie) fosse poi
anche espertissimo nell' architettura civile, lo comprova il fa-
moso tempio di Strambino da esso ideato e disegnalo.
Ma a compitissimo di lui elogio, ecco le solenni parole del
signor abbate Marentini dirette a nome dell'Ateneo a chi reg-
geva la somma delle cose in Piemonte nel così detto anno 9.°
repub. ( copia della cui lettera sta a mani della prefala mia
*i Serve «-iò-Hi jnndana all' aiioiHoto narratoci dal INajiioiu'.
181
moglie e di lei sorelle), onde fare ottenere al Carlo Andrea Rana
allora decrepito , una pensione dal Governo.
« L' architecte Rana était professeur de Mathèraatique et de
» Fortification à l'école rnilitaire d'artillerìe. Son inerite est si
» grand qu'il est supérieur à tout eloge , sa reputatiou est re-
» pandue par toute l'Europe et il n'est peut-étre oublie' que dans
» le sein de sa patrie. Il fut l'ami et le conseiller du celebre
» Deantoni, chef du ci-devant Regiinent d'artillerie. Il eut la
» plus grande part dans la confection des ouvrages si justement
» estimés par l'Europe scavante qui parurent sous le nom du
» méme Deantoni. C'est un de ces génies en un mot dont la
» Providence se plait trés-rarement de faire cadeau au monde
» pour l'avancement des sciences et pour le perfectionement
» de l'esprit humain. »
Faccia di queste notizie riguardanti un uomo altrettanto
grande quanto modesto quell' uso che stimerà, e mi creda colla
più perfetta stima qual mi pregio dichiarare
Suo Di'AK"'' Ohbl."" Scivhore
1' ELICK AvOGAnnO D[ QllAl',K<;i\A
Prcf del R. Trib.
Ì82
m(Bi^T. i. a €.
SONETTO
E veggio andar, anzi volare il tempo.
Petr. Trionfo delra Di^'in.
Entra rotando il sol nel costellato
Segno del Capro ove si mutan gli anni :
Quante cure e speranze e gioje e affanni
Coir anno se ne van , che è rinnovato !
O tu non anco a spiegar 1' ali nato
Anno novel , quali venture o danni
Teco ne porti , e come andrai segnato
Quand' entro al tempo raccorrai tuoi vanni ?
Incerta cosi fugge ed affannosa
Tra memorie e speranze e rio timore
L' umana vita or lieta or travagliosa.
Ma a te , gentile , non contristi il core
Memoria acerba , né temenza ascosa
Dell' anno che vìen fuor , di quel che muore.
185
Notizie Diverse
Russia : Costumi di Lituania. La regina della fexta. — Vi
esìste tuttavia nel paese di Lituania un' usanza assai rimarche-
vole. Airnichè una signora possa aspirare al diritto di esser
eletta a. regiria della Jesta , ella deve primieramente godere una
riputazione intatta sotto ogni i-apporto , e unire alla veniLstà
la dolcezza e 1' amenità. Si può eleggere questa regina dagli
anni 19 compiuti sino alli 36 se dessa è maritata; e solamente
fino ai 3o , se è ancora nubile. Ma in questo ultimo caso bi-
sogna cb' ella sia stata chiesta almeno una volta in matrimo-
nio. Quali siansi poi la condizione, le ricchezze o la stima di
una donna , se in lei mancasse una sola delle condizioni pre-
citate , le sarebbe impossibile di essere scelta a r'egina. Gli uo-
mini soltanto della ^5fa hanno il privilegio di eleggere. Tosto
scelta , la regina vien posta in una gran sedia a bracciuoli ,
nel mentre che varii musici suonano un' aria di trionfo. Quindi
un giovane si avvicina con rispetto all' eletta , i cui piedi po-
sano sovra un ricco, guanciale , si mette ginocchione a lei da-
vanti, le cava la scarpa al destro piede, vi versa entro vino,
e lo beve alle grida di evviva la regina , unite a colpi di fu-
cile , e al suono di tamburo. Lo stesso giovane presenta poscia
la destra alla l'egina , e solo con lei balla una polacca al suono
della musica , nel mentre che tutti gli astanti , ginocchioni su
due file , abbassano il capo ogni volta che la loro dea passa
davanti ad ess.i. Dopo di averla riportata sovra il suo seggio-
lone , ciascuno degli astanti a vicenda debbe compiere la ce-
rimonia di imprimere un bacio sul destro piede della regina ,
e complimentarla sovra le di lei attrattive. Quest' usanza , per
quantunque stravagante ella sembri , è tuttora vigente al nord
e air est della Lituania , in Podolia , Galizia e pur anco in Po-
lonia. Essa ci olire un' immagine della specie di culto che si
professa generalmente in queste regioni alle donne avvenenti e
virtuose (Le grand livre , i83G).
184
Bellb Arti : — Pittura murata presso gli antichi. — Dal
complesso dei fatti esaminati dal sig. Letronne colla sua solita
profonda sagacità, in occasione che veniva discussa una bella
opera del sig. Hittorf suW architettura policroma degli antichi,
ne risulta che l'uso della pittura murale storica dalla bell'epoca
dell'arte ebbe principio, come pure l'esistenza di questo uso
vien confermata dai più positivi fatti. In tutti i tempi, ma pre-
cipuamente nelle epoche antiche, la dipintura murale fu parte
essenziale delle decorazioni degli edifìzi , qualunque fossesi la
loro natura e destinazione; essa formò j per dir così, il compi-
mento del sistema policroma , ossia della varietà dei colori ado-
perati sulla loro superficie sia internamente, che al di fuori;
sistema insomma che presso i Greci e i Romani si estese a tutto,
alle armi, e agli utensili, come altresì alle statue, e ai bassi
rilievi, e ai monumenti dell'architettura sì religiosa, che civile
e privata. Il numero dei quadri mobili, i quali non poco essi
pure contribuirono all'ornamento dei monumenti, quantunque
da principio comparativamente poco considei-evole, crebbe ap-
poco appoco; anzi questo genere terminò per esercitare di pre-
ferenza il pennello dei più celebri pittori; esso constitui la parte
principale dell'arte; e la dipintura murale, sebben uon cessasse
dall'essere coltivata da abili artisti, venne considerata di un
genere secondario, cioè per quanto spetta alla perfe^one del
lavóro. ( Letronne t lettres d'un antiquaire; — In-8.° i835).
Europa- Fra>'Cia: — Congrega scienti/Ica del i836,- quarta
sessione tenuta a Blois in settembre stesso anno. — Codesta
adunanza che durò dicci giorni continui era composta di 21 5
membri inscritti, molti de' quali vennero d'Inghilterra, e del
Belgio, e gli altri rappresentarono 2 1 dipartimenti della Francia,
Era dessa divisa in sei sezioni , o classi: la prima cioè di scienze
naturali : 2.° di agricoltura , industria , e commercio ; 3." di
scienze mediche; 4-° di istoria, ed archeologia ; 5." letteratura,
e belle arti; 6." di scienze morali , economiche e legislative. —
Il sig. De Laplace , primo presidente alla Corte R. di Orleans ,
venne nominato a presidente dell'adunanza; ed i sig. Bergevin,
de Blois , e Gaìllard de Rouen , vicepresidenti. — I signori
185
Robertou dottore in medicina ; Lair di Caco ; Desparanclie»
dottore iu medicina di Blois ; De Caumont 5 Spencer Smith ,
exambasciadore inglese a Costantinopoli 5 e Jullien di Parigi ,
presedettero alle sezioni, alcune delle quali sopraccariche di
lavori tenevano perfino due , ed anco tre sedute al giorno. Me-
glio di ottanta quistioni diverse, di pubblica utilità, e d'inte-
resse generale o locaie vennero ivi agitate , e non poche die-
dero luogo a lunghi ed animati dibattimenti. — Si esaminò
qual fosse il miglior partito a trarsi dei terreni comunali , che
in Francia non formano meno di quattro milioni di ectari ;
sino a qual segno convenisse favoreggiare o ristringere il dis-
sodamento dei boschi ; qual vantaggio potrebbe ricavarsi dalla
formazione di carte geologicbe di ciascuno degli 86 dipartimenti
della Francia; quale sia stata l'influenza del cristianesimo sull'
abolizione della schiavitù 5 quali sarebbero i più efficaci mezzi
per ottenere alla fin fine la intiera abolizione dell' odiosa tratta
dei negri, continuata con audacia pari alla perseveranza e mal-
grado delle leggi, e dei regolamenti che la proscrivono; in qual
modo potrebbesi giugnere a distruggere nelle moderne società
la spaventevole piaga del pauperismo , e della mendicità ; come
potrebbesi introdurre progressivamente il sistema penitenziario,
e migliorare finalmente il sì difettoso regime delle prigioni in
Francia. ( Il sig. De Gasparin , l' attuale ministro dell' interno,
scrisse una lettera circolare ragguardevole , che dimostra tutta
la di lui sollecitudine per questo ramo della sua amministra-
zione ); con quali mezzi potrebbesi diminuire il numero dei
trovatelli , e cosi render minore pur anco la spaventosa morta-
lità che fa strage di questa classe d' individui si degni d' inte-
resse , e SI infelici ; in qual modo potrebbesi utilmente modi-
ficare la legge , che regola l' interesse del danaro ; con quali
riforme potrebbe la pena della morte venir infine cancellata dai
codici ; come dovrebbesi almeno farne uso rare volte , e sop-
sopprimerla intieramente nei delitti politici; quali disposizioni
sarebbero le più atte a rendere meno illegale , meno arbitraria,
e meno gravosa l'imposizione l'isultante dall'alloggio militare
nell'interno della Francia; come l'intiera libertà dell'insegna-
mento potrebbe conciliarsi con certe guareiiligie ricliiestc, nel-
186
r interesse della morale pubblica e della società , oontro gK
abusi di questa stessa libertà 5 in qual maniera la tassa uni-
A'ersitaria , imposizione illegale ed immorale, dovrebbe essere
abolita e surrogata da una tassa di altro genere sopra oggetti
di puro lusso 5 quanto sarebbe utile che le società di carità
materna, gli asili, o santuari dell'infanzia, e i luoghi di lavoro
per gli orfani venissero aumentati sovra tutti i punti della
Francia, quali instituti eminentemente rigeneratori-, quale sia
l'influenza morale, e civilizzatrice dei inezzi di comunicazione,
del buon mantenimento delle strade , delle vie vicinali nelle
campagne , dei marciapiedi a larghe pietre nelle città, dei bat-
telli , e delle vetture a vapore, e delle strade a rotaje di ferro,
e quanto debbasi sollecitare la pubblica amministrazione, ed ella
stessa stimolare rispetto a queste cose le autorità locali, e i
semplici privati 5 quali sono le cause più attive dell' attuai so-
ciale immoralità, i cui progressi evidenti affliggono T uma-
nità, e in qual modo vi si potrebbe rimediare, o almeno
attenuare la forza di codeste cause troppo attive 5 quali conse-
guenze derivino dall' industrialismo letterario , che imprime
oggigiorno a gran parte della stampa, e specialmente a quella
periodica un cai-attere mercenario e venale , affatto contrario
al nobile spirito d' independenza e di disinteresse che dovrebbe
guidare il vero letterato ; quanti vantaggi potrebbero arrecare
le società stabilite nei nostri dipartimenti alla foggia di quella
che havvi a Parigi pel sollievo dei giovani rilasciati dalle car-
ceri; quanto sia urgente di correggere i difetti attuali del nostro
regime ipotecario \ quali effetti sortano dalla grande divisione
dei terreni, e sino a qual punto possa essa, nell'interesse ptib-
bllco, venir incoraggita, o rallentata dai legislatori \ sino a qual
segno la venalità di certe cariche, degli agenti di cambio, notai,
procuratori, ecc. può offrire guarenzie reali e necessarie alla so-
cietà, ovvero essere abusiva e immorale, ecc. ecc. Coteste impor-
tanti quistioni, e molte altre ancora, che vennero agitate dall'
adunanza, diedero luogo a vivaci dibattimenti , ai quali presero
un grande interessamento parecchie dame di Blois e dei paesi vi-
cini, molto assidue alle sedute sino all'ultimo giorno. Alcuni
membri di quella congrega loro tributarono pubblici encomi ,
-187
poiché la presenza delle donne vivifica, anima, riscalda, feconda
tutto : là dove esse mancano tutto langue, tutto muore; senza di
quelle non liavvi nò emulazione , né progetti di pubblico bene,
né sensi generosi, né speranza, né amore della gloria, né atti-
vità, né vita, né società fiorenti, né prosperità, né progressi;
le donne sono l'anima dell' incivilimento. E stato riconosciuto
e verificato a Blois , come erasi già fatto gli anni precedenti
a Caen, a Poitiers, a Douai, e più recentemente a Liegi, che
la nuova instituzione delle adunanze scientifiche, sebbene non
producano ancora effetti di qualche importanza ; tuttavia offrono
fin d' ora assai grandi vantaggi j essa riunisce in un medesimo
luogo alcuni sapienti, e molti cultori delle scienze, ed altri let-
terati , i quali altramente non avrebbero forse mai avuta l'occa-
sione di ravvicinarsi, e di conoscersi, e fra ì quali dopo dieci
giorni intieri di fratellanza scientifica e letteraria ( intervallo
di rigore stabilito per la durata di cadauna sessione annua di
tal sorta di adunanze ), soventi volte si stabiliscono relazioni
durevoli, scambievolmente gradite, utili e istruttive, che ri-
dondano a profitto degli interessi, e dell'avvenire della lette-
ratura , dell' incivilimento , e dell' umanità. Oltreché queste
congreghe servono pure a formare altrettanti centri mobili e
momentanei di attività intellettuale, trasportati successivamente
ogni anno in varie città, e in alcuni luoghi, dove prima vi era
soltanto oscurità profonda, apatìa, raarasmo , e ove gli spiriti
trovansi tolti alla loro stupidità, rianimati , e rinvigoriti ; ove
r emulazione vien risvegliata ; ove 1' indifferenza e la pigrizia
sono come scosse da un vivo e novello impulso 5 ove giovani
di talento, sino allora ignoti, e che pareva s'ignorassero essi
medesimi, si svelano ai loro concittadini; ove i lumi si co-
municano, e si spandono per una specie di scossa elettrica,-
ove dall'urto delle discussioni proposte scaturiscono utili verità j
ove finalmente tutto il scibile umano s'inspira, si propaga, si
arricchisce di esperimenti, e d'osservazioni, e diventa fecondo
e ct-eatore. — Nell'ultima sessione fu deciso che la prossima
seduta dell'adunanza scientifica di Francia si terrebbe a Metz,
nei primi giorni del settembre iSSj.
(Dal Mémorial Eucjclopédique ).
188
Akti Chimiche : - Illuminazione, Gaz tratto dalle zolle combu-
stibili. — Sapevasi da pezza che le zolle combustibili contenevano
un gaz, cbe potrebbe servire per far lume 5 ciò non pertanto,
malgrado gli sforzi dei più dotti chimici, questo gaz estratto
colla maggior difficoltà, non presentava che un debol bagliore.
Finora si era usato per la distillazione di queste zolle lo stesso
metodo che si praticava per la distillazione del carbon di terra.
Procedendo alla distillazione pendente due ore , la miglior zolla
produce per ogni mille chilogrammi dai 7 agli otto mila piedi
cubi di gaz. Facendo passare il gaz attraverso di una gran quan-
tità d'acqua, ei resta più puro, ma vien diminuito il suo car-
bonio cosi necessario alla forza della luce. Riducendo a tre quarti
d' ora il tempo della distillazione delle zolle combustibili , si
giunse ad ottenere, sovra mille chilogrammi, 55oo piedi cubi
di un gaz, la cui luce è più viva e più bianca che quella del
carbon di terra. All' oggetto poi di purificarlo si adopera uno
stromento composto di 18 tubi, caduno dei quali è immerso in
un serbatoio d'acqua corrente. Il gaz, passando a traverso di
questi tubi, si lava 18 volte rapidamente, in modo tale da puri-
ficarsi senza perdita del suo carbonio. Poscia si fa passare in
mezzo di due strati di calce secca , prima di condurlo nei ser-
batoi gazometri. Così operando si perde, egli è vero, la quarta
parte di tutta la quantità; ma l'esperienza ha dimostrato, che
il quarto perduto ad altro non serviva se non se a nuocere agli
altri tre quarti , che anzi la luce ottenuta con questo metodo
ha molto maggior vivacità e chiarezza. La materia ( coke ) che
rimane dopo la distillazione durante un quarto d'ora delle zolle,
è eccellente per la cucina , e spande un calore non minore di
quello del miglior carbone di legna. Cotesto gaz costa due lire
per ogni mille piedi cubi , che equivalgono a 3o libbre dì
candele. ( Journ. Acad. de l' industr. aoùt i836).
189
ANìNUiNZJ DI BIBLIOGRAFIA
LIBRI ITALIANI
LIBRI FRANCESI *
Vite e Ritratti delle Donne ce-
lebri d' ogni paese. Opera della
Duchessa d'Abrantés e di Giu-
seppe Straszewicz , tradotta dal
francese per cura di letterati
italiani. - Milano presso Ant.
Fort. Stella e figli, i835. Fase.
XII e XIII,. in-8.° gr. di pag.
48, col ritratto di Maria de'
Medici 11. i . »
Fase. XIV di pag. i6, col ri-
tratto di Catterina I. 11. » 5o
Con apposito prospetto gli
editori avvertono che quest'opera
verrà continuata per cura di
letterati italiani.
L' Arte di verificare le date dei
latti storici, delle inscrizioni ,
delle cronache , e di altri an-
tichi monumenti dal jjrincipio
dell' era cristiana sino all'anno
1770 ecc. Venezia, dalla tipo-
grafia di Giuseppe Gattei, i835.
Fase. XXXIII. in-8.« di pag.
220 11. 2. 82
Descrizione di un nuovo Taglia-
Foglie pei Bachi da seta pre-
miato dal e. r. Istituto di Ve-
nezia , immaginato dal dottor
Luigi Magrini , assistente alla
scuola di fisica nella I. R. Uni-
versità di Padova. Preceduta da
alcune osservazioni sulla utilità
della pratica di tagliare la fo-
glia dei gelsi per l'alimento dei
bachi, con una tavola in rame.
Padova , coi tipi della Minerva ,
i836, iu-B." di pag. iG. 11.» 87
Théorie des annuités viagères et
des assurances sur la vie , cor-
redata di tavole relative a que-
ste materie di Francis Baily
( trad. dall' inglese ) , 2 voi. in-
8. — • Parigi , per cura di Ba-
chelier.
Kathaka-Oupanischat, théologìe des
Védas , texte sanscrit commenté
par Shankara , traduit en fran-
cais par L. Poley. Paris, chez
Heidelotf et Campé.
Mamjel d'ArtiUerie à 1 usage des
officiers d'artillerie de la Ré-
publique Helvétique -, par le
Prince Napoléon Louis Bona-
partCy capitaine au régiment
d'ArtiUerie du Canton de Berne ,
avec cette épigraphe : « La guerre
est devenue plèbe ienne par l'em-
ploi des armes à feu » general
Foy. -Zurich , i836 , chez Orell
Fustli et Comp. Un voi. in-8.**
de pages xxxiv-528, avecplan-
ches et tableaux.
Manuel complet de médecine le-
gale , ou Résumé des meilleurs
ouvrageS publiés jusqu'à ce jour
sur cette matière ; di /. Briand
e E. Brosson , 3.® édit. , in-B."
de 800 pag. — Parigi, presso
Chaudé , 8 Ir. 5o e.
Anatomie du sjstème dentaue ,
considéré dans l'homme et les
aniinaux , di Ph. Fr. Blandìn ,
in-8. di i4 fogli e i tavola ,
prezzo 4 fi"' ■^♦^ <^'' — Parigi,
presso Baillière.
190
LIBRI llALlAm
LIBRI rnAncEsi
Storia della caduta dell'Impero
Romano , e della decadenza
della civiltt\ dall' anno aSo al
loco, di G. C. L. Simondo da'
Sisrnondi. Prima versione ital.
Milano, tipogr. e libr. Pirotta
eC, i836. - Voi. in-i6 di pag.
MH-280. 11. I. 74
SulLi coperta leggasi: jortma
■versione Italiana di Cesare Can-
tù. Saranno 3 voi. Compiuta
V opera il prezzo sarà aumen-
tato di cent. 43 per voi.
BiJif.ioTECA DI Educazione. — Voi.
ex IX. Il Novellalo ossia cento
novelle antiche. Nuova edizione
latta ptj^' cura del presente edi-
tore secondo le lezioni del Gual-
tcruzzi e del Borghiai, e colle
note ed illustrazioni di quesl'
ultimo , del Marini, del Co-
lombo e di altri. Milano, presso
l'edit. Lorenzo Sonzogno , i836,
in-24 di pag. XII , 208 11. 1 . 5o
Prendendo le opere se-
paiate 11. 2. »
Il lliNNovAMENTo della lilosolia in
Italia , proposto dal C. T. Ma-
miani della Rovere , ed esami-
nato da Antonio Rosmini-Ser-
bati. Milano, dalla tipogr. Po-
gliani, i836, fase. I, in-8.° gr.
di pag. 240 11. 2. 54
Novelle del Cav. Gaetano Paro-
lini Piacentino. - Mdano , presso
Luigi di Giacomo Pirota, i83u,
due voi. in- 16 di pag. xn-2o4,
278, col ritr. dell' autore. 11. 5
Sono le Novelle e vevsi di
autori incerti piacentini , ora
corrette e pubblicate con ag-
giunta di alcune nuove affatto
e col vero nome dell'autore.
Etudes sur la richessè des nati<nis ,
e confutazione dei principali er-
rori in economia politica , di
Luigi Saj- , in-8. di fogli 1 1 ,
prezzo 3 fr,, i836, ^— Parigi ,
per Renard.
De la Proprieté considérée dans
ses rapports avec le cadastre etc.
di Jomard , geometra , in-4. ,
Prezzo 4 ff . 5o e. — Parigi ,
presso Gobelet.
Traité de l'art d'écrire en une
langue , de manière à ètra hi
et entendu dans tonte autre
langue sans traductlon , ossia
Ricerche sovra la scelta dei se-
gni più adatti per la conmnica-
zione delle idee tra persone che
parlino ciascuna diversa lingua ,
di Renou , commissario di pu-
lizia a Lione. — Broch. in-8.,
i836. Lione, dalla ved. Aiué.
Étxjdes du siècle et pages du cceur ,
del sig. Alph. Le-FLaguais. Un
grosso voi. in- 1 2 broch. , prezzo
4. fr. — Parigi , per cura di
Lance librajo , contr. del Bou-
loy , N. 7. _
CouKS élémentaire et praticjue de
la tenue des livres en partie
doublé di /. Gerard , un voi.
in-8. di 11 fogli, prezzo 8 fr.
— Marsiglia, presso l'autore,
contr. del Dragon , N. 3o.
HisToiRE de Botany-Bay, stato
attuale delle colonie penali d'In-
ghilterra neir Australia, ossia
esame degli effetti della depor-
tazione considerata come pena
e come mezzo di colonizzazione:
del sig. Giulio de la Piloigenc.
In-8. di fogli 26, prezzo 7 Ir.
5o e. — Parigi, picsso Paulin.
191
LIBRi ITfGLLSI
LIBAI TEDESCHI
The hfe and times of Aiex. Hes-
DERSON. (La vita d'Aless. Hen-
tlerson , e gli avvenimenti di
quell'epoca; ovvero Storia delia
seconda riforma della Scozia ,
sotto il regno di Cnrlo primo),
di John Alton. — Edimburgo ,
1835, in-8.°
The Steam engine. (Trattato sulle
macchine a vapore), di D. Lar-
dner. — Londra , ISoG , in-S."
Paris and the pauisians. (Parigi ed
i Parigini), àìFrances Trollope.
— In-B."
Meetings for Amusing Knowledge ,
or the Happy Valley. By Miss
Wood, in- 12." 5 s, 6 d. cloth,
with coloured plates.
EjscvclopjKdia Britannica 7 th. edit.
Voi. XI [I. Part. i.^— i8 s.
A Theory of Naturai Philosophy,
By B. H. Paslej, in-8.° i5 s.
boards.
OiiSERVATiONS OH the Curioslties of
nature. By the late J^V. Burt.
Edited by T. S. Burt. In-8,«
7 s. 6 d. cloth.
LouD RoLDAN , a historical romance,
By A. Cuiiiungha/n , 3 voi. in-
8.° 1 1. II s. tì d. boards.
Tales of Fashion and Reality. By
the Miss Beaadtrks. First series.
In-8.° IO s. 6 d. boards.
The Life and Adventures of Jo-
nathan Jefferson Whillaw?. By
the Aiithor of « Doniestic Maii-
ners of the Americans, » 3 voi.
in-8." I 1. I s. 6 d.
Reprinted in Paris , byBaudry
in 1 voi. in-8." 5 8vo francs.
AroLooY for Lord Byron , with
niisccUancous pocms. By S,
PrctiUsA.M, ln-8."y s. boards.
Ueber die Hom5opathie : del dott,
Stieglitz -, Annover , presso Hahn
i835. — Bellissima confutazione
della dottrina di Hahnciaann.
Brillenlose reflexionen iiber das
jetzige Heilwesen etc. del sig.
A'rzfger/taM5en-,aGustiow, presso
Opitz, i835.
DeR ARABISCHE KaFE in NATURHISTO-
RiscHÉR, diatetischer und meJi-
zinischer Hinsicht : del dottor
TVeitenweber ; a Praga presso
Kronberger, i835.
Philosophische Meditationen iiber
Plato's Symposioa: del dottore
Fortlage, a Heidelberg presso
Groos, i835.
Die Wissenschaft des Ideal's: del
dott. Lommatzsch ; a Berlino
per cura di Reimer , 1 835.
Wollstandige Beschreibung des
Schweizerlandes -, del sig. Lutz ;
Aarau, per cura del Sauerlaeu-
der, i835.
Lehrbuch der Erziehungs-und Un-
terrichtslehre ; di F. H. E.
Schwarz , terza ediz., toni, i."
la pedagogia : Heidelberg dal
Winter, i835.
Das Haus Dusterweg: del fV.
Alexis, due voi. Leipzig, presso
Brockaus , i835.
EiNE Quarantaine im Irrenhause :
Novella di F. G. Kuhiie , Leipzig
per cura di Brockaus, i835.
Tasso's Tod : ( Morte del Tasso ) ,
tragedia in 5 atti del sig. E.
Raupach : Amburgo , da Hoff-
iiiaiin e comp. i835.
Urkundf.nbuch zu der Geschichte
des Reichstags zu Augsburg iiu
jahre i83o - Tom. 2." pubblicato
da Ficrstermann ; Halle i835.
192
LIBRI INGLESI
LUmi TEDESCUI
The Bhitish Quitote, orAdventuies
of Don Poplin. .4 s. 6 d.
The Magici an, a romance. By Z.
Ritchie , 3 voi. in-8.**
George Herbert's Remains, Foolscap
— 5 s. cloth.
A Glossary of Architecture. In-8.°
IO s. 6 d. , cloth,
Shaw's Specimens of Ancient Fur-
niture. - Bj Sir S. R. Meyrick.
4.° 4 1- 4 s. l»alf Morocco. Large
paper india , 8 1. 8 s. Large pa-
per coloured, io 1, io s.
Tracts relating to Caspar Hauser.
By Euri Stanliope^ from the
German. - In- 12 - 3 s.
An Encyclop^dia of plants. By /.
C. London , F. L. S. - A new
edition. - In-8." 3 1. i3 s. 6 d.
boards.
Thougts on physical Education.
By C. Caldwel, M. D., with
a recommendatory preface. By
G. Combe. In-i2.*> 3 s. 6 d.
cloth.
EssAYs Towards the hlstory of
Painting. By M. Calcati . Post
8.° 9 s. boards.
The Agriculturist's Manual. By
P. Lawson and Jon -8.° 9 s.
The History of Brazil, from 1808
to i83i. By John Armitage.
1 vols. in-8." 24 s. boards.
Alison's History of the French
Revolution. Voi, 5, in-S." 16
s, boards.
Akleitukg zur Volfkomnienen Bes-
serung der Verbredier in den
Straf-Anstalten ; di Obermayer:
a Kaiserslautern , presso Tascher
i835.
Christenthum uno Vernunft fiir die
Abschaffung der Todesstrafe ;
Del profess, Grohmann , a Ber-
lino jjer cura di Reimer, i835.
Die Cholera oder Brechruhr in
alien ihren formen , di Kubjss,
a Berlino, per cura di Sander,
i835.
Konig Vm> Freiheit : Il re e la li-
bertà ^ epistola ai falsi profeti
del nostro secolo. — Berlino ,
per Plahn.
HiSTORiscH - i'-RiTiscHE Darstcllung
des Streits liber die Einheit oder
Mehrheit der venerischen con-
tagien. Esame storico e critico
della quistione d'unità o di plu-
talità di specie di malattie si-
filitiche , del dott. Guesterlen,
*- A Stoccarda e Tubinga, presso
Cotta.
Pfeukig-Encyclopadie der Anato-
mie, Enciclopedia delle cogni-
zioni anatomiche , ordinate dal
dott. Richter. — Lipsia , presso
Baumgocrtner.
Der Dichter ein Seher. Intima
unione delia poesia , e della lin-
gua cogli sviluppamenti della
mente , di A. Steinbek. — Li-
psia, presso C. F, Koehler.
STAMPERIA GHIRINGHELLO E COMP.
con permissione.
193
Scienze Morali — educazione.
Articolo i."
È antica ed oramai universale sentenza, che l'educazione è
la prima base di quella sociale rigenerazione per cui tanti distinti
ingegni faticano, ed a cui tutti i buoni anelano con fede. E se
queste fatiche e questi voti non sono ancora del tutto coronati,
non è però da negarsi che molti perfezionamenti siansi già con-
seguiti in questa preziosa parte del vivere civile. Oggimai tutti
sanno che l' istruzione dello spirito non deve più separarsi dall'
educazione del cuore 5 e come nelle famiglie , così ne' ginnasii
all'autorità ed al castigo succedettero la persuasione e l'cimore.
Quindi più non si troverebbero in oggi
.... I queruli recinti
Dove l'arti migliori e le scienze
Cangiate in mostri e in vane orride larve
Fan le capaci volte cccheggiar sempre
Di giovanili strida.
Ma questa educazione di amore, figlia primogenita del Vangelo,
che le presenti generazioni abbracciarono con tanto entusiasmo,
può tralignare , come traligna ogni cosa migliore che venga
neir uso appassionato degli uomini. Così quella soavità dello
educare talvolta degenerò in un'accecata indulgenza, ed in quell'
ottimismo che tutto loda, tutto permette, tutto perdona. Ab-
biamo veduto parenti ed educatori attribuire alla sola vivacità
e leggerezza dell'età alcuni atti intrinsecamente riprovevoli de'
giovani , e qualche volta vantarli persino come indizj di pre-
maturo talento e di profondo sentire. Ma questo falso sistema
diede ben tosto frutti amari, ed uno spirito di eccessiva indi-
pendenza e d'insubordinazione invase talmente i petti giovanili,
che nulla più per essi v'era di rispettabile e di sacro. Allora si
conobbe il danno che derivava dal togliere ogni freno alle passioni
dei giovinclli , e dall'abbandonaiii alla propria naluni — Si viiKr
I,')
194
allora la necessità cV imporre precetti e sanzioni che governas-
sero le loro priaie inclinazioni e le dirizzassero ne'sentieri della
virtù. E fu allora che si comprese che un giogo soave sì, ma
pure un giogo era necessario per contenere quegl' indocili spiriti,
e preservarli dal corrompersi, nello stesso modo che gli stessi
virili propositi hanno ancor essi bisogno di freno e di scopo.
Fu già stagione che non si pensava che ad educare soltanto
que' giovani che uscivano da famiglie distinte per nascita , per
gradi o per agiatezze , senza mai occuparsi del popolo. Vennero
altri tempi in cui si voleva dare a questo popolo un'educazione
spartana o romana. Finalmente sorsero altre età ed altri filosofi
che nell'educazione videro un dovere ed un bene per tutti , il
patrimonio della vera civiltà. Quindi i recenti scrittori si stu-
diano a promuoverne una che più convenga alla presente con-
dizione de' tempi , quella che senza distrurre quanto di buono
già si possiede per cupidità di meglio, spera di poter giungere
a migliorare il popolo 5 questo popolo che, o fanciullo o gigante
che sia, non si vorrebbe più spaventoso e tremendo, ma buono
e pacifico , rispettabile e rispettato.
Il credere possibile ed il proporre una pubblica ed uniforme
educazione fu errore del grande Filangeri. Ma però anche in tal
parte ei fu maestro di utilissimi trovati , e di quello soprattutto
che fece poscia onore ad Hill , il quale nel suo celebre istituto
inglese compose i fanciulli a guisa di Giurì j onde si distribuis-
sero da se medesimi le ricompense ed i castighi * i .
Ma l'educazione pubblica quale la intese Filangeri , è certa-
mente dannosa ; poiché priva i fanciulli del tesoro dell' affetto
materno, di quelle prime lezioni morali che stampate dai ge-
nitori nei giovani animi non si dimenticano mai più , e perchè
in una parola , come osserva il Carmignani , non è più da parlare
d' un'educazione pubblica ov'è 1' educazione religiosa, e dove si
fece comune agli uomini la morale evangelica *2.
*i La menzione quivi fatta del Giurì non si estende oltre le persone e gli
oggetti di cui palla l'articolo. Essa si riferisce unicamente a quel genere di di-
sciplina che può essere più acconcio per mantenere e dirigere 1' emulazione dei
giovanetti, e perfezionare 1' educazione del loro spirito <; del loro cuore.
*2 Genesi del diritto penale , voi. 3, pag. 340.
195
Ma questa educazione pubblica se, come venne ideata dal
Filangeri , è un sogno 5 essa però considerata sotto d'un altro
aspetto formerà sempre l'oggetto il più geloso per le cure dello
Stato. Egli è quindi sotto questo aspetto cbe l'educazione viene
trattata dai pubblicisti, i quali tanto che sia pubblica, come che
sia privata, la vogliono sempre sottoposta alla vigilanza ed alla
protezione del Governo, riconoscendo che mentre la società è
altamente interessata a che l'istruzione venga favorita e diffusa ,
essa non deve però mai divenire né una privativa , né un'arena
aperta alle intrusioni d'ogni dottrina , a tutti gli abusi , ad ogni
sorta di corruttele*!.
Quegli che ai dì nostri sembra aver meglio compreso come
possa ottenersi 1' educaiione del popolo , si è T ottimo Lara-
bruschini neir eccellente sua opera della Guida deW Educatore ,
a cui tutti i buoni fanno continuo plauso.
Non ignorava quel sapiente italiano quanti mali nascevano
da una educazione che aveva per solo principio dirigente l'au-
torità assoluta , o l' assoluta libertà , e perciò egli vieu propo-
nendo una via di mezzo in quella educazione che coopera allo
svolgimento delle facoltà del fanciullo, le soccorre, le dirige,
e talora persino vi si sottomette per giungere a farsi obbedire
e riamare anche allorquando è costretta di dispiacere.
I consigli del Lambruschini per raggiungere uno scopo si
lusinghiero nulla o ben poco hanno dell'ideale; egli anzi s'af-
fatica di appoggiarli alla pratica osservazione, e con tanta co-
stanza d'afìetto, con viscere si patriarcali egli ne licerca i mezzi
nell'educatore e nell'educato, negli uomini e nelle cose, che
con poco o niun fondamento si potrebbe ancor dubitare del
loro successo.
Salutando pertanto ancor noi col più fervido se non col più
celere encomio la Guida dell' Educatole , con essa noi vediamo
adesso compiuta una lacuna che ancor si trovava nella lettera-
tura italiana. Ella viene per lei , secondo il voto di Tonnnaseo,
arricchita di un giornale consecrato all' educazione , adattato
all'intelligenza dei fanciulli, capace a dirigere la gioventù ncU'
'i S»y — Collis d'Ecoiioinic, part. 7, div. 3, cip. 27.
106
educazione Ji se medesima, unica educaziouc cbe possa es-
sere persuadente e durevole.
Alla scuola perciò aperta dal Lambruschini col suo giornale
tutti possono imparare qualche cosa; e nei giovani soprattutto
s'istillano per essa i sentimenti della religione, della virtù, della
Lenevoleuza tanto più facilmente, quanto più usato verrà l'ar-
tifizio su-^gerito dal Lambruscliini stesso di supporre cioè i loro
intelletti ed i loro cuori benché ancor teneri , già capaci però
di comprendere e di sentire quei nobili sentimenti. La scuola
quindi migliore che il Lambruschini sappia raccomandare allo
studio degli educatori e degli educati , si è la pacata osserva-
zione di se stessi , della natura e degli uomini.
Queste verità insegnate dall' ottimo Fiorentino ed il bisogno
di una educazione religiosa ed istruttiva del popolo, sono co-
nosciute ed apprezzate in tutti i paesi dove la civiltà si onora
e si favorisce. Dappertutto, egli è vero, già si trovano i germi
di questa educazione ; ma talora disgregati e sparsi , hanno
d'uopo di essere maggiormente riuniti e fecondati , onde il loro
benefizio possa penetrare nelle moltitudini. Perciò si lamen-
tano ancora da molti alcuni non bene spenti pregiudizi, al-
cune improvvide istituzioni che soffocano questi germi inesti-
mabili. Non parliamo di quei stabilimenti che si mantengono
per viste di pubblica economia , o per l'apparente soccorso dell'
indi<Tenza , ma che potrebbero venir surrogati da altri ben più
utili e morali, come per esempio dalle casse di risparmio che
con tanto profitto dell' umanità vengono erette in molte parti
d'Italia, e che hanno per mira di togliere molti individui alla
mendicità , ai vizj ed al delitto , con educare invece il povero
alla previdenza , alla sobrietà ed al lavoro , consumando per
esso ed aumentando i suoi risparmj *i.
Forse pur anche alcuni altri stabilimenti ad usi pii , i quali
venendo meno al primitivo loro scopo non fanno talora che
servire alle cabale ed alle piccole ambizioni de' privati e dei
*i V. Rapporto di R. Lambruschini al Consiglio d'amministrazione della Cassa
Centrale di Risparmio stabilita in Firenze. (Antologia n° i35 , pag. 48). — E
cousolanle il vedere clu; una simile cassa di risparmio venne recentemente con
apposito legato creila nrlla nostra Al'Ssandria dall'avv. Parvopassu.
197
villaggi, e diventano perciò cagioni di liti per le famiglie, potreb-
bero più utilmente convertirsi \n Asili per L'infanzia^ quali ci ven-
gono descritti dal cìiiar. E. Mayer nel prospetto dove spiega l'or-
dine con cui i fanciulli delie povere classi verrebbero educati
sotto il rapporto fisico, intellettuale e morale *i , oppure sul
modello di quello recentemente proposto per erigersi in Brescia
dall'egregio avv. G. Saleri. Neppure parliamo degli istituti di
mutuo insegnamento la di cui associazione con questi Asili per
r infanzia viene chiamata dal lodato Lambruschini qual nuovo
e divino concepimento , destinato a darsi maggior consistenza
e perfezionamento 1' uno coli' altro ; talmente che quell' anima
buona trasportata dalle sue benefiche intenzioni si lusinga che
r educazione che in questi congiunti istituti verrebbe ricevuta ,
« dovrebbe accompagnare il fanciullo nella casa, nella via, negli.
» uffizj domestici, ne' passatempi, e dovrebbe restargli a fianco
» nella sua più adulta giovinezza, se non come una madre o
» come una nutrice, almeno come una consigliera ed amica. »
Lasciando che il tempo e miglior senno maturino questi fi-
lantropici divisamenti, noi additeremo soltanto alcune speciali
cagioni che o nelle leggi, o nei tempi, o nei costumi possono
ravvisarsi come impedimenti al perfezionamento della generale
educazione.
Una patria potestà, per esempio, armata come quella degli
antichi Romani, del jus vitae et ìiecis _, non poteva a meno
che frapporre gravi ostacoli ad una ben intesa educazione. Pei-
ciù le odierne società riconobbero che nell' educazione interna
delle famiglie e degli individui si rinviene un elemento di sta-
bilità e di prosperità maggiore, che non nella sola educazione
esterna e politica , come presso gli antichi. E veramente quando
da un canto è limitata la dipendenza domestica, crescono dall'
altro il numero e 1' armonia delle famiglie , e più operose di-
vengono le individuali possanze. Questa verità non abbisogna di
commenti, poiché V uomo che sa di non essere condannato ad
una perpetua ed illimitata tutela , che si trova nella pienezza
delle sue forze fisiche, che a quelle iutelletluali può ilceveie
"i Antol. 11." 48, pag. 33.
198
e dare il più aperto sviluppo, che tanto al cospetto della pro-
pria debolezza come a fronte della propria energia, della sua
inesperienza come della sua confidenza si sente solo e padrone j
quest' uomo che si conosce ei solo risponsale della propria con-
dotta, del suo avvenire, della sua fortuna, sarà certamente più
di qualunque altro interessato a spingere tutta 1' opera sua ad
un utile e fermo proposito. Egli seguirà di buon' ora quell' an-
tico consiglio che 1' esperienza dà continuamente all' ignavia
^ide toij le del faidera.
Ad un altro deviamento da una ben consigliata educazione
si esponeva la società, allorché una troppo ristretta partecipa-
zione nelle successioni veniva concessa alle femmine. Un trat-
tamento cosi parziale a danno della più bella metà del genere
umano non poteva a meno che influire sommamente sulla pub-
blica e privata morale.
Quando di fatti minori sono i mezzi e le speranze della for-
tuna allora più rari divengono i matrimonii; rarità che cresce
poi ancora a misura che crescono le esigenze del lusso. Angu-
stiata e ristretta la via ai connubii, più larga ed invitevole si
fa quella al mal costume, il quale pare a prima giunta promet-
tere di soddisfare ad un tempo la doppia tendenza dell' affetto
e del lusso. Quindi molta parte del minor sesso condannata ad
un celibato involontario e forzato. Quindi non raro il dolore
di vedere molte di queste nubili provette vivere una vita triste,
corrucciosa, spenta; colà sopra tutto dove l'opinione ingiusta e
crudele,* supponendo che una nubili tà protratta sia effetto talora
d' innocente , ma più sovente di una meritata sventura , le fa
considerare come vittime del rifiuto, e le segna col marchio
di rejette. Queste amarezze sociali veggonsi pur troppo più fre-
quenti in que' paesi ne' quali le fortune sono molto ripartite e
modeste, e 1' istruzione delle femmine meno generosa, la loro
educazione più dipendente e riservata, limitata alle ingerenze
domestiche, non aperta alla attività della fortuna, ai negozii,
all'industria, al commercio. Confini cosi angusti nell'educa-
zione femminile se arrestano la felicità propria nelle nubili fan-
ciulle, le rendono poi ancora meno atte ad essere ed a ren-
dere felici coloro che le appressano quando divengono consorti
199
e madri , ed i tristi effetti si propagano a danno delle famiglie.
Dal che spesso ne avviene clie invece di estendere 1' invi-
diabile privilegio elle hanno le donne di abbellire tutto ciò che
le circonda, e di rendere a se stesse ameno e ridente l'eser-
cizio de'proprii doveri, quella viziosa educazione le fa per l'op-
posto divenire increscevoli a se stesse ed altrui , oppui'e le in-
duce a cercare altrove distrazioni e compensi non più così puri,
né consolanti.
Queste imperfezioni e queste ineguaglianze sociali nell' edu-
cazione femminile sono ancor più visibili e perniciose là dove
esiste una più rilevata differenza nelle classi della società. Quivi
in effetto si osserva per lo più che nelle fanciulle di più si-
gnorile portata l'istruzione troppo libera, ricca e leziosa fa sì
che per esse non di rado è perduto quel riserbo, quel pudore
intorno alla scienza, che il loro sesso dovrebbe serbare quasi
altrettanto delicato e verginale, come quello che inspira l'orrore
del vizio ; mentre all' incontro per le figlie di minor rango
l'ignoranza è molte volte cagione del loro tedio e di quel non
saper trovare né affezionarsi ad occupazioni innocenti. Questi
due estremi già avvertiti dall' ottimo Fénélon , si possono se-
condo i voti della signora di Remusat conciliare ogni qual volta
le leggi provveggano con maggior eguaglianza alle sorti delle fi-
glie, sempre quando l'istruzione primaria venga più diffusa,
e si acquisti un maggior ravvicinamento d'interessi , di prin-
cipii, e di rapporti ne' varii ordini della società sì che vengano
a scolorarsi da essa le più dissonanti e le più risentite disso-
miglianze che la screziano *i.
Ai tempi che viviamo tanto correnti al fasto si può attribuire
un altro ostacolo alla savia educazione, ed egli, a nostro avviso,
consiste in quello spirito di centralizzazione per cui le province
s'impoveriscono d'individui e di capitali, e le città si affoltano
d' inutili consumatori. Di qui forse quella troppo poca stima che
comunemente si accorda a coloro che non abitano nelle città ,
che non partecipano né alle cariche dello Stato, né agli onori
del patriziato, di qui per contro quella troppa che si suole con-
*i Essai sur l'écliication des ieiniiieii par M. la comtcsse de Remusat, p. 9,3f.
200
ecdei-e all' opulenza. Sono queste ingiustizie dell" estimazione
pubLlica, che imprimono anche ne' pm animosi ed onesti una
diilldenza delle proprie forze , un invilimento che li rende
inerti, neghittosi, immemori che, tanto nelle cose piccole,
come nelle grandi, il più mortale nemico del far bene è il far
nulla.
Nei costumi poi avvi ancora un più esiziale difetto , una de-
bolezza di fede , 1' indifferenza per la religione , una specie di
incredulità alla virtù e ad ogni pensamento od impi-esa, sia
pur essa magnanima e generosa. Abbiamo detto debolezza di
fede , perchè per buona ventura sono passali quei tempi in cui
l'ateismo ed il libertinaggio erano vanti e titoli al bello spirito.
Dalla tendenza che prese in oggi la società, si può facilmente
argomentare che il sentimento religioso, e l'idea di un Dio di
bontà, la speranza di una vita migliore, hanno, si può dire,
penetrato in lutti i cuori bennati. La verecondia del pensiero
diviene una virtù anche per le menti più fervide. Ma ad onta
di ciò pare tuttavia che questi miglioramenti siano piuttosto
ancora soltanto avvenuti nello intelletto che non già diffusi nel
costume, poiché praticamente si vive , o si vuol parer vivere
come se ancora quelle verità si credessero vaneggiamenti. Tanto
il ridicolo usurpa ancora gli onori dello spirito , tanto nel con-
versare i bisticci sulle cose più caste e sante sono ancora di
troppo bene accolti ed applauditi! Questi mali usi spargono nel
vivere socievole un tal fare inverecondo e beOardo , fatale alla
morale, al sentimento della propria dignità, dei proprii destini.
Noi vorremmo che a coloro i quali se ne lasciano tuttora pa-
droneggiare, avvenisse ciò che avvenne ad un giovane da noi
conosciuto , il quale profferendo non so qual frizzo irreligioso
in presenza di una donna di alti e generosi spiriti , questa ri-
volta a lui con sguardo lentamente severo unito ad un sorriso
di compassione , lo interrogò se veramente avesse creduto di
avere con quel motto profferito un gran che di spiritoso. Ba-
starono queste parole , narrava dappoi vergognando e ralle-
grando insieme quel giovane , e fui guarito per sempre dalla
smania di piacevoleggiare sulla religione e sulla onestà :
• Quel giorno più e con tcherzammo innante. »
201
Ed ecco qual altro benefizio potrebbe il sesso veramente gen-
tile recare alla società , 1' opporre cioè quel senso di religione
e di pudore che tanto è potente in lui , all' intemperanza dell'
immaginazione ed al discorso troppo licenzioso e burlevole ;
accogliendo col biasimo e col disprezzo quei concetti da cui
si sperava forse ottenere plausi e favori *i.
Se abbiamo finqul lamentato nei costumi un lassismo ed una
sovercbia tendenza motteggiatrice e sollazzevole 5 noi troviamo
poi a tale difetto un difetto opposto che forma quasi il chiaro-
oscuro del primo» Nacque una generazione d'uomini disdegnosa,
malcontenta di tutto , cupa. E ben ne ricorda come nell'aprile
di nostra vita ci trovammo in mezzo ai giovani per cui là vita
avrebbe dovuto essere sparsa di fiori , ed ove invece il riso
compagnevole ed i geniali colloquli erano risguardati come sen-
timenti volgari , indegni della dignità e del destino degli uo-
mini ; e d'onde ogni giulività abbandonata e schietta era sban-
dita. Tutte le cose umane si vedevano a traverso dell'oscuro
prisma del peggio , ed il nome più lieto che si desse alla mi-
santropia , era quello del sentimento. Era forse questo la stan-
chezza ed il disgusto dell' epoca che allora finiva , erano le
inquietudini della nuova che stava per sorgere. Forse ancora
tutte queste cagioni riunite venivano alimentate ed accresciute
dalla attraente lettura di Foscolo e di Alfieri 5 ma soprattutto
dalle lettere di Jacopo Ortis , che erano divenute le delizie
della gioventù, e ne formavano quasi il catechismo. Libro fa-
tale che solleva oltre la vera lor forza le passioni , che prima
accarezza 1 cuori per poscia disperarli , e li costringe a palpiti
vanì e dolorosi , e induce ne' petti giovanili pensieri esagerati
suir amore della patria , e del sesso. Ad Alfieri parimente an-
diamo in ^ran parte debitori dì questa eredità di tristi affetti-
Il continuo parlarsi di tirannia, di congiure, di lagrime, di
pugnali e di sangue , tinse le menti italiane di meste fantasie ,
e concitando le passioni astiose, e guerriere, allontanò dagli
*i Chi desiderasse vedere svolti più ampiamente e con corredo di pratiche ap-
plicazioni questi nostri riflessi , legga il discorso del Lambruschini « sulla utilità
» della cooperazione delle donne bennate al buon andamento delle scuole infan-
» tili per il popolo.
202
animi quelle più miti e benigne. — Indi quell'ardore fanatico
per i componimenti tragici , e per i tanti romanzi tessuti di mi-
stero e di delitti ; fanatismo che sembra voler propagarsi e du-
rare ancora sin' oltre a noi: indi quella stima in cui si tengono
ancora da molti alcune poesie del conte Leopardi, il Filotete
de' nostri giorni. Però noi non vedendo nelle sue lamentazioni
ed in quelle degli scrittori di simil tempra il balsamo provvi-
denziale della speranza , siamo tentati di chiamarle (ove però
l'espressione ci venisse sofferta ) il brutto ideale dei poemi di
Giobbe.
Ed ecco di quai tristi fantasimi si educavano le menti , e di quali
negre fila si tesseva la vita de'glovani più eletti , ai quali perciò
potevano convenire tutte le affannose vicende , che un insigne
italiano rappresentando le tempeste interne e l'interna solitu-
dine e le ultime ambasce della vita di un giovane parimenti
italiano, generoso per indole e per ingegno, ma per mancanza
di scopo e di religione profondamente sventurato , ci narra
colle tinte della più robusta e patetica evidenza *i.
Per siffatte ragioni ed appunto perchè non isvegliano, o per-
chè appena svegliate tosto porgono rimedio a queste morali
disagiatezze, vivono, a parer nostro, e vivranno tuttavia lun-
gamente ammirate , e studiate le tragedie di Sackspeare e quelle
dei poeti tedeschi. — Quivi diffatti accanto ai vizj ed al delitto
si trovano rappresentate le gioje della virtù, le consolazioni della
religione , le speranze del patimento. Esse inspirano confidenza
neir avvenire , non disperano , non trovano nell' uomo ogni
cosa dominata da un destino cieco, inesorabile; ogni cosa ini-
qua, mortale. In esse la mente non è sempre sospesa in regioni
forse eminenti , ma ben soventi fittizie ; ma vi si dipinge invece
pur anco la realtà della vita, i dolori, le speranze, i linea-
menti locali , i nazionali proverbj 5 vi si trovano la schiettezza
e l'abbandono pur anche dell'uomo volgare, reale, accanto
alle fantastiche sembianze dell' uomo sublime , ideale.
*i Tommaseo — Dell'educazione : scrini varii ( i834). — Questo qusdro com-
movente si conosce comunemente sotto il nome di Necrologia dì un Anontinu ,
inserto nell'Auto!, di Firenze, N. i34, pag 58.
205
Riflettendo a tali cose noi ci venimmo persuadendo , che ve-
ramente questo possa essere l'ufficio dell'odierna letteratura di
unificare cioè l'estetica alla realtà delle cose, di sottomettere i
tesori dell' immaginazione a servizio della morale, di far bensì
detestare il delitto prepotente e fortunato, di denudare le viziose
propensioni in chiunque allignino , onde riesca più facile lo
svellerle 5 ma nel tempo stesso di far amare eziandio quanto v'ha
di buono e di consolante nella umana natura, d'infondere alta-
mente negli animi la certezza che in essi ogni furtiva e languida
vampa satanica giace domata e spenta quasi dall'immensa fiam-
ma divina. — Così a fianco o di seguito ad una generazione che
aveva forse servito di tipo alla filosofia di De-Maistre, ne ve-
dremo sorgere altre molte ben più confidenti, più serene, più
felici, come alla musica di Mozart successe quella di Rossini *i.
*i Sarebbe cosa desiderabile assai , ed anche utile all'educazione, che evi-
tandosi del pari gli estremi d' una scurrilità degradante, e di una tristezza ipo-
condriaca , s' insinuasse nel costiiroe quella massima che Sterne scriveva nelle
sue lettere. — « L' allegria , amico mio , non va presa da burla, — la cosa è
» seria ; anzi la più preziosa possessione dell' uomo : beato chi sa giovarsene !
» Ed è un secreto questo eh' io non ho potuto trovare nelle ricette tristamente
» prescritte dalla filosofìa contro i morbi dell'anima. E credo , e lo credo in
1) coscienza che Dio misericordioso che ci creò , ami anch' esso la gioja , e che
^ un uomo possa ridere , cantare , e veder ballare , e guadagnarsi il paradiso. »
S. B.
( Sarà continualo ).
204
Scienze Storiche — Dell'influenza della Religione Cristiana
sopra la nostra letteratura.
I sentimenti di religione essendo i primi che s' instillano
nelle menti de' giovani, e le immagini delle pene spaventose che
soffrono gli erapi nei regni di sotterra , come pur quelle delle
beatitudini eterne che godono gli abitatori del cielo , facendo
profonde e indelebili impressioni sugli animi ancora puri e
sgombri di altre forti immagini, e tutte in fine le idee mera-
vigliose della religione accompagnandoli nel • corso della vita , è
forza che improntino per tal modo la lor fantasia , che poi ,
anche senza avvertirvi , essa ne lasci trasparire le tracce nelle
sue opere e creazioni. E se la religione anche nelle nazioni più
colte sparge i suoi segni , e quasi il suo proprio colore sulla
letteratura e sulle belle arti , quanto grande non dovette es-
sere la sua influenza ne' tempi più rozzi, quando le arti e le
scienze erano ancora in gran parte unite e implicate colla reli-
gione medesima ? Ma poiché sopra questo soggetto già feci pre-
cedere un breve discorso, e promisi allora d'indicare quali sieno
stati gli effetti della religione cristiana sulla nostra letteratura ,
e come l'abbiano diversificata dalla letteratura de' Greci e de'
Romani; benché difficile e delicato mi riesca ora il tema più
che allora immaginando non mi parve 5 pure per isdebitarmi
della mia promessa , in quel modo che per me si potrà, ten-
terò di designarlo brevemente.
Egli é in prima da osservare come dopo i secoli della bar-
barie Vandalica, Gotica, Longobardica, l'Italia ridotta un'altra
volta allo stato rozzo delle antiche nazioni quando cominciarono
dapprima a incivilirsi, ricevette di nuovo dalla religione i lumi
delle arti e delle scienze. Poiché in quegli orridi secoli delle
invasioni barbariche crebbe e s'estese principalmente l'opera
santa della religione, ammansò que' feroci costumi, richiamò
gli uomini a più saggie istituzioni. I padri della chiesa, gli
205
abitatori de' cenobi diedero i primi un vivifico movimento alle
lettere: e nel risorgimento di queste si vide la prima e più
grande opera della nuova letteratura italiana esser concetta ed
animata tutta collo spirito e colle immagini della religione ,
la divina commedia di Dante. L'Italia risorta vide il suo primo
e più sublime poeta essere il cantor della fede. E siccome nelle
antiche età della Grecia Omero s' impadronì delle religiose
opinioni, che piene di meraviglie erravan per le genti, e le
abbellì di stupende immagini, e le eternò ne' suoi poemi; cosi
Dante le divine verità della religione cristiana esprimendo coi
più vivi colori della poesia , ne compose il suo maraviglioso
poema del triplice regno degli spiriti. Ben conoscea quel po-
tente ingegno che a' suoi tempi la mitologia, ovvero le favole del
gentilesimo, onde erano ornati i poemi di Omero e di Virgilio,
non poteano più aver forza negli animi de' suoi concittadini
tutti preoccupati delle credenze della lor propria religione , e
vedea che a voler fare una profonda impressione su quegli ani-
mi rozzi ancora, e inferociti nelle sanguinose fazioni de' Guelfi
e de' Ghibellini , de' Bianchi e de' Neri , era mestieri rappre-
sentar loro le terribili bolge infernali, i balzi del purgatorio, e
le sfere del paradiso. Egli perciò si pose a quell'arduo cimento
degno di lui solo , e creò la nuova poesia degli italiani.
Egli è il vero che i due grandi Epici di Grecia e di Roma,
seguendo le opinioni dei loro tempi , erano già scesi in questo
campo. Omero avea descritti i regni foschi di Proserpina ai
gelidi confini dell' Oceano , ove egli pose i Cimmerii in sem-
piterna nebbia, e dove approdato Ulisse, e fatti i suoi sacrifizi
agli Dei infernali , vede venirne dall' Èrebo le ombre de' morti,
e interrogandone alcune degli eroi a lui noti, ode notizie del
loro destino. Ma confusa e incerta pare ancora l'idea che Omero
ne lascia del soggiorno di quelle ombre e della lor sorte. Vir-
gilio arricchendo e ornando la sua famosa descrizione de' luo-
ghi d'Averno e degli Elisi con quelle maravigliose invenzioni
che tutti sanno , potè anche meglio aprire la via alla imma-
ginazione di Dante. Ma 1' inferno che questi immaginò e de-
scisse , tanto diiferisce da quelli di Omero e di Virgilio, quanto
la religione cristiana dalla mitologia. In quell' immenso baratro
206
che si profonda nelle viscere della terra , in que' nove gironi
sottoposti gli uni agli altri, e in quelle lor bolge popolate di
demoni e di peccatori che giacciono a diversi tormenti, secondo
le diverse colpe, Dante spiega con tanta forza, e in tante dif-
ferenti guise la terribile giustizia di Dio che flagella gli empi,
che niun poeta, credo, fece giammai raccapricciare le menti con
tante e sì svariate immagini di duolo e di terrore ; né i cri-
stiani potrebbero rappresentarsi all' animo una più forte idea
di que' luoghi , che quella loro è figurata da Dante. Nel purga-
torio , che egli immaginò nell' emisfero opposto al nostro , in
una altissima montagna circondata dall'Oceano, e divisa, dalle
sue basse falde sino all'altissima vetta, in sette cerchi o balzi,
ove le anime consumano in diverse pene l'espiazione dei loro
diversi reati , Dante espresse con mirabile forza dì fantasia tutte
le immagihi della gente che nei patimenti è consolata dalla
certa speranza di un bene ineffabile , tutti gli affetti e i senti-
menti dell'amore che soffre i mali contento per lo premio che
s' avvicina. Quelle ricche descrizioni di luoghi ameni , di appa-
rizioni di angeli messaggieri del cielo, e di altri maravigliosi
e giocondi spettacoli unitamente alle vive descrizioni dei diversi
castighi di quelle anime , i canti e le preghiere frammiste ai
lamenti formano un complesso d'idee dilettevoli e affliggenti,
di conforto e di compianto. Quindi dalla vetta del monte, ove
è descritto con ricco sfoggio di vaghissime immagini il paradiso
terrestre , salendo per l'aere puro di sfera a sfera per li sette pia-,
neti tutti popolati di anime beate, e trasvolando all'ottavo, al
nono cielo, e al sommo empirò, ove risiede la Suprema Divinità
velata da nove cori degli angeli che cantan la sua gloria, e dove
si ammira il trionfo della Vergine , e tutti quei sublimi spet-
tacoli, Dante venne adornando con tanta ricchezza d'immagini
deliziose quei luoghi delle eterne beatitudini, che l'olimpo de'
gentili ne perde al paragone.
Ora questo gran diseguo dell'Alighieri, dalla porta dell'in-
ferno sino all'ultimo empirò , è riempiuto e ornato tutto di quadri
e di figure, che la sua fantasia traeva dalla religione cristiana.
Egli stesso perciò si stimava il poeta della fede cattolica , e im-
maginandosi rivestito di lai sacro carattere, pare che intendesse
207
anche di compiere un' alta missione , e correggere molti gravi
abusi de' suoi tempi. Egli perciò negli ultimi anni della sua
travagliosa vita, esule e stanco, bramando riposarsi nel seno
della sua patria, andava nutrendo, per questi suoi meriti, una
cara speranza di potere esservi ricevuto e coronato poeta, non
già alla foggia de' profani in campidoglio , ma nel suo s. Gio-
vanni in Firenze ove avea ricevuto il battesimo, siccome chia-
ramente palesa in questi suoi pietosi versi :
Se mai conlinga che il poema sacro
Al quale han posto mano e cielo e terra
Si, che m' ha fatto per più anni macro ,
Vinca la crudeltà che fuor rai serra
Del bello ovile , ov' io dormii agnello
Nimico a' lupi che gli danno guerra;
Con altra voce ornai , con altro vello
Bitornerò poeta , ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello.
Ma se la patria sua non lo fece pago di quel suo onesto
desiderio , almeno pentitasi subito dopo la morte di lui , lo
ebbe tanto in reverenza , e fece si alta stima di quel sacro
poema , che volle eleggere il più eloquente de' suoi cittadini , il
Boccaccio a spiegarlo pubblicamente nella chiesa di s. Stefano,
come fosse la Bibbia.
Ecco adunque il primo e più gran poema , eh' è il vero fon-
damento di tutta la nostra letteratura italiana , non solo im-
prontato del carattere della nostra religione , ma concetto e
formato tutto collo spirito e colle immagini della medesima.
Avvisatamente ho detto che è il vero fondamento di tutta la
nostra letteratura italiana: poiché, siccome già i poemi di Omero
in Grecia sparsi e cantati per città e per ville, poi per con-
siglio di Pisistrato, e d' Ipparco suo figliuolo, ordinati e re-
citati pubblicamente nelle celebrità de' giuochi e delle feste
d'Atene , accesero nelle menti dei Greci i lumi del bello , e
diedero i primi un operoso movimento allo sviluppo delle scienze
e delle belle arti (poiché da quei divini poemi non solo si de-
rivarono i diversi rivoli della poesia , ma anche la storia , l'ora-
208
torìa e la filosofia sembra clie prendessero principio ed augu-
mento, e la pittura, e la scoltura perle mani di Appelle e di
Fidia dalle immagini omeriche s' animarono prendendo vita ,
grazia e colore) 5 per simil modo in Italia il poema di Dante fu
il vero principio , e il promotore delle belle arti e delle scienze.
Poiché non Firenze sola apri una sacra scuola per la divina com-
media, ma Bologna, Piacenza, Padova, Milano, ed altre città
entrarono in questa nobil gara d'eriger cattedre ad interpretare
quel maraviglioso poema, e così aprire agli ingegni l'arringo della
gloria letteraria 5 talché in breve tempo il forte suono della poe-
sia di Dante pervenne in ogni angolo d' Italia a risvegliarvi le
menti ad una gloria novella. E non solo la poesia sorse bella e
splendente da quel poema, ma la divina scienza, la filosofia,
la storia vi apparirono con nuovi lumi : la eloquenza vi fece sen-
tire più potente la sua voce. Che più ? le scienze stesse , e
le belle arti riconobbero in Dante il nuovo lor padre, e a lui
si mostrarono conoscenti e grate. La statua di Dante incoro-
nata dalla mano di Lorenzo de Medici presiedeva alla nuova
accademia Platonica; l'accademia Fiorentina, e poi quella della
Crusca, sua figliuola, presero ì loro auspici dal poema di Dante,
e gli consacrarono le prime loro elucubrazioni. Ma forse che
le belle arti italiane non ebbero dall'Alighieri l' eccitamento
come le greche da Omero? Giotto, l' ajnico di Dante, fece il
primo rivivere l'esanime pittura che Cimabue avea già informata.
Andrea Mantegna, che vieppiù la ravvivò coli' arte della pro-
spettiva, Andrea del Sarto e Leonardo da Vinci, che le die-
dero maggior vigore, trassero dall'Alighieri molte loro vivissime
immagini ; e finalmente Michel-Angelo , che portolla alla sua
maggiore grandezza e sublimità, s'inspirava dal poema di Dante
da lui prendendo que'gagliardi suoi concetti, quelle energiche sue
maniere. Egli non altronde che dalle bolge infernali di Dante
improntava nel suo giudizio universale le invenzioni , le figure
più mirabili, i più espressivi atteggiamenti pareggiando col pen-
nello la forza dello stile Dantesco. Dirò ancora che il Fini-
guerra , inventore dell'arte d'incidere in rame, volle a Dante fare
omaggio delle primizie della sua arte, intagliando col bulino, e
imprimendo i vari soggetti della divina commedia. Da questo
209
poetua fmalmeote quasi tutti i più egregi artisti attiiiacro nuove
e maravigliose invenzioni.
Ma io discorrendo dei lumi e dell' incremento clie dai canti
di Dante ricevettero le scienze e le belle arti, non mi sono
punto allontanato dal mio soggetto 5 poiché essendo quel poema
tutto concepito e formato collo spirito della religione crisliana,
io credo d'avere al tempo stesso dimostrato in parte come la
religione cristiana abbia pure impresso il suo carattere sopra
la nostra letteratura, e sopra le arti belle.
Or chi crederebbe che la religione cristiana abbia pure sparse
le sue tinte sopra la poesia amatoria ? Eppure basta conside-
rare alquanto le poesie del Petrarca per riconoscervi subito la
nuova tempra religiosa , il genio del cristianesimo. Quanta dif-
ferenza da lui agli altri poeti erotici de' Greci e de' Latini ?
Questi s' iuebbriavano nelle delizie de' sensi : i loro piaceri , i
loro affanni da non degne cagioni procedevano, L' amore del
Petrarca si deriva da più alta sorgente , dalla bellezza di una
anima angelica, bellezza che tramanda i suoi raggi al di fuori
per gli occhi e pel viso di Laura. Onde quelle sue poesie riu-
scirono quasi inni consacrati a una divinità. Di lui perciò de-
gnamente cantava il Foscolo :
. , , Quel dolce di Calliope labbro
Che Amore in Grecia uudo e uuJo in Roma
D' un velo candiilissimo uiJornancio
Rendea nel grembo a Venere celeste.
Egli è ben vero che la teoria di Platone intorno all'amore
apriva più facilmente ai Petrarca la via alle idee del cristia-
nesimo. Poiché distingueva Platone due Veneri , 1' una cclesle
appellata Oi!pav(«, che presiedeva al casti Amori, l'altra terre-
stre chiamata n«y^»juo5, e da Lucrezio delta Volgivagi , che era
la dea de' bassi e sensuali Amori , e così pure due 1 Cuoìdi ,
l'uno figliuolo della Venere celeste, l'altro della terrestre: e
supponendo pure la preesistenza delle anirne al corpo opinava
che le anime più belle abitassero prima il più bello de' Pianeti,
Venere, e che quando accadea che due anime scese di colassù in
terra, e vestite del coi'poieo velo s'incontrassero nel loro
pclicgiiuagglu , fossero tirate da mutua simpatia a conoscersi e
i4
210
amarsi intrinsecamente \ ma questo amore procedendo dalla
bellezza dell' anima, era mestieri conservarla monda d'ogni mac-
chia , evitando tutto ciò che potesse corromperne la purezza.
Da questa teoria ne nascea per conseguente che il platonico
amatore dovea sforzarsi perpetuamente di giugnere al più alto
grado di perfezione per rendersi più simile all'oggetto amato ,
e degno dell'amore di lui. Ma il Petrarca su queste idee plato-
niche innestava pure quelle del cristianesimo , e considerava an-
che la sua Laura come una perfettissima e quasi divina creatura,
che il cielo mostrava in terra come un saggio del bene di lassù,
affinchè fosse come un allettamento che lo guidasse all'alta e
prima cagione. Laonde, siccome gli ecclettici teologi in Ales-
sandria d' Egitto vollero conciliare la filosofia platonica colla
teologia, e coi misteri della religione cristiana 5 cosi il Petrarca
più acconciamente volle contemperare l'amor platonico ad una
specie d' amor divino , consentaneo alle idée del cristianesimo.
Questo specialmente apparisce nella seconda parte delle sue
poesie , quando Laura essendo sparita di sulla terra , egli si
solleva in cielo a ricercarla tra i beati e tra gli angeli , e isti-
tuisce un nuovo consorzio con lei dalla terra al cielo. La sua
passione prende allora un carattere spirituale e religioso , la
sua poesia spogliata degli aiì'etti terreni diventa sacra , e ter-
mina poi con una sublime canzone alla Vergine. La religione ,
il geiiio del cristianesimo aprirono al Petrarca questo campo
ignoto agli antichi greci e latini: poiché l'immagine di una
vita più bella che vivono le anime in ciclo , il disinganno delle
fortune del mondo, le apparizioni della sua donna che viene
in forma celeste ne' sogni e nelle visioni a consolarlo sulla terra,
a rasciugargli colle sue mani le lagrime, aprendogli le sue feli-
cità eterne e invitandolo a quello sublimi contemplazioni, tutto
questo forma un nuovo fonte di alta poesia, che il genio del
cristianesimo dischiuse ai nostri poeti.
Ma se tanto potè la nostra religione sulla poesia amatoria ,
quanto maggior effetto non dovè produrre nelle altre parti della
letteratura ? La eloquenza era sparita dai rostri del foro, e dalle
pubbliche assemblee, ove al tempo de' Greci e de' Romani solca
tuonare, destare le tribunizie procelle , persuadere e commo-
211
vere il popolo : ma sotto il dominio della iL-liglone ciisliaiia
ella si ricoverò ne' sacri templi sui pergami ; e quivi ella per-
suade e commove ancora, e con altra voce, con altri sensi ra-
giona, non più di mondani interessi, ma di sublimi virtù, di
verità eterne , e richiama gli uomini al retto sentiero per ricon-
durli alla lor vera patria , al cielo. I libri ascetici sottentrarono
ai libri fìlosofiei 5 anzi la filosofia si vide far lega col vangelo ,
e trarne nuova luce. La storia si occupò anch' essa a registrare
tra' suoi fasti i fasti della religione. La pittura e la scoltiua
gareggiarono a ritrarne le immagini e i fatti più comnioveuli;
l'architettura ad innalzarle nuovi e magìiiilci templi. E cosi
il mondo greco e romano cedendo , si videro dar luogo ad un
altro mondo.
Io talvolta meco stesso pensando al grande cangiamento che
la nostra religione recò nella letteratura e nelle belle arti,
m' immagino quale e quanta sarebbe la maraviglia di uno di
que' dotti greci o romani, diciamo, di un Pomponio Attico,
se dopo tanto volger di secoli , per divino miracolo potesse
rivedere la nostra Italia , e intenderne la favella e le istitu-
zioni. Se egli assistesse a taluna delle nostre sacre solennità ,
in cui sembra che tutte le belle arti concorrano con bella gara
a far paragone di sé , e mostrare ciascuna il loro valore nel
culto della religione , primieramente gli si offrirebbe in mae-
stoso aspetto il tempio, la cui architettura divei'sa dall'antica,
la forma delle navate e dei varil altari gli indicherebbero esser
dedicato a una nuova religione. Udirebbe intonarsi nuovi inni
ad una divinità che non conobbe, e nuovi musici concenti, che
sollevan pur l'animo a sublimi sensi, ma che sono di un'ar-
monia anch'essa dissimile dall'tintica. Sorger vedrebbe poscia un
sacro oratore, di sue insegne ornato, ad arringar quella moltitu-
dine affollata, e non più ragionarle di pubblici afl'ari, di guerre,
di paci , di cariche , di magistrati , o di cose terrestri ; ma
trasportare il campo dell' eloquenza al di là di (piesta vita ,
volger le loro menti ad uno scopo più sublime, al regno cele-
ste , e commovere ancora potculcinente i loro affetli , ed eccitar
liJgriiue di peiiliniento de' loro falli , e d' amore divino. Né
nnuorc sarebbe la sua muravigUa se pei attorno volgesse l'oc-
^12
i:\no a considerare i lavori della pittura e della scoltuifa. Si
affisserebbe ancora rapito il suo sguardo alla bellezza di una
Diva , e vedrebbe ancora espressa in quella l' idea del bello ;
ma non sarebbe più la bellezza della sua Venere. Su quella
fronte, in quel volto trasparirebbe un sentimento divino , un rag-
gio di santità, clic desta i pensieri più pudici e i più intemerati
alletti. E quel fanciullo divino, clie ella si stringe al seno, è bensì
ancbe esso un Dio d'amore 5 ma quanto diverso da quello de'
Greci e de^ Romani! uu Dio d'amore, per cui sospirano le anime
più pure e più immacolate , e clie riconcilia gli uomini al
cielo. Non più Giove tonante in atto di atterrire il mondo colla
folgore, ma la sembianza sublime del vero Nume Eterno, e lo
spettacolo dolente di un Uomo-Dio die sconta su d' una croce
i falli degli uomini. A que' suoi anticbi eroi , agli Ercoli , ai
Tesei, agli Achilli vedrebbe succeduti, e consacrati sugli altari
altri eroi clie si sacrificarono per l'amore de' loro simili, e che
coi sentimenti della loro umiltà, e rinnegazione di se stessi agli
occhi del mondo, superarono ancora la grandezza dei primi.
Vedrebbe quindi quelle immagini e quelle figure non solo
adornare i nostri templi, ma e i palazzi de' grandi, le reggie
de' principi, le piazze, le loggie, e le gallerie. E se infine aprisse
e considerasse le pagine de' nostri poemi , vedrebbe ancora
come l'intervento di que' divini spiriti abbia aperto un nuovo e
vasto campo alle poetiche fantasie, e stupefatto ammirerebbe la
forza del tempo e della religione. Ma qui appunto si odono le
querele di alcuni, che parteggiando forse troppo caldamente per
gii antichi, vorrebbero che nelle arti imitatrici, e speeialmeiile
nella poesia, si ritenesse ancora la loro mitologia, come più
ricca e feconda delle idee del bellt), non reputando guari atta a
questo la religione cristiana. Ma poiché tal quistione richiede-
rebbe per se sola un ragionamento, ed io mi trovo già trascorso
troppo oltre in questo , sarà conveniente il differirla ad altro
tempo.
.d^vt". Francesco Lanteri.
215
Archeologia — Cenni sulla Mitologia.
Dopo avere per lunga età alimentate le orientali, e le greche
fantasie, splendidamente signoreggiate la poesia e le arti, anzi
disteso il suo dominio su tutta quanta la natura, dopo lunghe
lotte sostenute per mantenersi in seggio, quando già cominciava
il suo impero a declinare; la Mitologia ha perduto ornai quasi
intieramente tutta 1' antica sua possanza dominatrice de' poe-
tici ingegni. Né a mantenerla furono sufficienti gli estremi sforzi
d'alcuni suoi difensori, avvegnaché valenti, e di gran nome.
Ei presero a sostenere una causa perduta, e furono soverchiati
dalla forza della contraria universal persuasione. Una signoria
più operosa ed efficace , sebben più severa quella del Cristia-
nesimo e della psicologia, regge ora ed informa la poesia eie
arti. Ma se la Mitologia diventò per le mutate condizioni reli-
giose e civili insufficiente e pressoché inutile alle arti; ella
sarà pur sempre grande e degno scopo agli studj, ed, alle ricer-
che dell'archeologo, e del filosofo siccome quella, che attra-
verso lo spazio di più secoli risuona come un eco del mondo
antico , e rivela colla solenne e misteriosa voce de' suoi sim-
boli la condizione de' popoli che ne han preceduto.
Ne' miti é scolpita laverà effigie dell'antichità. Le p^iitive
storie de' popoli, e le loro origini, le varie loro doUn"^ cos-
mologiche, le religioni, i primi trovati dell'umana sapienza,
gli elementi di tutte le lettere si contengono sotto il velo
delle mitiche allegorie. La Mitologia è uno de' più ricchi e fe-
condi rami che abbia gittali la gran pianta dell'umanità; il
quale ramo sebbene siasi ora inaridito, perchè i vitali umori
che lo nodrivano si sono voltati ad altra parte , nobili pur
nondimeno, e copiosi sono i frutti che egli produsse. Consider
rate da questo lato le mitiche finzioni, hanno una grandezza,
ed una importanza degna al tutto di trarre a sé gli studj
e la più intenta opera degli eruditi. Molte pregevoli e ripu-
tale scritture rivolte a chiarire ed interpretare la gran tela ini-
èl4
tologica uscirono dentro il secolo passato principalmente dalla
Germania. Egli è vero, che non tutti gl'interpreti de' miti con-
sentirono nelle medesime opinioni. Avvenne a un dipresso in
cosiffatte ricerche quello che il Jouffroy, e il Cousin dicono
essere avvenuto rispetto agli studj filosofici. Ciascuno si pose
ad un suo particolar punto di veduta, e pensò che quello solo
dovesse schiarirli ogni cosa; attenendosi costantemente a quello,
ed escludendo ogni altro pervenne bensì a discoprire una parte
di vero, ma non intiera la verità. Con tutto ciò quelle ricerche
sparsero gran luce sugli studj mitologici, e spianarono la via
agli eruditi del secolo presente, i quali debbono in gran parte
alle tracce segnate dai, loro predecessori il poter progredire più
oltre nelle indagini loro. Meditando alcune tra le principali
opere scritte in su questa materia, ci vennero raccolti questi
Ijrcvi cenni che noi qui pubblichiamo con non altro intendi-
mento, che di risparmiar limghi, e faticosi laveria coloro che
pur desiderassero conoscere alcuna cosa di questi studj.
Coloro che investigando penetrarono più addentro nelle in-
terpretazioni mitologiche, riuscirono sovente per diverse vie a
diversi risultati. Il che non deve recar meraviglia, se si con-
sideri la malagevolezza della materia, l'incertezza e la scarsità
delle notizie, l'oscui-ità che i secoli addensano sulle cose di lunga
età remote e la moltiplicità degli aspetti che offrono tutte le
cose umane. Se si ha pena sovente a discoprire pura e netta
la ve^à intorno a quegli oggetti che sono sottoposti ai sensi
esterni, od all'interno sentire, e dove ha pur luogo l'espe-
rienza , molto più arduo riesce il trovarla colà dove è bisogno
di sottigliezza e di critica, e dove conviene molto spesso pro-
cedere per congetture.
Alcuni scrittori di cose mitologiche s' attennero principal-
mente al metodo storico, ed applicando la storia alla mito-
logia, non altro quasi raffigurarono ne' miti che fatti storici
alterati, che adombrate tradizioni -, tra questi è il Bianchini *i.
Altri cercarono di chiarire ogni cosa col mezzo dell' astrono-
*i La Storia universale provata con monunìcnti, e figurata con simboli dcjjli
anticlii, Veggansi i Voi. t. e 3.
215
mia, e quasi tutta ridussero la mitologìa ad allegoriche rappre-
sentazioni di nozioni astronomiche: tra questi è il Dupuis *i.
Il Vico *2, profondo indagatore delle leggi e delle proprietà
dell'umana natura, rintracciò nella mitologia i primitivi con-
cetti della ragione, le imagini prime della fantasia, i prin-
cipi dell'ordine sociale velati di severe finzioni, vestiti di sen-
sibili forme. Egli usò nell' interpretazione de' miti vin metodo
tutto suo proprio. Applicò all' andamento della spezie umana
le leggi psicologiche, e da quelle derivò i miti, siccome primi
conati dell' umano intelletto verso le idee di religione e di
umanità , e primi vestigi impressi dagli uomini nell' arduo e
faticoso cammino del perfezionamento. A Bacone *3 parve che
i miti contenessero reconditi germi dì sapienza civile e morale.
Egli fece prova di grande acutezza d' ingegno nelF interpretarli.
Ma forse le sottili dottrine che el ne trasse fuori superano
alcuna volta il modo dell' intellettual possibilità di quegli uo-
mini, e di que' tempi a cui pare, che egli attribuisse troppo
più di sottigliezza e di sapere , che di fatto ci non avevano. Al-
cuni ancora riputarono doversi le finzioni mitologiche interpre-
tare siccome un complesso di nozioni fisiche rappresentate me-
diante il velo dell' allegoria, e non altro essere la mitologia che
una istoria naturale contraffatta, dove gli oggetti del creato sono
il più delle volte significati come persone *4- Pi"^ altre interpre-
tazioni mitologiche furono immaginate e seguitate, che non è
qui pregio dell'opera il riferire. Ma tutte queste differenti ma-
niere di sposizione, le quali ciascuna per sé possono essere con-
venienti, ed atte ad interpretare e schiarire alcuna parte della
mitologia, diventano insufficienti, anzi ripugnanti, quando si vo-
gliono estendere a tutto il corpo de' miti. Innumerevoli , dice
il Greuzer *5 , sono le cagioni che diedero origine ai miti; ed
avvegnaché secondo lui si possa la mitologia partire in due
grandi divisioni, secondochè ella contiene o antichi avvenimenti
*i Origine de tous Ics cultes.
*2 Principii di scienza nuovH.
*3 De sapicntia ve te rum.
*4 Cosi il Bergier — Origino des Dieux du paganismo.
*ò Symbolik und niylhologie der allea VòlLer be.sondor- dcr Gricehen cto.
216
ò anliclie cretlenze e dotti ine, l'uim e l'altra dì queste parti si
distendono pur esse ampiamente, si confondono spesso insieme,
e comprendono cose tra loro diversissime, perchè possa bastare
a tutte chiarirle questo o quell' altro esclusivo modo d' inter-
pi'ctazionc. Ond' è che saggiamente scrive 1' Heyne *i , molte-
plici, e tra di loro differenti essere quelle cose che nella mi-
tologia si compi-endono. Altre , dice egli , appartengono alla
filosoGa, altre alla storia. V'hanno dentr' essa opinioni, giudizj,
credenze, illusioni d'animo e di sensi. Alcune cose sono com-
niendevoli per semplicità, vei-ita o naturai leggiadria; alcune al-
tro assurde, puerili, e fin anche vergognose *2.
Il Gousin *3 tocca sottilmente dell'origine del paganesimo là
dove parla del misticismo fe«iomenale , e lo deriva da quell'il-
lusione, o legge d' induzione propria della natura umana, per
cui l'uomo è portato a rivestire le cose fuori di sé di quelle
proprietà, che a lui essenzialmente appartengono. La prima età
dt'l misticismo fenomenale nell'umanità, dice egli, è il paga-
nesimo. Il paganesimo ha suo fondamento sopra rillusione di-
anzi accennata, e si può ridurre a questi termini. Io sono una
causa libera: la libertà è la principal mia dote, quella che co-
stituisce il mio essere: fuori di me v'hanno altri oggetti, v'ha
un TiGTi-ìo che limita la mia libertà: io lo credo causa libera ,
finale, operante con intendimento: egli può nuocermi e gio-
varmi; ci m'è dunque superiore. Quindi nasce un'impressione
di timore che si congiunge col sentimento d' amore. E quella
*i Temporum najthicorum memoria a corruptelis nonauUis viridicata — Coni-
mcntatio.
*2 Da quattro fonti dovorii principalmente derivare l'origine de' miti riputava
il Jones dotto conoscitore del!' nnticbità:
1. Hislorical, or naturai truth has been perverled into fable by ignorance, inia-
gination ctc.
2. The next source of tbem appears lo bave bcen a wild admiration of tbe
bcavcrly bodics etc.
3. Nuiiiberlcss Divinities bave been crcated self ly by tbe magick ofpoetry etc.
4- Tbe mctapbores and allcgories of moralistcs and mctaphisicians bave bccd
also vcry fertile in Dcities etc.
*3 Cours de philosopbie sur le fondcuicnt dcs idcos absolucs du Vrai , liu
Tjchu et du Bicu.
217
tema che i latini dicevano vereor, i greci cù^ioficii ^ e sotto que-
sto aspetto può esser vero il verso di Lucrezio ;
Primos in orbe deos fecit timor.
Le cause esteriori più forti che l'uomo, benefiche, o ma-
lefiche j e la manifestazione visibile di quelle cause formano
tutto il paganesimo antico. Gli Dei dell' Olimpo non sono che
forze della natura fatte divine, classificate ordinatamente le une
per rispetto alle altre, e dotate delle proprietà dell'umana na-
tura. Quindi la loro invocazione , e le preghiere che loro si
facevano siccome ad esseri , cui potesse muovere la pietà. Il
paganesimo è adunque un panteismo materiale, e fenomenale:
la sua radice è nell' illusione che ci fa concepire il non-io, do-
tato delle forme, e delle proprietà dell'io. Fin qui il Cousin.
Il giudizio dell' illustre filosofo francese è certamente sensato
ed autorevole; molta parte della mitologia si può per questo
mezzo schiarire soprattutto per quello che s' appartiene al po-
polo greco, il quale non fu mai , come nota il Matter *i, gran
fatto meditativo, né profondamente religioso. Egli s' attenne
principalmente ai fenomeni, ed alla natura esterna; a quella era
rivolto il suo culto che egli esercitava con più splendidezza e
magnificenza, che sentimento di reverenza religiosa. Ma non ne
pare (e forse non l'ebbe in pensiero egli stesso), che la veduta
del sig. Cousin sebbene acuta e perspicace sia per se sola suf-
ficiente ad abbracciar tutto nella mitologia, specialmente se si
discenda ad alcuni secoli dopo il suo nascimento, quando creb-
bero e s'ampliarono le dottrine mistiche, od esoteriche, nelle
quali oltrepassati i confini del contingente e del finito, ossia
della natura esterna e de' suoi fenomeni, si meditò l'infinito,
la sostanza assoluta e le sue emanazioni, e nacquero quindi
nuove allegorie, e nuovi miti di genere filosofico. Toccate cosi
universalmente queste cose intorno alle particolari vedute, ed
ai giudizi degli scrittori di mitologia è da vedersi più dap-
presso e parti tameute quello che risguarda la materia che ab-
biamo alle mani.
<o Histoirc criliqup dii ^iiosticisme.
218
Per quello che spelta all' origine primigenia delle divinità
mitologiche è comune opinione del Vico *i , e del Bian-
chini *2, doversi ella porre ventidue secoli incirca innanzi
l'era volgare; sebbene i due citati scrittori, secondo il partico-
lar loro modo d'interpretazione, dissentano tra di loro nello
spiegarne il come. Dice il Vico, che in quell'età scaduti gli
uomini dallo stato di civiltà primitiva, e perdute le tracce dell'
antica religione, atterriti dai tuoni, dalle folgori, e da altri so-
miglianti fenomeni, che apparivano nel cielo, immaginai-ono
una forza divina operatrice di quegli effetti, e la chiamarono
Giove , primo tra gli Dei delle genti maggiori , che furono detti
dagli Egiziani Dei Sintroni, dai Greci desunto il nome dal
loro numero ScóSax* (i dodici Dei). Scrive il Bianchini che in-
torno all' età soprammentovata alcuni uomini più potenti vol-
lero essere tenuti in conto di Dei, ed avere culto e onori di-
vini,* quindi avere avuto suo principio 1' idolatria, di cui egli
fa primo institutore Giove terzo. Col Bianchini, e col Vico nel
determinare in quanto al tempo V origine dell'idolatria consente
il Winkelmann *3. Checché ne sia delle particolari opinioni
dell'uno e dell'altro de' citati scrittori intorno al come abbiano
avuto origine nelle menti degli uomini le divinità del paga-
nesimo, da ciò che trovasi registrato in Erodoto, in Dlodoro
Siculo, ed in altri scrittori di memorie antichissime, pare po-
tersi con molta verosimiglianza stabilire che dentro quel tempo
nacquero nell'Asia, e nell'Egitto i nomi di Belo, di Ammone,
d'Osiride, d'Iside, e con loro i principi di quella religione,
che gli onorava di culto *4' Egli è vero che negli annali
"i Opera citata.
*3 Opera citata.
*3 Storia dell'arti , voi. r.
*4 II Dupuis, e dopo lui il Volney fomlati sopra osservazioni astronomidlie
danno all' origine del sistema iTiitologieo , che incominciò dal ciclo un'anticliità
di gran lunga più remola, e ne pongono i principi circa 17000 anni addietro.
Pare a noi , clie le ra^^ioni su cui s' appoggia quella loro opinione abbisognino di
più certe, e più valide prove («).
(a) Questi due scrittori Dupuis e Volney, seguaci e discepoli della scuola irrt'-
ligiosa del secolo XVlll, uauno abu^ulo di una sUiivoila e indigesta ciu.U-
219
de' Cinesi, degli Indiani, degli Egiziani sì rinvengono memo-
rie, e nomi di Dei anteriori, per quello che ei ne dicono,
di più raigliaja d' anni all' età sopraccennala. Ma bene osserva
a questo proposito l'Herder *i non altro essere quelle me-
morie, eque' nomi, che personali rappresentazioni d'Elementi,
tradizioni cosmogoniche simboleggiate, e finzioni allegoriche in-
torno alla formazione dell'universo , e all'andamento della crea-
zione quando ancora mancava sulla terra la spezie umana. Per-
lochè tanto vale riempiere tutto quell' indeterminato intervallo
con più o meno miglia ja d'anni, quanto col più breve e più
semplice periodo di sei giorni , come fece Mosè nella Genesi.
A colali Divinità cosmogoniche appartengono 1' Èrebo, la Notte,
Amore, Moto, Fatica, Etere *2, Kolpla , e più altre che
occorrono nelle teogonie, e le montagne avute in conto d'esseri
divini da' Cinesi, e da altri popoli dell'Asia centrale *3.
Stabilita in quanto al tempo 1' origine delle Divinità mitolo-
giche , è da vedersi ora come elle nascessero a mano a mano, da
quali giudizi, illusioni, e principi della natura umana fossero
esse prodotte. Noi pensiamo col Cousln, che l'uomo non ha
potuto dapprincipio distinguere nettamente la sostanza pura ed
assoluta , Iddio. Egli s'arrestò in sulle prime ai fenomeni , agli
oggetti creati, alle cause naturali, e come vedeva prodursi da
queste effetti vari e maravigliosi, egli le immaginò come esseri
dotati d' intelligenza e di libertà , e superiori alla sua natura.
Tra i fenomeni naturali, quelli che dovettero sopra ogni altro
generar meraviglia nell'uomo, e più profondamente impressio-
narlo, furono i celesti. Ond' è che dal cielo, e dagli astri con-
cepiti siccome esseri intelligenti e divini incomincia la lunga
zione per combattere con paradossi le verità prime e fondamentali della re-
ligione. Ma caduta quella scuola , anch' essi sono caduti dal seggio di falsa
gloria, ov' erano ascesi. Mercè la buona fede e i gravissimi studi di molli sa-
pienti europei , particolarmente inglesi e tedeschi , oggi la storia de' popoli
asiatici, de' loro culti e della loro mitologia si fa lume e sostegno alle sacre
tradizioni e ai racconti di Mosè e di altri ispirati scrittori.
*i Idées sur la philosophie de l'iiistoire de l'humanité.
*i Cic. De natura Dcorum , Lili. III. N." 17.
"3 Herder opera citata.
220
serie delle Divinità mitologiche. Il sole e la luna clie apparivano
per i loro effetti i ministri maggiori della natura ottennero tra
quelli principal culto : e furono loro tributati onori divini sotto
differenti nomi, e con diversi riti^ i quali elegantemente anno-
verò e descrisse il Foscolo *i. Antichissime divinità rappre-
sentanti il sole erano presso gli Assiri, i Caldei, i Fenici Bai,
Bel-Adad il supremo, l'unico *2 ( da Bel derivò forse il greco
vocabolo Ì^Xiog sole ), Alagabalo, Moloch, Melkarth: altre rap-
presentanti la luna, Urania, Militta , Astarte, Derceto , Ater-
gatis , ecc. Il sole e la luna erano reggitori della vita; quello
le dava il sentire , questa il crescere. A Bel-Adad sole teneva
dietro presso i Caldei una lunga serie di Belim, ne' quali era
venerata la schiera de' corpi celesti , Bei-Saturno , Bei-Marte
Deità nocenti e maligne, Bei-Giove, Venei'e Deità benifiche,
Mercurio ora buono , ora malvagio secondo gli aspetti. Tra
queste Deità il sole , Saturno e Marte erano maschie, la luna
e Venere femmine; Mercurio Ermafrodito. Le Divinità andro-
gine o maschifemmine dotate insieme della forza attiva che fe-
conda e genera, e della forza passiva che concepe e figlia sono
frequenti nelle religioni antiche e sorgenti di molti miti. 11 culto
dei Belim si allargò nella Siria _, in Canaan , nella Fenicia e
nelle sue colonie, siccome ne fan fede i nomi di Baal-Berjth ,
Baal-Hammon , Beel-Zebub ecc. , che occorrono nelle memo-
rie rimaste di que' paesi. Le Divinità planetarie soprammento-
vate avevano templi e simulacri di forma, e di colore appropriati
a ciascuna di loro, e propri sagrifìzj e riti per evocarle, ed
ottenerne il dono della profezia. Nelle vicinanze di que' templi
abitavano classi di persone differenti tra di loio per ulìlcio o
per arti, su cui aveva particolar domìnio questa o quell' altra
Deità planetaria. Così per caso d' esempio vicino al tempio di
Saturno avevano loro abitazione gli agricoltori, i matematici,
gli astrologi, perchè sopra questi dominava Saturno: vicino al
tempio di Venere abitavano le donne, i potti, i pittori, i mu-
sici, gli scultori; perocché la beltà, l'amore, il canto, il di-
*i Dtìll' origine e dell'ufficio della letteratura.
*2 Gòrres. Mylhen — Gcschichle dev asiatischen Welt.
^21
letto stavano sotto il domìnio di quella stella G a rara aggi ante
di luce amorosa e soave. Propinquo al tempio di Giove erano
i giudici , i magistrati , i dotti di scienze religiose sottoposti
alla dominazione di quel pianeta.
Al culto degli astri si riferivano le dottrine , che ZorOastre
raccolse dalle antiche tradizioni Mede e Persiane , e ordinò
X»el Zend-Avesta. Ormuzd re della luce , Demiurgo o creatore
rappresentava forse in tutto quel sistema il sole , considerato
come Demiurgo nelle dottrine orientali. I sette Amsaspandi
dei due sessi di cui era capo Ormuzd stesso erano imagine
de' pianeti, ed altre stelle minori, o geni celesti di più basso
ordine erano figurati ne' ventotto Izedi , tra' quali primo era
Mithra , e nell'innumerevole quantità di Feruer, i quali spar-
titameiite presiedevano ai corpi celesti ed a tutti gli oggetti
del creato. Gli Amsaspandi attorniavano il trono di Ormuzd,
ed erano suoi principali ministri , l'altra schiera di Geni cele-
sti ubbidiva agli ordini del re della luce , e tutti insieme com-
battevano Ahrlman re delle tenebre, autor d'ogni male, e i
Dew suoi ministri, Geui malvagi e rei, nemici dell'universo.
Tutto questo sistema del rlformator Persiano è a dir vero molto
più sottile e meditato , che le prime speculazioni e dottrine
degli Egiziani e de' Caldei. Ma sebbene ei s'accomodi a più ri-
sguardi, e possa venir diversamente considerato come cronolo-
gico, astronomico, fisico, geografico, storico e filosofico, de-
riva pur nondimeno dalla contemplazione del cielo, e dal culto
degli astri. Il sistema del Zend-Avesta parve ad alcuni un' ima-
gine dell'ordine politico di uu impero d'Oriente, e come tale
lo risguardarono 1' Heeren *i , e 1' Herder *2. Nò il pensiero
de' due illustri germani è al tutto alieno dalla verità 5 perocché
siccome osserva il Volney*3, usavano spesso gli antichi di ri-
trarre nella gerarchia delle divinità sideree gli ordini , e le ge-
rarchle civili. E consideravano re il sole , la luna regina , mi-
nistri 1 pianeti , esercito d' eroi la moltitudine delle stelle. Di
*i Idecu iiber die Politik, deu Verkelir und den Kandel dcr vornehmsten
Vòlkci- del- altea VVelt— Pcrscr.
*i Opera citata.
"3 Le lo^iue Oisia lucJii.ixioae sulle rivoliiiioni dcgl' Imperi.
222
qui è nato, che molle operazioni degli astri , e soprattutto del
sole furono figurate nella mitologia siccome azioni di re o d'eroi ,
ed attribuite ad Osiride , a Bacco , ad Ercole. La schiatta dei
Belidi aveva presso i Caldei nome comune coi corpi celesti,
che essi veneravano. Spesso nell' Oriente le dinastie storiche
sono confuse colle dinastie di stelle ; e pensa il Creuzer * i ,
che tutto ciò che è narrato dei re della Colchide, Iperione,
Elios, Selene , Eos , Aete , Circe , Medea s'abbia a riferire alla
religione del sole e della luna j e che nella casa regnante
della Colchide fosse posta la schiatta del sole sulla terra 5 per-
chè quel paese fu lungamente tenuto dai Greci come l'ultimo
confine d' Oriente.
Mithra , il quale, come più sopra è detto, fu dapprincipio
non altro che il primo degli Izedi , venne poscia invocato come
sole , e il suo culto oscurò coll'andar del tempo quello d' Or-
muzd. Il culto delle divinità secondarie , siccome osserva il
Matter *2 , soverchiò sovente quello degli Iddìi di prim' or-
dine. La religione di Schiva e Vischnou superò nell' India
quella di Brama; il culto di Serapis vinse più tardi quello di
Osiride in Egitto. Tutte piene di simboli erano le dottrine e
le cerimonie della religion di Mithra. Nel toro percosso ed
aperto da Mithra (il sole nel Toro), nel sangue, che n'esce a
fecondar la terra , nello scorpione che il morde , nel cane che
osserva il toro morente, e predice il suo rinascimento, e la
sua vita novella ( di che il condur che facevano i Persiani di-
nanzi al morente un cane , simbolo consolatore della sperata
immortalità), erano figurate nozioni astronomiche, fisiche e
morali. Con Mithra sole aveva culto solenne nella Persia Mi-
tra, o Mader luna, ed appare da un passo di Erodoto *3 ,
che fosse questa in Persia in maggior venerazione , che quello.
Dall' Oriente la religione di ]Milhra si difi'iise ampiamente presso
i popoli occidentali , e si celebrava in RoQia al tempo degli
imperatori con maravigUosa solennità di liti e di misteri strani ,
*! Opera citata.
*•.>, Hisloii'e ciitif{U(; du giiOblicisaic,
*3 Vii. 3;.
225
a dir vero, in apparenza, ma aventi relazione al culto del
sole ed al destino delle anime. Sette gradi v' aveva d' iniziati
ne' misteri di Mithra. Il primo grado si chiamava de' combat-
tenti. Nel secondo chiamavansi leoni gli uomini , iene le don-
ne. Il terzo grado comprendeva i corvi ecc. Nelle religioni an-
tiche niuna cosa era riputata vile purché fosse significativa ed
assai più che alla dignità si mirava all' espressione. Il di 26 di
dicembre era celebrato in Roma il dies natalis solis iiwicti.
Neil' Egitto la più gran parte del culto religioso era rivolto
al sole , alla luna , ed agli astri ; e si può dire che in nessun
altro luog^o fosse così feconda di miti e di simboli quella re-
ligione. Le più grandi divinità egiziane, Ammone , Osiride
figuravano il sole, Iside la luna. Questa aveva ncll' Egitto mag-
gior culto , che tutte le altre divinità, forse perchè veniva con-
siderata siccome madre delle rugiade, le quali cadevano copiose
la notte a ravvivare le riarse campagne egiziane radamente
bagnate dalla pioggia *i. Ma il sole veniva rappresentato
neir Egitto con più nomi secondo la sua posizione nel cielo ,
e la sua più o meno efficacia sulla terra ; e dopo il solstizio
d'estate , quando i suoi raggi più scaldavano la terra era signi-
ficato nel Dio Horo barbuto e forte ; dopo il solstizio d' in-
verno , quando era più debole la sua virtù fecondatrice era
figurato nella Divinità Harpocrate zoppicante *2. Ad un tale
crescere e dicrescer di forza solare si riferivano i riti delle
feste d'Osiride. Il dì 17 del mese Egizio Athyr ( i3 di no-
vembre ) era il giorno della morte d' Osiride ucciso da Ti-
fone. E incominciavano allora nell'Egitto mesti riti e funebri
cerimonie, che si continuavano più giorni, durante i quali Iside
andava nella vicina Fenicia in traccia del perduto Osiride. Il
dì 7 del mese Tybi ( 2 di gennaio ) Iside ritornava di Feni-
cia , e riavuto lo sposo cambiavasi in festa e in gioia il prete-
rito lutto. Il dì 1 1 del Tybi era nell' Egitto solennemente fe-
steggiato il ritrovamento d' Osiride. Il corso del sole nelle sue
diverse relazioni colla terra, ossia Tanno solare personificato,
'i IMiiUuco do Iside (.1 Osiriilc.
'2 Cicu2i;i-. Simlijlik iiiid SJylhologic ctc.
224
ed i cicli solari moltiplicarono sopra modo nell'Egitto le divi-
nità, ed i simboli.
Lo stesso avvenne per rispetto alla luna figurata con più
nomi secondochè ella, o volgeva nuova, o mostra vasi scema,
o compievasi piena , ed era detta Bubaste la luna crescente ,
la scopritrice , la mutatrice del volto , Buto la colma luna , le
quali Divinità non erano cbe moltiplicate rappresentazioni della
principal Dea Iside luna, essendo costume degli orientali di
separare da una Divinità principale le sue proprietà , le sue
varie manifestazioni, i suoi attributi personificandoli, e di riu-
nirli quindi di nuovo in una sola sostanza ,• al cbe conviene
por mente per non andare errati nel giudicare le religioni anti-
cbe *i. Altra cagione del moltiplicarsi i nomi della Dea luua
fa il risguardarla ora come Divinità benefica , ora come nociva,
e nemica. Di questo dualismo di qualità buone e maligne o
riunite in un essere solo, o divise in più sono piene le religioni
anticbe d' Oriente. Iside Divinità benefica , e protettrice era
alcuna volta considerata come spaventosa e terribile cagione di
mali soprattutto alle donne , e come tale veniva denominata
Iside iraconda, Titrambo , Brimo, Tliermuthi, la quale aveva
eziandio potestà sugli estinti, e ne giudicava, e puniva le
colpe. Alle divinità solari e lunari fu sovente data balia sopra il
regno de' morti , e sopra la sorte delle anime umane ] onde
Osiride ed Iside dagli Egiziani, Mithra dai Persiani , Dioniso e
Proserpina dai Greci furono preposti al governo delle anime, le
quali venute dal cielo ad abitare dentro i corpi compievano
quaggiù peregrine il terrestre viaggio , per tornare quindi finita
quella prova alla primitiva loro sede. Aneora Iside fu venerata
dagli Egiziani come imagine della terra produttrice , ed Osiride
come Nilo suo fecondatole. Ed è qui da osservarsi, die le aeità
planetarie furono spesso intromesse nel culto degli elementi, e
considerate come forze vitali, e fecondatrici della natura.
Dal sin qui detto appare quanto dovessero moltiplicarsi i
nomi, diversificarsi i simboli, ed il culto delle divinità solati e
lunari, risguardate sotto tanti e si differenti aspetti. Al cbe si
*i Crciucr. Opera citala.
2^
aggiunga che il sole eia luna venerali dapprincipio senza simu-
lacri, che li rappresentassero, vennero più tardi effigiati prima
sotto forma di cono, di cubo, di disco lucente, di colonna,
poscia con sembianza umana. Dal che seguitò, che dimenticata
appoco appoco la relazione tra la figura e il figurato , vennero
«ssi considerati come nuovi Dei, onorati con nuove maniere di
culto , e si inventarono insieme racconti e miti intorno alla
loro origine, ed alla loro natura *i.
Non tutti i popoli , i quali veneravano il sole e la luna pre-
starono culto eziandio ai pianeti , ed alle altre stelle. Ma i
popoli d'Oriente tributarono loro universalmente onori divini;
e pare che dal numero de' pianeti tenuti in conto di Dei de-
rivasse la creduta santità del numero sette. Imagini de' pianeti
erano nell' Egitto i sette Dei Cabiri , i quali figurati in sem-
bianza di nani avevano loro seggio nel tempio di Phta a Menii.
Gli egiziani onoravano di speziai culto la stella Anubi , detta
Cane, Sirio. Quest'astro che nasceva da quella parte, ond' ha
sua sorgente il Nilo, era annunziatore all'Egitto del dilaga-
mento di qviel fiume , che rispondeva appunto al sorger d' Anubi.
Indi nacque il pensiero d' un Dio presago , e gli si attribuì la
testa di cane animale dotato di molta virtù di sentore. Alle do-
dici costellazioni del Zodiaco preposero gli egiziani dodici Dei
maggiori; alle trentasei parti, in che quelle costellazioni erano
da loro divise, presiedevano trentasei decani divinità inferiori,
le quali avevano potestà sugli uomini , e sulle cose create ; e i
trecento sessanta gradi del Zodiaco erano governati da altret-
tanti Geni celesti; moltitudine oltremodo grande di divinità
planetarie e sideree.
Nel sistema mitologico de' Greci derivato in gran parte dall'
Asia e dall' Egitto tengono principal luogo le divinità solari ;
lunari, e planetarie; sebbene i greci nel venerarle si dilungas-
sero alcuna volta dalle nozioni primitive , ed intromettessero
nel culto di quelle altre dottrine, e credenze. Apollo figurava
nella Grecia il sole, Apollo-Ismenio un'incarnazione <icl solo;
Diana, Venere celeste, o Dea Madre , Siria erano dee ra[)pre-
*i Mciiicr. Allgijinfiue ciitisclie gcicliichte der Kclii;ioHi-n.
i5
226
setilanti la luna. Dioniso o Bacco era eziandio veneralo come
Dio solare , ed in questo senso vogliono essere interpretati molti
miti , clie a quel Dio si riferiscono. In sul cominciar della
primavera le Baccanti ne celebravan le feste ,• i boschi del Gi-
terone risuonavano di canti e d'inni al Possente, al Liberatore,
il quale rotte le catene della terra ( l' infecondità del verno )
aveva novellamente aperta, e fecondata la natura *i. Imagine
del sole era forse anche dapprincipio Ercole , e figura del suo
corso attraverso i dodici segni del Zodiaco erano le dodici sue
imprese , sebbene la fantasia de' Greci e de' Romani abbia poscia
mutato in tutt' altra cosa quell' antico Dio del sole e dell'anno.
Molta parte de' riti usati nei misteri Eleusini aveva relazione
al culto del sole e della luna ; figura di quello era in quei
misteri il supremo sacerdote Jerofante, di questa 1' Epibomio.
I sette pianeti erano rappresentati in Isparta da altrettante co-
lonne, come il sole in Delfi *2 , ed onorati di culto divino.
Cosi i cori delle Plejadi e delle Hiadi figliuole d'Atlante, erano
stelle nel seguo del toro. Nel cielo ai pianeti ed alle stelle fu-
rono dai Greci trasferiti gli eroi. A-lle stelle era raccomandata
la memoria delle cose terrestri , degli illustri fatti , degli utili
trovati; dal che ebbero origine i nomi de' segni celesti Enioco,
od Erittonio, Ofiuco, Lira, Corona, Boote ecc., onde sapien-
temente fu detto essere il cielo il più antico de' libri.
Originarie in gran parte dal culto Pelasgico le antiche divi-
nità italiche erano esse pure solari , lunari , planetarie. E Dio
solare era Giano , il cui nome è da alcuni derivato dall'Eolico
Zay vocabolo , onde formossi Zsvs, Giove 5 divinità lunare Giu-
none novella, e il Dio Luno, fatta in questo nome Dio ma-
schio , come presso molti popoli, la femmina Dea Luna: e sim-
boleggiavano forse anticamente il sole , e la luna gli Iddii li-
ber e libera, Dioniso e Proserpina de' Greci, duci e presidi delle
anime umane, reggitori della natura.
Se la materia crescendoci troppo traile mani non ci avesse
condotti ad oltrepassare i confini di questi brevi cenni, avremmo
*i Pausali. Corinth, ;,
'•j. Pjusan. III. -jo.
227
potuto mostrare come il culto del sóle , della luna , e delle
stelle t'osse sparso ampiamente nel Tibet , uclla Cina , nelT
India , e soprattutto tra gli abitatori dell' isole asiatiche ,• ori-
ginando dappertutto moltiplici nomi di divinità , e tradizioni ,
e miti accomodati alla natura de' climi, ed alla condizione dei
popoli. Il culto delle stelle fu più universalmente diffuso, che
quello del cielo, al quale pur nondimeno rendevano divini
onori gli Arabi, i Persiani, gli Sciti, i Cinesi ecc.
L' adorazione degli astri aggiuntovi il culto delle Deità della
luce , dell' etere , o fuoco vivificante denominate variamente
Axiéros-Phta dagli Egiziani, Chrysor da' Fenici, Mithra-Mithras
da' Persiani , Hephaìstos da' Greci , Vesta dagli occidentali *i
costituiva il culto Sabeo, il più nobile tra i culti antichi domi-
nante per tutto l'Oriente. Templi consecrati a questo culto
erano, secondo l'opinione dell'illustre Silvestro de Sacy, le pi-
ramidi. Non è da tacersi a questo proposito essersi trovali uell'
America manifesti vestigi de' templi, e del culto del Sabeismo;
talché leggendo le descrizioni che fa di quei superstiti monu-
menti americani il celebre viaggiator prussiano D. Humboldt ,
e raifroutandole con quelle che ne lasciò Erodoto de' templi
egiziani e caldei sacri al Sabeismo, si ritrovano pressoché le
stesse.
Le cose da noi fin qui discorse non sono che una picclolis-
sima parte di quelle più che rimangono a dirsi sopra così am-
pio tema. Basti per ora , se non sarà già forse troppo questo
primo saggio j giudicheremo poi se s'abbia o no a continuare.
*i Mailer. Histoirc dii giiosticisiiie. Voi. i.
G.
228
rlLOLOGIA Parallèle dcs langues de. fEìiìxipc ut ih: l'Inde .
par 71/. F. G. Eicìdioff, docLeur ès-lettres , rnenibre de la So-
cièlé Asiatique etc. , Paris i836.
Articolo tradotto dall'originale francese del sig. Garciu de Tassy,
inserito nel Journal Asiatique. Aoùt i8j6.
La più importante scoperta della moderna fdologia è certa-
meute quella, per cui l'Europa ha, non senza stupore, appreso
di dovere nell'India cercare le origini delle sue lingue, della fran-
cese, russa, alemanna, lituanica, non altrimenti che della greca,
Ialina, e celtica. La fdologia ci fa comprendere in un'immensa
tribù tutti quei numerosi popoli , i quali dal mar Indo si esten-
dono sino all'Atlantico, e dall'isola di Ceilan sino all'Islanda.
Questa scienza ammirabile è la sola che può somministrarci al-
cuni indizi sulle antiche emigrazioni de' popoli , sulle vicende , e
sul movimento primitivo delle nazioni. La storia tace sopra que-
ste gravi questioni , ed al fdologi è commesso 1' uffizio di dissi-
pare le tenebre onde sono coperte. Essi difatto , soli possono, a ca-
gion d'esempio, mostrarci ne' Celti i primi abitatori venuti dall'
interno dell'Asia, e spinti successivamente sino ai confini del-
l'Occidente 5 nei Germani, e di poi negli Slavi, e ne' Latini emi-
grazioni meno antiche : finalmente nei Greci l' ultimo popolo
che si parti dall'Asia. La lingua sanscrita è il fondamento di
queste indagini 5 essa è quasi scala comparativa, la quale de-
termina il luogo di queste diverse nazioni in quella gi'ande emi-
grazione del genere umano. Cosi nella lingua del primo popolo
summentovato, ci fa vedere confuse ed indefinite vestigia del
primitivo idioma, mentre ce le mostra più profonde, ma
con varia gradazione nelle altre , e ci addita nel greco antico
una piìi perfetta rassomiglianza *i.
* I Lo studio della lingua e letteratura sanscrita è al presente con
multo ardore proseguilo nelle piti colle coitlrudc d' Europa , eccel-
229
I letterati che coi loro lavori sono più specialmente concorsi
ad aprire questa novella via alle ricerche filologiche , sono iu
Inghilterra il sig. Wilson, autore di un utile vocabolario, e di
belle traduzioni 5 in Germania il sig. Bopp , i cui accuratis-
simi scritti hanno precipuamente eccitato allo studio del san-
scrito i cultori della classica letteratura 5 in Francia il sig. Eu-
genio Burnouf, il quale con lavori d'alta erudizione ne ha
accresciuto 1' importanza , dimostrando la comune origine di
questo antico idioma con lo Zend , e col Pali *2.
II sig. Eichhoff, già noto per altri lavori giustamente estimati,
ha voluto esporre in un' opera speciale , intorno alle lingue di
tuata V Italia, usa pur sempre di associarsi alle nobili imprese dell'
umano ingegno. In Inghilterra, in Germania ed in Francia dalla
munificenza de' governi sono erette pubbliche cattedre , dalle quali
'valentissimi filologi schiudono a gioventìi scelta ed avida di pelle-
grina erudizione , gli ampj tesori per V addietro ignoti agli europei
dell' antica letteratura bramanica , e ad uno ad uno dispiegano i
pregi di ipuella classica favella (per eccellenza denominata sanscrita ,
vale a dire perfecta , voce composta dalla- preposizione sam identica
col evv greco, e dal participio passivo critas, crita, critam, che ha
il suo analogo nel latino cretus, o creatus e propriamente significa
factus), // cui parentado con alcune delle principali lingue europee
fu riconosciuto ed annunziato sino dagli ultimi anni del passato se-
colo , primieramente da un letterato di Germania , Fed. Kleuker ;
di poi dal padre Paolino da S. Bartolonimeo , che dimoro piìi anni
eonie missionario nclV Lidia, donde tornato a Roma con molti suoi
scritti, provò la molta dottrina che avea delle lettere bramaniche ;
■vedi l'opuscolo di lui, che ha per titolo De latini sermonis origine,
fjusque cuni orientalibus linguis connexione , Romae 1802, {questa
nota, e le seguenti sono del traduttore F. £.].
*2 / rapidi progressi, che in meno di un mezzo secolo ha- fatto
questo novello ramo di filologia , sono in gran parte dovuti allo zelo
indefesso dei dotti inglesi sodi dell' inslituto letterario fondato in
Calcutta nel Bengallo, nell'anno 1784, coli' allo scopo di ricercare
la storia civile e naturale, le antichità, le arti, le scienze e la let-
teratura dell'Asia, i copiosi frutti delle quidi indagini vennero succes-
sn'amente esposti nella voluminosa- collezione delle Asiatick Researches.
230
Europa, i risultali che già da questi studi furono ricavati, e
quelli dovuti alle sue lunghe e faticose ricerche. In questo qua-
dro pittorico le lingue chiamate indo-germaniche , o meglio
indo-europee ci si mostrano come raggi divergenti - che tutti
NeW indicare i nomi più illustri di que* letterati , non è certamente
da passarsi sotto silenzio quello di J^VUkius , la cui eccellente gram-
matica della lingua sanscrita^ e per la ricchezza, e per V ordine
e la chiarezza del metodo , può stare a fronte di qualunque altra ,
ed è a mio parere la migliore che si possa consigliare ad un prin-
cipiante di studiare , quando questi non abbia l' opportunità di ri-
correre nei dubbi alla viva voce di un maestro. Oltre alla gram-
matica lo stesso dottissimo autore pubblicò in un' operetta a parte
il corpo delle radici sanscrite; poiché in questo la diligenza degl'
Indiani grammatici ha di gran lunga superato V empirismo de' gram-
matici greci 6 latini. Appresso quelli il tema de' vocaboli non è ne:
il nominativo pei nomi, né la prima persona del presente od altra
qualsiasi pei verbi; m.a per mezzo dell' analisi spogliando le voci
di tutti quegli aggiunti che servono ad indicare le varie relazioni
grammaticali , o a formare i composti , ritrovarono le nude primi-
tive radici, dalle quali come da unico fonte derivano e nomi e verbi,
e derivativi, e composti; così per esempio nel latino la sillaba pri-
mitiva leg e la radice di legare, lectio, intelligo, negligo, lectito etc,
am è la radice di amo, amor, aniicitia e simili. Le radici sanscrite
sono tutte monosillabe, appunto come le greche e le latine; il loro
numero è di circa due mila. La migliore e piìt recente opera che su
queste sia pubblicata, è di Federico Rosen, noto agli orientalisti per
altri lavori filologici (Radices sanscritae, Berolini iSi'jJ. Il vocabo-
lario di FFilson è da dirsi non solo utile , ma assolutamente neces-
sario per chi vuole acquistare piena cognizione della lingua sanscrita ;
due edizioni ne sono già fatte dall' autore in Calcutta , e tutte e due
sono esauste , la prima uscì nel 1 8 1 9 , la seconda corredata di ag-
giunte è del i832, e forma un grosso volume in 4." di 900 e piii
facciate; neW autunno del i835 un solo esemplare ne potei trovare
vendibile appresso i libraj di Parigi al prezzo di 7.00 franchi. Me-
ritamente il sig. Garcin de Tassy dà lode a Fr. Bopp di avere co'
suoi lavori filologici eccitato maggiormente allo studio del sanscrito ,
il quale mercè de' molteplici scritti di lui è oggimai in Germania
fatto comune ed agevolato non meno del greco , o di qualunque altra
231
partono dallo stesso centro , cioè dal sanscrito. Questo soggetto
per se stesso ben meritevole del favore dei dotti è trattato eoa
modo del tutto soddisfacente nel libro del sig. EichhofF. In una
dotta introduzione, la quale forma la prima parte dell' opera ,
l'autore discorre con rapidità la formazione delle lingue , e la
loro divisione per famiglie , o sieno groppi. In questo , come
in tutta l'opera generalmente, l'esattezza delle cose è accoppiata
ad elegante e pura dicitura; sono tuttavia e qui, e nelle altre
parti del libro alcune asserzioni soggette a contestazione ; né è
maraviglia , che in un gran volume in 4-'^ di 5oo facciate , si
classica lingua. Gli scritti del professore Bopp^ che in Germania
si possono dagli studiosi procacciare con tenue spesa (il che non si
può dire degl' inglesi J formano essi soli quasi una piccola libreria ,
con cui si pub da chi è men facoltoso , senz' altro sussidio , piti che
mediocremente conseguire la cognizione di ijuella lingua. Il primo
lavoro che fece chiaro in Europa il nome di Bopp nella scienza fi-
lologica , fu intorno al sistema di congiugazione della lingua sanscrita
paragonato con quello della lingua greca , della latina , della persiana
e della germanica; dal quale confronto veniva a nuovamente con-
fermarsi il fatto dell' antichissima cognazione di tutte queste favelle.
Nel continente europeo dopo la grammatica sanscrita del P. Paolino
stampata in Roma coi tipi della propaganda nel 1790, e a dir vero
poco atta ad allettare lo studioso , nissun' altra venne pubblicata ,
prima che il sig. Bopp mettesse mano alla sua , che in questi ultimi
tre lustri è uscita alla luce tre distinte volte, e sempre in tutte e
tre conforma o veste diversa: la prima fu fatta in lingua tedesca ,
la seconda piìi europea comparve in latino , e la terza è di bel nuovo
uscita con abito nazionale , ma piti compendiata della seconda. Oltre
a queste tre grammatiche V indefesso professore , per venire in aiuto
a coloro , che non potessero procacciarsi il vocabolario del TVilson,
ha compilato in un piccolo volutile in 8.° un glossario della lingua
sanscrita, in cui si trovano tutte le radici, ed i vocaboli dei varii
testi originali pubblicati da lui medesimo o corredati di versione,
0 nudi e puri. Fra questi testi il pììi facile , ed accompagnato da
traduzione letterale latina, è il poema di Nalo, tratto dal Mahabharat,
di cui non è che un episodio , secondo V indole tutta propria dei
grandissimi poemi dell' India , nei quali invano tu cerchi V unità
epica de' greci e latini.
232
trovi qualche cosa inesatta. Havvcne una a pag. a3 che ci pare
di non dover lasciare senza indicazione. La moderna lingua in-
dostana non è altrimenti nata dal sanscrito, e dall'arabo sulle
rive dell'Indo, sì bene dall'indica e dalla persiana, che era
quella dei conquistatori musulmani 5 i vocaboli arabi , che in
gran copia si trovano nell' indostaua, vi sono stati inti'odotti
dalla persiana. L' indica poi è l' idioma che nelle parti setten-
trionali dell'India è succeduto al sanscrito, quando questo è
caduto in disuso. La sostanza è sanscrita , ma sonovi tuttavia
molte parole , di cui non trovasi 1' origine nella lingua sacra
de' Brama. Questa lingua del medio evo dell' India è pel san-
scrito quel che l' italiano è pel latino. Dopo avere ordinato le
lingue in classi , il sig. Elchhoff tratta del groppo indo-euro-
peo, che forma il soggetto speciale dell'opera sua. Egli lo sud-
divide in romano, germanico, slavone, e celtico. Nella prima
suddivisione sono comprese le lingue greca e latina, la romanza,
la spagnuola, la portughese, l'italiana, e la francese; nella
seconda suddivisione è la gotica, tedesca, alemanna, olandese,
svedese, danese, inglese; nella terza la prussiana , lituana, sla-
vo na , russa, serviana, boema, polacca; nella quarta la gaèlica,
e la cimrica , o della bassa Bretagna '*3.
*3 Prima delV Eìchhoff, molti anni addietro lo Schlegel trattando
della lingua e letteratura indiana a<.'ea fatto copiosi confronti di
ijuella con la maggior parte delle lingue europee, e non solo dall'
affinità grammaticale , ma anche da un vocabolario scelto di parec-
chie voci indicanti le piìt necessarie e primitive relazioni della so-
cietà civile e domestica , avea dopo il lilenker ed il P. Paolino piìt
sopra citati, conchiuso doversi cjueste considerare come altrettanti
rami di una medesima pianta asiatica, veneranda per la sua mi-
steriosa vetustà. A. L. Chèzy , la cui perdita , non è molto , ha pianto
la Francia, profondo conoscitore della lingua sanscrita, di cui fu il
primo pubblico professore nella capitale de' Francesi, stampando nel
1826 /' episodio dell' Y;ijnadattabada tratto dal Ramayana di T^al-
miki, e nella dotta prefazione, e neW analisi grammaticale del testo ,
tratto tratto ravvicina le voci e le forme indiane alle greche e latine
loro analoghe. Ma un' opera , che sopra ogni altra calza al propo-
sito ^ e di parte, della quale si è certamente prevalso il sig. Eichhoff,
233
Noi noa ci dimoreremo nella classificazione de' suoni , e delle
articolazioni , cioè , nella seconda parte dell' opera ; il tutto è
perfettamente spiegato , non solo ivi in cinquanta due facciate,
ma eziandio in fine del volume in un supplemento di sedici
facciate , dove il sig. Eichliofr passa come a rassegna i diversi
alfabeti delle principali lingue del mondo. Per tutti egli usa
un modo uniforme di trascrizione, dal quale si scorge che l'al-
fabeto fondamentale e naturale , rappresentato dove più, e dove
meno perfettamente dalle diverse maniere di scrittura, non è
composto di più d' una cinquantina di suoni semplici, distinti
in modulazioni ed in articolazioni. Quel che più monta in que-
sta classificazione de' suoni , e ne è quasi l'epilogo, è la tavola,
ossia il quadro dello scambio delle lettere , in cui vedesi il
modo , con che le vocali e consonanti indiane sono rappresen-.
tate nelle lingue greca, latina, gotica, alemanna, lituanica ,
russa, e celtica. Ed è cosa singolare, che non ostante 1' origine
indiana di tutte le lingue d'Europa, eccettuata la Finnese e
la Basca , il loro alfabeto è, come a tutti è noto, quello degli
ebrei portato ai greci dai fenicii , e dai primi ai romani , ai
germani, ed agli slavi.
La terza parte contiene il vocabolario comparativo. Il sig.
EìchhofF ha diviso le parole in tre classi, particelle j nomi,
e verbi , e cosi è suddivisa in tre libri. Siffatta classificazione
è molto ingegnosa ; soltanto ci pare che malamente il signor
è la F^ergleichende Grammatik, ossia grammatica comparativa del
sanscrito , zend , greco , latino , littuano , slavone , gotico e tedesco ,
intrapresa dal lodato Bopp con zelo ed acume critico pari all'im-
mensa sua erudizione^ nella quale incominciando dagli elementi del-
l' alfabeto , e proseguendo per ciascheduna parte del discorso viene
esponendo le somiglianze e le differenze, che insieme congiungono ,
e distinguono tutte le indicate favelle. Due soli fascicoli sinora hanno
veduto la luce di questo erculeo lavoro, i quali con ^ÒS facciate in
largo 8.° conducono il lettore sino ai pronomi. Già nella sua gram-
matica critica della lingua sanscrita fi.^ edizione J avea egli get-
tale con frequentissimi confronti le basi di questa novella opera, la
quale, per l'utile della vera filologia , è da fare caldi voti che non
sia interrotta d mezzo corso.
234
EichhofF abbia collocato i pronomi tra le particelle , e che
avrebbe dovuto metterli fra i nomi. Così hanno usato di fare i
grammatici arabi, i quali non ammettono che queste tre parti
del discorso. Ma ci pare che il sig. EichhofF abbia fatto questa
classificazione appunto , perchè nel sanscrito e nelle lingue in-
do-europee gli avverbi sono derivati dai pronomi , e perchè
così era convenevole di rinchiudere queste parole in uno stesso
quadro.
La classe de' nomi è quella in cui le etimologie sono mag-
giormente appariscenti , e come le parole sanscrite sono esat-
tamente rappresentate con caratteri latini , cosi a leggere que-
sta parte invitiamo specialmente coloro che non conoscono il
sanscrito, e che pure desidererebbono di essere per loro stessi
convinti intorno all' affinità delle lingue d'Europa, e dell'India.
Il sig. EichhofF avrebbe potuto rendere questa parte molto più
ampia che non ha fatto ; ma egli ha voluto soltanto recai-e i
vocaboli dei nomi più famigliari disposti con ordine , che for-
mano un vocabolario decaglotto di massima importanza. Nella
classe dei verbi che è la più rilevante, si vedono cinquecento
radici sanscrite uscire di mezzo alle lingue europee , e formarvi
un immenso numero di parole.
Il vocabolario è seguitato dalla grammatica comparativa, che
è la quarta parte , la cui lettura , come a proposito osserva
l'autore, vuol essere preceduta dallo studio del vocabolario;
perciocché è necessario conoscere la sostanza essenziale e per-
manente dei vocaboli , prima di studiarne le flessioni , e le mu-
tazioni accidentali. E questa parte è quella che dee soprattutto
soddifare i filologi. Il sig. EichhofF in essa espone gli elementi
di declinazione e congiugazione della famiglia di lingue , a cui è
destinata V opera. E una serie di quadri delle flessioni e ter-
minazioni delle parole nelle varie lingue indo-europee, e le
teoriche sono avvalorate da esempi atti a farle meglio com-
prendere. Le osservazioni sopra le declinazioni e congiugazioni
del greco e del latino paragonate con quelle del sanscrito , con-
tengono di molte eccellenti cose. Noi approviamo in ispecie il
lamento mosso dal sig. EichhofF contro all' uso de' grammatici
latini , i quali espongono le declinazioni e le congiugazioni come
235
parallele , in yece di collocare la terza declinazione e la terza
congiugazione nel primo luogo , che a quelle appartiene, come
rappresentanti le più semplici forme, di cui le altre non sono
che modificazioni. Anche noi , come lui, siamo di parere che
nel prefisso negativo greco , il v è radicale , sebbene non si
conserva che davanti alle vocali, e per avvalorare questa sentenza
aggiungeremo che nella lingua indostana il n si conserva anche
davanti alle consonanti.
Senza contendere che in questa selva d' etimologie non se
ne trovi alcuna incerta o soggetta a contraddizione , né che non
vi abbia alcune ripetizioni per verità inevitabili , e quasi sem-
pre ntili, non dubitiamo punto di affermare, che l'opera del
sig. Eichhoff" è scritta fedelmente e diligentemente, e dimostra
nel!' autore dottrina soda e svariata , e paziente sagacità 5 ag-
giungeremo ancora , che dee quest' opera riuscire di somma uti-
lità a coloro, che vogliono applicar l'animo alle etimologie ed
alle derivazioni, e sì anche a coloro, i quali si studiano di scio-
gliere que' gravi problemi storici, che tanto allettano i sublimi
ingegni. Il metodo stesso, con cui l'opera è ordinata, lascia
che ciascuno vi ritrovi le origini della lingua che maggiormente
gì' importi , o segua a voler suo piuttosto questa , che quell'al-
tra ramificazione. Può dispiacere , che il sig. Eichhoff" in que-
sto lavoro comparativo , ai vocaboli europei derivati dal san-
scrito non abbia aggiunto quei delle principali lingue dell' In-
dia stessa , i quali vengono dalla medesima sorgente 5 per esem-
pio dell' Indostana , della Maratta , della Bengalese e simili. Da
cosifatta riunione sarebbero risultati , a mio credere , due fatti
di tal rilievo , da meritare di essere aggiunti alle osservazioni
non meno vere , che felicemente dichiarate nelle varie parti
dell' opera del sig. Eichhoff"; voglio dire , che sovente nell' In-
dia stessa le parole sanscrite passando nelle lingue moderne ,
andarono soggette ad alterazioni somiglianti a quelle , che si
osservano nelle medesime parole delle lingue d' Europa , le
quali hanno comune origine; in secondo luogo che sovente ezian-
dio le alterazioni sofi'erte dai vocaboli sanscriti sono maggiori
nelle lingue nate dalla sanscrita, le quali sono adoprate nelle
stesse contrade in cui questo idioma era in uso , che non in
236
quelle parlate iu contrade discoste le migliaja di leghe dalla
loro comune culla.
Alcuni esempj presi qua e là come a caso comproveranno le
nostre due asserzioni. Il vocabolo francese roi è lo stesso che
il bengalese rae ( gì' Inglesi lo scrivono roi ) e T uno e l'altro
è derivato dal sanscrito rdj. Il vocabolo passereau ( passer la-
tino e passera italiano ) rassomiglia più all' indostan pakhèrou
che al sanscrito pakshin origine comune dell' uno e dell' altro ^
nirpA e petra rassomigliano più all'ìndostano pathar che al san-
scrito prastara. Lo stesso avviene della parola francese doublé
identica coll'indostana doubala ( lat. duplex^, derivata dal san-
scrito dyauvài ; dell' avverbio determinativo latino ed indostano
ita formati ambedue dal sanscrito itlham 5 del vocabolo inglese
coal ( carbone ) e dell' indostano coèla , i quali derivano dal
sanscrito kokila 5 della particella negativa tedesca neùi e della
stessa dakhni nain dal sanscrito ?iahi 5 del tedesco miicke ( mo-
sca ) e dell' indostano mahkhi dal sanscrito makshika 5 dell' ita-
liano oggi, che per mezzo del latino hodie deriva dal sanscrito
adia e dell' indostano dj che ha la medesima origine.
Si troverà d' altra parte , che naso e nasus rassomiglia più
al sanscrito ndsd che 1' indostano ndk ; che piede ( pes novq )
rassomiglia più al sanscrito pdda che l' indostano pdon 5 che
il greco nomi e 1' inglese patii ( cammino conf. il latino spa-
tiurn ) si avvicinano più al sanscrito patha che non l' indostano
panili ; che il vocabolo mélange ( miscuglio ) si accosta più al
sanscrito mèlana che non 1' indostano /m/a/i 5 che frater e più
ancora brother rassomigliano maggiormente al sanscrito bhratri
(fratello), che 1' indostano blidi -^ che il tedesco brave e l'in-
glese brow ( sopracciglia ) sono più vicini al sanscrito bhru ,
che r indostano bhawan j che il latino ìgnis è più rassomi-
gliante al sanscrito agni ( fuoco ), che 1' indostano dg ] che le
parole centum cento sono più vicine al sanscrito sala, che l'in-
dostano san. Il greco oxxog occhio ( lat. oculus dal primitivo
ocus ) e 7ipa.Tog primus rassomigliano più alle parole sanscrite
akshi e prathama che le indostane diikh e pahld. Ma gli ad-
dotti esempj sono più che valevoli a farci conchiudere , che
sarebbe da desiderarsi che il sig. EicbliofF, il quale nelF opera
257
sua ci ba dato pruova del laborioso ed abile suo ingegno , sì
risolvesse a fare per le principali lingue dell' India , ciò cbe
egli ba fatto per quelle d' Europa. Noi vedremmo allora in
questo nxiovo lavoro la grande famiglia dei popoli dell' India
riunirsi successivamente come in varii e distinti groppi , dei
quali potremmo distinguere le differenze 5 vedremmo le loro
lingue modificarsi secondo le qualità de' luogbi , secondo la va-
rietà delle tribù , e loro abitudini di guerra o di pace , e per
tal modo ne verrebbe novella luce alla storia di cotesta bella
parte del mondo.
F. B.
Nuova edizione del Dizionario de" Sinonimi
della lingua italiana di Tommaseo.
Nella patria del Grassi deve certamente tornar grato l'an-
nunzio di una nuova edizione del Dizionario dei Sinonimi della
lingua italiana di Nicolò Tommaseo. Quest' edizione si sta pre-
parando in Firenze per cura di quel valoroso e perseverante
campione delle lettere italiane il Fieusseux. Egli promette di
darla compiuta fra tutto il prossimo iSSj, e nell'odierno di-
luvio di ristampe così lentamente strascinate o non mai con-
dotte a compimento, siffatta promessa non è poco. Ma sappia-
mo cbe il Vieusseux è tal uomo , che fatta una promessa la
mantiene e siamo tranquilli.
Se i bibliofili non fossero già da gran tempo avvezzi ad es-
sere ingannati dai seducenti annunzii clic sogliono sempre ac-
compagnare le nuove edizioni , soggiungeremmo cbe questa del
Dizionario dei Sinonimi sarà corretta j in varie parti rifusa ,
notabilmente accresciuta ^ arricchita dì molte aggiunte _, ed a
nuoi'o ordine sottoposta per opera dell'autore. Ma anche per
questo rapporto non costerà molti sforzi 1' uscire in un atto sin-
258
cero (li fede , e quel che più monta siamo sicuri che la fede
non sarà delusa.
Coraggio dunque e sollecitudine, o gentili amatori del beli'
idioma italiano. Procacciatevi questa nuova edizione, che que-
sta sarà r ultima a cui 1' egregio autore coadjuverà. Ma la tri-
ste parola non vi sgomenti , o signori. Il termine della nuova
edizione e dell' ajuto che vi presta l'autore non sarà il termine
né della sua vita naturale , né della sua vita letteraria. Chi di
noi tutti non si aspetta ancora da quella scrulatrice , feconda ,
robustissima mente del Tommaseo più forti e generosi lavori ?
Chi più di lui conobbe 1' intimo nesso della filologia colla sto-
ria psicologica e civile dell' uomo, chi più di lui ne potè li-
brare le disparate relazioni, chi, combinandole, meglio improntò
alla lingua italiana le legittime sue espressioni , le sue forme
native? Cosi se nuove scoperte di voci, nuovi significati , com-
binazioni nuove egli venisse ancora facendo , l'editore promette
di aggiungerle al nuovo Dizionario per via di supplimento.
E sarà allora a questo Dizionario che dovranno ricorrere co-
loro , i quali amano nella lingua conoscere tutte le infinite ana-
logie e tutte le infinite differenze de' vocaboli, che vogliono po-
tervi distinguere tutte le fuggevoli gradazioni per cui essi pas-
sarono dal senso proprio al figurato , e dal figurato al proprio ,
che bramano infine sorprendervi Je più squisite e singolari loro
significazioni.
Mentre dunque salutiamo con giusta riconoscenza questa rin-
novata fatica del Tommaseo , ci ripromettiamo con fervida fi-
ducia di avere ancora da lui opere di maggior polso, di quelle
opere che non solamente interessano una scienza speciale , ma
l'umanità tutta intiera. Possa questa promessa che facciamo a
noi stessi , e che farà con noi chiunque abbia a petto il sapere
italiano , venir soddisfatta come soddisfatte verranno le pro-
messe dell' infaticabile J^ieusseux.
Frattanto ci dorrebbe prender commiato da questi due illu-
stri italiani senza augurare alla nuova edizione del Dizionario
de Sinonimi eh' essi intraprendono un felice successo in Italia
e dappertutto. I motivi a sperarlo son molti. Quanto al Pie-
monte , andiamo particolarmente persuasi che tutti ne vorranno
25d
arricchire le loro biblioteche , poiché è cosa consolante il po-
ter dire come anche qui con amore ognora crescente si coltivi
la favella italiana , e come s' introduca nelle scritture non ha
guari ancor barbare (lei foro , e quanto se ne pregino gli atti
amministrativi, e come l'accento suo soave sia perfino pene-
trato negli eleganti gabinetti , dove per l' addietro sedevano sole
tiranne le dilettose pagine d' oltramoute.
Né ancora possiamo negarci il conforto del sentirsi fortunata-
mente arrivati ad un'epoca nella quale una sapiente libertà go-
verna lo studio della lingua, ed in cui le burbere iattanze della
Crusca sono sopite, e le gare fra i Glassici ed i Romantici
pajono accostarsi ad un pacifico componimento. Come difatti per
tante altre cose passata è pur la stagione di coloro che digiuni
d' ogni filosofia e privi d' ogni studio archeologico tacciavano
di pedanteria e di oziosa ed arida erudizione ogni disquisizione
filologica. Questi insipienti non sapevano che sarebbe venuto il
giorno in cui si terrebbe in sommo pregio qualunque ricerca
sulle radici, sulle etimologie, sulle sinonimie, sulle parentele
e sui misteri tutti della lingua. Assai meno avrebbero imma-
ginato che da queste fonti in sostanza zampillar dovessero tante
utili verità, tanta copia di cognizioni. Lode ai sommi che co-
operarono a questo felice cangiamento.
Per ciò salirono in graxi fama i discor^ dell' ottimo Perti-
cari che mostrò illustre e comune l'italiana favella che da pria
si calunniava municipale e plebea 5 per ciò le prose del Monti
sono con tanto gusto ricercate, per ciò si ritornò allo studio se-
vero dei classici maestri suoi. Quindi in una età di tanto movi-
mento scientifico e letterario, che già possedè un primo vocabo-
lario de' sinonimi italiani composto dall'Ab. Romani , in cui il
diligente Arrivabene in un altro suo vocabolario trovò le fogge
italiane ai termini d' uso , in una età finalmente in cui i mi-
gliori lessici d'ogni maniera sono alla mano di tutti, chi potrà
dubitare che la nuova edizione di quello del Tommaseo non
trovi dovunque cortesi e non avare accoglienze ? E nella patria
poi dell'Alberti, del Tagliazucchi , del Caluso e del Napione,
dove Grassi stampò le prime investigazioni sui sinonimi italiani
« poi legò all'intera Italia un dizionario militare, dove Alfieri
240
e Botta meditarono con sì copioso frutto sulle bellezze della
nostra lingua, dove Manno compose la storia della fortuna delle
parole , dove il Peyron diede agli eruditi d' ogni nazione il
suo dizionario Copto, dove recentemente li sigg. Amò e Car-
bone pubblicarono un vocabolario di Artiglieria , il Dizionario
del Tommaseo non giungerà per sicuro a guisa di un ignoto o
non curato straniero, ma bensì come un fratello ad un patri-
monio comune.
Le quali celebrità piemontesi abbiamo ora noi con patria
compiacenza rammentato , onde più forte nasca in tutti la cer-
tezza che la nuova edizione dell' annunziato Dizionario de' Si-
nonimi sarà per avere particolarmente in Piemonte clienti e
fortuna.
S. B.
Letteratura — Del seicento e del P. Gìuglaris
Squarcio dì lezione.
Ma questo seicento, per cui s'intende il più strano
abuso, cbe siasi mai fatto dell'umano ingegno in opera di elo-
quenza; questo seicento, del quale basta che si dica che è ma-
culata una scrittura, perchè le si ponga il suggello di una per-
petua riprovazione,- questo seicento , che ricorda pur troppo un
tempo di deliri e d' ignominie italiane 5 questo seicento , dico ,
dovea esser conseguenza inevitabile della elegante vacuità del se-
colo precedente. Sì, vera vacuità; poiché se togliamo gli storici
e qualche altro raro scrittore, a cui l'importanza e la gravità
della materia toglieva 1' opportunità e il modo di riuscire va-
niloqui , neir universale gli scrittori del cinquecento , que' nu-
merosi autori di orazioni, di novelle, di lettere, di cicalate,
quanto eran ricchi di frasi , tanto eran poveri di filosofia ,
quanto abbondavano di buon gusto, tanto difettavan talor di
241
huon senso 5 ondechè trovar non seppero altro riparo a questo
manco d'idee, a questa povertà di dottrina, a questo ozio,
per così dire , della facoltà pensatrice , che curare diligente-
mente la locuzione, architettare ingegnosamente il periodo , né
una sola pretermettere delle parti estrinseche , se cosi le posso
chiamare , dell'eloquenza. Però l'ingegno dello scrittore era in
una continua tortura per nobilitare i sentimenti più vulgarì ,
per distendere un'ideuzza piccina piccina, per accumulare l'uà
suir altro gli epiteti, per coprire insounna con una splendida
veste una nudità ignominiosa. Ma scrittori e lettori non tar-
darono a stancarsi di questo perpetuo artifizio, che potea ce-
lare il vuoto di quelle opere, ma non toglierlo, indugiar la
noja , ma non impedirla. Si conobbe adunque la necessità di
cambiar tuono , e di riscuoter l'attenzione assopita da sì no-
jose eleganze 5 ma perchè le attenzioni non possono esser ri-
scosse che o dalla importanza delle cose, o dall'artifizio della
elocuzione, ecco perchè l'ingegno italiano, in mancanza dì quelle,
siasi gittato al lavoro di questa 5 eccovi però le antitesi le più
sforzate, i traslati i più bizzarri, gli assunti i più capricciosi j
eccovi le orme del dì calcale dal più della notte j e il sangue,
che spiccia dall' ignudo corpo di S. Benedetto, convertirsi ia
rose, che fanno corona al giglio della purità verginale *r.
Così la povertà di dottrina , che produsse la tersa inanità del
cinquecento, fa pur quella che produsse la pazza ampollosità
del seicento ,• conseguenza dell' una si fu la noja , effetto dell'
altra il ridicolo 5 come se non fosse del pari ingiurioso alla ri-
putazione de' nostri scrittori il far ridere, che il far dormire.
Ma ciò che rafferma la mia opinione, che il secolo delle stra-
nezze dovea succedere alla età delle parole, e che i pazzi se-
centisti doveano raccoglier l'eredità dei languidi cinquecenti-
sti, si è l'osservare, che la copia delle dottrine e la gravità
delle materie , che campò nel cinquecento gli storici e sì fatti
altri scrittori dal riuscir parolai , campò eziandio nel seicento
81 fatta generazion di scrittori dall' essere stravaganti ; del che
*i Esiircssioni di due orazioni sacre del Filtcaja e del Dati, Accad«BÌci dell»
Crusca , delle (juali »i era looc»to f wo prima.
16
242
mi rendono testimonianza il Davila, il Pallavicini, il Benti-
voglio , e fra Paolo , ne' quali , benché secentisti , sì rare ap-
pajono le orme ree di quel secolo ; e più me la rende il di-
vino Galilei e la veneranda sua scuola , che tutti intesi alle
speculazioni delle scienze matematiche e naturali, non si la-
sciaron ire alle arguzie, ai concettini e alle antitesi, di cui
erano impastati gli scrittori di quella età , troppo inferiori a
que' sommi non meno di filosofia che di gusto. Imperciocché
questo è proprio delle filosofiche discipline, di disporre e av-
vezzare gì' intelletti di chi le studia e coltiva ad una cotal gra-
vità di raziocinio e proprietà di espressione, che si manifesta
anche in ciò che non è pretta filosofia 5 perchè noi veggiamo
che questi scienziati (salvo che non siano rozzi e imperiti,
come un Ferracina ), quando si pongono a scrivere checchessia,
non sempre riusciranno scrittori eleganti e purgali, ma sciittoii
gravi e giudiziosi riescon sempre 5 ed avea un beli' alzare il
Baretti quella inesorabil san frusta, e menarla furiosamente ad-
dosso a un Beccaria e ad un Verri, chiamandoli iitviiicihiii
ignoranti in opera di lingua j che quella ignoranza non gì' im-
pedì di riuscire scrittori di tale proprietà , evidenza ed cfllca-
cia , che valsero con le loro opere a cambiare le civili e po-
litiche condizioni di molti Stati d'Europa-, il quale trioufo
dalle azzimate scritture de' retori non so che siasi mai conseguito.
Ora se questa mia opinione : che la inanità del cinquecento
dovea fare il ponte alle follie del seicento, è da voi ricevuta,
io vorrei , o cari giovani , che da essa cavaste un' importante
lezione, cioè, che la vera filosofia è la nutrice della vera elo-
quenza ; che il presidio di sane dottrine, il tesoro di senti-
menti e d' idee è 1' indispensabil corredo di un lodato scrit-
tore ; e che invano voi studierete tutta la vostra vita uno scri-
ver colto e corretto, se non saprete poi di che scrivere; una
elegante vacuità o una stravaganza ingegnosa, il languido cin-
quecento o r ampolloso seicento, eccovi le vere Scilla e Ca-
riddi , a cui di necessità debbo rompere e naufragare chiunque
si mette a navigare il gran mar delle lettere , senza il viatico
della necessaria dottrina.
Veduto da che s'ingenerasse in parte quel fatai gusto, che.
M3
sigiioieggiù fra noi nel seicento, ognuno può imiuaginare quale
fosse iu quo' tempi la coudizione della eloquenza sacra italiana.
Essa fu misera per ogni rispetto ; e tale, che in leggendo ora
gli oratori sacri italiani di quella infelicissima età, è d'uopo
dar ragione al Fleclner, il quale soleva cLiamargli i suoi buj-
Jòiii. Ma perchè in cotesta schiera uiuno levò maggior grido del
P. Luigi Giuglaris , voi mi concederete che sì per questa ra-
gione , e sì per quella ch'egli fu vostro connazionale, io faccia
oggi di lui più distese parole.
Nacque il Giuglaris in ÌN'iz-za, ed entrato fra' Gesuiti nel i()52
in età di la anni , insegnò rettorica per dieci , e mori in Mes-
sina a' i5 di novembre del i653. Il grido del suo ingegno, sa-
pere e virtù giunse agli orecchi della Reggente di questi Stati
Cristina , la quale gli confidò la educazione del figliuol suo
Carlo Emmanuele ,• in servigio del quale compose e pubblicò
l'opera intitolata: Scuola della verità aperta ai Principi^ la
qual opera viene in confermazione di ciò che altra volta di-
chiarai da questo luogo; cioè che la letteratura popolare, qual
bi è appunto l'eloquenza del pergamo, ritiene sempre del gu-
sto della nazione, per quantunque esso sia stravagante e cor-
rotto-, laddove quella che è deputata per le corti de' principi
e per le adunanze de' dotti , sa mantenersi illesa da questi vizj.
In elTetto la suddetta opera, che il P. Giuglaris scrisse per in-
struzione del suo augusto discepolo , è stesa , per giudizio del
Tiraboschi , in uno stil grave, serio ^ conciso e non senza ele-
ganza , e appena ha un^ ombra assai lieve dei vizj del secolo ;
mentre che le sue prediche ne abbondano sì fattamente, che
non 1»' ha forse ( è sempre il Tiraboschi che parla), chi sia ito
più oltre neW uso delle più stravaganti nietajòre e da' pia rajji-
nati concetti.
Le prediche, che il Giuglaris recitò con tanto applauso del
suo vivente , non vennero a luce che dopo la sua morte, e cosi
r Italia che non potè udire, potè almen leggere il suo Quare-
simale , V Avv'ento , e una raccolta di Panegirici e discorsi sa-
cri , che fu stampata col pomposo titolo di Teatro deli" elo-
quenza. E vero teatro diventa il pulpito del P. Giuglaris , si
che non v' ha buiToutiia comica , che più ci muova al riso di
244
qualche tratto delle sue prediche. Vuol egli fare il pauegìricò
della sagra Sindone? Egli comincierà dall' imporre al suo di-
scorso questo titolo : // legato principale neW eredità lasciata
da Cristo in terra. Ma questa idea di legato sveglia l' idea di
testamento 5 ora Gesù Cristo per le leggi romane non potea te-
stare ; non potea testare perchè premoriva ad uno de' genitori,
da' quali era slato mantenuto allo studio della pazienza y per-
chè tornasse addottorato con la laurea di spine j non potea te-
stare , perchè era prodigo , e tanto che per fargli stringere una
sola volta le mani ci vollero chiodi e martelli ,• non potea te-
stare finalmente, perchè fu reputato non solamente reo, ma
reo peggiore de' ladri. Ma consolatevi , o Torinesi, che a quel
modo, che per le leggi romane i figli di famiglia potean disporre
de' beni castrensi, anche Gesù Cristo, che combattè a questo
mondo con la perfidia degli uomini e con la malignità de' de-
monj, potrà disporre di quel che raccolse in cosi dura bat-
taglia, senza che il suo testamento sia annullato dal giudice.
Ed eccovi come il Giuglaris , facendola più da legulejo che da
predicatore , abbia si curato a' Torinesi il prezioso legato della
sagra Sindone, legato che di quanti lasciasse in questo basso
mondo Gesù Cristo , egli dimostra il migliore.
Io mi compiaccio nelle mie lezioni di fermarmi su tutto ciò
che può aver relazion col Piemonte ; e però io mi fermo a
quei Panegirico, che compose il Giuglaris ad onore del Ve-
scovo di Saluzzo , il beato Giovenale Anciua ,• Giovenale, per-
chè giova a tutti ; Ancina , perchè ancino da pescar a Dio
cuori ,• ma questo ancino , che è che non è , si cambia nel
nuovo Trismegisto, cosi detto perchè tre volte grande, cioè gran
letterato, gran sacerdote, gran vescovo. Ma non si potea con-
venientemente lodare questo santo Vescovo, senza lodar prima
la città che fu da lui governata; e però eccovi in sulle prime
linee dell'esordio un solenne panegirico di Saluzzo , quale non
si era prima udito, né si udrà forse poi; che Saluzzo è tal
città che chi la vide pur una volta non ebbe più che invidiare
le dolcezze d' I metto alla Grecia^ le delizie di Pesto aW Italia ,
Le amenità di 'Tempe a Tessaglia , la fecondità di Carmelo alla
Palestina j dice che il Piemonte è il tcntio delle sue azioni,
245
il Monviso r obelisco delle sue glorie; che i suoi cittadini non
sanno mai più morire , tanto bene imparano a vìvere ,• e se ar-
rivano a conseguire cariche, diventano il canone di Policleto de'
Magistrati 5 e dice de' suoi antichi signori, che Saluzzo in quin-
dici Marchesi produsse al mondo U equivalente di mille eroi.
Che se qualcuno si mostrerà invidioso di tanti elogi tributali
a Saluzzo , si racconsoli e sappia che sono essi un nulla rispetto
a quelli troppo più magnitìci eh' ei profuse alla capital del
Piemonte. Poiché dovendo egli celebrar qui in Torino quel ma-
raviglioso fatto, avvenuto a' 6 di giugno del i4o3, per cui
l'Ostia consagrata si sviluppò dalle mani di un sacrilego predone
per calar fra quelle di un venerando pontefice, dovendo, dico,
il Giuglaris con una orazion panegirica celebrar questo fatto,
per cui non dubitò di chiamar Torino la città del Santissimo
Sacramento, e impor questo titolo alla sua orazion panegirica,
egli incomincia dal farci intendere non essere stata favorita
mai tanto o Creta da Giove , o d.a Giunone Argo e Micena ^
o Troia da Venere j o da Pallade Atene , quanto dal vero e
sommo Dio fu Torino. E ciò perchè e di figura e di sito è ar-
chitettato a modello della Gerusalemme celeste , civitas in qua-
dro posila etc; e perchè vi mantiene presidio di soldatesca ce-
leste in tanti Santi Tebei, che fanno le sentinelle morte in più
posti ; perchè è collocato in modo che ad onta de' monti an-
che ne' piedi loro gode le altezze (alludendo al titolo à\ Altezza y
che recavano allora i Principi di Savoia); perchè ha sulle porte
r amenità de' giardini e le comodità de' deserti , abbonda di
salvaticine in paese domestico ; perchè i fumi che lo costeg-
giano , portandogli dell' altrui , niente gli tolgon del suo j e il
Po istesso , chtralu^ove la pretende col mare j umile e riverente
a' di lui piedi scorrendo ^ né pur mutisce, se non per ringra-
ziarlo del passo ,• perchè gli die de' Sovrani, che anche col nome
gli ricordino Dio, come Amedei ^ altri glielo congiungano,, come
Emanueli ( che in ebraico significa il Signore con noi ) , altri
l'assicurino nelle battaglie ^ come plitorii ^ altri dalla povertà
lo difendano , come Giacinti ; perchè è popolalo da cittadini sì
eccellenti e virtuosi, che hanno ormai posto legge alle leggi,
che si son messi all' impresa di avvalorar col lor credito secoli
24G
disaccreditali e falliti j e che mentre o^ni cosa scema e dimi/nii-
ice , Twoi'e ragioìii di crescere somministrano al mondo; e t\itta
questo al proposito del miracolo del Sacramento, per cui (dico
il Gluglaris ) contro ogni astrologia fu veduto anche alti 6 di
giugno il Sole in Toro. Per bene intendere il quale concetlo
è d' uopo notare che il Toro segna il mese di aprile, e che il
Granchio è quello che segna il mese di giugno, nel quale se-
guì quel mirabile fatto : ma subito che per il Sole s* intende
l'Ostia sacrata, e per il Toi-o l'augusta città di Torino, voi
ben vedete, che non era meno con tra l'astrologia, che contra
il buon senso il dire che Jii veduto anche alli 6 di giugno il
Sole in Toro.
Ora se dietro a questi miseri giuochi d' ingegno farneticava
il seicento; se nel principio della nostra lingua e della nostra
letteratura poche prediche s'ebbero in volgare, e quelle poche
tanto ricche di lingua, quanto povere di eloquenza; se il più
lodato predicatore del quattrocento , che fu il Savonarola , è
però disordinato, ineguale ed incolto; se il Musso ed il Pani-
garola , che levarono tanto grido nel classico cinquecento, non
furono che inani retori ed eleganti ( e spesso né pur eleganti)
parolai; se ciò lutto è vero, com'è verissimo, sarà egli vero
altresì , che sacra eloquenza non debbasi incontrare in questa
Italia, che pur risuonò della voce eloquentissima di un IMarco
Tg^ÌO ? Sarà egli vero , che la religione cattolica con lo splen-
dor del suo culto , con la santità de' suoi dogmi , col terrore
delle sue minaccie , col balsamo delle sue consolazioni, colte-
nero e sublime spettacolo della croce, non valga a suscitare in
Italia quell'oratore, che pure in altri tempi produssero interessi
troppo inferiori a quei deli' anima e del cielo ? Sarà egli vero
che questa Italia , la quale può ostentar con orgoglio alle altre
•nazioni una numerosa schiera d'istorici, di lirici, di epici, che
non temono di paragonarsi con chicchessia, non possa poi mo-
strare , non dirò molti , ma uno , un solo orator sacro , che
sostener possa con laude un si temuto confronto ? Onoratemi
della vostra presenza nella ventura lezione; e chi sa , che que-
st' oratore tanto desiderato, per consolazion vostra e per onor
dell' Italia , non ci riesca alfin di trovarlo ?
Pier- Alessandro Pam via.
247
Della Commedia iLaliaua.
I.
I comici italiani possono dividersi agevolmente in due classi,
delle quali gli uni possono dirsi antichi e popolari , gli altri
recenti o civili si potrebbero appellare : volendo dire in quale
maniera diversifichino fra di loro , si deve fare attenta osser-
vazione al metodo che si proposero, alla condizione de' tempi,
air essere della letteratura , quando scrissero.
2.
I primi facendo capo da' Romani , avendo imitate le com-
medie greche , attenuti si sono al modo di comporre usato dagli
scrittori di quella nazione , che a loro insegnò la letteratura ci-
vile , e gli usi delle arti gentili , eccettuandone però con savio
accorgimento 1' aperto disprezzo alla morale pubblica. Dico alla
morale pubblica , perchè sebbene la rettitudine de' costumi ia
esse non sia , nondimeno principalmente non si combattono i
dettami del giusto e dell' onesto, siccome non ebbe vergogna di
fare Aristofane , tenuto maestro di poetare in siffatto genere di
composizioni. Di costui pessimo è l'esempio, e non si potrebbe
abbastanza biasimare, perciocché sua intenzione è di far ingiuria
ad ogni maniera di probità, insegnata dal maggior savio dell'
antichità, dal più virtuoso cittadino della Grecia.
3.
Un altro vizio turpissimo dell' antico sceneggiare , del quale
pure sono insozzate le romane commedie , trovasi ne' viluppi ,
e nello siile delle poesie , essendoché le turpitudini della lasci-
via intricano e disciolgono il nodo delle stesse , e ad ogni istante
si riproducono con seducenti colori, cosicché quello che più ab-
bomincvole è. quasi rendono dimestico e accetto all'universale,
adonestandolo con le grazie dell'espressione, starebbesi per dire
che mirano ad abituare gli animi a prender sollazzo dalle tristi-
zie amorose , a non averle a schifo per modo alcuno.
248
4-
Il popolo romano riponendo la maggior gloria sua nella con-
quista , agognava li spettacoli guerreschi e le raagnificenze de'
triouQ preparati per accendere gli animi viemmaggiormente ad
operare altamente a prò della pati'ia , e adescare i nemici della
romana grandezza a partecipare agli onori stupendi e alle pre-
rogative insigni che prodigava a guerrieri invitti. Dal che si può
argomentare che la commedia non poteva allignare laddove vo-
leasi udire incessantemente il canto della vittoria, e studiavasi
di aprire nuove vie alle ambizioni fra il tumulto della plebe e
i maneggi e il broglio del senato. Anzi riguardando all' origine
del teatro comico romano , ed alla definizione della comme-
dia , e' si vede che la rappresentazione di notabili faccende fra
mezzane e private persone ed anche volgari, non potea allettare
una moltitudine guerriera e feroce , mentre breve e tenue è il
piacere che si ricava in vedere disciogliersi sul palco una inven-
zione piacevole , ma pur bastante a rallegrare spettatori ripo-
sati e tranquilli, che per alleggerire il peso delle fatiche giorna-
liere di questo trastullo si contentano. Pertanto non farà mera-
viglia se occorrendo le guerre de' Cartaginesi , sursero in Roma
Plauto e Terenzio a comporre sulle foggie greche , incerta cosa
essendo tuttavia qual parte prendesse ogni maniera di persone
a questa spezie di poetare , e se traesse in folla ad udire le nuove
rappresentanze con la stessa passione che metteva a ludi guer-
reschi, e alle pompe trionfali. Egli sembra poi che le sporcizie
inserite nelle favole procedessero dalla licenza militare che si-
gnoreggiava la nazione, quando non si voglia pur dire che gli
autori stimolati dalla condizione de' tempi, e dal guadagno, ab-
biano seguito r andare de' greci maestri.
o.
Dicono che per far risorgere una qualche ottima ìnstituzione
civile, la si deve tirare verso i suoi principii. Questo detto
dell' antica sapienza italiana è vero , facil cosa essendo di rior-
dinarla , perchè certo e provato è il fine proposto , detcrmi-
nati e sicuri i mezzi per conseguirlo, cosicché i fautori di
quella disciplina , purché e' vogliano possono metterla in fiore.
Ma per imprimere le molte dUettazionì del bello , giungere a
249
gustare l'ingenuo candore, le grazie maravigliose , ed innestarle
nelle creazioni della mente , non fa di mestieri il calcare lo
stesso cammino , avvegnaché considerato attentamente il ma-
gistero della immaginativa dell'uomo , e' si vede che questo ora
tocca una sublimità felicissima , che inonda molte menti pri-
vilegiate dal cielo , ora si dilunga da tanta altezza. Per il che
r eloquenza fiera e tragica del Buonarotti , 1' istoriar di Pvaf-
faello, il miracoloso tingere del Tiziano hanno una particolare
e distinta virtù di bellezza che ugualmente s' attrae e delizia
i cuori sensitivi e generosi. Consegue da ciò che per appres-
sarsi all' antica divinità delle arti , debbasi contemplare e stu-
diar intensamente le ragioni , per le quali si mantenne per
lungo tempo 1' andazzo dell' età famosa, onde far rivivere nel
mondo quella scuola maravigliosa. Si pretende che 1' attenta e
paziente investigazione della natura informasse al bello que' pa-
dri delle arti , ciò può essere , nondimeno i moderni maravi-
gliosi di studio in qualsiasi arte imprendano, sono lodevoli per
r industria che pongono nelle imitazioni sublimi , e infelici
nella gloria delle invenzioni. Si' la natura anche sottilmente
investigata , non mostra sempre i suoi tesori all' appassionato
scrutatore, direbbesi che la è schifiltosa, appena sorride a co-
lui che ne è appassionato amatore, ed a coloro che la vagheg-
giano s' invola.
6.
Il detto sinquV sopra le arti che abbisognano del concetto e
del lavorio dell' artefice , conduce ugualmente a ragionare della
commedia, la quale, siccome osservossi, nacque foggiata sulle
vestigie greche , che non mai trapassò sia per rispetto alla in-
venzione , che per la raffinatura e squisitezza degli ornamenti ,
talché si può dire che il teatro romano non sia da riputarsi
degno di offrire un eccellente modo di comporre, presupposto
essendosi che i tempi , lo spirito nazionale , la nascente col-
tura non davano a questo poetare un principio glorioso, e ciò
sempre quando una cieca ammirazione non stravvolga il giu-
dizio. Ancora può con assai ragione credersi che fatto riflesso
alle commedie di coloro fra gl'italiani che scrissero dopo il ri-
sorgimento delle lettere, laddovo tennero il metodo di sceoeg-
250
giare degli antichi autori e popolani , si tnaccliiarono degli
stessi vizii , elle abbiamo testé ripresi. Clii lia letto le favole
del Macchiavelli , del Lasca, del Faggiuoli, dell'Aretino, del
Bibbiena , dell' Ariosto per tacere di tanti altri , sa che cosa
vogliasi inferire , quali e quanti benefizii recassero all' onore
dell' arte, all' incivilimento italiano. Quella lettura ci riempie
di vergogna e di tristezza , e insegna a certi lodatori de' vec-
chiumi se r incivilimento sia un bene od un male. Brevemente
coloro che al fai-e comico antico si accostarono , i"esero dispi'ez-
zabile l'invenzione comica, ebbero uno scopo scellerato, pri-
varono gli ingegni di un piacere onesto e proficuo alle rette
usanze sociali , e la letteratura poetica di un ornamento nobi-
lissimo.
7-
Non si vuole però con questo dire , che la lettura de' co-
mici antichi non sia gi'anJcmente giovevole a colui che voglia
gustarne i frizzi , le facezie , le capestrerie , i motti arguti ,
avvertire alle usanze private de' Romani, por mente alle sva-
riate maniere del bello comico che abbonda nelle opere deli'
antichità. Anzi lo stile, il capriccioso lavorio dell'intreccio, i
felici scioglimenti delle favole di Plauto allettano moltissimo,
e diversificano dalle invenzioni Terenziane , scritte con discorso
ameno e pulito, con belle e sensate avvertenze, ornate di con-
cetti morali , e queste sempre saranno lodate in sino a che
vivrà l'umana specie, essendo che in que' tempi gli uomini
non. si amavano o ributtavano con passioni diverse da quelle
de' presenti. Vero è nuUameno per tornare a due scrittori la-
tini , che il motteggevole sceneggiare di Plauto fecondo di vi-
luppi, se ad una viva pittura si suole assomigliare , nuoce as-
solutamente al costume , non correggendo egli i vizi e i difetti
con far amare la virtù dedotta dallo stesso nodo della comme-
dia, non s'addentra nel cuore umano che per svelarne le cat-
tive abitudini. Da ciò segue ancora, che molto si dilunghe-
rebbe dal vero, chiunque per rispetto alle opere comiche vo-
lesse alle medesime appropriare le forme dell' antico poetare ,
facendo insorgere le produzioni del teatro greco imitate poscia
da Romani. Buoni documenti di ragione ci persuadono della
251
vcracilà di questa massima, sempre quando certa è la ragione
del bello, provata l'utilità, sicura la lode da potersi ottenere,
mentre nelle produzioni che principalmente alla immaginativa,
ed alle esigenze del secolo sono richieste, molte considerazioni
parlicolari devono indirizzare la mente nel concepirle , diri-
gere la mano che le disegna e veste , e gli uomini che s' in-
camminano alla perfezione sociale s'offendono e sdegnano di
sentirsi lammentare le inezie, gli usi abLandonati, la niuna
osservanza del pudore civile, le sfrenate lussurie dell' antico
loro vivere sociale. Chi ha letto adunque i comici popolani e
antichi, vede di leggieri che i parassiti, i mezzani d'amore,
le balie e ogn'altra feccia de' birboni che in esse tiene il campo
de' sollazzi comici, oltreché disdicono, non devono per lo
meno riprodursi ne' secoli i quali non comportano che si espon-
gano al pubblico le abbiette turpitudini.
8.
Non si potrebbe ora indovinare la ragione per cui nella mag-
giore floridezza di Roma, mentre si ammiravano i trionfi dei
conquistatori del mondo, i prodigii delle arti belle, e lo stesso
Cicerone facea sentire il divino affetto della eloquenza , quando
la greca filosofia informava gli animi de' tanti dotti che ab-
bellivano la città gloriosa , il teatro comico fosse ridotto al
punto di meschinità, che tranne poche invenzioni imitate da
(jreci , non pareggiasse in grandezza , né in originalità con le
altre Invenzioni pure di diletto, ed appena forse entri nel no-
vero delle poesìe degne di Roma. La storia non indica se la
rappresentazione delle commedie latine seguisse al cospetto de'
sommi , non spiega sino a qual termine siasi ridotto il gusto
delle stesse comparativamente al desiderio di quell' immenso
popolo , e se non si avesse a temere di venir proverbiati da-
gli adoratori fanatici di tutto ciò che romano è, direbbesi che
era sconosciuta a latini l'ingenua varietà delle gentili adunanze,
ritenendo sempre la vanità nazionale, le discordie civili, e le
lascivie militari. Che poi il teatro comico iion entrasse a far
parte della educazione pubblica , si può desumere dal non tro-
vai'sene motto nelle opere di Cicerone , massime nelle lettei-e
famigliari , ed è pure dal non essere in onore presso que' sta-
252
pendi ingegni qhe non potè sollevarsi alla sublimità , e restò
sempre nella rozzezza de' suoi principiì. Donde avvenne che
tanto fu pregiata e si apprezza V innocenza de' versi di Virgi-
lio ? Chi ci assicura che piacesse altresì la laidezza de' comici?
Convien però dire che il senso del bello ideale dei colti Ro-
mani non fosse quello del popolo , poiché questo genere di let-
teratura fu negletto , non esercitò alcun lodevole ingegno, non
se ne trova menzione ne' classici scrittori.
9-
Dalle ragioni in sino a qui discorse appare in qual giusto
conto si debbono tenere i comici antichi e popolani, ed è
chiaro che non si possono addurre in esempio di comico scri-
vere. Infatti mutati i tempi e le idee , migliorate le scienze ,
purgati i costumi , il teatro suole essere ed è una scuola al
popolo del ben parlare e del rettamente condursi visando nelle
società, sottentrò ancora alle pubbliche feste per rallegrare il
popolo, il quale come ognuno sa, è composto di distinte classi,
le quali devono ugualmente partecipare al diletto che se ne
ritrae. Per il che la commedia stessa, onde allegri e fruttifichi
moralmente, deve raggirarsi fra persone distinte e popolari,
onde abbia ciascuno a riconoscere i vizii ed i difetti della di-
stìnta condizione che ha , a fuggire i pericoli che vi soprastano 5
e dee per V appunto richiedervisi una varietà e aggiustatezza
di giudizio , un delicato colorire di stile , un interessante de-
gradare di oggetti e di situazioni , che accetto sia a spettatori
che traggono in folla a questo civile passatempo. Questo, per
così dire, affeziona alla lingua della patria , abituando gli orec-
chi a pronunziare e rilevare le appropriate finezze dell' idioma
nazionale , giova a migliorare 1' urbanità che è di gran mo-
mento nella vita civile , e di per stessa tende a prevenire molti
delitti , e rende men nojosa e sensitiva la differenza che passa
tra gli uomini inciviliti , laddove dimostri che i potenti pos-
sono pure abbisognare del povero virtuoso , e spesso i grandi
doversi rammentare i funesti successi dell' ambizione e della
superbia. Ultimo non è a considerarsi il diletto che s'apprende
agli animi , ingenerando ne' medesimi un dolce sollievo dalle
fatiche e dagli affanni della gigiuata , ed è eccellente l'osserva-
253
zìone dì un gran filosofò , il quale pone per fondamento di un
governo saggio e politico la necessità di prolungare il più che
sia possible i piaceri morali pubblici, acciocché gli animi pos-
sano fuggii'e le suggestioni della solitudine, fatale sempre all'
uomo socievole , che la cerca per alleviamento e per la quale
poscia precipita nella miseria. Che se gli eletti spinti d'oggidì
s'affaticano per rendere il vivere meno affannoso e più lieto,
e ricevono da ciascuno lodi e tenerezze , non minore esser deve
la riconoscenza verso il gran padre della commedia moderna
o civile italiana , che urtar dovette con nna moltitudine intol-
lerante e vaga di strani e arditi concepimenti , onde disporre
gli animi e spingerli a gustare i benefizii dell' incivilimento ,
per lui furono additate le norme e le fogge migliori del bello
comico che ci ricrea.
IO.
Ebbe il Veneziano poeta un ingegno immenso e stupendo,
atto e disposto a profondarsi nello studio delle umane affezioni,
a spiarne tutte le apparenti deformità viziose, a svelarne le
cagioni per diradicarle , e bene spesso con accidenti naturalis-
simi fa apparire bella virtù , anche quando il vizio scusabile
rendessero le circostanze della favola, sapendosi che nella vita
spesso la facilità nel praticare una azione lodevole dà l'appicco
e quasi feconda il germe di un vizio opposto , ardua e diffi-
coltosa per lo meno e sottile è questa maniera di inserire gli
affetti e l'interesse di'ammatico ne' personaggi comici , quel ve-
lare r artificio con brio , disinvoltura , e quella impazienza di
non sapere a che debba riuscire il fine della commedia , di-
mostrano la finezza e la felicissima industria dell' artefice co-
mico. Ma questi pregi che eccellenti sono, ed i primi ad ap-
prezzarsi in cosiffatto genere di poesia , non appagano intiera-
mente coloro che nelle comiche rappresentazioni vorrebbero
che si avesse cura del ben morale del pubblico, fossero derise
le leggerezze, depresse le viziose cortesie, fulminati i capricci
della moda , mantenuto il fior del linguaggio della nazione , e
la dignità dell' uomo virtuoso, virtù queste che si desiderano
nelle amenità goldoniane, non già per difetto dell'autore, che
diede precetti e moòtra d'essere impressionato della purezza
254 I
del gusto comico ; ma piuttosto de' tempi i quali visse poco
fortunati, e sempre perseguitato dall'avversa fortuna , dalle in-
vidie e dall' acerrima e spesso ingiusta ed intollerante bile del
Baretti , che fu pure uu detestabile esempio di maldicenza let-
teraria , non ancora abbastanza aborrita dagli italiani.
I I.
Molti credono cbe oltre alle doti preaccennate debbano an-
cora aver luogo nelle commedie le festività , le risa incessanti,
e certe disinvolture de' giocolieri , biasimando gli autori clic it;
banno bandite dalle loro composizioni , e recano per sostenere
la loro opinione 1' esempio del Goldoni , il quale con le ma-
schere veneziane sa allettare molte maniere di persone, ftla noi
non troviamo vera questa supposizione, perchè resta a provarsi
se a misura che la società si ingentilisce , e 1' uomo si abitua
a curare e lodare le opere lodevoli , siano sempre necessarie
la frivolezza, gli equivoci dei nomi, i proverbi del mercato,
ovvero il diletto derivi dalla condotta ben congegnata della
commedia, dalle situazioni spontanee e importanti, dalla va-
riata e coerente pittura di tutte le persone che la compongono,
da certo ghiotto di gentilezza, di doveri, d'usanze, di Irizzo
delicato che affezioni alle rappresentate istorie. Noi in questo
punto di letteratura non ci troviamo compagni di pensare a
Carlo Botta, il quale pure lamenta che le risa sieno cessate,
e vorrebbe ricondurci a tempi goldoniani, a pantaloni, ad ar-
lecchino , che il poeta intruse nelle sue commedie per avvez-
zare gli animi a sentire i veri pregi del bello comico gradata-
mente, e per non urtare di fronte le opinioni che dominavano
nel teatro di que' tempi ,• però le sue memorie, le dediche, lo
prefazioni ben dimostrano che ebbe e tenne costante abborri-
menlo a questa ciurmaglia cenciosa, gradita per ell'etto delle
circostanze che lo tiranneggiavano, ma non pensò già a larla
andare in cappa sul palco, come direbbe il padre Cesari. Vuole
pure il detto storico che per avere gli italiani bandita la croce
al dialetto fiorentino nelle commedie, penino ad avere uno stiic
da ciò, e cita l'esempio de' Parigini, i quali ammettouvi esclu-
sivamente il loro dialetto. Ma e Molière scrisse in dialetto pa-
rigino le sue divine commedie? Tuttavolta se gli esempi fossero
255
ragioni. La nazione italiana deve pargoleggiare con le frasaccie
di mercato vecchio , con le insulse e goffe maniere di conver-
sazione, con le invereconde allusioni a riti sacri, in somma ri-
tornare alle bestemmie del medio evo per far cosa grata a po-
cliissimi razzolatori de' vecchiumi? E egli possibile che un so-
lenne prosatore possa ridursi a riprodurre con diletto le prime
accozzature delle idee , le prime concordanze per dirla co' gra-
maticl? Cosi volesse il cielo che sorgessero distinti favoleggia-
tori comici , e non fosse sì giustamente deplorata la povertà del
teatro italiano, mentre chiunc[ue volesse soccorrere a tanta mi-
seria, facilmente sì persuaderebbe che il tornar fra due credi,
il pigliare due colombi con una fava , il pisciare in tanta neve,
sono espressioni che fanno rossore e vergogna , e oggidì non
meritano 1' onore di una seria confutazione.
12.
Ma parlando di stile comico , di squisita urbanità ne' carat-
teri di tutti i personaggi , rammentando la speciale moralità
della commedia , volendo accennare all' ottimo conversare della
buona società , chi vinse o si accostò per meglio dire alle opere
del Nota ? Noi che reggiamo sempre con sincera gioia dell'
animo riprodursi quelle sue eccellenti rappresentanze , osser-
viamo che tutti gli spettatori con vivo trasporto ne seguono il
principio, l'andamento, lo sviluppo. Giudichino i più perfetti
neir arte , se ad esse nuocano forse alquanto le allusioni a' co-
stumi presenti, di per se stesse fuggevoli, quando la vera com-
media è per passare alla posterità , o se vi si debba desiderare
uu più accorto e profondo maneggio delle umane passioni, una
maggiore perseveranza nel condurre il nodo e discioglierlo per
mezzo d' affetti contrariati o succeduti , e non già con le so-
lite necessità di convenienza. Quello che non dobbiamo preter-
mettere si è che r Italia non può abbastanza ringraziarlo della
nuova commedia moderna o civile, della quale ha tanto me-
ritato dopo le riforme tentate, e messe nella massima parte in
opra dal Goldoni, il quale è e deve essere il monarca della
commedia italiana. Gonchiudereino che dopo avere notati con
quella accuratezza che per noi si è potuto maggiore i pro-
riessi del teatro comico italiano , non intendiamo di affermare
256
che la commedia debba fra noi ancora crearsi, essendo questa
proposizione del tutto ingiusta , mentre priva uno stupendo in-
gegno della gloria immortale già per esso imperscrittibile , e fa
ingiuria ad un preclaro nostro concittadino , cui oggidì non
può più appannarne la fama, né la invidia de' tristi , né le
infatuazioui letterarie dell' orgoglio municipale. Il secolo inci-
vilito e riconoscente rispetta il merito , odia le liti che lo con-
trastano , e sa da lunga esperienza che non ugualmente in tutti
i cultori del vero e del bello la sublimità si manifesta.
G. E. Gh. * • *
Scene Torinesi dì Paolo Gìndri.
( Torino iSSj. Presso Bellatore librajo in Dora Grossa ).
Quest' anno embolisroale del 1837 apparve per noi promet-
titore di una novella attività letteraria. Il primo giorno dell'
anno in sui canti della Capitale fra la schiera delle Notifìcanze
delle pubbliche aziende , i Tlletti per incanti , le obblazioni
di mancie per oggetti smarriti, e gli avvisi teatrali, si vedevano
annunziate a lettere d' appigionasi le Scene Torinesi di Paolo
Giudri , e le poesie di Giorgio Brlano.
Scegliamo la prima di queste due strenne letterarie per re-
galarne un saggio ai nostri lettori.
Il numero delle Scene che il sig. Gindri ci rappresenta non
è per ora copioso; esso è soltanto di tre.
Veggiamo nella prima una giovane sposa amante riamata dallo
sposo suo, che per essere stata costretta dallo suocero vecchio
legale, e dalla suocera inesorabile pinzochera a giurare di non
aver mai tradita la fede conjugale, si ammala, languisce per
tre mesi, vede perire il suo portato, muore ella stessa; ed il
marito disperato fugge dalla casa paterna, e scomparisce per
sempre.
257
Se da uà cauto la moralità di questo primo racconto è giu-
sta e lodevole perchè ci mostra come talvolta sotto il velo di
una farisaica divozione possano nascondersi le più soaturate
ed egoistiche passioni , e quelle maniere che attossicano la con-
vivenza domestica 5 egli è poi dall' altra parte un vero peccato
che gli accidenti che conducono alla catastrofe, e la catastrofe
stessa siano xipieni- d' incoerenze e d' improbabilità.
Difatti come supporre che uua giovine sposa forte della pro-
pria coscienza che nulla ha da rimproverarle, forte dell'amore
del proprio sposo , e forte ancora del sentimento per il primo
frutto del suo amore, siasi lasciata sbigollire da un giuramento
prestato nella propria abitazione , alla sola presenza di due vec-
chi imbecilli (sebbene nella forma solenne prescritta proprio
dalle RR. GG. ), a segno di ammalarsi e di morire? Chi può
credere ad una conseguenza sì luttuosa dello aver giurato in
sostanza uient' altro che la pura e pretta verità, cioè la pro-
pria innocenza? Come supporre poi che una nuora che aveva
la coraggiosa malizia di presentare alla riottosa suocera la vita
della Beata Pacifica ogni qual volta essa imbizzarriva , sia poi
stata cotanto timida da succombere all' impressione di quella
ridicola funzione ? Gome supporlo tanto più dacché essendo la
stessa suocera stata educata da una zia ex- monaca , e ciò fa-
cendo ai-guire che l'epoca dell'azione- sia tutta recente, l'edu-
cazione perciò della nuora avrebbe naturalmente dovuto essere
assai meno passiva e superstiziosa ? Gome finalmente supporre
eh' essa abbia per tre mesi continui languita inferma
• « Come face al uiaucar dell' alimento »
senza aver mai versato nel seno dello sposo che pur tanto amava
la confessione della patita violenza e dello spavento sofferto ?
Perchè ancora il confessore di lei il buon padre Anastasio stette
tre mesi a saperlo, e come lo stesso marito dovette aspettare
ad indovinarlo fra mezzo ai delirii della morente ?
Tutte queste già son molte, ma non sono ancor tutte le in-
verosimiglianze che si riscontrano in questo primo racconto del
sig. Gindri. Gorac credere difatti che un vècchio legale che ci
^7
258
vien dipinto tanto indolente ed impassibile per lutto ciò clie
non è guadagno e danaro, siasi poi preso tanto a cuore il sup-
posto traviamento della nuora ? Uomini di tal pasta sono fatti
per non curare nemmeno i reali traviamenti delle proprie mo-
gli , non che alFannarsi cotanto per quelli immaginarii delle
nuore.
Giù inquanto al complesso della novella; ma in quanto alle
particolarità noi abbiamo trovato tioppo prolisso e monotono
il dialogo tra la vecchia sibilla ed il consorte 5 quella specie
di spietato Giurì conjugale tanto diverso dagli ameni lits de
justice che leggiamo descritti nel Tristam Sandj.
Ma per compenso trovammo assai leggiadra la dipintura dei
divoti abituati di S. Tommaso 5 se non che ne parve che talvolta
l'autore non collochi sempre in un sito conveniente quei varii
ritratti , di cui va facendo raccolta per riporli nelle sue più
grandi composizioni. Per esempio quel vecchio pezzente causi-
dico a cui il ventre divorò ogni cosa , non pare propriamente
al suo posto appoggiato, come il Gindri cel fa, ad una colonna
della chiesa in ginocchioni e col maggior raccoglimento , mentre
forse sarebbe stato più. facile trovarlo o in una taverna, oppure
sopra un scartafaccio a fare la cabala per il lotto, ovvero ad
aggirarsi sotto l'atrio delle Gurie per raccogliere i briccioli ca-
denti dagli epuloni del cavillo.
Il secondo racconto è distribuito in due scene. Commovente
si è il contrasto eh' esse presentano tra la virtù del povero ed
onesto artigiano , ed i vizj che talora ammorbano la gente che
vive in mezzo al lusso , ed alle classi più agiate della società.
Eccone l'argomento. Antonio , giovine fabbro ferrajo , fattosi
soldato per disgrazia d' amore e poi ottenuto il suo congedo ,
trova in città fra gli agj di una vita colpevole la fanciulla di
cui si era invaghito. Lasciata costei al suo destino , ritorna al
natio villaggio , dove si fa sposo ad una ben più savia fanciulla
che malgrado la sua incostanza e la sua assenza , pure aveva
continuato ad amarlo di un vero amore. Venuto un giorno colla
sposa in città, incontra la traviata nel momento appunto in cui
essa è portata inferma e morente all' ospedale di S. Giovanni.
Teneri e cordiali sono i colloquii che questi sposi virtuosi ten-
259
gono coir infelice j pieno di verità 1' alterco che ne segue col
portinajo dell' ospizio , il quale si mostra uu vero campione
di quella prepotente baldanza , di cui sono tronfi soventi co-
loro che nei pubblici stabilimenti e nelle case dei grandi oc-
cupano i posti più vili. Era questo portinajo un vero cerbero
dell'ospedale, e presentava tutt' altro che l'insegna dello spi-
rito di beneficenza che lo aveva fondalo.
Al terzo racconto va innanzi uu quadro dove con bella vi-
vacità sono pennelleggiate alcune caricature, e tratteggiato so-
prattuLto quel cupo contegno di malinconia con cui i begli spi-
riti d'oggidì amano atteggiarsi l'ingegno e le sembianze; osten-
tando ne' modi quell' aria di abbattimento e di sconfitta nelle
loro più incontentabili speranze, come i cicisbei d' una volta
ostentavano i trionfi delle loro eroiche assiduità. Abbiamo per
altro rilevato un piccolo anacronismo ijn questo quadro, ed è
che sul finire del secolo passato , epoca in cui succede il fatto
che qui si prende a raccontare, quell' afi'ettazione di mestizia
non era per anco 1' andazzo di quell'epoca , come le celebrità
del Moilura e di Donzelli non erano ancor sorte sull'orizzonte
di Piazza Castello.
In questo racconto poi ci vengono descritte le peripezie di
un povero e difforme uomo , disgraziato dal primo suo vagito
sino all' ultimo suo gemito, uno di quegli uomini che nascono
e vivono per essere infelici, e di cui si potrebbe proprio dire che
la sventura è il loro pianeta. Per altro molti consolanti tratti
della generosità e virtù popolana spiccano in questo quadro. Al-
cuni incidenti occorsi negli anni delle Petecchie , che pajono
scritti per quelli del Cholura. Ma poi a questa vittima della
difformità e della miseria il sig. Gindri non dona per isfogo le
bestemmie della disperazione, né le iuvettive contro l' ingiu-
stizia del mondo, ma con più sano consiglio la circonda invece
di un'aureola di rassegnazione e di speranza nella Provvidenza.
Ed è questo un pregio notevole non solo di questa, ma di lultu
le altre Scene del Gindri, che tanto le intenzioni sue, come le
impressioni che lasciano, sono tutte religiose, morali ed istrut-
tive. Nel che riconosciamo 1' effollo delle ispirazioni che l'au-
tore ha ricevuto da quel degno Ecclesiastico a cui per affettuosa
gratitudine egli le ha dedicata-.
260
Prosegua egli dunque nell' intrapreso cammino. Senza diser-
tare la scuola onde sì bene profitta di La-Bruyere, di Mercier,
di Walter-Scott e di Balzac, conservi però nello stesso tempo
alle sue pitture i colori locali, affinchè non pajano scimiottag-
gini straniere , ma bensì quadri originali coli' impronta della
nazionalità. Nel maneggiare ìe tinte usi con parsimonia dell'
ideale, e si attenga piuttosto alla scliietta realità. Fedele alla sua
stessa sentenza che ogni secolo ha i suoi tratti j, e le particolari
sue tendenze , conservi ad ogni epoca , ad ogni generazione la
sua fisouomia, discerna la società anteriore alla rivoluzione fran-
cese da quella dell'Impero, e questa da quella che sorse dopo
la restaurazione. Disegni la linea che distingue le varie classi
di questa società , ne palesi gli screzj , i pregj , i difetti e le
ridicolaggini. Ciascuna casta , ciascuna condizione , ogni pro-
fessione abbia i suoi contrassegni, le abitudini ed il linguaggio
suo proprio , ciascun individuo le sue fattezze. Sappia in una
parola cogliere sul fatto le varie modificazioni del vivere sociale.
Cosi conservando uno stile purgato e spontaneo , raddop-
piando di studio e di coraggio , e tenendo ognor vivo quello
spirito di osservazione di cui è dotato , le descrizioni del sig.
Gindri riusciranno, come quelle che abbiamo già lette, pia-
cevoli senza essere mordaci, spiritose senza essere maldicenti,
satiriche ancora se così si vuole, ma senza virulenza, senza
pettegolezzo.
Ignorati consigli non sono certamente questi dal sig. Gin-
dri, ma non gli giungeranno tuttavia discari , ripetuti da chi
si aspetta da lui una raccolta di Scene schiettamente Torinesi,
leggiadre per diletto , ed utili per ammaestramento \ ben di-
verse insomma da quella scipita Cocjuette en Turin che ci venne
regalata 1' anno scorso.
S. B.
261
Belle Arti — Lettera VII.
RlCEROHE SUL BeLLO MuSICALE
Carissimo Amico
Se a voi fosse si nota
La divina incredibile Bellezza
Di eh' io ragiono ....
ILIisnrnta allegrezza
Non avria il cor ....
Petrarca,
Era anticamente la Musica maestra d'ogni cviltura e civiltà.
Dopo la filosofia essa educava gì' ingegni , formavagli a' bei co-
stumi , ai delicati sentimenti. Di qui è che ogni arte ingenua,
e la scienza civile pur anche sotto il comun nome di musica
erano comprese , quasi fosse ella un fonte da cui ogni saper
derivasse, od una metafisica a cui ogni arte e scienza si potesse
ridurre 5 ed in questo significato debbesi intendere quanto fa-
volosamente si narra di Orfeo, di Chirone, e di Anfione. Fu
anche un tempo in cui si congiunse la musica cogli studj più
severi, colle più profonde speculazioni, siccome l'armoniosa
filosofia de' Pitagorici, e più tardi quella di Platone ci assicura.
Ma perduto coli' andar de' giorni molto di sì largo dominio ,
trovossi alla fine ridotta al piccolo governo del canto, del suono,
e della danza 5 cosicché quella divina armonia che gli antichi
avevano udita, e veduta pel gran teatro del mondo fisico, e
morale, non più si udì da noi che nello stretto circolo de' pas-
satempi. In tale e tanta ristrettezza non è però credibile , che
ella sia affatto degenerata dalla sua natia virtù, né fior più abbia
di quella efficacia , per cui un giorno era tenuta portentosa.
Nella sua essenza penso io cVie debba essere ancora quella d'una
volta, benché negli effetti forse per la diversità de' tempi, o
per colpa nostra non 1' abbiamo ancora sentita. La qual cosa e
veramente degna di maraviglia; perchè avendo i moderni nelle
altre arti degnamente continuata 1' opeia degli antichi, ed es-
sendo giunti per mezzo di queste a risuscitare quel Bello che
per la barbarie de' secoli era presso che esliuto , io non so
262
come fatti non si sieno eguali sforzi par rarvìvarlo anche ia
<£uest' arte si importante. Vorrem noi dire che la musica no-
stra non vi si arrenda, o che noi moderni non siamo da ciò?...
Infinite scuse si potrebbono addurre per coprire la nostra o
impotenza , o ignoranza , scuse le quali ne' tempi in cui la fi-
losofia unita al buon gusto regna nelle arti non si sogliono -udire;
ma quando i pregiudizj, le male mode, il cattivo gusto han
corso, quando le arti son malmenate, trovansi molte difficoltà,
e pretesti a scapito delle medesime , né conoscendosi più la via
della loro bellezza, se ne mette ia dubbio o l'importanza, o
r esistenza.
Perdonatemi, amico, questo preludio, il quale stava per mu-
tarsi in invettiva se non mi fossi ricordato della vostra richiesta
sul Bello musicale. Forse non vi parrà inutile a quanto sono
per dirvi intorno al propostomi argomento; e Dio volesse che
m' avesse spianata la strada che deggio fare per contentarvi !
Perchè a dir vero in queste ricerche mi vedo in impacci non
rainorl di quelli in cui trovavasi il povero Ippia, allorché So-
crate, come Platone riferisce, voleva cavargli di bocca questo
Bello medesimo. Ma onde schivar per lo meno quegli scoglj
in cui dava sovente l'interrogato Sofista, non sarebbe egli ben
fatto 1' intenderci prima e brevemente che sia questo Bello ?
In tanta varietà e dissonanza di opinioni , e di definizioni , salvo
il rispetto che debbo a tutte, io direi col mio Socrate da Ven-
timiglia *i , che il Bello sia la perfezione; cosi che in tanto
bella si possa chiamare una cosa in quanto nulla le manchi ,
e tanto più bella quanto più perfetta; e per l'opposto brutta
sia quella che non solo manchi di qualche parte, ma inoltre
ridondi di parti non sue. E perciò bello sarà un lavoro musi-
cale ove abbia quanto debbe avere, e brutto il contrario, colla
quale perfezione non potrà a meno di non piacere a tutti , e
sempre ove il gusto non sia affatto corrotto, l'intelligenza presso
che spenta.
Ciò posto cominciando per ora a sottrarre dalla musica il
canto e la danza, onde considerarla nuda nata in sé come sem-
"i Giuseppe Bianionti nel suo discorso sul Bello,
265
plice artifizio di suoni misurati , vediamo quali sieno le sue
parti costitutive, onde ricercar in appresso se siano o no capaci
di bellezza. E le sue parti altro non sono che la melodia^ Var~
monia, il tempo, molto simili al disegno, al colorito, all'om-
breggiamento della pittura 5 i quali elementi hanno il fonda-
mento loro in quella natura di cui essa vuol essere imitatrice..
La melodia è una semplice cantilena, un motivo, ed una serie
ragionata di motivi, di pensieri musicali, non dissimili dai
poetici, od oratorj; potreste anche chiamarla ^na, o per la sua
sottigliezza riguardo al corpo di tutta la sinfonia, o per somi-
glianza che abbia alle fattezze de' volti atteggiati secondo la na-
tura, od il costume. Eccovi il disegno musicale, che come nella
pittura limita coi contorni lo spazio, e genera le forme. L'ar-
monia è il simultaneo accordo di più suoni, di consonanze e
dissonanze, è il motivo medesimo, come dice Batteux , che si
moltiplica, e varia per se stesso, è il colorito della tela musi-
cale che dà corpo alle forme già delineate. Il tempo finalmente
è il metro j il ritmo, la prosodia della musica che colla varietà
de' moti accelera o ritarda i suoui, allunga o raccorcia gli ac-
cordi, dà valore alle note, col quale uffizio ombreggia il dipinto
musicale, fa risaltare, e staccare le forme ed i colori la melodia
cioè, e l'armonia. E questi tre elementi, come diceva, sono
fondati nella natura 5 poiché la melodia è imitazione degli ac-
centi della voce, della declamazione, del canto; 1' armonia s'ap-
poggia sul fenomeno degli accordi armonici i-isultanti dal corpo
sonoro, o se volete anche è la voce umana medesima imitata
nelle sue varie tensioni secondo le età od il sesso-, il tempo
musicale è fondato nell'ordine, e successione de' momenti ,
nella lentezza o celerità del moto che prendono le azioni, e le
passioni umane. Queste tre parti si uniscono, si equilibrano tra
loro a formare il tutto musicale , benché talvolta non con e-
guale proporzione , o dirò meglio con eguale manifestazione ;
poiché dar si possono alcuni tratti di composizione in cui p. e.
la parte melodica non sia sensibile, dovendo l'armonia sostenere
la parte principale, siccome accade pure a questa di dover ce-
dere il luogo più cospicuo a qiiella 5 ed in questo caso il pen-
siero musicale apparisce nella sua luce natia a guisa de' con-
264
ccttl logici, allorché si sceverano dagli ornamenti dello stile, e
della composizione, a guisa delle figure delineate sui cartoni
de' pittori 5 ma nell'uno e nell'altro caso il tempo ritmico giam-
mai non manca siccome quello che misura la durata della parte
tnelodica ed armonica , e senza cui non puossi condurre un
tessuto n usìcale. Né qui farà d' uopo che io aggiunga che la
melodia è piuttosto figlia dell'invenzione, l'armonia dello stu-
dio , il tempo del sentimento ; questo processo ha la musica
comune colle altre arti , e da queste tre fonti ogni opera d'in-
gegno che aneli all' immortalità dehbe scaturire ; solamente
vorrei avvertirvi , che le melodie nuove sono come i pensieri
nuovi, cioè molto rare-, e che talvolta i maestri le tolgono su
dal comune, se le fanno proprie, le rimescolano, le abbel-
liscono, e loro danno quell'aria di novità, e d'invenzione per
cui si tengono come parti felicissimi di musicale fantasia; della
qual verità la storia m' assicura in quanto a vecchi composi-
tori , e r esperienza me lo conferma in quanto ai moderni. Né
questo è difetto in musica, siccome non è ne' dipinti storici di
antico soggetto copiare i ritratti dei viventi , stante la grande
carestia di originalità , a cui volle Iddio che si supplisse col-
r imitazione della natura , la quale imitazione per la brevità
dell' umano ingegno tiensi per una tal quale creazione. Solo
può essere difetto in questa parte allorché il Maestro smemo-
rato espone nel suo lavoro le cantilene come le ha trovate ,
dirci quasi ancora sudicie e meschine; per la quale spensiera-
tezza ^he avviene? Avviene che le son tosto riconosciute, e ri-
portate al trivio d' onde erano state tolte.
Ma a che vado io abusandomi della pazienza vostra ? Voi
volete il Bello, ed io già toccava il brutto. Su su adunque la-
sciamo i trivjj ed alziamoci a contemplare questo sole, se pure
gli sguardi nostri senton virtù di fissarlo. 11 Bello è la perfe-
zione, ed una bella musica dovrà essere un lavoro perfetto,
finito, di nulla mancante in tutte e tre le sue parti. Se è così
cerchiamo in qual modo potrà essere perfetto , ed in primo
luogo io vi chiederei se possa darsi una musica vera? perchè
allora vi scorgeremmo tosto un carattere di perfezione, o bel-
lezza. Benché la verità sia nelle arti chiamata verosimiglianza,
265
e talora naturalezza ,• nondimeno ella è sempre verità , la quale
nel mondo artifiziale non che d' essere odiata o perseguitata ,
è anzi e amata e ricercata. Ma quando sarà vera la musica?
quando co' suoi tre elementi avrà espresso un oggetto, un sen-
timento , una passione tale quale si trova in natura 5 quando
coi suoni avrà significato quel che è realmente, o quello che
doveva essere; insomma quando ritrarrà al naturale quelle cose
che sono di sua spettanza in modo che si vedano anzi che s'o-
dano nel vero loro aspetto. Né ciò vi paja difficile 5 perchè i
suoni hanno tanta forza per emettere una verità, quanta le
parole, ed i gesti. Ma la verità ama talvolta di comparire in
compagnia della semplicità , rifiuta gli ornamenti , la pompa ,
e gli altri prestigi di cui sanno addobbarla gl'ingegni onde pro-
cacciarle fausta accoglienza. Di questa virtù si mostrarono molto
amici i primi cultori delle arti, coloro che per felice disposi-
zione di natura lavorarono dapprima il vergine terreno dell'i-
mitazione. Ed in questa virtù molto risplende 1' antica scuola
italiana e sopra tutti i vecchi maestri il RaiTaello della musica
Pergolese; il quale comechè molti e buoni imitatori abbia avuti;
pure ninno in questa parte lo potè eguagliare. Ma, come vi
diceva , la nostra antica scuola molto amò ne' musicali lavori
la verità dell'espressione corredata da un far semplice, schietto,
spontaneo, ingenuo, sì nella parte melodica, che nell'armonica;
né posso capire come questa semplicità sia così ahborrita dai
moderni! segno evidente che non cercano questa bellezza che
noi cerchiamo. Eppure la sarebbe una bella novità, sarebbe un
gran risparmio di fatica e di noja per tutti, un infallibile ri-
medio contro quella nausea che tutti sentono, e pochi vogliono
confessare !
Che se voi nulla avete ad opporre contro queste due virtù
io tiro innanzi e vengo ad una terza gemma di bellezza , che
è r Unità. Ben dice il Casa che il bello è uno , il brutto è
più; e come abbiam detto che la melodia è il disegno musi-
cale; così a me pare che 1' unità sia molto propria di questa
melodia senza pei'ò escluderla dalle altre parti , tanto meno
dal tutto. Ed infatti non sembra anche a voi che i motivi di
cui la parte melodiosa si compone, non siano come tante prò-
266
posìzronì connesse tk-a di loro, e tutte subordinate ad una prin.
cipale? Quando in una composizione di grave soggetto il primo
motivo è forte, il secondo pacato, il terzo gajo, il quarto co-
mico e via discorrendo, potete voi darvi a credere che vi sia
unità, o quel che è peggio, che una musica non sia capace di
questa virtù cosi richiesta negli altri lavori dell' arte? Perchè
non si potrà in musica fare un raziocinio di cantilene, e de-
rivarle r une dall'altre sì che tutte si somiglino, e tutte sieno
figlie legittime della stessa madre? Ma anche coli' unità di me-
lodia dovrà accordarsi F armonia , ed il ritmo ; ogni parte debbe
collimare al tutto 5 ogni accordo, ogni modulazione, ogni mu-
tazione di tuono , o di movimento debbe concorrere a quel-
l'uno, come in un dipinto le diverse figure, i varj atteggiamenti
concorrono ad esprimere il soggetto dal pittor ideato. Gli epi-
sodii che pur debbono essere permessi in musica, ove sieno
opportunamente collocati, non potranno guastare quest'unità,
questo mirabile accordo di parti. Da questa virtù nasce un'altra
che è la varietà, condimento di qualunque composizione, ri-
storo e sollievo della mente che contempla le opere dell' umano
ingegno. L'udito in questa parte per nulla differisce dagli altri
sensi, i quali abbisognano sempre di nuove scosse, di nuovi
oggetti onde prolungarsi il piacere, e le arti figlie della natura
varia nella sua unità sanno contentare i sensi, sanno adattarsi
ai loro bisogni. Ma se ciò fanno le altre perchè noi farà la mu-
sica ? qui non v'è dubbio, avendo quest'arte un mezzo di va-
riare tutto suo proprio. Ella sa trasformare i suoi motivi in cento
maniere colla imitazione, col passaggio dal maggiore al minore,
e viceversa, colla mutazione del movimento, col rovescio degli
accordi , e che so io. Di questa virtù si abbellisce sopra tutto
l'armonia, simile appunto all'artifizio del colorire, e del va-
riare armonicamente le tinte. Pochi invero sono i suoi colori,
giacché gli accordi consonanti, e dissonanti da cui risulta, si
riducono alla terza , alla quinta , alla settima colle loro dimi-
nuzioni ed accrescimenti , e coi loro rovesci 5 ma con questi
pochi colori ella può variare all' infinito a guisa dell' aritme-
tica, e della scrittura, le quali con pochissime cifre o lettere
danno infinite combinazioni; e ciò sarà sempre una prova con-
267
vincente della superiorità di quegli ingegni primitivi, i quali
neir inventar le arti compirono a prò degli uomini le opere
della natura, seguitando i semplici metodi di lei medesima. Ma
in questa varietà musicale evvi un pericolo grande da schivare ,
ed è r abuso di questa natia , e propria ricchezza , abuso il
quale in un lavoro che tenda alla perfezione , all' espressione
del Bello può danneggiar molto l'unità e la semplicità. Il ma-
neggio dell'armonia richiede grande giudizio, essendo la parte
scientifica della musica, la parte filosofica della sinfonia. L'in-
gegno che non è imbrigliato dal sapere è un cavai matto, un
cavallo pericoloso , che sente ancora tutta la sua ferocia natia.
Omero, Virgilio, Dante, Fenelon furono grandi genii (Iodico
alla moda ) , ma grandi ed immortali poeti non poterono essere
che per quella scienza che gli colloca tra i solenni pensatori;
voglio dire che erano ingegni sodi non pazzi , non sbrigliati
come alcuni sogliono tenerli quasi per far loro maggior onore.
E siccome in musica 1' armonia è la scienza omerica, e dan-
tesca , è la filosofia di Virgilio , e di Fenelon , così i maestri
debbono sapere in qual modo s'abbia ad usare, onde non rie-
scano ignoranti, né pedanti, considerando che l'armonia è scienza
richiesta, ma subordinata, di necessità non di pompa, di eco-
nomia non di scialacquo.
Questi quattro caratteri finora discorsi, e che sono la verità,
la semplicità, l'unità, e la varietà, sembra a me che potreb-
bono già per sé concorrere all' opera del Bello musicale, siccome
concorrono ad esprimerlo nelle altre arti. Ma io ne additerò
altri quasi estrinseci , il cui concorso non è meno necessario a
quella perfezione che noi cerchiamo. In un dipinto, od in un
poema dopo l'invenzione molto é lodata la disposizione, siccome
frutto d' una intelligenza grande , e d' un gusto squisito. Questa
virtù non riguarda già gli elementi dell' arte , ma si bene le
parti d'un lavoro che l'artefice sta eseguendo. Cosi in musica
la disposizione non è già intorno alla melodia, all'armonia,
al tempo ; ma intorno alle parti della sinfonia , col qual nome
io chiamo qualunque lavoro musicale. Ora se la sinfonia ha
parti, dico che debbe avere disposizione, cioè ordine, collo-
cazione , concatenazione , transizioni opportune , senza di che
268
non potrà essere che un guazzabuglio. Io non so se i musici pos-
sano imitare i poeti in quella disposizione inversa, per cui si an-
ticipano certe cose che dovevano nell'ordine del tempo essere
posticipate ; ma son d'avviso che possano benissimo seguire le
orme della disposizione oratoria, o di quella più generale, per
cui ogni opera debbe avere principio, mezzo, e fine tra loro
corrispondenti. Ed infatti le sinfonie essendo per lo più compo-
ste di tre tempi, sembrano alludere a queste tre parti della dis-
posizione generale. La prima parte , ossia 1' allegro moderato è
come un esordio. Essa dispone l'uditore, getta le sue propo-
sizioni, partisce chiaramente quanto vuol discorrere in appresso.
Seguita r adagio , o l' andante , in cui scorgesi un perfetto
discorso musicale , ma alla maniera degli oratori , i quali nel
ragionare dilettano, e muovono,- né la musica in questa parte
ha invidia dell' eloquenza. Viene finalmente l'ultima parte ,
Vallegretto ^ od il presto, il quale epiloga, rammenta, conchiude
con quella vivacità, e fretta, e confidenza che parte dalla con-
vinzione d'aver esattamente provato, e dimostrato quanto erasi
proposto. Con questo metodo paiono a me scritte le migliori
sinfonie de' tedeschi principalmente dopo gli esempi d'Haydn,
la cui musica, e per severo raziocinio, e per l'oratoria dispo-
sizione si può chiamare senza fallo eloquente. Perlochè io dico,
che se i grandi poeti antichi e moderni avessero dovuto parlare
in musica , avrebbero probabilmente seguito il metodo dei
maestri italiani del secolo passato ; ma Demostene , e Tullio ,
e Gasa , e Bossuet avrebbero parlato come Haydn , e Mozart ,
e Mehul, e Beethoven , ed altri sinfonisti germani. Ridebis ;
e ridete pure. Se la poesia è come la pittura , perchè la mu-
sica non sarà come la poesia e l'eloquenza? Perchè non avrà
disposizione nelle sue parti? perchè dovrà saltare ne' suoi motivi,
nelle sue frasi di palo in frusca , e battere, come si suol dire,
la campagna senza filo, e scopo. Inoltre ( per venire a più ma-
teriale disposizione ) la musica non è ella una lingua come un
altra? Qual maraviglia! I suoni sono le sue lettere, le battute
le sue parole, i motivi le sue frasi , le cantilene i suoi periodi,
le melodie i suoi discorsi , e via discorrendo. Cosicché il cre-
dere che queste parti sieno inette albi disposizione , che non
269
vi possa essere ordine , preparazione , misura , corrispondenza ,
venustà , precisione nel loro tutto è sciocchezza , e l' operare
secondo questo errore è ignoranza perfetta. Né aggiungo altro. —
Vi sono altre virtù da cui emerge il Bello, le quali sono pro-
prie dello stile musicale, di cui non posso ora parlarvi, dovendo
venire ad altre cose più collegate col mio soggetto. Ma voi non
istancatevi sì presto , perchè la via del Bello è ancora un po'
lunga, e disastrosa quasi come quella della virtù. Poiché finora
non osservammo questa Bellezza che per metà, considerandola
musica in se sola 5 ora applicandola alla poesia, ed alla danza
vedremo di qui uscire tutta quella luce che forse ci avviserà
della presenza della Dea ricercata.
La musica è come certe scienze speculative , le quali appli-
cate a spiegare i fenomeni della natura meglio dimostrano quali
e quante sieno , dove a considerarle in sé sembrano talora sogni
di cervello infermo. Ed appunto siccome poesia e danza sono
il concreto della musica , per esse si vede quanto valga e possa.
Già vi dissi parlandovi de' Greci, che poesia e musica erano
una cosa sola, ora dico lo stesso del ballo, ossia della panto-
mima. Né la ragione che guidò tanto gli antichi, quanto i mo-
derni ad accordare insieme queste arti , potè d'altronde derivare
che dalla osservazione della loro perfetta analogia. La misura del
tempo , ossia il movimento ritmico è comune a tutte e tre 5
epperciò il suono , il verso , il gesto regolati dal tempo possono
ridursi ad una sola espressione 5 poiché ove è moto uniforme,
od armonia di tempo che si manifesti particolarmente all^udito,
ivi è musica. E ciò è s\ vero, che pur altre arti, ove siano ca-
paci di ritmo , o cadenza misurata, partecipano tosto di musica,
siccome l'eloquenza, la ginnastica, l'arte militare 5 la prima
come figlia della poesia, le altre due come somiglianti alla danza.
Per fino certe arti meccaniche ne hanno un sapore ^ al che
volle alludere Virgilio dove parla de' Ciclopi, i quali Inter se
se magna vi brachia tollunl in numerum in cadenza. Inoltre
evvi tra la musica , la poesia , e la danza analogia in quanto
alle loro parti costitutive^ imperocché la melodia, l'armonia,
il tempo della musica corrispondono perfettamente alla sentenza,
al verso, al metro della poesia, all'azione, al gesto, alla ta-
270
deaza del ballo. E questo è accordo di necessità non di con-
venienza, vincolo di natura non di convenzione,- poiché quell'
altra ragione che si potrebbe addurre tolta da ciò, che congiunte
insieme accrescono la somma dei piaceri, siccome si può esten-
dere sopra altri mezzi di sensazioni piacevoli che accompagnino
musica , poesia , e danza , quantunque verissima non proverebbe
a priori l'analogia di queste tre arti. Ciò posto io dico che
neir accordarsi che fanno insieme la musica, la poesia, e la
danzasi prestano vicendevole soccorso, che dove l'una manca
sottentra l'altra, dove questa non può arrivare giunge quella-,
e ciò signiGca che congiurano insieme alla perfezione, all'es-
pressione del Bello. La musica per sé , e per la sua natura ,
la musica stromeutale non può dir tutto , e sarebbe ingiustizia
l'esigere di più, od il tenerla per ciò imperfetta; poiché an-
che le altre arti per se stesse non possono tutto. Quantunque
arrivi ella al sommo grado nella parte descrittiva , ossia nel
rappresentare gli oggetti , nella affettuosa o dove il gesto sia
necessario non può del tutto arrivarvi, e quindi ha d'uopo delle
altre due , le quali col loro più noto e volgare linguaggio sup-
pliscano all' intiera musicale espressione. Ma siccome la danza
è ora separata dalla poesia , uè più forma quel triplice simul-
taneo accordo di cui ragionavamo , bastando quel poco che se
n' è detto, la disgiungerò anch'io dal presente argomento per
considerare soltanto la consonanza della musica colla poesia.
Perciò dicovi , che il mezzo per cui queste due arti s' accor-
dano ^er r espressione dell'affetto é il Canto. Questo dono della
natura perfezionalo dall' arte, quest' articolazione di suoni af-
fine colla facoltà del parlare è il fondamento della musica poe-
tica. Il canto nella musica non è già imitazione , ma tipo e
modello d' imitazione della musica artifiziale , essendo sì natu-
rale il cantare che il pronunziare, modulare la voce, che arti-
colar le parole ; inoltre nell'imitazione é finzione, ma nel canto
non ve n'è, eccetto quando il falso gusto lo tira, e lo torce
a contraffare le sonore maraviglie degli stromenti. Per non avere
posto mente a questo modello naturale alcuni credettero che
la musica non avesse i tipi sensibili come le altre arti , e che
perciò il suo Bello (se ve n'era) non poteva stabilirsi. Ma per
271
tutte le Muse questo Canto che ha da essere , se non è egli
r archetipo della musica ! La melodia d'onde ha potuto prender
origine, l'armonia d'onde ha potuto prendere norma fuori di
questo canto ? Se esiste un popolo che non sappia cantare io
vi dico che non avrà musica 5 poiché non accorgendosi per la
grossezza dell' udito delle modulazioni della voce , non potrà
né anche accorgersi delle gradazioni sonore. Ma, come diceva,
essendo il canto l' anello mezzano tra la musica e la poesia ,
ove quella debba esprimere sentimenti, non può meglio che col
canto medesimo. Ora ove questo canto nelle sue modulazioni
manifesti quanto gli somministra la poesia con verità e sem-
plicità , con unità e varietà , cosicché l'espressione vesta quel
colore che è suo, non é dubbio che l'intiera musicale Bellezza
debba tosto splendidamente apparire. Allorché la voce umana
sottentra per l'espressione dell'affetto, ogni elemento restale
subordinato, ma principalmente la melodia, dalla quale subor-
dinazione , in qualunque modo avvenga ella , nasce mirabile
accordo ; poiché o cessi affatto la melodia, o riempia gl'inter-
valli della voce , o secondi il canto, o ne imiti le modulazioni,
od accresca forza all'espressione, o riepiloghi in principio, od
in fine il cantabile , sempre ne risulta un disegno semplice , uno,
e vero, il quale riceve i colori, e le ombre sue dall' armctoia,
e dal movimento, acquista varietà e venustà maravigliosa dal
concorso di tutte le parti musicali. Perciò disse bene Rousseau ,
che un' aria creata dal genio , e lavorata dal gusto debbe essere
il capolavoro dell'arte. Dal che potete anche comprendere darsi
piuttosto tra la musica e la poesia scambievole amicizia , che
servitù •, anzi avere in tal caso la musica ottenuto per la poesia
perfezionamento al suo linguaggio , avere parlato colla maggiore
precisione e chiarezza j linguaggio molto più vero, e ricco, e
forte del semplice poetico, siccome potrebbesi senza difficoltà
dimostrare. Tanto io son lontano dal credere all'asserzione del
Carpani, il quale dice che nella musica stromentale il maestro
è autore, e nella vocale solamente traduttore 5 come se in que-
sta il canto fosse elemento secondario ^ e la poesia da soggetto
che è della musica potesse diventarne l'originale. In questo
modo dovrebbonsi chiamar traduttori i Tizlaui, e i Caracci ove
272
prendano soggetti dai poeti o dagli storici , e tenersi per tra-
duzioni i loro poetici o storici dipinti ... !
Perdonatemi anche questa digressioncella j tante sono le cose
che si potrebbero dire su questo soggetto , che è difficile non
uscire talvolta di strada. Quello che doveva dirvi è questo.
Allorché il canto quale l'abbiam ravvisato attende ad esprimere
la bellezza dell' affetto , e del sentimento , può egli essere dan-
neggiato dal ripetersi , o dal variarsi? Supposto che le ripeti-
zioni, e le variazioni abbiano un certo limite, io credo che
non possano nuocere alla espressione , anzi io chiamerei questa
la facondia del canto. La poesia , e l' eloquenza hanno pure
queste geminazioni di parole e di frasi , e quando un bel pen-
siero degno di molta attenzione loro si è presentato non man-
cano d'inculcarlo, e di mostrarlo ne' suoi varii aspetti, e questa
è cosa naturalissima. E ciò è tanto più richiesto nella musica
vocale, dove talora la poesia dà il sentimento appena abbozzato,
lasciando al canto di dipingerlo intieramente , il che fare non
può se non ritorna sovente su quell'oggetto, e ritornandovi noi
varia onde metterlo in tutta la sua luce. Anche quando più
voci concorrono simultaneamente per l' espressione d' un solo
affetto , o per la dipintura d' un oggetto il Bello non debbe
patirne. Io non so se i duetti abbiano origine dai dialoghi ,
siccome pure i terzetti , e i quartetti 5 né anche saprei dirvi
se i cori generali sieno derivati da quelle tumultuose assem-
blee , in cui tutti parlano ad una volta 5 quel che so , e che
tutti sanno , si è che l'accordo delle voci debbe essere tanto
antico, quanto il mondo; poiché se gli uomini naturalmente
cantano , naturalmente anche possono mettere in armonia le
loro voci più tosto che le loro opinioni 5 eccetto che dopo la
confusione di Babele , e 1' origine delle varie lingue per la di-
versità degli accenti , e dell' articolazione questa vocale con-
cordia abbia dovuto cessarle , e star lungo tempo nascosta per
risorgere poi ai comandi dell' inventore de' duetti. Ma ni uno
lo vorrà credere. Posto adunque che l'accordo di più canti sia
naturale , onde la musicale Bellezza non sia offesa , è da por
mente che ove più affetti debbansi esprimere, più cantilene tra
loro connesse debbonsi pure adoperare, non essendo ragionevole
275
che l'aria d'una passìoixe possa servire ad un' allra , avendo
ciascuna in natura un accento diverso , il che s' intende allor-
ché le voci cantano successivamente. Ma quando vengono) ad
accordarsi insieme onde dar fine al concerto vocale , evvi da
lina parte pericolo che i motivi moltìplici danneggino l'unità,
e l'uno distrugga il buon effetto dell'altro 5 dell'altra parte vo-
lendosi fondere in una tutte le cantilene, o riduceudole a sem-
plici consonanze subordinate all'aria principale, è pericolo che
gli altri affetti scompariscano affatto con grave danno della ve-
rità. Ma i moderni cui non mancano mai ripieghi hanno creduto
di superare queste diiJHcoltà in un modo ragionevolmente rim-
proverato da Rousseau , che è di far servire l'aria d'uno o più
canti per accompagnamento d'un' altra, quasi che le voci do-
vessero farle veci degli stromenti. L'armonia vocale parca me
molto diversa della stromentale, armonia assai più difficile, e
delicata , meritevole di maggiore studio , e giudizio che non si
suole ; né ciò debba spaventare que' maestri che anelano alla
perfezione , pensando che in generale 1' espressione del Bello è
opera malagevole in qualunque lavoro dell'arte, e che coloro
i quali giunsero a mostrarcelo molto dovettero sudare ; né so
perchè quella lima che ci diede compiti i lavori dell' umano
ingegno debba starsi inoperosa nella musica. Mi direte che gli
appaltatori fan fretta ai maestri , e che i cantanti gli mettono
alla tortura . . . Per amor del cielo non parliamo di cotesta
gente , che per nulla debbe entrare nella ricerca del Bello. Se
la musica é in balia di loro, il buon senso ed il gusto è in
potere d'altri, ed il piacere che la Bellezza vestita di note
debbe arrecare agli assennati, e dabbene non è da mettere in
paragone cogl' interessi e colle convenienze teatrali, intanto io
conchiudo che se la musica in sé, e nella sua applicazione è.
capace delle virtù finora discorse, non è dubbio che possa darci
lavori perfetti , opere ricche di vere e sode bellezze. Ho detto
che possa darci 5 ma veramente credo che ce gli abbia già dati;
solo manca loro la sanzione , come molti pensano , la quale
quando verrà, non sarà più ignoto, o dubbio il Bello della
musica; ma come questa sanzione s'aspetta forse dagli appal-
tatori egli è cerio che non verrà mai, e quando venisse, pu-
18
274
Irebbe ella senza vergogna ed infamia accettarsi?... A com-
pimento di quanto ho detto dovrò intrattenervi sulla forza
dell'espressione musicale, onde voi siate sempre più convinto di
questa Bellezza, e gli ostinati sempre più induriscano nel loro
errore. Addio.
D.
VabIETa' Visita ad un Poeta.
( Dal franceese ).
La capitale della Prussia è, come ben sapete, una città di
gran lettere, città in cui fervono arti e scienze, accademie ed
università. Vi si annoverano quasi tanti librai , quanti in quel
paradiso de' librai , Lipsia, ed in ogni settimana vi sbucano
fuori più giornali di quello , che in un anno se ne stampino
in tutta l'estensione dell' Impero austriaco. Ogni singolarità in
politica od in arte ha in oggi nella stampa berlinese il suo
bandi tor speciale. La gazzetta di stato, la Staatszeitung , tiene
in serbo ne' suoi cantoni tutti i segreti diplomatici d'Europa,
tutte le peripezìe teatrali. Il giornale del sig. Spiker rimbalza
da un estremo all'altro dell' Alemagna la buona o la trista no-
vella. Dicesi ch'egli possegga dodici mila soscrittori. Il Museum
dirige la scuola di Dusseldort, e tutoreggia Cornelius a Monaco,
a Roma Thorwaldsen. Il Frane Parleur , il quale si è spogliato
di un titolo cotanto ardito per indossare quello di Feuille de
conversation , forma la delizia di tutte le belle signore, cui si
dedicano versi e di tutte quelle che sperano che loro ne ven-
gono dedicati. Lo Spectateur de la Spree è da vent'anni l'amico
fedele del prussiano borghese. Lo si sciorina su tutte le tavole
dei caffè e dei Lustrarteli colla brocca di birra e col piattello di
pasticcetti, e quando il padre di famiglia tien la domenica tra Io
mani qiieslo beato foglio, tanta è la gioia che lo inonda, che
275
a' suoi sguardi il elei si rasserena e di più bella Verdura sì ani-
mantauo le piante. Serbo un luogo a parte, un assai rispet-
tabile luogo agli Annales sctentifques compilati dai discepoli di
Hegel,. il quale chiuse gemebondo gli occhi pronunziando con
tuono di profeta queste parole ripetute oggi da tutti gli amici di
Schelling; muoio con dolore, veruno de' miei allievi non mi ha
capito. Uno però di loro mi ha pur capito, ma mal capito.
Und er hat mieli falsali verstanden. Si trova infine o si trovava
almeno or son tre anni, quando io era colà, un Figaro, un
Don Chisciotte, ì quali vi regalavano voltati in leggere frasi
d'una ventina di linee i motti arguti, le punte di spirito del
Corsaire , ed un Telegraphe , giornale francese , il quale sei mesi
dopo ch'esse erano comparse, ripeteva testu^almente le novelle
del sig. Janin, cotanto era celere cotesto telegrafo. 11 lato però
più bello della berlinese letteratura è la poesia. Quando nel
mese d'aprile sbuccia sui tigli la prima foglia, quando il primo
tepido raggio di sole adesca gli abitanti della Konigstadt a de-
porre il loro mantello , ben non saprei dirvi quanti versi si
fanno sulla primavera. Allora da qualunque parte vi volgiate voi
sentite gemere l'elegia e sospirare il sonetto. Al Thiergasten, al
giardino di Spandau, e nei lunghi viali di Carlottenburgo , su
d'ogni ramuscello d'albero v'ha un fringuello, ed in ogni sen-
tiero un poeta , e tra poeta e fringuello v' è gara a chi canterà
più forte e più lungamente. Credo che il poeta la vinca alfine,
e scornato il fringuello vada a ricovrarsi là presso nelle siepi di
bianco spino che accerchiano il pacifico soggiorno dell'astro-
nomo Guglielmo Beer. E fu appunto in una di queste epoche
solenni dell'anno, che furono, non è guari, veduti cinque
poeti cantare nello stesso punto la stessa donna. La meschina
non vi ha potuto reggere. Le furono siffattamente da ciascuno
de' suoi adoratori dorate le chiome , allungate le ciglia e stretta
la vita, che per sottrarsi ad un tale travestimento le fu forza
prender la fuga. E fu per lei veramente avventurato quel giorno ,
in cui togliendo per l'estero un passaporto , vide i suoi conno-
tati ristabilirsi dalla poco poetica , è vero , ma fedele penna
d' un impiegato d' ufficio.
lieriino è il teatro in cui sia con maggior pompa compar*a
27Q
la letteratura ftìmminina. E colà che la sig. eli Varnhagen ha
sotto il nome eli Rachele vergati cotanti bei scritti, de' quali la
sig. di Stael non avrebbe vergognato ; è colà che Bettina ha fatto
raccolta delle care sue lettere , eh' essa indirizzava giovanetta
con tutto il prestigio della passione, con tutta la gioia dell'en-
tusiasmo al maestoso suo idolo di Weimar. E colà che si è ul-
timamente pubblicato un serto di sparsi frammenti, raccolti
sopra un letto di dolore, vale adire il libro di Carlotta Stie-
glitz , di quella giovane donna, che di sua mano die fine a'
suoi giorni. A fascio colle dozzinali quotidiane novelle i gior-
nali han pure raccontato questo strano suicidio , là cui memo-
ria ravvivata poi una volta o due , fu lasciata spegnere. Ciò
avvenne durante una sessione : ora com'era mai possibile che
avesse la morte d' una donna potuto distrarci da una discus-
sione di bilancio? Ma era bella e giovane questa donna e tutta
grazia. Io l'aveva conosciuta a Berlino nella modesta sala, dove
convenivano gli amici di suo marito , e dov' essa con commo-
vente espressione cantava le romanze di Schubert e le ballate
di Kreuzer. Se fin d' allora essa faceva nel fondo dell' anima
cumulo dell' acerbo dolore , che un giorno doveva spegnerla ,
nulla sulla limpida fronte , nulla negli occhi ridenti non an-
nunziava il presentimento d'un tale destino. Era vivace ed al-
legra , semplice come un fanciullo, e bastava a bearla un dì
sereno, una passeggiata sulle sponde della Sprea la lettura d'un
libro , r armonia d' un verso. Quando una bella sera rientra
nelle sue stanze e congeda i famigli. Si ,veste come per un
giorno di nozze d'una bianca gonna, rannoda la bionda sua ca-
pigliatura e si pone a letto 5 quindi sebbene fosse allora tutta
sola, sapendo perù che all'indomani sarebbe stata bersaglio de-
gli altrui sguardi , si ravviluppa per un istinto di pudore nella
coltrice , e si dà d' uno stilo nel cuore. Essa aveva prima di
morire scritto alcune parole, per le quali significava che ve-
dendo suo marito da lungo tempo in preda ad una vaga me-
lanconia, aveva pensato che una grande sventura nel dargli una
gagliarda scossa , lo avrebbe ritornato alla primitiva sua ener-
gia. Si era perciò uccisa.
Tra il brulicame di accademie reali, di musei, di scuole,
di corsi universitari esiste in Berlino una compagnia di lette-
rati assai modesta, ma nello stesso tempo interessante. Essa è
nuda di palagi e di rendite ; non mette quesiti a concorso ,
non distribuisce premi. Come una grande famiglia tiene in ogni
settimana le sue ragunate. l Loustics *i tedeschi le avevan po-
sto il nome di compagnia del mercoledì ( MittwochsgescUschaft) ,
ed essa per dar loro una solenne mentita, ha mutato il suo
giorno di riunione fissandolo al lunedì. E il maggior tratto di
malizia, cui siasi mai arrischiata. Ogni lunedì dunque voi ve-
dete in una camera d'albergo, interdetta in tal giorno alle cor-
porazioni commerciali, arrivare verso le otto di sera tutti i
membri della compagnia col loro mantello in ispalla e para-
pioggia alla mano. Arriva il primo e si adagia sopra una pol-
trona il venerando Hitzig , che la presiede. Gli altri a guisa
di peripatetici vanno errando per la sala o siedono sopra pan-
che di pino. Là Raupach svolge a suoi amici la tela d' una
nuova tragedia , Haering si spazia su suoi viaggi in Norvegia ,
Albrecht va aguzzando un epigramma pel suo giornale, e Carlo
d'Holtei canterella l'ultima sua canzone. Vi giugne talora lo scul-
tore Rauch ed il geografo Zeune e parmi anche Federico Rau-
mer, uomo amato da quanti l'hanno veduto nella felicità delle
domestiche sue pareti. Dopo che i ragunati si sono rimbalzate
loro novelle sulla pioggia e sul freddo , sulla scienza e sui tea-
tri , impone silenzio la voce del presidente , ed ogni membro
va come un' ombra ad accovacciarsi rasente il muro. Allora al
pallido barlume di due candele legge il poeta i versi , e le sue
novelle il prosatore , senza che anima vivente lo interrompa ,
e quando ha fatto fine si ritira chinando modestamente il capo
mentre da tutti si fa plauso. Alle dieci sorge repente un grande
subbuglio; un odore di cucinasi spande per la sala, ed il ca-
meriere vi giugne gemente sotto il peso dei piatti. L' ultima
lettura termina tra il tintinnio dei bicchieri ed il dolce rigolare
delle forchette. Giunta è 1' ora della cena e tutti gli accademici
siedono a tavola ; ciascuno paga il suo scotto, ma per 12 grossi,
*i Lousiic cioè Lustig , faceto di buon umore , è neologismo francese , e cor-
risponde al \ovo J'argeuf.
(N. del Trad.J ■ .
^78
( 38 soldi circa ) si cena lautamente , e nelle occasioni solenni ,
cioè quando trattasi dell' aggregazione di un nuovo membro ,
e r intiera compagnia vi è stata per lettere chiuse invitata ,
può il conto ordinario ascendere persino alla somma di 2 fr. e a5
cent. Sono sobrie le muse tedesche , e si stanno contente ad
im pezzo d' arrosto e di presciutto nudo ; ma quando accade
che siausi lasciati cogliere dalla gran tentazione di chiedere in
un albergo una bottiglia di yln di Francia , allora s' impon-
gono per penitenza di non bere durante otto giorni fuorché
birra. Queste cene che durano un'ora sono allegre ed animate,
e le si lasciano a malincuore. Neil' uscirne però si dà pai'ola di
ritornarvi. Quindi si sparpagliano tutti gli accademici per le
contrade e corrono in cerca della guardia di notte , che loro
apra la porta *i.
Assisteva un giorno ad una di codeste riunioni, le quali per
la schietta ospitalità con cui vi era stato trattato , e per le co-
noscenze che vi aveva fatto, mi erano veramente divenute
care. Sorse un uomo e vi lesse alcuni versi di Béranger. Spa-
ziosa aveva la fronte , l'occhio espressivo, e lunghi bianchi ca-
pegli cadenti sulle eue spalle imprimevano nella sua fisionomia
un carattere singolare di gravità e di nobiltà. M'accorsi men-
tre leggeva che la sua pronunzia era meno aspra di quello che lo
sia d'ordinario presso i tedeschi, e ch'egli conosceva così bene
il ritmo de' nostri versi da farne sentire le diverse cadenze. Era
un mio concittadino, un poeta tedesco, nato nelle pianure della
Sciampagna e tale divenuto per educazione , per intendimento,
Gli era di lui appunto eh' io aveva soventi volte letto il nome
nelle letterarie raccolte di Berlino , letto talora de' bei versi
senza punto sospettare che la mia patria potesse pretender parte
alle sue ispirazioni. Il sig. Adalberto di Chamisso nacque nel
ij8i nel castello di Boncourt , donde durante la rivoluzione
emigrò, suo padre seco conducendolo in Alemagna. Fu il gio-
vane Chamisso per special favore della regina di Prussia alle-
*i E un'usanza curiosa che nou ho scorta inver un'altra città. A Berlino
v'ha in ogni contrada un guardiano di notte, il quale tiene le chiavi di tulio
]e case. A lui tocca in ogni sera chiudere le porte e riaprirle il lualtino. La ser.i
^t«ata una ccrt'ora , no» «i eutra più in vuun luogo senza il suo heneplatitu.
279
vato nella scuola militare , e quindi entrò poco stante come uf-
iìziale iu un reggimento di fanteria. Essendo dopo la pace di
Tilsitt stato licenziato il suo reggimento , egli abbandonò la
militare carriera ed intraprese un viaggio in Francia. Mi rac-
contò egli stesso con qual commozione avesse risalutata la na-
tia terra, ed il patrio tetto , sotto il quale sentì riaccendersi
vivacissima la fiammella delle infantili rimembranze. Breve fu
questo viaggio, essendosene tosto ritornato a Bei'lino, dove si
diede a dettare qualche verso ed a studiare ad un tempo con
molto ardore la storia naturale. Il suo genere di vita non si era
ancora improntato di verun carattere determinato. Pendeva ti-
tubante davanti ad uno di que' bivii , in cui ci occorre d'im-
batterci , quando abbandonata repente la via , eh' eravamo sì
a battere , ancora non ci si para dinanzi quella che può pa-
rerne .la più secura. Nel 1811 il sig. di Ghamisso fa ritorno
in Francia , vi frequenta la società della sig. di Stael , si porta
a vederla a Coppet , e si ferma più glorui in quel cenacolo let-
terario , che faceva bella corona alla dotta Corinna , in quella
esquisita assemblea nella quale prodigava Schlegel tutto l'acume
della sua critica e Zaccaria Werner tutto il misticismo della
sua poesia. Un anno dopo Chamisso era di nuovo a Berlino.
Egli non aveva sino allora pubblicato se non se alcune poesie
volanti apprezzate dagli uomini di gusto , ma poco adatte a
pungere la curiosità in un' epoca di cotanta agitazione. Il vero
principio della sua carriera letteraria fu la pubblicazione di
Pietro Schleinis , opera eh' egli scrisse senza mirare a preten-
sione veruna , ed all' unico scopo di porger diletto alle nipoti
del suo amico Hitzig. Ma il racconto da fanciulli solleticò gli
uomini fatti, e quello che le fìgliuoline sedenti, per meglio
ascoltarlo, sulle ginocchia di Ghamisso, consideravano soltanto
come una concatenazione di bizzarre avventure, le genti as-
sennate lo tennero per un' idea filosofica. La storia del povero
Pietro Schlemis privo della propria sua ombra si dilTuse per
tutta Europa , sebbene falsata in Alemagna e falsata in Ame-
rica. Hoffman amico pur egli d' Hitzig si provò ad imitarla, etl
uno scrittore nostrano la pubblicò voltata in francese senza
però farsi carico, come l'editore d' Oliiwr Brissiin , di etiare
280
il nome dell' autore tcticsco. Pietro Schlemis venne in luce nel
i8i4 e partorì a Cliatnisso una riputazione d'uomo di spirito,
mentre un'altra fama l'aspettava per l'anno vegnente. 11 conte
di Romanzoff preparava a proprie spese un viaggio attorno al
mondo e Chamisso gli si aggiunse in qualità di naturalista. Egli
fece vela da Kronstadt nel i8i5 e vi prese terra nel 1818.
Pubblicò al suo ritorno sulla lunga sua peregrinazione documenti
ridondanti del più vivo interessamento. L' università gli conferì
il dottorale diploma , ed il re gli concedette V impiego di pro-
fessore al giardino botanico. D' allora in poi Cliamisso non si
è più mosso di là, ingolfandosi sempreppiù nella scienza, det-
tando sempre versi , frequentando assiduamente la società let-
teraria di Berlino , e menando la placida sua vita tedesca. Sta
ora compilando i suoi viaggi e diede l' anno scorso in luce una
sua raccolta di poesie, di cui furono in poco tempo esaurite
due edizioni.
Sono la maggior parte codeste poesie elegie d' amore , scene
della vita pennelleggiate con grazia, e spiranti una soave me-
lanconia. Altro non sono per lo più cbe una serie di canti leg-
gieri, Lìeder j di cui presenta ciascuno una scena a parte, e
che formano in complesso un intiero poema. Gli è in tal guisa
che un giovinetto ed una zitella vanno in un dialogo spezzato
a strofe , sviluppando alternativamente le diverse fasi della vita.
Gli è in tal guisa che una vecchierella tratteggia le prime sen-
sazioni della sua infanzia , i primi suoi sogni d'amore , le gioie
sue materne. Ei parrebbe che tutti questi Liedcr, che quasi
anolla della stessa catena a meraviglia si staccano e si ricon-
giungono, fossero da lei stati cantati in un momento di dolce
abbandono della fantasia , mentre girava il suo arcolajo cullava
il suo nipotino. Alcuno di questi poemi , com' è quello della
giovane figlia abbandonata, ha un carattere commovente e dram-
matico. La misera non si dà, come la Gretchen di Goethe, in
balia della disperazione, non ismarrisce, come la povera Ruth
di Wordsworth , la ragione , ma va rassegnata a cercarsi nella
dimora de' morti un riparo contro i motteggi del mondo. Essa
riede piangente sopranna tomba, e chiama sua madre, la vecr
chia sua madre, che l'avrebbe comraiserata, che non l'avrebbe
281
maledetta. Quindi scioglie tutto il freno al suo dolore, e cade
in braccio al sonno suU' umida erba del cimitero. Spesso an-
cora lascia il poeta da parte 1' elegia estranea , e ristringendosi
in se stesso parla con amara verità e de' delusi suoi desideri
e delle perdute sue gioie. La sua giovinezza è quella eh' egli
sopra ogni altro lamenta , la ridente e cara sua giovinezza, cbe
gli adombrava di fiori le tempia, e lo balzava scherzando per
mezzo a tutti i prestigi della speranza , a tutte le illusioni dell'
immaginativa. Or egli è vecchio, freddo gli diviene il cuore, una
nebbia gli appanna lo sguardo , e più non vede brillare in cielo
la lucida stella che lo rischiarava, più non vede sulla terra le
fresche ombre , sotto le quali si dilettava abbandonarsi ai sogni
della fantasia. L'immaginazione gli ha involato il suo prisma , e
non gli si presenta la vita se non come un'arida e desolata via ,
che mette alla tomba. Quindi soffoca repente questi vani ge-
miti , e per deludere col sorriso il dolore si scuote e con una
specie di amara gioia canta la speranza e la felicità. Contiene
ancora questa raccolta parecchi poemi interessanti, nei quali
r autore tolse ad argomento leggende popolari d' Alemagna.
Giudiziosamente scelte sono codeste leggende e raccontate con
tuono squisito di semplicità e buona fede. Una fra 1' altre ci
ha scossi sia per la grazia de' particolari , che per la schiet-
tezza del racconto. Un cavaliere, il quale si è durante la metà
del giorno lasciato attrarre in caccia d' un cervo , arriva tra le
rovine di Windeck rotto dalla fatica , spossato dal caldo. — •
Oimè! perchè non mi è concesso, egli esclama, di ritrovare di
che spegnere 1' ardente sete che mi divora ! Nello stesso punto
gli sì para dinanzi una giovane donzella con in mano una tazza
d' oro. L' affisa il cavaliere, che mal non aveva veduto nel
mondo un' immagine così bella , uno sguardo cosi potente e
dolce , una forma così aerea. Batte con violenza il suo cuore ,
ed egli le cade supplice alle ginocchia implorando amore ; ma
dessa gli scaglia un indefinibile sorriso e si dilegua. Da questo
istante non vien più fatto al cavaliere di ritornare alla sua di-
mora. E dì e notte va errando tra le rovine di Windeck in
traccia della sua amata, chiamandola tra lagrime e singulti.
Né anima vivente potè stornarlo da quella sua ansia d'amore ,
282
né mauo amica strapparlo da quella selvaggia eolitudine. Per
rintracciare l'adorata immagine a tutto egli rinunziò quanto era
un giorno pungolo a suoi voti , e divenne affatto straniero agli
uomini. Giunse infine una sera in cui ricomparve la giovine
donzella, accostò le sue alle pallide labbra di lui, ed egli chiuse
all' eterno sonno gli occhi.
Il rimanente della raccolta è composto di poesie di circo-
stanza , e di parecchie tradizioni , di cui si encomia l'eleganza
e la fedeltà.
La poesia del sig. di Chamisso ha un carattere distinto che
ne forma il principal merito , non rassomigliando punto né
all' andamento maestoso di quella di Goethe , né al canto so-
lenne di Schiller, ma essendo semplice ed intimamente sentita
e talvolta pure alquanto puerile in certi particolari, come quella
dei Laicisti , ma però atta sempre a riprodurre le emozioni le
più fuggevoli, le più leggere tinte. Prediligono i Tedeschi il
sig. di Chamisso come poeta e lo lodano come dotto. Questa
doppia riuscita gli fece porre affetto alla terra , alla quale
egli non chiedeva che un asilo , e che gli profferiva una fami-
glia, riposo e qualche gloria. Perciò ama egli sinceramente
r Alemagna , e 1' ha più volte cantata come sua seconda patria.
Nel fondo però dell' anima il suo pensiero trasvola ancora
alle ridenti pianure , dov' egli nacque , al limpido cielo sotto
cui doveva trascorrere la sua vita. Egli parla ancora con gioia la
lingua francese, ma con qualche esitanza, come uomo incanu-
tito parla la lingua viva ed immaginosa, la dolce lingua della
sua giovinezza. Quanto accade in Francia 1' attrae e gli sta a
cuore j quanto ci commove suscita in lui un pari sentimento.
Qualche tempo dopo che ebbi fatta nella società letteraria la
conoscenza del sig. di Chamisso, mi recai un mattino a visitarlo
uella modesta sua abitazione della Friedrischs-Strasse , dove lo
ritrovai in mezzo de' suoi libri e de' suoi figliuoli. Due di loro
si trastullavano poco da lui discosti , mentre altri due sedendo
sulle sue ginocchia gli porgevano attento orecchio. Era egli stesso
intenerito , la sua voce suonava commossa , ed una lagrima si
sprigionava dalle folte sue ciglia : egli parlava della Francia.
X. Marmier.
283
Notizie Diverse
Commercio della Francia nel i835.
L'Aminiuistrazione delle Dogane pubblicò di recente lo spec-
cbio generale del commercio della Francia sì colle colonie sue,
che coir estero durante il i835. Questo importante documento
presenta i seguenti xùsultati. Le importazioni che nel i834 ascen-
devano alla somma di 720, iò4,336 fr. , crebbero nel i83a a
fr. 760,726,696. Tutte le mercanzie però , che sDno importate
nella Francia in essa non vengono consumate, e queste ultime
sole godono dei dritti. Ora queste mercanzie che nel 1 834 mon-
tarono alla somma di 5o8,933,o48 fr. , non pagarono che fr.
101,398,967 per dritto di dogana: questo non è dunque in
ragione del generale movimento delle importazioni.
Non meno soddisfacenti sono i risultati , che presenta lo spec-
chio delle esportazioni. Esse ascesero nel i834,a fr. 7i4,7o5,o38
comprendendo le mercanzie tutte in generale , e fr. 609,992,377
per le francesi solamente.
Nel i835 le generali esportazioni crebbero a 834,422,2x8 fr.
e quelle delle merci francesi a fr. 677,41 3,633. Nessuno, o
almeno tenue si è il dritto sulle esportate mercanzie , ed il loro
frutto quasi insigniGcante. Nel i836 fu di i, 1 55, io5 fr. Le merci
che escono con premii d' incoraggiamento danno luogo ad un
movimento di fondi alquanto considerabile , e che in realtà
torna a molta gravezza del tesoro. Il valore delle merci espor-
tate con prima d' assicurahza , ossia drai^s-baek come lo vuole
l'amministrazione, fu di 97,960,180 fr. , e 1' ascendente delle
pagate somme è di 9,402,486 fr. presso a poco il 10 per 0[0 sul
totale valore delle esportate merci. 11 3i dicembre i836 le mer-
canzie poste in luogo di depositò ascendevano alla somma di fr.
i44»8o8,347: e quelle che entrarono durante
lutto il i835 crebbero a ...» 457.19454^9
Totale . . » 601,002,876
284
Il valore delle merci ritirate per tutto il me-
desimo anno , sia per il consumo , sia per la
riesportazione o per altra causa fu di . » 4^^,480,^96
Ciò adunque che rimane al 3i x.bre i835 è fr. i44552'ì,o8o
Così la situazione dei luoghi di deposito non presenta a queste
due epoche , che una insienificante variazione. • ...
La polizza di tratta, che era nel i834 di soli fr. 123,770,328,
crebbe nel i835 a 168,467,407 fr. Nel calcolo delle importa-
zioni , e delle esportazioni non venne contato il movimento
en numèraire , e stabilire non si poterono tutte le entrate , e
tutte le uscite — L'Amministrazione delle Dogane col solito
specchio del commercio aggiunse per il i835 il calcolo per
ogni distretto della destinazione delle merci esportate sotto le
prime di assicurazione. Annunzia inoltre eh' essa prepara un
nuovo documento da essa riguardato di grande utilità , lo stabi-
limento cioè delle operazioni di cabotaggio fra tutti i porti del
regno 5 immenso lavoro, che diverrà fonte di indizii preziosi,
e che attesta il zelo , e il talento dei capi di questa grande
amministrazione , e degli impiegati superiori ai quali confidati
sono questi statìstici lavori. ( Administr. douanes. Tab. du
Commerce de la France en i835 iVt-4-°, oct. i836. Imp. Roj. ).
Proventi dei Teatri, Spettacoli, Balli, Concerti j Bettole, ecc.
di Parigi. Essi vengono calcolati sopra il tributo dei poveri ,
riscosso dagli Ospizj nel i835.
Accademia Reale di musica
Teatro Francese ....
Opera Comica .....
Teatro Italiano ....
Odeon ......
Ventadour chiuso il 18 gennaio i835
Scuola Drammatica . « . .
Veaudeville .....
Varietà ......
. fr.
H91989
IO
»
537983
74
t ))
568619
53
»
626980
54
))
68797
32
»
35834
25
»
548620
IO
»
49^7^9
1 1
»
416297
07
mn
Porle Saint-Marlin ....
fr.
462225
86
Palazzo Reale . . . . .
»
46643 I
45
Circo Olimpico ....
»
490646
55
Ambigu Gomique ....
»
389449
78
Gajeté , arso il 21 febbraio ( 3 mesi
ip ) ria-
perto il 19 novembre i835
»
111873
37
Folies Dramatiques ....
»
186875
70
Panthéon aperto il i." settembre
»
3639»
29
Porte S. Antoine aperto il 3 dicembre i835 »
18620
79
Jeunes-Elèves .....
»
28988
73
Luxembourg .....
»
55344
o5
Ballerini da corda ....
»
55282
90
Acrobati ......
B
63670
85
Scuola pei fanciulli ....
»
234i8
49
Lazary ......
»
34483
90
Saint-Laurent .....
»
i563
»
Concerti dei Campi Elisi d' inverno
»
174765
»
Idem d' estate .....
»
26170
75
Id. del giardino Turco
»
2io3o
»
Id. Montesquieu ....
»
277
»
Id. dell' Albergo Laffitte .
»
14874
»
Id. Scuola musicale ....
»
25o47
90
Id. diversi .....
»
61187
52
Balli dei Campi Elisi d' inverno
»
32429
»
Id. dell'Albergo LaiTitte .
»
31705
»
Id. Montesquieu . .
»
47384
25
Diversi
»
61187
52
Giardini e feste
»
58023
»
Panorama Diorama ....
»
110866
»
Piccolo spettacolo del Serafino ( ombre
Cinesi) »
65oo
»
Caffè, e serate aggradevoli
»
4246
n
Assalti d' armi .....
M
184
»
Curiosità diverse ....
»
8628
5o
Taverne .....
»
. fr.~
44253
»
Totale dei proventi nel i835 .
76544'^5
43
AWNLWZJ BIBLIOGRAFICI
L' ignoranza è la tnussima e la peggiore (ielle povertà.
Paoletti Parroco di ò\ Croce in Toscana.
Foglio ebdomadario a soldi 2 cadano
Destinato a spargere fra il popolo tnassiroe di una soda morale
col mezzo di racconti istruttivi e dilettevoli, ed alla cultura
delle classi meno agiate, con una serie di nozioni semplici, e
facili di storia, geografia e di fisica, colla esposizione di quei
precetti medici, che più possono essere utili, specialmente per
quanto risguarda l'igiene, e coli' indicazione di tutte le insti-
tuzioni di pubblica e privata beneficenza che meglio onorano
il nostro paese.
I Compilatori di questo Foglio, nel mentre prevengono il
Pubblico essere cessata la distribuzione generale già affidata al
sig. librajo Barerà, si fanno dovere di rendere note le nuove
condizioni giusta le quali proseguirà la regolare sua pubblicazione.
Condizioni dell' associazione.
i." Di questa pubblicazione escirà un foglio ogni sabbato;
ciascun numero farà un tutto da per se stesso, a soldi 2.
2.° Il numero annuale dei fogli sarà di 52, e quelli che si
associeranno per l'intera annata, pagando anticipatamente L. 5,
riceveranno in dono, oltre i due fogli di più, un foglio di fron-
tispizio adorno di elegante vignetta, coli' indice delle materie,
e coperta stampata, che costeranno cent. 5o ai non associati.
3." Coloro che avessero già preso l'abbuonamento , potranno
dirigersi alla tipogsafia Botta, per ritirarne le copie.
4." I Compilatori promettono di inserire in questo Foglio
tutti quegli scritti che saranno confacenti al suo scopo, e che
verranno inviati dai sig. associati, di cui al N." 2., purché in-
diritti franchi di posta ai Compilatori delle Letture popolari j
tipografia Botta.
5." Si distribuisce in Torino dalla tipografia Botta, dal li-
brajo G. I. Rcviglio e dagli altri prlucipali libraj della Caj;iUlc,
e delle Provincie.
^287
LIBttl ITALIAIM
LI BUI FRAUCESI
Collezione di Manuali componenti
una enciclopedia di scienze , let-
tere ed arti. Manuale della sto-
ria della filosofia di Guglielmo
Tennemann , tradotto da Fran-
cesco Longhena^ con note e
supplimenti dei prof. Gian Do-
menico Romagnosi e Baldas-
sarre Poli. — Milano , dal Fon-
tana , i836, voi. Ili, distrib.
I , in- 12 di pag. Lu-480. 11. 3 5o
Supplimento al Manuale della
storia della filosofia di Gugliel-
mo Tennemann, Saggio storico
di Baldassarre Poli.
Il Romagnosi non ebbe al-
cuna parte nella compilazione di
questo Supplimento. I primi
due voi. dell' opera vennero
fuori nel 1802 e i833.
Il Costume di tutti i tempi e di
tutte le nazioni , descritto ed
illustrato dall' Abate Lodovico
Menin , professore di storia uni-
versale e delle scienze storico-
ausiliarie nell' I. R. Università
di Padova ecc. - Padova, pi-esso
una società editrice , coi tipi
della Minerva ; fase. XLVII ,
in foglio di pag. 20 e 3 tavole a
contorno in mezzo foglio 11. 3.
Colle tavole in foglio » 3. 5o
Colle tavole miniate » 5.
Non si dice di che moneta.
Della Leoittimita' positiva o ne-
gativa delle pene , principal-
mente della pena di morte , con
l'aggiunta di un trattato del
duello e dei mezzi onde estir-
parlo. Dell'Avv. Fincenzo Mar-
cucci. — Lugano, coi tipi llug-
gia e Comp. iS35i in-8.° di
pag. 328 11. 3. 48
Archives des découvertes et rn-
ventions nouvelles , fatte nelle
scienze , nelle arti , e nelle fab-
briche durante 1' anno i835 ,
in-8. di 33 fogli, prezzo 7 fr.
— Parigi , presso Treuttel e
Wurtz.
Jean Sans-Pitié ou la Bataille d'O-
thée, di L. Palaia. Liegi j t836,
in-8.
L'Homme: saggio zoologico sovra
* il genere umano di Bor^ de
Saint-Vincent; 3.^ ediz., due
voi. in-i8. , i836. — • Parigi,
presso Rey-Gravier.
Sante des Femmes , del dott. H.
Chomet ; in-8. di 1 9 fogli , prezzo
5 fr. — Parigi , presso l' autore ,
contr. du Faubourg-Saint-Ho-
noré, N. 66.
Traité complet du regime sanitaire
des aliénés , ossia Manuale de-
gli stabilimenti che loro ven-
gono destinati , del sig. Scipione
Pinel medico , con rami spiega-
tivi , giusta r idea dell' archi-
tetto Huvé. — Parigi, i836,
presso l'editore Mauprivez, con-
trada d'Enghien , N. 18, uu
voi. in-4.
L'Eglise considérée dans ses rap-
ports avec la liberto , l'ordre
public , et les progrès de la ci-
vilisation , particulièrement au
mojen àge : opera in cui si
prova la tendenza veramente
benefica del cristianesimo cat-
tolico, dell' Ab. Jacques, in-8.
di 14 fogli, prezzo 4 fr. — Lione,
presso Perisse.
Le Cuemin le plus court, par At-
plioìise liarr. Voi. 2 iu-8.**, prix
i5 fr. Paris, chez Cozzelin.
288
LIBRI INGLESI
LIBRI TEDESCHI
Etymotonia containing Principles
of Classical Accentuation etc. By
Eneas M' Intyre , LL. D. In-12.
5 s, 6 d. cloth.
Heerew Exercises to Stuart , and
Lee's Hebrew Grammars. Iu-8.
I s. boards.
Teeatise on EngUsli composition.
By H. TV. ?VUliams. In-i2.
I s. 6. d.
The ShakspeareGallerv, containing
ali the Principal Female clia--
racters , from drawings by the
first Painters , engraved under
the superintendence of M. Char-
les Heath. Parts I. and II. Ro-
yal m-8., 2 s. 6 d, each.
Lingard'8 HisTORit of England ,
abridgedand continued to i835.
By P. Sadler ^ 2 vols. in-12.
12 s. half bound.
British Song Birds , being Popu-
lar Descriptions and Anecdotes
of the Choristers of the Grove.
By N. PFood, esq. In-8. 7 s.
cloth.
Ireland , its Wants and capabUi-
ties. By D. Bain, in-12 2 s.
Lucy Unwin , or Pregiudice Repro-
ved, and other Tales. In- 18.
1 s. 6 d.
Storics for Holiday Evenings. By
Mrs. Child , in- 18. 2 s. 6 d.
A Saunter in Belgium in i835. By
George St. George. In-8. io s.
6 d. cloth.
Gkiechisches Lesebucu, nebstelncr
grammatik des attischen dia-
lekts. Scelta di lettere greche ,
divise in due parti, con ima
gramatica del dialetto attico, di
F. R. C. Krebs , 6.* ediz. —
Francoforte sul Meno, presso
J. C. Hermann.
Die Graber der GRiEcars. Le tom-
be della Grecia, vedute e dise-
gni, del barone di Stakclberg ,
I.^ e 2.^ dispensa, 8 stampe,
e 44 P^g- di testo. — Berlino,
presso Reimer.
Palastina. Storia della Palestina, di
eh. de Raumer , con una carta
di Gerusalemme all' epoca della
conquista di Tito, e un qua-
dro descrittivo della Chiesa del
Santo Sepolcro. — Lipsia, presso
Brockhaus.
Geschichte der Deutschen. Storia
degli Alemanni dai più antichi
tempi sino al dì d' oggi, di
Wolfgang Menzel, nuova ediz.
riveduta e aumentata, pubbli-
cata in un voi. grande in-8.
— Stoccarda e Tubinga , presso
Cotta.
Anleitung zum Selbststudium der
Elektricitat , des Galvanismus
und Magnetismus. Guida per
istudiare da se l' elettricità , il
galvanismo e il magnetismo , di
/. Sporschil, — Lipsia , per cura
di Brockhaus { con i3 tavole).
"•^d^C^M
STA'WPERIX GTmilNGHF.LLO E COMP.
con peruiissionc.
289
SciGrizE Sociali ed Amaui^istiìative
Saggio sul buon Governo delta Mendicità j degli Istituti di
beneficenza e delle Carceri, del Conte D. Carlo Ilarioue Pelitli
di RoretOj Consigliere di Stato ordinario di S. M.
( Voi. 3. Torino, 1837 ).
Mentre il volgo degli Scrittori si occupa ancora di illusioni
e di censure inquiete, pochi veri sapienti consacrano il loro
ingegno a ricercare ed a chiarire i fatti positivi e le tendenze
della umanità, ne studiano le cagioni e le più legittime e reali
conseguenze , e raccogliendo così i frutti dell' universale espe-
rienza e delle proprie come delle altrui meditazioni, li espon-
gono poscia al pubblico senza disdegno, senza pretensione, coli'
unico intendimento di far del bene.
Nel numero di questi ultimi è giustamente da collocarsi l'Au-
tore del libro che si annunzia. Egualmente lontano dalle viete
prammatiche , come dalle più sottili specolazioni moderne, che
però conosce ed esamina ; avverso egualmente alle assurde ri-
pristinazioni, come alle novità inopportune, egli nelle dottrine
sociali vuol tenere una via di mezzo tra 1' impero delle teorie
e la potenza dei fatti. Una moderazione illuminata in ogm
parte del civil ministero, per ogni cosa, è la sua bandiera. K
che ciò sia, ei non ne fa mistero alcuno : anzi penetrato cou-
scienziosamente della vera e giusta utilità di tali massime, nel
dare ragione della sua opera , spiega con esse apertamente la
sua professione di fede e politica e civile. Almeno così pare che
si possa credere senza esitanza; sebbene le espressioni in cui
IO
2S0
quiiìla profiiSsJone si vede ravvolta, sembrino aJquanlo intri-
cate ed oscure , e mostrino clic 1' Autore fece forse una diffe-
renza ancor troppo risentita ed opposta tra la teoria e la pra-
tica, quando invece, a ben riflettervi sopra, qualunque teoria che
sia giusta non è mai altro in sostanza che T espressione ultima
e generale , il risultato cioè di fatti identici ed analoghi sopra
un dato ordine di cose; risultato che poi per forza di astrazione
viene ridotto in assioma.
Comunque però non è difficile vedere al sistema di quali
uomini di Stato si accosti V illustre Autore del presente Sag-
pio. Egli è quel sistema che colloca la sapienza civile nell'equi-
librio della teoria colla pratica 5 sistema che olire al fonda-
mento di ragionamenti astratti ha poi già per sé il migliore
degli argomenti 5 vogliam dire, ia continua ed effettiva prospe-
rità degli interessi materiali della società e degli individui ,
la conservazione dell'ordine e della pace.
Nessuno perciò potrà dubitare che il nostro Autore non ab-
bia già fra se stesso vittoriosamente risolta quella difficoltà che
si potrebbe per avventura fare al sistema medio e temperato,
da cui è dominata tutta intiera la sua opera, che esso, cioè,
possa bensi essere sempre giovevole in quegli Stati , dove la ci-
viltà è giunta al suo maggior sviluppo , e così dove le riforme
e le modificazioni alle istituzioni possono soltanto essere dubbie
nei loro effetti , e presentare eguali eventualità di bene e di
male; ma che diversamente poi debba succedere in quegli Stati,
dove i mali sono assoluti , e sono perciò necessarii assoluti e
radicali cangiamenti di leggi e d' istituzioni. Quivi di fatto il
sistema di medietd temperata potrebbe talvolta produrre soltanto
provvedimenti precarii e palliativi , e favorire soltanto 1' ema-
nazione di quelli ordini , che volgarmente si ' dicono , Mezze
misure. Imperocché se è vero che non debba ordinarsi il male
acciò ne venga qualche bene, così non debbano lasciarsi con-
tinuare gli abusi col pretesto che lo svellerli possa cagionare
qualche dolore.
Ma su tal cosa lasciamo che provveggano il senno de' legis-
latori e le circostanze de' tempi. A noi basta di aver fatto con
ciò conoscere lo spirito con cui è dettata V opera del signor
291
conte Pelitti. E questa in ogni caso gioverà sempre a dare una
novella prova che oggiraai è cessata quella separazione e quell'
isolamento , che altre volte esisteva tra gli uomini di Stato ,
positivi , e come si suol dire , tra gli uomini di azione , e gli
scrittori puramente astratti e filosofi. Quell' isolamento fu per
per lungo tempo cagione di ritardo nell' avanzamento della ci-
viltà, poiché operando gli uni, ed escogitando e scrivendo gli
altri a scambievole loro insaputa o disprezzo 5 le operazioni e
gli studj di tutti non si univano mai a darsi fra loro reciproco
lume ed ajuto. Ma fortunatamente da qualche tempo si operò
questa alleanza fra le predette due facoltà del pensiero e del
potere, e quest'alleanza la veggiamo massimamente avverata
in quest' opera del conte Petitti.
Laonde l'importanza delle materie che in essa sono trattate
essendo grandissima sotto d' ogni rapporto e cotanto presente ,
noi vogliamo perciò provarci di darne un breve sunto , giacché
il voler farne una perfetta analisi sarebbe cosa impossibile ,
tanto è già ristretto , compendiato > e sugoso il contenuto della
medesima.
Il titolo solo di quest' opera indica abbastanza che tre sono
le parti che la compongono. Il buon governo della Mendicità
forma l'oggetto della prima, quello àe^ì Istituti di Beneficenza
della seconda , e quello infine delle Carceri si descrive nella
terza.
§ I. Della Mendicità.
In questa prima parte troviamo riferite tutte le leggi e tutti
1 metodi che già sono, od ancor potrebbero venir ordinati per
reprimere e per dirigere la Mendicità.
A siffatta disamina va opportunamente innanzi la distinzione
morale , e quella materiale de' poveri. Sotto la prima categoria
si comprendono i poveri volontarii e forzati 5 e sotto la seconda
quelli validi, invalidi e vergognosi. Questi ultimi però potrebbero
a nostro avviso forse più esattamente appartenere alla divisione
morale, che non a quella semplicemente fisica e materiale.
Nel procedere a questa specificazione dobbiam saper buon
grado al conte Petitti d' aver suscitata ad onore la memori»
292
troppo generalmente trascurata d'un illustre piemontese , l'Ab.
Vasco *i.
La cosa poi più difficile , ma però non meno essenziale a
praticarsi allorché si ragiona di Mendicità^ si è il discernere i
veri dai falsi mendici , ed il nostro Autore indica i caratteri
ed i mezzi onde poterli riconoscere.
Quanto ai falsi mendici egli non ha che ad affidarli alla
vigilanza ed alla severità delle leggi 5 ma riguardo ai veri po-
veri ( poiché per le inevitabili disuguaglianze nelle condizioni
sociali , e per la continua fluttuazione delle facoltà e delle ric-
chezze territoriali e dell' industria sarà pur troppo sempre una
chimera il credere di poterli sopprimere affatto), si ricercano
in questo libro tutti i mezzi per diminuirne almeno il numero ,
e per rendere meno perniciosa la loro presenza.
Fra questi mezzi il primo, e certamente il più perentorio che
ci venga suggerito , accompagnato però da tutte quelle cautele
che sono necessarie per renderne sicura e non crudele 1' os-
servanza , si è una rigorosa proibizione della questua pubblica.
Neil' abbracciare siffatta opinione che ancora si controverte
da varii scrittori, zelatori del resto di buona fede della umanità;
e nel credere perciò che il Governo possa e debba usare, ab-
bisognando, la violenza per estirpare la Mendicità , sia col co-
*i L'Ab Giambattista Vasco da Mondovi, cbe visse dalla metà sin verso il
fine dello scorso secolo, è autore diliginte di molte dissertazioni sopra i più im-
portanti argomenti di economia politica Scrisse un Saggio polilico sulla moneta,
una dissertazione in cui disapprova l'istituzione dei corpi d' arti e mestieri,
un' altra in cui condanna le tariffe coercitive e cosi le tasse del pane ecc. Alla
memoria scritta Sulle cause della mendicità e sui mezzi di sopprimerla tenne
dietro quella Sulla felicità pubblica considerata nei coltivatori di terre proprie ^
dove indica come fonte di sociale prosperità lo scompartimento 'ed il possesso
delle proprietà fra i contadini. Si pregia poi particolarmente un suo opuscolo in-
titolato r Usura libera , nella quale appare precorrere le dottrine poscia svi-
luppale dal Mastroffini , e consiglia sino da quei tempi lo 'stabilimento delle
Casse di risparmio. Finalmente egli dettò una memoria per rispondere al que-
sito proposto dalla B. Accademia delle scienze di Torino sul modo di provve-
dere al «ostentamento degli opera] addetti agli edifizj per il lavorio delle sete nel
caso di loro scarsezza. Tutte queste memorie scritte dal Vasco con singolare
evidenea e precisione , si trovano nella Raccolta degli Economisti classici ita-
liani , e non è d' uopo soggiungere quanto le medesime possano ancora al di
d' oggi servire uilo studio della scienza economica , e quanto eifettivameute al-
èUui recenti scrittori se ne siano giovato. E dunque giusto che almeno non sf
trascuri alcuna occasione per raaimentare un nome sì beuemerito.
295
stringere i poveri al lavoro , sìa col punirne le contravven-
zioni , ci duole soltanto che la forma data dall' Autore al suo
libro non gli abbia permesso di sollevare il proprio assunto
a maggior altezza ; prendendo a dimostrarci con tutta la filo-
sofica eloquenza, di cui era capace, la necessità materiale non
solo , ma la giustizia intrinseca e razionale della voluta proi-
bizione. Allora una così importante opinione non appariva sol-
tanto appoggiata ad aride e sterili avvertenze.
Egli è vero per altro che i mali e le schifose conseguenze
di queir inveterato abuso della pubblica questua sono cosi
sensibili e frequenti, e ci vengono poi con tanta evidenza dal
nostro Autore rappresentati, che bastano a gran pezza per per-
suaderci della necessità di quella proibizione, per quanto una
siffatta misura possa ancora a qualche più tenero pensatore
sembrar severa, od anche dispotica.
La necessità pertanto di questa proibizione accompagnata da
tutti quegli analoghi provvedimenti che sono diretti a proscri-
vere il pubblico esercizio della mendicità , è riconosciuta dal
nostro Autore come un bisogno sociale j purché, ben inteso,
non venga ad un tempo angustiato il libero arbitrio della ca-
rità privata.
In tal modo si viene dimostrando che 1' applicazione delie
teorie di Duchàtel e di Naville, che trasportati da una filan-
tropia d' immaginazione e di cuore, vorrebbero tuttavia libera
la pubblica questua , e quindi esclusa la carità legale e coat-
tiva con tutte le sue tasse, ben lungi dal recare alla società
alcun reale vantaggio, e di evitare quegl' inconvenienti che da
questi scrittori le sono imputati , verrebbe anzi gravata di
moltissimi altri più considerevoli danni, che il nostro A. non
ommette di riferire ( J^ol. i. pag. 3 7. e 38. ).
Lo invaghirsi pertanto alla cieca di quelle teorie , può sola-
mente provenire dal non considerare abbastanza attentamente
la condizione presente della società , e le molle principali che
la fanno operare. Della qual cosa mentre l'Autore del Saggio
vuol farci avvertiti, ci dà poi una prova della sua singoiar per-
spicacia, allorquando afferma che chiunque si confida unica-
mente nella carità privata e spontanea, non bada alle moki'.
-2M
indicazioni che protrano scemato il fervore dei sentimenti reli-
giosi j e cresciuta la tendenza del secolo a maggiori godimenti
niMeì'ialij e quindi a maggior egoismo ^ specialmente nelle con-
trade doue è in vigore la carità legale.
Sin qui dei mezzi coercitivi e diretti che il Governo può e
dovrebbe usare per estirpare la Mendicità, soprattutto con vie-
tare la pubblica questua. Ora vengono con bella precisione no-
verati nel capo IX. quei provvedimenti indiretti che meglio
possono rimovere le cause generali della Mendicità, e ridurre
al minor numero possibile i veri poveri.
Egli è quivi perciò che veggiamo suggerita la pratica di tutte
quelle disposizioni , e 1' introduzione di tutte quelle benefiche
istituzioni appartenenti al governo morale , politico , ed eco-
nomico di uno Stato, e che hanno per iscopo di aumentare
la prosperità pubblica , con diminuire la miseria privata.
Troppo lungo sarebbe 1' enumerare in questo scritto tutti
questi mezzi che propone 1' Autore ; noi pertanto ci limitiamo
a notarne i principali.
Fra i primi adunque notasi quello di accordare un ragione-
^vole e proporzionato favore all' industria tanto agricola , che
manufattrice ; coll'avvertenza però di rivolgerlo piuttosto alla
prima che non alla seconda , quando così il richiede la condi-
zione del paese che si vuole sgravare dal pauperismo. A questo
proposito e nelle note annesse a questo primo libro dell' Opera ,
va congiunta una discussione dove l'Autore scostandosi dai prin-
cipii del Golbertismo , e giustamente sgomentato dalle crisi
commerciali che tratto tratto si scorgono in alcune contrade ,
adduce le ragioni per cui egli non crede che possa essere utile
il promuovere la produzione industriale sino all' infinito , ma
pensa in vece che debba limitarsi entro i confini eh' egli sup-
pone indispensabili per tenere 1' equilibrio tra la produzione,
e la consumazione probabile , e per non vedere la classe det,li
operaj esposta a tutte le conseguenze disastrose della mapcanza
del lavoro , e del ribasso delle mercedi.
Sono gli stessi timori e quest' istessa prudenza , che consi-
gliano poscia air Autoi'e delle simili limitazioni , sia allorché
ragiona sulle pubbliche tasse, e vuole che siano moderate, sia
295
quando desidera la promulgazione di leggi annonarie, sia quando
raccomanda 1' esecuzione di lavori pubblici.
Nelle discussioni eh' egli intraprende sopra questi rilevantis-
simi oggetti, lo spirito di una ciicospetta moderazione gli è
sempre compagno. Cosi quantunque l'Autore dichiari di profes-
sare il principio della libera concorrenza , nell' esecuzione pra-
tica però rinviene tanti e tali inconvenienti , eh' ei termina
pur anche per credere indispensabili molte riserve e limitazioni.
Ciò specialmente si osserva là dove si tratta dell' importazione,
e dell' esportazione dei generi di prima necessità.
Ad uno stesso modo veggonsi temperati i consigli che deb-
bono regolare le deliberazioni, e gli appalti de' pubblici lavori.
Esamina quindi su di ciò la quistione se meglio convenga af-
fidarne la direzione al Governo centrale, oppure a, t.iueìlo della
provincia 5 ed anche qui il nostro Autore colla solita prudenza, «
con quel metodo conciliativo che nelle cpse ordinarie di Stato
è il più fecondo di vantaggi reali e sicuri , pensa che il sislem.i
medio e temperato che ammette secondo le circostanze tutte
le capacità e che non esclude veruna persona rivestita di ca-
rattere pubblico , che pondera la qualità dell' impresa , e che
poi combina tutto ciò colle convenienze locali, sia quello da pre-
ferirsi. Frattanto se vi fermerete sopra questo argomento dei
lavori pubblici troverete eziandio discussa la giustizia di (juclla
legge , che per V esecuzione delle opere pubbliche adotta la
facoltà dell' occupazione della proprietà privata , e sopra di ciò
riconoscerete col conte Petitti l'inviolabilità di questo diritto,
salvo l'unico caso di una vera, provata, ed imponente pubblica
utilità: per accertare poi le condizioni ed i confini 'della quale
utilità egli vi mostrerà distintamente i metodi , e le cautele e
le provvisioni legislative.
Egli tiene poscia peculiare discorso sopra i ponti e le strade
in ferro , e ne ragiona la varia loro utilità secondo la varia
condizione ed estensione degli Stati.
Ma soprattutto degna di lode si è la descrizione , che vien
data in quest'opera di tutti quei lavori pubblici che sarebbe
ancor utile d' intraprendere o di continuare negli Stati conti-
nentali del Re di Sardeeua.
296
Continuando frattanto a parlare dei mezzi indiretti per di-
minuire il pauperismo, è altamente consigliata l'istruzione ele-
mentare delle popolazioni minute ed indigenti , 1' istituzione
delle casse di risparmio , la protezione e 1' incoraggiamento
dello spirito di associazione, specialmente riguardo alle società
per mutui soccorsi 5 di preferenza ai corpi delle arti e mestieri,
dei quali sull'autorità di varii celebrati scrittori e fra gli altri
del Verri se ne bramerebbe l'abolizione *i.
Uno fra i mezzi più possenti per prevenire la Mendicità, e
ridurla a minor numero si è quello di una buona legislazione
civile , la quale fra gli altri benefizii minora pur anche i li-
ligi. Ed è poi in ima delle discussioni apposte per nota al
fine del primo voi. che l'Autore mostra il bisogno di una com-
piuta ed uniforme legislazione civile , commerciale, e penale
neir interesse pur anche della mendicità , come quella che de-
terminerebbe i diritti ed i doveri di ciascun cittadino , facili-
terebbe i privati commercii , e diminuirebbe le contenzioni. —
Ed è quivi perciò che 1' egregio Autore col voto di tutti i
migliori scrittori di cose legislative, coi riflessi scritti dal conte
Federigo Sclopis *2 , e coli' esempio de' migliori codici d' Eu-
ropa, prelude a quella legislazione che fra poco , lo sperano
tutti, beneficherà le piemontesi popolazioni (;?«§• 4^5. e seg.
voi. I. ).
La carità e la beneficenza generosamente e saggiamente eser-
citate , sono pure uno dei rimedii più positivi della Mendicità.
Non è perciò da chiedere se il nostro Autore se ne occupi.
Anzi la stessa opinione già da noi emessa quando diemmo rag-
guaglio dell'opera del sig. di Naville *3, si è pur quella del
conte Petitti. Egli perciò non si contenta ohe la carità stia nel
libero ed indeterminato arbitrio degli individui, ma desidera che
venga pur anche quando che sia diretta, illuminata, e promossa
dal Governo. Questo è lo stesso che dire , che 1' intervento
*i Certamente qui l'Autore non intese parlare dei Capi delle Arti che alimen-
tano e sopraintendono alle Sale di asili stabilite con tanto successo in Firenze.
*a V. li quattro Discorsi della legislazione. — Torino. i835.
*3 Pistribuzioiw a. di settembre pag. 563 di questo Giornale.
297
governativo è necessario per dirigere , eccitare, e sussidiare la
carità spontanea e privata ; e che quella coattiva e legale deve
essere secondo le occorrenze ammessa in una ben disposta so-
cietà. Laonde registrando le ragioni che si sogliono allegare in
prò e contro siffatta opinione , dimostra che quelle in favore
sono preponderanti.
Accennati i mezzi indiretti con cui si può e si deve riparare
alla Mendicità, e dato uno sguardo sulla competenza della spesa,
vale a dire sulla quistione se e come sia giusto di fare un ri-
parto fra li varii poteri sociali , cioè fra il centrale, il provin-
ciale ed il comunale della spesa occorrente per 1' esecuzione
dei provvedimenti necessarii per ottenere quell'intento 5 il nostro
Autore passa ad offrire un metodo che crede il più conveniente
per distribuire le molteplici incumbenze che il buon governo
della Mendicità richiede. Ad esso pertanto vi chiama tutti i varii
officiali sia dello Stato , che della Provincia , e del municipio,
e vuole che l'opera di tutti 0 politici o giudiziari! od econo-
mici impiegati che siano, concorra riunita e concorde al fine
proposto di estirpare , correggere e diminuire il pauperismo.
Nella quale distribuzione è saggiamente adoperata una propor-
zionata dispensa di attribuzioni e di doveri , che non può a
meno di dar luogo ad una utile e saggia emulazione , e pro-
curare una scambievole sorveglianza sopra le operazioni di cia-
scun impiegato.
Non bastava certamente dimostrare 1' utilità di proibire la
pubblica paltoneria , e di esporre i mezzi più efficaci per otte-
nere la repressione e la riduzione dei mendici , se nel tempo
stesso non si proponevano quegli stabilimenti necessarii per
curare e tener lontana dall'aspetto della società questa piaga,
che pur troppo non si può sanare del tutto.
Quindi il nostro Autore per i poveri validi propone 1' am-
pliazione e la fondazione delle case di ricovero e d' industria ,
nelle quali debbano esercitarsi in utili occupazioni i poveri rac-
coltivi o volontariamente , o per forza. Esponendo le regole più
adatte per l'amministrazione di queste case, e per lo miglio-
ramento morale di coloro che vi vengono ricoverati , in con-
seguenza delli già premessi principii , egli vuole che l'intervento
208
governativo sia per esse ristretto unicamente ad alcune supe-
riori direzioni ; per modo che venendo a fondarsi uno di questi
stabilimenti da una società di benefattori , il Governo debba
bensì proteggerlo , e favoreggiarlo con sussidii , ma non esten-
dere la propria ingerenza oltre all' approvazione dell' opportuno
regolamento.
Le stesse regole accompagnate da tutte quelle norme, che
sono indispensabili per assicurare la loro sussistenza , vengono
eziandio suggerite riguardo all' istituzione di case di ricovero
per i mendicanti invalidi.
Relativamente a quelli vergognosi si raccomandano special-
mente alla prudenza delle autorità municipali , che conoscen-
done più da vicino la condizione , meglio possono provvedere
al loro sollievo senza lasciarli esposti ad una necessaria , od
anche tal volta ippocrita pubblicità. Per ciò poi che riflette
ai soccorsi, la carità privata e le Congregazioni di carità deb-
bono più particolarmente provvedervi.
Oltre a questi mezzi che sono quelli più conosciuti , e più
generalmente praticati per contenere nel numero, e migliorare
nella condizione le varie specie de' poveri, l'opera del conte
Petitti indica ancora quegli altri mezzi che sono meno ordinarii
'e comuni, e che possono soltanto aver luogo secondo la varia
posizione, e condizione degli Stati.
Tali sono li stabilimenti agricoli mediante la concessione e
riparto di una data quantità di beni comunali a ciascuna fa-
miglia povera j tali sono le colonie estere ed interne 5 tale la
permissione , o l' invito , e qualche volta anche il comando
delle emigrazioni in quei casi, cioè, in cui la popolazione dei
poveri si rendesse strabocchevolmente eccessiva *i.
*i II progetto degli stabilimenti agricoli e del riparto de' beni comunali po-
trebbe effettuarsi sulle basi e coi mezzi cosi saviamente proposti nell' eccellente
scrittura del sig. conte Piola sopra i terreni incolli del Piemonte ; nella quale
si venne scoprendo una carriera sinora trascurata per aumentare l.i ricchezza
territoriale di uno Stato e la somma del lavoro , e perciò di mezzi di sussistenza
per la classe indigente.
Gli stessi divisamenti del Piola vennero recentemente ripetuti nella disserta-
zione sulla coltura dei pascoli pubblici annessa agli Elementi di economia po-
lìtica di Filiberto Demarese.
299
Chi legge quest' opera , troverà a questo luogo un esame delle
leggi pauperarie attualmente in vigore nei principali Stati di
Europa , e specialmente di quelle vigenti in Piemonte ^ esame
che conduce l'Autore a molte importanti conclusioni, fra le quali
quella che ricorda , che le provvisioni sulla Mendicità quando
sono troppo rigorose e crudeli ben lungi dal frenarne gli abu-
si , non fanno anzi che aumentarli.
Troverà parimenti un invito per la formazione di statistiche
della Mendicità, colle regole opportune per quella più esatta
loro compilazione che la materia , le circostanze e lo scopo
possono permettere , e seguendo i consigli di Romagnosi , e di
Pocqueville , evitare gli scogli che prima di essi incontrarono
Villeneuve, ed il Gioia.
Dopo di avere, come sin qui abbiamo veduto , colla scorta
de' migliori scrittori , e col proprio criterio esposte tutte quelle
massime , e proposti tutti quei metodi che gli parvero più giusti
e convenienti per dare un buon governo alla Mendicità , uno
scrupolo sopraggiunge al nostro Autore , e teme che tutte quelle
massime, e tutti quei divisamenti possano coli' andar del tempo
far introdurre la tassa dei poveri , quale si trova stabilita in
Inghilterra con tutti gl'inconvenienti che quivi l'accompagnano.
Ma egli facendo tosto toccar con mano la differenza che passa
tra i risultati dei proposti divisamenti e quelli della tassa in-
glese, e soprattutto ripetendo che presso di noi i poveri hanno
di già un patrimonio permanente nelle opere di pubblica bene-
ficenza, che deve essere inviolabilmente conservato, e giammai
usurpato, ma tutelato dalla pubblica autorità ( Fo/. I, pag. 122
e seg. ) , ed osservando ancora che il generale e coattivo con-
corso dei cittadini sarebbe soltanto richiesto allorquando non
fossero più sufficienti né la carità privata , né quell' istesso
patrimonio ; rassicura perciò in tal modo se stesso , ed i pro-
prii lettori dai concepiti timori.
Dileguati così tutti i dubbii sulla giustizia , e sulla utilità di
tutti gli ordinamenti e metodi proposti principalmente per la
proibizione della questua, e sulla ragionevolezza della carità le-
gale, non poteva il conte Petitti di tutte queste sue conclu-
sioni dare una riprova migliore , fuorché inserendo per appen-
300
dice alla sua opera, come fece , la Sovrana Provvisione del
29 novembre i836, con cui si stabiliscono le condizioni colle
quali nei dominii di terraferma del re di Sardegna potranno
quindi innanzi erigersi Ricoveri di mendicità.
Chiunque sulle tracce del conte Petitti esamini i principii
che si ebbero presenti nell' ordinare questa legge , ed i risultati
che si voglion con essa ottenere , andrà sempre più persuaso
che venuto il caso della sua esecuzione, la mendicità sarà go-
vernata con minor gravezza de' privati, e dello Stato, i mendici
stessi avranno maggior sollievo , e cesserà soprattutto quello
scandalo della pubblica questuazione.
§ II. Degli Istituti di beneficenza.
Se necessario e giusto è 1' ufficio di reprimere e di correg-
gere la Mendicità , più bello e santo si è quello che si consa-
cra a prevenirla , ed a soccorrerla.
A ciò intende il secondo libro dell'opera del sig. conte Petitti,
diviso in dodici capi, tutti ridondanti di principii, di notizie
storiche e legislative, di norme e di metodi sulla direzione a
darsi alla beneficenza onde si comparta a reale vantaggio del-
l'umanità bisognosa e sofferente.
Il sentimento e l' obbligo della beneficenza è ingenito alla
natura dell'uomo, ed all'essenza della società. Quindi è che non
solo convenienti , ma anzi necessarii sono gV istituti destinati
a promoverla , a raccoglierne ed assicurarne gli atti , e a di-
stribuire secondo i diversi bisogoi , le sovvenzioni della carità
privata. Da queste verità il consigliere Petitti prende nuova
occasione per confutarele opinioni di quegli scrittori che prefe-
rendo una libertà vaga , e senza limiti sopra l'esercizio della be-
neficenza, cercano di far credere inutile 0 nociva siffatta sorta
d' istituti.
Ciò premesso ei procede al novero di questi stabilimenti se-
condo la qualità degli infelici , a cui vengono in soccoi-^o , e
questa descrizione basta per convincere che non v' ha genere
d' infermità , a cui l' ingegnosa beneficenza dell' uomo non ab-
301
bia pensato , e dì cui questi istituti , nei quaK essa Tiene per
così dire depositata , non si occupino particolarmente.
Le persone perciò che ricevono in questi diversi stabilimenti
i convenienti sussidii sono le donne partorienti, poi gli esposti^
o trovatelli, indi gl'infanti legittimi, poscia gli orfani, quindi
gì' infermi , i maniaci , gì' incurabili , i poveri vergognosi , e
finalmente le fanciulle nubili.
Pare che qui si possa avvertire una lacuna , perchè non vi si
scorge fatta menzione delle donne di mala vita , una delle non
meno deplorabili miserie sociali. Eppure esse formano pur troppo
una classe delle più bisognose de' soccorsi morali della società,
e difatti per esse la beneficenza non è punto stata inoperosa ,
esistendovi molte leggi , e vari stabilimenti sia per ovviare alla
moltiplicazione di queste donne , sia per curar quelle che sono
cadute inferme, sia per ricoverarle quando inclinano alla con-
versione. Di quanti bisogni , di quante cure , di quanti ordi-
namenti sia bisognevole questa sciagurata schiatta di persone,
bene il provala recente opera del sig. Parent du Chatelet*i ,
ed i varii statuii, ed i parecchi stabilimenti che ad un tal
uopo anche presso di noi sono fondati *2. Abbiamo tanto più
notata questa lacuna, poiché non 1' abbiamo vista riempiuta
quando nel capo Vili, del libro 3." sulle carceri , accenna di
volo gli ^Ergastoli per le donne discole ; e perchè eziandio ella
è questa una negligenza che contrasta troppo risentitamente
colla minuta accuratezza del restante dell'opera.
Rivedute le altre più antiche istituzioni di beneficenza s' in-
contriamo poscia in quelle più recenti , come sono i Monti di
*i De la prostìtution dans la ville de Paris considérée sous le rapport de
rhygiéine publique , de la morale , et de l'administration. — Par A. I. B.
l'arent du Chatelet ( Paris i836 ).
*2 Si possono su questo propobito vedere gli statuti della città di Vercelli del
i333, lib. 4- — Quelli di Vigevano del x532. — E Cnalmente quelli di Torino
del i36o; — In particolare poi le RR. PP. del 20 maggio 1766. — E quelle
del 12 Qbre 1791 di regolamento del Vicariato. — Meritano poi speciale consi-
derazione i sovrani provvedimenti del 16 gennajo 174^, 27 novembre J744 ^
3o agosto 1751 relativi ;;lla fondazione dell'opera ossia Deposilo delle convertite
amministrata dalla Compagnia di S. Paolo , « del ritiro detto delle Forzale pu*-
Miche stabilito in Torino.
502
pietà, le Casse di risparmio, le Società per le assicurazioni,
e le Lotterie.
Se non clie sopra i Monti di pietà che prestano sopra pe-
gno e con interesse, si sarebbe forse potuto aggiungere che ben
soventi non servono quanto ai facoltosi che ai disordini del
lusso, e quanto ai meno agiati che alle conseguenze del vizio;
cosicché vi sarebbe molto a dubitare se i Monti di pietà a
tal modo stabiliti possano veramente chiamarsi ed essere in so-
stanza veri Istituti di beneficenza.
Parimenti le lotterie , ove cadano sopra oggetti mobili e spe-
ciali, ed ove siano temporarie, e tutto l'utile si eroghi a prò
degli indigenti , consentiamo ancor noi coli' Autore che possano
riescire ad opere di beneficenza , ma diversamente le trove-
remmo in contraddizione con quanto egli stesso scriveva nel
capo IX del libro precedente , cioè che fra i mezzi indiretti
per rimuovere le cause generali della Mendicità , bisogna im-
pedire gli stabilimenti che invitano ai vizi d'ogni specie e par-
ticolarmente alla pratica dei giuochi di sorte.
Nello stesso modo finalmente quando si parla delle Casse
di risparmio si sarebbe eziandio potuto suggerirne 1' annesta-
mento colle Banche agricole , dirette a sovvenire le classi con-
tadine di fondi destinati per le migliorie de' poderi e delle ma-
nifatture. Raccomandare che con tutti i mezzi di pubblicità che
si possono avere , e con quello specialmente della istruzione
confidata al Clero , venisse spiegato all' intelligenza del popolo
Io scopo di queste Casse, e resogli famigliare il loro istituto,
sarebbe pur stato un ottimo consiglio.
Ma indipendentemente di queste lievi inavvertenze l'illustre
Autore ritorna a meritare i più giusti encomii , allor quando
riconosce che alla religione cristiana sono dovuti i progressi della
vera beneficenza , i di cui canoni nella civiltà del paganesimo
giacevano pressoché ignorati od inerti. Mosso da questa storica
considerazione egli non dubita di conchiudere che Vaholire gli
stabilimenti di beneficenza sarebbe non un progredire, ma un
retrocedere nelle vie della vera civiltà.
Ma nulla potrà mai farci temere questo disastro. Come poi
il cristianesimo sia slato quello che arricchì pur anche la mo-
303
derua civiltà degli stabilimenti caritativi , uoii è cosa clic si
possa negare. Egli difatti, mentre rinvigoriva e fecondava tutte
le cagioni psicologicbe e religiose che spingono naturalmente
r uomo alla beneficenza, non perdeva di vista le cause esterne
e materiali che potevano più facilmente propagarla e stabilirla.
Quindi è che nel libro del sig. conte Petitti troviamo con molta
erudizione ricordate le cagioni storiche che costituirono la carità
privata. Ed una tale indagine ci guida naturalmente a conoscere
quali siano state le pubbliche ragioni e gì' impulsi principali
che determinarono le fondazioni, le dotazioni più cospicue degli
istituti di beneficenza e le speciali loro destinazioni. Cosi alle
frequenti donazioni dei potenti , alle Crociate ed alle Emanci-
pazioni dei Comuni , fannosi risalire le fondazioni di questi
pii istituti ; non senza però assegnare alle epoche più receuti ,
in cui le popolazioni sono accresciute, e le proprietà più di-
vise , il migliore ordinamento , e la moltiplicazione dei me-
desimi. Egli è pertanto all' appoggio di così fatte investigazioni
che si viene assolvendo il Cristianesimo dall' imputazione che
alcuni scrittori , e persino dal Gioia e dal Sismondi sembrangli
venir fatte di avere cioè colla paura della fine del mondo, collo
stimolo dell'espiazione, e colle indulgenze impinguata la Chiesa,
sottratte le proprietà al commercio, popolato il mondo di Mani
■morte, e di stabilimenti inutili, corrotta la morale, e ritardato
l'incivilimento *i. Il nostro Autore per contro col senno e colla
pietà che lo distinguono, osserva che se qualche abuso potè in
tali cose succedere nei tempi d' ignoranza e di superstizione ,
esso però non deve mai confondersi col dogma della carità cri-
stiana, né colle intenzioni e coi reali vantaggi, che sin d'al-
lora recavano gli stabilimenti di beneficenza , e che perven-
nero aumentando sino a noi lasciandoci un patrimonio irrevo-
cabile di saggi provvedimenti , e di positive sostanze.
Terminate queste osservazioni che come ognun vede sono
forse di troppo poderosa importanza per un semplice Saggio ;
e spiegato come negli istituti di beneficenza si debba praticare
*i Vedi le opere del merito e delle ricompense lib. i, cap. a,, e Hyst. des
lèfjul/tù/ut's italiennes, p;!;;. 4j6, 419, \\fè.
504
la carità morale , e quella materiale col miglioramento interno,
e coir estrinseco soccorso del bisognoso , ritorna 1' Autore con
maggior ampiezza però di argomenti a trattare la quistione del-
l'i/2fer>'erefo governatilo, che forse più opportunamente poteva
ad un tratto esaurire nel capo X. del primo libro. Comunque ,
anche rispetto agli istituti di beneficenza , ritiene sempre per
base inconcussa che mentre si debbono sempre ad ogni costo
rispettar ed eseguire le pie intenzioni de' fondatori, pure il Go-
verno possa e debba partecipare alla direzione di siffatti stabi-
limenti. Il suo ufficio però si vuole costantemente ristretto ad
una larga tutela , senza che s' ingerisca nelF amministrazione
interna ed esterna delle opere pie , ma unicamente si limiti ad
autorizzarne il regolamento , e a sopraintenderne la osservanza,
ed a richiedere di tempo in tempo i rendiconti amministrativi
tanto morali, che materiali.
Non si può difatti negare a questo proposito che rimosso
ogni sospetto sull'avocazione al Governo dei diritti e dei fondi
di questi stabilimenti , tolto ogni dubbio sulla violazione o sulla
diversa applicazione delle intenzioni dei benefattori , e perciò li-
mitata l'azione del governo ad un concorso di illuminata, gene-
rosa e disinteressata tutela , l' esecuzione dello scopo di questi
istituti e le pie volontà dei fondatori possono venire con mag-
gior sicurezza e regolarità guarentite. Quest' intervento del Go-
verno, egli è poi anche fatto per ispirare una maggior confi-
denza alla carità privata, e per scemare il pericolo delle mal-
versazioni , giacché r amministrazione si troverebbe sempre in
presenza d' una vigilanza più potente , imparziale ed esperta.
Venendosi a parlare d' uno stabilimento, necessariamente si
viene pur anche a parlare della sua amministrazione. Quella
pertanto degli stabilimenti di beneficenza , sarà ella sottoposta
al sistema di concentrazione j che fa governare tutte le opere
pie di uu municipio da una sola Congregazione locale, oppure
sarà soggetta a quello di separazione , che lascia a ciascun' o-
pera la sua special amministrazione ?
Ecco come l' Autore scioglie questo problema. Se la qui-
stione viene limitata alle istituzioni di un solo municipio , in
•juLsto caso non si può dissentire che talvolta e soprattutto
505
mancandovi persone capaci di amministrare 1' opera pia , sia
preferibile il sistema di concentrazione. Ma quando all'opposto
si trattasse d'uno stato, o d'una provincia allora è più saggio
il partito della 5ep«/'azio/ze ; il che deve poi maggiormente aver
luogo secondo l'Autore allorché si tratta di Ospedali ( cap. VII.
lib. 2. ). Ovvia si è la ragione di questo giudizio. Infatti le
peculiari intenzioni dei fondatori e le destinazioni di ciascun
stabilimento non possono meglio conoscersi che nel luogo stesso
in cui sono fondati , ed i bisogni poi e gl'interessi speciali ed
individuali tanto dello stesso stabili meulo, che delle persone che
vi ricorrono , difficilmente potrebbero venire rappresentati al
Governo centrale o provinciale, senza che la beneficenza si tro-
vasse esposta al pericolo delle parzialità , e dei favori in de-
trimento o dell' uno o degli altri. In generale pertanto e salve
alcune rarissime eccezioni checché ne pensi il conte Folchino
Schizzi , si può tenere col nostro conte Pctitli per il sistema
di separazione.
Posta la necessità d' un' amministrazione , conviene pensare
alle persone che deggiono comporla. Quindi mentre il nostro
Autore reputa conveniente che gli Amministratori siano gratuiti,
crede però che gli Agenti contabili da cui quelli sono ajulati
debbano avere uno stipendio. E qui avrebbe potuto terminare
di esporre tutto ciò che riguarda l'ordinamento personale d'un
opera pia, a vece che con offesa dell'ordine ne torna poscia a
discorrere nel capo Vili, pag. 8o del secondo volume.
Sulla quistione poi ( che forse era eziandio più opportuna a
trattarsi quando si nigionò sull'origine degli stabilimenti di be-
neficenza e delle varie cagioni che ne determinarono le dota-
zioni ) se convenga che le opere pie posseggano o non beni
stabili , il slg. conte Peti Iti malgrado alcuni speciosi argomenti
che certuni adducono in contrario, si dichiara per l'affermativa.
Da questa sentenza riesce a queste savie conclusioni — che le
opere pie debbono per quanto possono conservare l'antico loro
patrimonio, eccettuato il caso di utili e parziali permute — e
che non può essere né utile, né dignitoso per i governi di pren-
dere i beni di questi istituti, assumendo il peso di corrispon-
dere all'opera r interesse del loro valore. Quando e dove ciò
20
306
avvenne grave nocumento ne provarono gli stabilimenti stessi ,
e grave scandalo la carità privata.
Veramente poi ad un immenso lavoro si accinge l'Autore
scrivendo il capo VII- — Qui è raccolta la descrizione dei varli
istituti di beneficenza, ospizj , congregazioni, spedali, manico-
miij ciascuno secondo i bisogni e le varie specie di persone
d'entrambi i sessi, che nei medesimi ricevono soccorsi mo-
rali, o materiali. — Qui si parla pur anche di quelle congre-
gazioni di uomini e di donne dedicati al servizio di quegli
ospedali stessi
— Qui si veggono minutamente registrate tutte le regole e
tutte le discipline opportune al buon governo interno di questi
istituti tanto sotto il rapporto morale, istruttivo e [religioso,
che sotto il rapporto fisico, economico, ed igienico singolar-
mente in occasione di epidemie e di contagi *i. — Qui persino
si discorre della struttura e della disposizione architettonica
degli edifizj. — Qui da ultimo si viene nuovamente a par-
lare, sebbene sotto maggiori rapporti, dei Monti di pietà, delle
Casse di risparmio, delle Società di assicurazioni, e delle Lot-
terie, di cui già aveva toccato nel primo libro.
Come ognun vede eccede ogni confine di un articolo di gior-
nale lo intraprendere il ragguaglio di tutte queste cose, il che
ove si facesse non riescirebbe altro che una sparuta ripetizione
di notizie già nell' opera stessa toccate soltanto per cenni.
Ci restringiamo pertanto a lodare l'intento dell'Autore quando
si dichiara fautore del sistema del mutuo insegnamento nelle
case di rifugio, ove desso si estenda pur anche alle dottrine re-
ligiose ; confutando cosi vittoriosamente tutti quegli argomenti
•| Fra i vai'ii Giornali Torinesi che più o meno rapidamente già parlarono
di quest'opera del conte Pclitti , il Repertorio delle scienze fisico -mediche estese,
com' era dovere , le sue osservazioni sopra i metodi curativi clinici, vittuarii e
farmaceutici che si osservano nei varii stabilinicnli di beneficenza. Queste os-
servazioni che sono dcitate da una persona dell' arte , meritano d' essere ponde-
ratamente avvertite. E per una persona dell' arte era certamente onesto il pa-
trocinare 1' onore della propria professione ; se non che in questa difessi bisogna
pruna ricordarsi ben bene che i consigli non sono accuse, come gli abusi pos-
sibili non sono le massime pratiche di un' arte.
507
che ancora si fanno contro questo sistema che si è una. delle
più benefiche istituzioni della moderna civiltà (pag. a/p e seg.
voi. li;.
Sebbene poi già per due volte avesse parlato dell' intervento
governativo, pure vi rinviene il nostro Autore per insegnare
quelle regole che ponno essere più proprie per operare una
salutare influenza del Governo sull' amministrazione, e sulla
contabilità degli istituti di beneficenza, e per 1' ordinamento
di quelle persone o pubbliche o private, che deggiono avervi
le necessarie incumbenze , onde la posizione e la qualità so-
ciale di ciascuna si accordi col miglior esercizio dell'impiego,
e mai ne nasca alcun conflitto di attribuzioni. Ed affinchè
nulla mancasse a queste ricerche propone inoltre le norme che
sono da tenersi nella formazione dei regolamenti speciali di
ciascun stabilimento, che (come già si disse) deve sottoporsi
all'approvazione superiore, come pure le regole che voglionsi
osservare nello estendere i rendiconti , e le massime fonda-
mentali su cui deggiono venir regolati.
Questa disamina portava nuovamente 1' Autore a ragionare
della utilità delle statistiche di ciascun stabilimento di benefi-
cenza, e perciò indica le condizioni principali onde la loro re-
dazione riesca se non di una geometrica esattezza , almeno perà
di un positivo profitto.
Ma poiché si parla assai sovente di statistiche, si sarebbe
desiderato che si fosse nello stesso tempo insegnato, che il
maggior loro giovamento sta riposto nella costaate loro pub-
blicità, affinchè i loro risultati non siano sempre un arcano do-
cumento , o restino soltanto noti a ben pochi.
Neil' opera che percorriamo si osserva soventi questo con-
trasto : talora lo scrittore rasenta terra terra per accontarci de'
più minuti particolari, e tal altra volta solleva il volo a cose
di ben più alta portata. Cosi nel capo X. scorre rapidamente
sulle legislazioni relative agli statuti di beneficenza nei varii
stati d'Europa, ed accennato come fosse peccante e nocivo lo
stato della legislazione antica, passa a rivedere quello attual-
mente in vigore nella Francia, nell'Inghilterra, nel Regno Lom-
bardo-veneto, e finalmente negli stati Sardi, dove la maggior
508
parte delle opere pie si governa ancora con regolamenti par-
ziali e talvolta incoerenti. Egli è perciò che quivi si stava tut-
tavia desiderando un ordinamento generale ed uniforme, che
ne assicurasse la retta amministrazione, e potesse la carità con
lumi e mezzi maggiori spandere più distesamente i suoi benefizj
(FoL II, pag. ii8>
Come poi si è veduto essere abbondante il contenuto nel
capo VII. di questo secondo libro, così non minore si è il
cumulo delle cose raccolte nel capo XI. In esso difatti non
si fa di meno che passare in rassegna gì' istituti di beneficenza
esistenti nei principali stati d'Europa, e segnatamente in quelli
italiani.
Ma in una maniera ancor più speciale si rammentano tutti
gì' istituti di beneficenza che esistono nelle otto divisioni di
terra ferma, che compongono lo slato Sardo, e di ciascuno
ne ricorda i titoli , le destinazioni , le rendite , e le facoltà.
Non sarebbe parimenti possibile il tener dietro a si gran mole
di notizie statistiche; ed è perciò che rassegniamo i lettori alla
lettura del libro se bramano averne un' intiera contezza.
Diremo però soltanto che l'Autore consacra alcune partico-
lari considerazioni sul governo dei fanciulli esposti, ricordando
con venerata menzione le provvide R. Patenti del 1 5 ottobre
1822, colle quali furono prescritte ottime regole per l'ammi-
nistrazione degli ospizj dei trovatelli , e quel che è più gene-
roso si assegnò un'annua somma di il. 4*5,000 pel loro man-
tenimento. Nuova prova e conchiudentissima si è questa che
r intervento governativo nelle opere pie non deve solamente
essere un atto di potere assoluto, ma bensì di paterna muni-
ficenza. Né vogliamo poi congedarci da questo pietoso argo-
mento dei trovatelli , senza dire anche noi, come disse il conte
Petitti , che il malcostume ed il numero dei figli spuri, non
già alla facilità del ricovero che trovano negli ospizj si debbono
attribuire, ma sì bene a molte altre cavise morali, come sa-
rebbero lo stabilimento delle grandi manifatture ^ V accresci-
mento degli eserciti permanenti j raumento del lusso nelle classi
minori , e l' accumulazione di molta popolazione nelle grandi
città. Per tali cagioni si riconosce ognor più indispensabile Tesi-
309
stenaa degli ospizj per le partorienti e per gli esposti , come
pure r accoglimento di questi ultimi per mezzo delle Ruote. E
per verità quand' anco siffatti ricoveri non servissero che ad im-
pedire un solo infanticidio , ciò basterebbe per dichiararli ne-
cessarii e meritevoli della perenne approvazione della umanità
e della sociale economia.
Osserveremo ancora che l'Autore soggiunge alcune altre con-
siderazioni sugli ospizi dei maniaci che pur si potevano con mag-
gior aggiustatezza riunire a quelle più estese, che prima si da-
vano nel § 9 del capo VII. Se noi si facciam debito di lodare
che tutti i metodi di trattamento suggeriti dal Conte riguardo a
questi infelici spirano sempre umanità , dolcezza , e filantropia,
sappiamo però che a taluni recò stupore come egli abbia tra-
sandato di celebrare la erezione del nuovo manicomio esegui-
tasi nella capitale del Piemonte. E questo rimprovero gli si fa
soprattutto per avere lasciato dubitare che in questo stabili-
mento non si fossero ancora in tutto adottate quelle pratiche
più miti , che tanto possono sul morale di quegli sventurati.
Che se per avventura queste pratiche non si veggono ancora
tutte compiutamente poste in esercizio; ciò non già al difetto
di cognizioni negli amministratori , né assai meno al difetto
di volontà, come neppure al vizio dei regolamenti; ma bensì
all'immensa moltitudine di tante altre maggiori urgenze ed all'
incredibile dispendio occorso per provvedervi si deve unica-
mente attribuire. Del resto non sarebbe né giusto , né generoso
il dimenticare che non sono ancora quindici anni che questo
stabilimento giaceva ancora in un angustissimo locale, in uno
stato d'inerzia, e con tutti gli antichi poco umani metodi di
trattamento; ed ora invece ha un magnifico edifizio costrutto,
e governato secondo le migliori e le più recenti norme adot-
tate ne' più celebri Manicomii. Onde poi sorga una maggior
armonia nelle varie parti del suo regolamento interno, e mag-
gior concordia nell' amministrazione, sappiamo che il Governo
vi ha più volte non invano rivolto l'animo, ed ancora recente-
mente incaricò una special Commissione per darvi riordina-
mento. Tutte queste erano sicuramente soddisfacenti notizie che
l'Autore dell'opera che esaminiamo, poteva inserirvi ad onore
310
(Iella patria, ed esse ci avrebbero alquanto racconsolati ài queir
altra ben triste, cbe ci dà annunziando 1' aumento sensibile
che si riscontra nel numero dei maniaci ( J^ol. II, pag. 3o6 ).
Finalmente diremo che in quest' opera non si tralascia di
fare alcuni cenni sulle Confraternite italiane , ed altri istituti
che ab antico esistoao in Italia per il sollievo dell'umanità, i
quali crebbero di secolo in secolo il patrimonio dei poveri ,
e dei tribolati , e somministrarono utili direzioni allo spirito
di beneficenza , cosicché da esse il sig. conte Petitli ricava non
poche considerazioni sulle opere pie italiane, e singolarmente
su quelle fondate in Piemonte ( V^ol. II, pag- 3o8 ).
Una mente men forte e capace di quella del sig. conte Petitti
si sarebbe a questo punto riposata. Ma egli invece continua
con egual lena le sue investigazioni sopra gli istituti caritativi
esistenti in Parigi, ne' suoi dintorni, e nelle principali città
della Francia , e di queste investigazioni raccoglie quelle più
speciali avvertenze che possono convenire al governo delle no-
stre opere pie.
Lo stesso esame egli intraprende pur anco intorno agli istituti
dì beneficenza dell' Inghilterra , e ne nota le principali disci-
pline , i pregi ed i difetti che potrebbero presso noi farne imi-
tare , o schivare 1' esempio. Fra quelli degni d' imitazione si
possono riferire gì' istituti destinati alla distribuzione dei rime-
di! farmaceutici.
Lungo si è il novero di questi Istituti, Società ed Associazioni
che si possono quasi dire particolari all' Inghilterra , e che ten-
dono a rendere in ogni maniera soccorso alla umanità bisognosa,
inferma , o pericolante. Però il loro numero istesso , e 1' infi-
nita varietà delle loro destinazioni attestano l' immenso loro
bisogno ; ed in vero neppure sono ancor sufficienti per far
scemare nella popolazione di quei Tre Regni quella moltitudine
d' indigenti , e di miserabili d' ogni specie che quivi si mostra
ognor più imponente sia per il difetto della produzione terri-
toriale , sia per la massima disparità nelle condizioni sociali ,
sia per 1' eccesso della produzione industriale in massima parte
ricavata non più dalla mano dell'uomo, ma dalla forza delle
meccaniche inveuzionì. Non è poi la cosa meno interessante di
311
questo ragguaglio , l'osservarvi con quali mezzi nell' Inghilterra
si provveda al miglioramento religioso , all' educazione , ed alla
istruzione degli indigenti , e dei ricoverati nelle diverse case
di beneficenza 5 ciò tutto operandosi , e coU'apertura di scuole
analoghe nelle provincie , e nei distretti , e colla società delle
missioni, e persino colla distribuzione di libri e di trattati per
questo special uso composti.
Trattanto egli è ormai tempo di avvertire che una delle più
pregevoli conclusioni clie si può trarre dalle disquisizioni, e
dai quadri statistici ed amministrativi contenuti nel Saggio del
sig. conte Petitti , e la conclusione appunto eh' egli stesso ne
trae , e con cui termina il suo secondo libro ; si è quella della
moltiplicazione che dappertutto si osserva degli istituti di be-
neficenza, ed i miglioramenti e le riforme che succedono nel
loro regolamento, la caritativa sollecitvidine dei cittadini pro-
mossa,, diretta e tutelata dai governi, l'utilità generale insomma
dello spirito di associazione che dappertutto si diffonde, e dap-
pertutto si dovrebbe sussidiare e proteggere.
A coronare poi degnamente una si lunga serie di teorie e
di fatti , e come novella sorgente di salutari risultati _, sorse op-
portuna in Piemonte , ed il conte Petitti riporta quella legge
recente , per cui viene provvisto al buon governo ed alla con-
tabilità tanto attiva che passiva degli istituii di carità e di be-
neficenza *i. In questa legge si veggono ridotti alla pratica
molti dei principii sparsi nell'opera del sig. conte Petitti, e
vi domina soprattutto quella sua massima favorita della larga
tutela-, dimodoché si può dire senza adulazione, che quanto
si è da qualche anno fatto in Piemonte per lo riordinamento
delle opere pie , e quanto sarà ancora per farsi , pare proprio
fatto e si farà forse ancora sulle norme tracciate in questo
Saggio dal conte Petitti.
'i VeJi il R. Editto del '4 dicembre iHMk
312
§ IH. Delle Carceri.
La colpa ed il delitto, i colpevoli ed i delinquenti sono un'
allea specie di miseria che se la società ha il diritto ed il do-
vere di punire , di contenere e di emendare ; la carità ha poi
anch'essa l'obbligo di sollevare e di soccorrere. Dopo perciò di
aver parlato della Mendicità , e degli Istituti di beneficenza ,
r ordine delle cose chiamava il nostro Autore a parlare delle
Carceri. Egli è di fatto dalla folla dei niendici che esce il più
soventi la popolazione dei delinquenti, imperocché la povertà
ed il bisogno furono mai sempre possenti stimoli al delitto ,
e quando poi i carcerati vengono rilasciati dal carcere , lor
tocca soventi di rientrare nella classe dei mendicanti , e tal-
volta ricalcano la carriera del delitto, se nelle carceri non si
educarono al rispetto della virtù , all' abitudine del lavoro ,
alla emendazione. Per le quali cose il terzo ed ultimo libro
dell' opera del sig. conte Petitti si raggira sul buon governo
delle Carceri.
Se ragionando della Mendicità e delle opere pie il buon go-
verno di esse poteva forse richiedere che venissero richiamate
a più severi prlnclpii ed a più stretti ordinamenti , perchè al-
cune erano forse degenerate o cadevano in un funesto rilassa-
mento , quando poi si viene a ragionare delle Carceri , ben
altre massime che di rigore deggiono venir professate.
Cosi veramente le teoriche, i voti, le classificazioni, le di-
scipline che professa l'Autore in questo libro, sono per la mag-
gior parte le stesse che quelle degli scrittori più filantropi e
principalmente del sig. Carlo Lucas nella celebrata sua opera
Sulla riforma delle prigioni *i.
Lasciata però in disparte ogni più alta considerazione sulla
legislazione penale, ed attenendosi soltaiito a ragionare delle
regole penitenziarie, il conte Petitti discende a fare la enume-
razione delle carceri secondo i varii oggetti dell' iucarcei-azlone^
cosicché prima ei parla delle Case di custodia per gli accusati
ancora esenti da condanna , e poi delle Case di pena per gli
*i Vedi la distribuzione 2. di ottobre pag. 4i) ili questo Giornale.
313
inquisiti già condannati*, e queste divide secondo la qualità dei
delitti in ipri^ioin Correzionali j Penitenziarie j in Bagni-galere ,
ili carceri Militari , e finalmente in quella della i>/fl/a-^a^a per
i debitori insolvendi.
Le ultime case di detenzione che si descrivono , sono gli
Ergastoli destinati alla reclusione di quelle persone d' ambi i
sessi , che dando gravi motivi di tendenza delittuosa , debbono
in esse ricevere quella correzione e quel morale miglioramento
che solo può preservarle dal cadere nei delitti.
Sopra perciò ciascuna di queste sorta di carceri , conforme
alla propria indole e destinazione vengono avvertite le necessa-
rie regole e cautele , onde si possa ottenere un buon governo
non solamente materiale e fisico , ma eziandio morale di que-
sti stabilimenti.
A tal uopo ella è soprattutto raccomandata la separazione,
dei due sessi , e delle diverse categorie degli accusati sotto
processo , e dei delinquenti già colpiti da condanna.
Il nostro Autore non è poi di quegli ottimisti, che vorreb-
bero escluso dal sistema penitenziario il principio dell'intimi-
dazione : Egli però lo vorrebbe soltanto subordinato a quello
della prevenzioue dei delitti e delle recidive , ed a quello pur
anche dell' emendazione del reo. Così mentre trova ancor ne-
cessarie le segrete per i delitti più gravi , esige però che il
chiudimento in esse sia il più breve possibile , e secondato da
una celere istruzione del processo ; raccomandando pur anche
la libertà delle difese ( F^ol. II, pag. ^og ).
In tutte le case penitenziarie conviene che vi sia un governo
disciplinare interno , che non solamente si occupi dei ditenuti,
ma eziandio della condotta dei varii officiali a cui è affidata
la sicurezza , la pulizia , ed il mantenimento di questi stabili-
menti. Di ciò tutto , e di queste incumbenze destinate a man-
tenere severamente 1' ordine e la disciplina si rende conto in
questo libro ,.'6 per meglio riescire ad ottenere quell'ordine
e quella disciplina si vuole rigorosamente proibito il giuoco
pei dilenuti. Riguardo poi agli altri mezzi per ottenere nelle
prigioni l'ordine necessario, variano le opinioni degli Autori,
e soprattutto quanto al metodo dell' isolamento dei carcerali.
314
Ma il nostro Autore si attiene al parere del signor Lucas che
condanna in generale questo metodo come sorgente di molti
funesti effetti, e perciò lo crede soltanto applicabile a quei di-
tenuti più protervi che attentano all'ordine ed alla disciplina
interna del carcere. Nello stesso tempo si osserva con quali
cautele e modificazioni si debba usare 1' obbligazione del si-
lenzio.
In seguito non solamente vengono tracciati i regimi vittuarii,
ed alimentarli tanto nei casi ordinarii , come in quelli di ma-
lattia, ma inoltre si trovano raccomandati i mezzi ed i metodi
più acconci per dare ai prigionieri un' istruzione religiosa ,
morale e letteraria. Ed uno certamente dei mezzi più efficaci
per ottenere siffatto intento , e che giova parimente ad assi-
curare la disciplina interna delle prigioni , e la rigenerazione
dei carcerati , si è lo assuefarli e lo dirigerli al lavoro. Quindi
si additano in questo libro le regole , che sono le più appro-
priate e nel tempo stesso più miti per un simile proposito , e
vengono descritte quelle arti e quei mestieri che si possono col
maggior vantaggio e colla maggior facilità introdurre e prati-
care nelle carceri.
Seguono poi altre regole per 1' esecuzione di tali lavori , e
per la fissazione della loro mercede. Il prodotto di questi la-
vori che vuoisi versare nella cassa dell' istituto , deve subire
una proporzionata distribuzione a cui partecipa lo stesso stabi-
limento , non meno che i ditenuti sia per mezzo di un fondo
di riserva che per essi si forma onde lo trovino nell'occasione
del loro rilascio , sia colla facoltà di procacciare per essi me-
desimi alcuni godimenti durante la prigionia.
E sebbene da un canto la devoluzione che l'Autore consiglia
a favore della massa di quel fondo particolare che un ditenuto
morto nel carcere può lasciare ( pag. 477 ) ' possa sembrare
contraria al diritto di proprietà, pare però dall'altro che possa
non £;ià solamente avere per fondamento lo evitare le moleste
rese di conto, e le reclamazioni degli eredi ; ma bensì soprat-
tutto quello spirito di comunione che è sì naturale e conso-
lante fra quegli individui che soggiacquero ad un' eguale sven-
tura , e soffrirono gli stessi dolori.
315
Parrà intanto a qualche più largo filantropo, educato nei
principii di Bentham e di Lucas, alquanto rigido il sistema del
nostro Autore quando ammette le punizioni dei ditenuti esten-
sive persino nei casi di straordinaria protervia, ma sempre però
come un estremo rimedio, alle percosse ed alle battiture ( ^ag^.
463 e ses. ); ma cotesto più delicato pensatore, che uomo di
Stato cangierebbe d'avviso , dove pensasse che le carceri popo-
late d'individui macchiati di colpe e di delitti, o proclivi almeno
al vizio non possono essere al postutto recinti di quieto o deli-
zioso vivere, uè che desse debbono considerarsi semplicemente
come un mezzo di miglioramento , ma bensì , e rispetto mas-
sime ai ditenuti già sottoposti a condanna , come una espia-
zione e come un mezzo d' intimidazione necessario non sola-
mente per essi , e per ovviare le recidive , ma eziandio per
rimovere gli altri cittadini dal commetterne. Quantunque però
non escluda le punizioni , l'illustre Autore consiglia poi anche
le ricompense da darsi in alcune occorrenze ai ditenuti.
E mentre suggerisce ancora alcune regole per l'esatto servi-
zio delle amministrazioni e della contabilità, penetrato della
necessità e dell'utilità di tutti i divisamenti da esso proposti ,
ei si lusinga colla consolante prospettiva di una saggia riforma
delle carceri , e di un vero miglioramento de' carcerati.
Ma la fatica del sig. conte Petitti non era ancora compiuta.
Egli perciò suggerisce ancora alcune norme speciali per il go-
verno de' Bagni-galere, per le carceri Militari e per quelle della
Mala-paga 5 e non tralascia in ultimo di parlare pur anche
degli Ergastoli destinati a rinchiudere i discoli dell'uno e dell'
altro sesso.
Avvicinandosi intanto al fine della sua opera 1' Autore non
dimentica di dettare alcuni consigli sopra una frequente ed
oculata visita delle carceri , affidata a persone di un rango
superiore, probe ed intelligenti.
Ma una ben degna considerazione ancor lo trattiene 5 ed è
quella sulle Case di rifugio per gì' individui usciti dal carcere.
Egli con giusta allegrezza li loda in que' Stati dove già sono
fondate , e con fervidi voti le raccomanda colà dove ancora non
lo sono.
316
Meritevole in vero di tutto l' interessamento filantropico si
è questa classe di persone liberate dal carcere , le quali per
r ordinario avvilite od irritate da quel disprezzo e da quel!'
isolamento con cui la pubblica opinione li accoglie ed a cui la
medesima li condanna , precipitano molte volte nelle recidive.
Per accogliere questi neofiti di una vita nuova e rigenerata
già si trovano in alcune contrade d' Europa questi asili 5 ma
soprattutto e commendevole e degna di essere imitata presso
d'ogni nazione la legge del 4 dicembre i835 promulgata nel
Belgio, e riferita nell' opera del sig. conte Petitti, colla quale
si approva e si costituisce una società detta di Patronato per i
ditenuti liberati.
Con questa legge le amministrazioni di quegli Asili, od an-
che un solo membro di esse, restano incaricate di assumere il
patronato di tali individui, e di far sì che vengano provveduti
di lavoro , ed abbiano qualche onesto collocamento nella so-
cietà in cui rientrarono. Ella resta poi anche cura di questi
patroni lo invigilare per un qualche tempo sulla condotta dei
di tenuti rilasciati , afilnchè non succedino le recidive, ed affin-
chè quel peculio che il ditenuto possedè talvolta uscendo dal
carcere non gli serva d'incentivo al mal operare, ed al vi-
vere sfaccendato.
Poche osservazioni finalmente sulla convenienza relativa ,
cioè, dipendente dagli ordini e dalle situazioni di ciascun Stato
in riguardo all' introduzione delle così dette Colonie penali. • —
Pochi riflessi sulla natura e sulla destinazione di queste colo-
nie , nelle quali ( mentre si sta vagheggiando come possibile
r abolizione della pena di morte ) si crede che dovrebbero ve-
nir deportati alcuni più perduti scellerati, ed in specie quelli
che nel presente sistema penale sarebbero ancora condannali
alla pena capitale , e così pur anche i colpevoli di gravi de-
litti politici. — Poche altre avvertenze infine sull'utilità delle
statistiche penitenziarie , e sui metodi e requisiti della loro
compilazione , terminano finalmente il terzo ed ultimo libro
di quesl' opera.
517
Tale si è il sunto prolisso egli è vero, ma però ancor ben
imperfetto dell' opera del sig. conte Petitti. L' immensità delle
materie che percorre , e quel continuo riassumere per ordine
numerico gli ultimi risultati , le dernier mot delle infinite qui-
stioni in essa trattate , e quel riferire per lo minuto tutti gli
argomenti che si adducono in favore o contro ciascuna opinione
o sistema , furono altrettante difficoltà che s' incontrano per
darne un ragguaglio più esatto , e nel tempo stesso più unito
e complessivo. Ma con tutto ciò noi speriamo di averne pre-
sentato un' ided sufficiente , e tale che basti per invogliare
chiunque a conoscere più intimamente questo libi'o , ed a farvi
sopra uno studio più regolare e profondo.
Chi per altro si applicasse a questo studio troverebbe forse
per le stesse ragioni or or avvertite , che questa grave fatica
_j del conte Petitti è bensì una compilazione, un catalogo di tutte
le nozioni , i sistemi e le istituzioni i-elative all'intrapreso ar-
gomento , piuttosto che un libro che contenga un corso d' idee
ordinato e compiuto sulle basi razionali e sopra tutti i rapporti
di quella parte dell'economia politica, che si occupa della men-
dicità , delle opere pie , e delle prigioni.
Ma non poteva essere altrimenti : imperciocché l'Autore tutto
intento da un canto a sviscerare dai più celebri scrittori, e dall'
esempio delle piemontesi come delle straniere istituzioni, quelle
positive e sommarie notizie che meglio credeva convenire alla
propria impresa , ed occupato dall' altro ad accozzare e con-
densare 1' una dopo l'altra le scarne conclusioni di quei trat-
tati e di quegli esempii, non attese poi a dare alla sua opera
tutta quella altezza ed estensione di concetti, e tutta quella
eloquenza di ragionamento con cui si poteva rammorbidire,
e di cui ben era capace 5 e la lasciò invece sgominata e senza
legame alcuno di unità confondersi per entro alle più intral-
ciate ramificazioni delle percorse materie. Ond' è che qucst'
opera si trova in molte parti mancante d'idee proprie dell'Au-
tore che la dettò , di quelle idee che sono elaborate nello stu-
dio e nella meditazione sulla scienza, di quelle idee insomma
originali e profonde che sovrastano alla scienza od all'arte che
si prende a trattare, e ne comprendono tutti i principii e tulle
318
le conseguenze. Per il che se con una parola sola si volesse
far la critica di questo libro, si potrebbe dire cbe esso manca
di sintesi.
I quali difetti vengono ancor più resi sensibili per le fre-
quenti trasposizioni, e dimezzamenti delle materie e delle qui-
stioni, come già ebbimo ad osservare nel processo dell'opera:
locchè malgrado i riepiloghi con cui giudiziosamente ne con-'
chiude ogni parte, pure non tralascia d'ingenerare ben spesso
confusione, ripetizioni, e disordine: tutte cose che nuocono
sommamente a quella concatenazione e deduzione logica d'idee
e di cognizioni, che tanto si desidera in un libro qualunque,
e massime poi in quelli di discipline sociali.
Egli è ben vero che queste mende possono comparire piut-
tosto di forma e di metodo che non di sostanza, e che tali
sono, che forse non le scorgerebbe chi solamente tratto tratto
e non di seguito prendesse ad esaminare quest' opera. Ma ad
ogni modo se a queste mende non può forse intieramente far
scusa la modestia del titolo, perchè a dir vero un Saggio in
due volumi di oltre mille pagine non è cosa si leggera 5 questa
scusa però ad esse certamente la fa la modestia delle inten-
zioni dell'Autore, il quale volendo comporre un repertorio, op-
pure un Manuale teorico -pratico di tutto ciò che sinora si
pensò, e si scrisse, e si fece intorno alla mendicità, agli isti-
tuti di beneficenza , ed alle carceri , non poteva far meglio che
radunare come praticò in un solo libro tutte le cognizioni re-
lative a questi tre rami dell' economia politica. Il che operando
rese quella utilità che è propria di simili raccolte, di presen-
tare, cioè, in un colpo d'occhio tutte le notizie che possono oc-
correre a chi pose studio, o deve applicarsi a tal genere di
discipline , facilitandone così la cognizione e le occorrenti ri-
cerche.
Per la qual cosa questa utilità innegabile e cosi positiva
(che se fuori del Piemonte potrebbe andare scemando, in esso
è però grandissima ) già basterebbe per ricomperare quei di-
fetti che si ebbero a notare, e che forse erano inevitabili per
chi voleva mietere un campo cosi vasto , come quello che scelse
il signor conte Petilti, e volle raccogliervi ogni spica.
319
Ma ciò che più di tutto questo fa trionfare il suo libro
sopra d'ogni censura, sono i prcgj distìnti che vi risplendouo ,
e di cui noi , a meritato omaggio , ci ascriviamo a debito di
accennare i seguenti , come quelli che più prominenti ci re-
starono maggiormente impressi.
1. IVon vi sono teorie, non sistemi, non istituzioni, non c-
sperimenti rimoti o contemporanei di cui sopra queste materie
economiche abbiano trattato filosofi e puhbllcisli, o che i go-
verni o private società abbiano tentato 5 non vi sono finalmente
ragioni per cui un'opinione ad un'altra, un provvedimento
ad un altro debba prevalere, che il signor conte Petitti non
abbia studiato, discusso e ponderato; e ch'egli non abbia scelto
e raccolto in questo libro.
2. Nel trattare tante e così vitali f[ui.stioni , e nell' istituire
il confronto fra le legislazioni e gli istituti de' varii paesi, ei
vi tenne sempre buon conto de' fatti morali e positivi della
umanità; cosicché ogni principio, ogni consiglio che vi sia pro-
posto come migliore lo dimostra sempre in armonia colle mas-
sime della religione , della morale e della carità cristiana. Nel
che è sempre costante il signor conte Petitti, sia che giudichi
necessario il rigor delle leggi e proponga mezzi coercitivi che
sembrano scostarsi dai voti di una troppo cieca ed illimitata
filantropia, sia ch'egli consigli divisamenti più largVji, più uma-
ni, e più confacenti all'indole ed ai bisogni delle presenti gene-
razioni.
3. In questo libro finalmente in mezzo alla folla di tante
antiche e recenti opinioni, e soprattutto nell'odierna molli-
plicità di esperimenti governativi ed amministrativi, il nostro
Autore abbraccia sempre i partiti più generosi, e quelli che
gli sembrano più utili per il gradualo e ragionevole incremento
della civiltà.
Che se le sue sentenze potevano talora essere forse più va-
ile, più speculative , più libere , esse però non potevano mai
in alcuna circostanza desiderarsi più positive, più appropriate
ai luoghi ed ai tempi, più prudenti insomma ; massimamente
per ciò che spettava alle opere pie , nel di cui andamento nuo-
ceva forse più una libertà senza limiti , che un giudizioso e
320
moderalo contegno. Del resto si può in generale ben dire che
r Autore di quest' opera modera sempre i suoi giudiz, m modo
che mai tendano verso principii di soverchio ristretti e vin-
colativi se non v'ha pericolo di precipitare in rovinose licenze,
come non teme giammai che pieghino verso più larghe mas-
sime quando del pari non v'ha il pericolo contrario d. ritor-
nare a metodi superstiziosi e servih.
Per le quali considerazioni noi non dubitiamo che questo
libro sia per venire risguardato da tutti come una benemerita
fatica di un amministratore esperto, zelante e di buona fede:
ma dagli uomini di Stato poi perchè vi trovano le applica-
zioni ed i risultati pratici di profonde meditaziom , e dagli
nfficiali amministrativi egualmente, perchè hanno in esso una
snida illuminata nello studio e nell'esercizio delle loro attri-
buzioni 5 i meriti di questo libro saranno ancora più partico-
larmente sentiti ed apprezzati.
la quanto poi a noi lo onoriamo sinceramente siccome una
rispettabile testimonianza dei progressi che vanno facendo an-
che in Piemonte i buoni stud, sociali,- e siamo certi che que-
st'opera frutterà all'illustre Autore se non altro , almeno quel
premio che forse vai più della lode e della gloria, le benedi-
Lni cioè di qualcuno di quegli infelici , a cui . provvedimenti
da lui consigliati avranno giovato.
S. B.
321
Scienze Morali
Delle prime costumanze j e della prima educazione.
1° Appena l'uomo comincia a sviluppare le facoltà intellet-
tuali, come ciascuno rimontando all'ultima puerizia può riscon-
trare in se stesso, vadosi attorniato da un' immensità di esseri
che lo incantano , e che fasciano la sua mente di un buio
impenetrabile. — La naturale curiosità lo spinge a mendicare
dagli altri delle nozioni su tutto quello che opprime la sua
intelligenza 5 e sebbene questo uomo non sia opera del caso ,
ed un automa che si muova soltanto all'.urto di un capriccioso
destino, nulla meno l'anima sgombra di tutte le immagini, e
nel pieno silenzio delle passioni, di leggieri si persuade di
quanto le viene asserito , sia pur Tero o fallace. — Ella entra
nel mondo come un nudo pellegrino , il quale si veste cogli
abiti dell'uso. — L'anima nostra simile a quella tenera pian-
ticella che serba fedele la prima direzione del suo cultore,
s' immedesima , direi quasi , colle prime idee che riceve , e se
ne forma un sistema d' immaginazione , e sovente di razioci-
nio. — Sembra che le prime idee acquistino su la mente un
oscillamento perenne , che con un moto arcano ed ultroneo si
riproduce.
2.° Quegli dlffatto che bambino paventò de' vampiri , delle
prodigiose maliarde , e della stravagante malignità degli spinti,
come quello di Nika che fa scempio de' passeggieri, quello di
Rath che si disseta nel sangue de' fanciulli , quello di Both ,
il quale cavalcion su le nubi segna con mano di fuoco la vitto-
ria, e l'eccidio degli eserciti e dei regni, colui, dico, che di
tali superstizioni fu imbevuto, giunto agli anni virili, malgrado
tutti i lumi della filosofia, e il dileggio cui va soggetta la sua
,t 1
522
paei-ìle credulità , non sa passeggiare fra la tacita notte senza
figurarsi mille larve gigantesche, che al suo sguardo fanno mille
spaventose metamorfosi. — Qual è poi l' idiota colono che per
una specie di tradizione non serbi piena credenza al filtro che
signoreggia gli affetti, e a tutti quei magici incanti , onde il
Tasso e l'Ariosto attìnsero il maravìglioso dei loro immortali
poemi ?
3." Ella è forse l'infermità dello spirito, e questo cieco at-
taccamento alle prime nozioni, su cui l'intelletto pare non osi
portar disamina per tema quasi di essere disingannato , che
popolarono la terra, il mare, e l'olimpo di mostruose divinità,
e rapirono tanti altari e tanti incensi al vero Dio delle genti. —
!5Voi dunque non so se per beneficio della natura, o per fatai
conseguenza dell'umana caduta siamo tenacemente memori e
ligi alle massime , che si acquistano al primo apparire della
ragione, né possiamo staccarcene senza il miracolo della sapien-
za. — Cotal verità sembra un mistero inestricabile , ma pure
la riscontriamo tutto giorno in quei vecchi, i quali non sanno
acconciarsi a tutto ciò che si allontana di un passo dai loro
antichi principi, e dal loro modo d'intendere, e di sentire.—
La riscontriamo negli stessi uomini che diciamo di genio , i
quali mentre sono gli oracoli della più alta dottrina , restano
spesso impiccioliti dalle più rìdevoli superstizioni nella puerizia
acquistate.
4.* Cosi i saggi d'Atene e 1 più segnalati filosofi, dell' anti-
chità, mentre col pensiero percorrevano i confini del creato ,
e carpivano ogni giorno qualche segreto alla natura , le opinioni
più erronee della prima educazione erano poi la forza per così
dire centripeta al tenore dei loro costumi. — Socrate stesso che
può dirsi il fondatore della sana filosofia compariva talvolta fra
le gozzoviglie e lo stravizzo delle taverne. — Da ciò si conosce
eziandio che la saggezza di quei tempi era una corruttela più
moderata , e che la nuda virtù non apparve tra gli uomini che
dopo la luce del Vangelo divino, — Ma ad onta dell' Evangelio,
e dei sacri pergami, e delle leggi, la virtù più luminosa e la
verità più evidente non è voluta credere , se col latte non è
succhiata.
325
5." E per verità quella porzione di popolo sciagurato che
per r incuria di molti governi nasce e cresce fra l' indolenza
e la irreligione di scioperati genitori , sembra tralignare onni-
namente dalla nobiltà natia , e solo intesa alla crapola ed ai
reati , si ride delle minaccie e dei premii eterni, come il ciclope
d' Omero si rideva dei fulmini di Giove. — Siffatto popolo non
soffre nelle sue azioni altro modello ed altro consiglio , che
quello delle passioni , e compone quella plebe tumultuosa, che
Tacito e Seneca chiamano belva di più capi , e più volubile
del vento. — Eppure la saggia natura parla a tutti le mt.de-
sime voci , sparse in tutti il seme della giustizia e della virtù,
e r uomo , come dice il gran Filangieri , nasce nell' ignoranza,
e non già nell' errore.
6." Tutto quindi dipende dalla prima educazione , e consi-
mile idea volevasi forse nel pensiero di Bruto , quando pro-
strato dalle vittorie di Cesare esclamava ; « O virtù , io ti ho
adorato come una divinità, ma tu non sei che un nome va-
no *i. » — Non v'ha punto di dubbio: Veducazione è all'uomo
ciò che un abile scalpello dello statuario è ad un informe masso
di marmo , e da lei dipende in gran parte il valore che noi
diamo alle cose , ed in ispezialità agli enti morali. — I Sibariti
e gli Asiatici tenevano le voluttà in conto di bene j gli Spartani
ed i prischi Romani le riputavano un male. — Così ciò che
presso un popolo è turpe, mercè Veducazione presso l'altro è
decoroso. — In Grecia si applaudiva a quella nobile vedova ,
che prezzolata compariva su le scene ; in Roma si biasimava.
— In un luogo 1' ospitalità è una legge inviolabile; in un altro
r uccisione degli stranieri è un privilegio nazionale. — E che
mai rende tanti popoli affezionati , e prodighi eziandio della
vita alla più stolida idolatria, e a tante frivole religioni , che
sono insulto sacrilego , e non ossequio di gratitudine al Crea-
tore , se non che la forza della prima educazione , ed una coti-
N L' esclamazione che poco innanzi alla morte Marco Bruto faceva , »econdo
che riferisce Dione Cassio , (uoua più letteralmente così : « O virtù misera-
))ilc , eri una parola niidit , t io ti seguiva come tu fossi una cosa : ina tu
sottostavi .-illa forluui. »
Df'Agostifii.
ù24
<jiana avvertenza ai principii che la costituiscono? — La stessa
verità degli umani appetiti è figlia della prima educazione , o
almeno degli accidenti dalla medesima accumulati. — Non è
già nelle aduste regioni dell'Africa , ove più fervano le pugne
delle Fri ni , ma nelle contaminate capitali della Francia, e del-
l'Inghilterra , e d'altrove. — Se l'Ateniese Timone avesse re-
spirato le prime aure di vita, ed avesse apparato i primi eru-
dimenti della vita sociale su la Senna, o sul Tamigi, anziché
i solinghi dirupi , avrebbe forse amato la pompa degli orna-
menti, la rovina dei tavolieri, i popolosi teatri , e le brillanti
conversazioni.
•j." Finalmente la prima educazione si è quella che forma
l' indole non solo degli individui , ma eziandio delle nazioni ,
e poco o nulla a ciò contribuiscono la varia temperatura delle
zone , e tutte le altre influenze locali. — L' Italo , il Gallo ,
il Germano ,6 1' Ibero che Calvidio ne* suoi versi ci dipinge
di sì vaghi costumi sotto la vigilanza di un solo legislatore ,
diverrebbero certamente capaci delle medesime virtù , e delle
medesime inclinazioni , in quella guisa che una schiera di dis-
giunte nazioni, capitanata da un prode, acquista lo stesso entu-
siasmo alla gloria dei marziali cimenti. — Se ciò non fosse vero
non si vedrebbero tante popolazioni sotto il medesimo clima
cangiar d' opinioni e di genio , col mutarsi delle pubbliche
costumanze 5 non si vedrebbero ora nel più rapido progresso
delle scienze , ora sepolte nella caligine dell' ignoranza , ora
aggiogare gli imperi più bellicosi , or tributare il servaggio a
quegli stessi che furono 1' oggetto dei loro trionfi.
8.° L' Egitto che fu la maestra dell' universo in tutto quello
che concerne le belle conoscenze, maestra di tal grido, che le
sacre pagine encomiano Mosè per essersi addottrinato fra i
sapienti del Nilo ; quell' Egitto famosa divenne il centro della
rozzezza e dell' avvilimento , tostochè i molesti conquistatori vi
innalzarono uno scettro di ferro, e l'educarono a nuove leggi,
a nuovi riti , a nuovi Dei. — La Grecia parimente da un
mucchio di capanne divenne la sede di tutte le scientifiche
discipline , e l'arbitra delle battaglie , posciachè uno Strabone,
un Licurgo , un Solone, e cento altri amatori del genere umano
325
la strinsero in vincoli di sociale fratellanza , e l' assoggettarono
alla religione , ed alle leggi , le quali erano solo ciò clie deb-
bon esser le leggi, la norma, voglio dire, e lo scudo della pub-
blica prosperità. — Nullaostante questa Grecia famosa, decaduta
dal suo splecidore , non esiste più che negli annali j e i posteri
di Alessandro , e di tanti invitti capitani non furono che un
branco di schiavi *i.
g." Ma $e noi dalle prische istorie, che ci presentano una
serie infinita di popoli sempre varj nelle loro intraprese , nei
loro governi, e nei culti, e nelle massime, e persino nelle pas-
sioni in forza di una lunga educazione, noi discendìaiuo a tempi
meno rimoti , che non diremo di quelF orbe econosciato , che
solcando sotto astri novelli un oceano sterminato , ci rese noto
queir animoso Colombo , il quale ci appartiene per titolo di
gloria e di nazione? — Errava, non sono che tre secoli, per
le foreste e per le spelonche poco dissimile dai biruti quella
innumerevole popolazione , che ornai forma l' invidia delle più.
colte nazioni. — Chi può mai stabilire quanti secoli abbia vis-
suto sotto r inalterabile regime degli Incas ? — Eppure nel
giro di pochi lustri apprese i costumi ed i vizi de' suoi conqui-
statori , e i moderni americani credono un sogno 1' oscura ori-
gine dei loro antenati. — Che uon diremo del luttuoso cam-
biamento della Francia , dacché il libertinaggio dava il brio di
saccenti ai proseliti dell'ateismo, i quali insieme alle leggi, ai
monarchi, ed alla morale volevano proscrivere Iddio dall'uni-
verso? — Dappertutto bolliva una ribellione d'inferno, enei
vessilli delle sue esecrande vittorie leggevasi a carattere di
sangue la morte a chiunque non prostituiva il 6uo cuore al
delitto, e non sacrificava all'idolo dell'empietà. — Qual cam-
biamento uon ha fatto questa Francia medesima dall' epoca
sospirata , in cui la Previdenza pietosa sui lagrimevoli destini
•i Fino all'ultima tanto memorabile rigenerazione (qui si potrebbe aggiungere)
ai nostri tempi operata da quei magnanimi che riempirono, la terra del loro
nome, e della fama delle loro vittorie, onde parvero risorte le età di Leonida,
di Temistocle , e di Epaminonda.
D.
326
dell' Europa pose un termine finalmente a quella turbinosis-
sima età ?
IO." Se non che, quale più deplorabile esempio dell'Italia,
ove affatto cangiano le provincie , e le monarchie col cangiarsi
della pubblica educazione ? — Quando 1' arbitro degli imperi ,
e delle repubbliche volle mostrare anche all' Italia, che le pos-
sanze della terra non hanno base sull'adamante dell'eternità,
e che appena osano credersi tali , crollano sotto il peso di quella
mano che stringe come un grano di polvere gli immensi mondi,
che ruotano nel firmamento 5 allora le falangi dell'Aquilone più
dure del ferro che vestivano , e più truci della tempesta innon-
darono il bel paese protetto indarno dalle alpi, e dalla fama.
Il genio della ferocia e della strage precedeva i loro passi , e
come spaurite colombe dinanzi all' avido sparviero , fuggirono
immantinente le arti, le scienze, la giustizia, la pace, e ogni
antica usanza, e per sino l'idioma. Fu allora che l'esistenza
era un infortunio , e la schiavitù il minimo de' tributi. — Fu
allora che la notte della barbarie stese un densissimo velo sul
giardino del mondo, e forse vi regnerebbe tuttora, se quei
zelanti Anacoreti, che certi beffardi filosofi appellano egoisti,
non ci avessero conservato fra il silenzio dei chiostri la subli-
mità del genio italiano , e le reliquie d' ogni umano sapere. —
Ma sien grazie al cielo. — L' itala gloria rinacque dal proprio
rogo come l' arabo augello , e da otto e più secoli pare che
abbia scelto queste alme contrade in prediletto asilo , assiden-
dosi accanto a quei generosi potenti, i quali ci serbarono in
difficili tempi il più reale dei beni , quella pace , cioè senza
cui la felicità delle nazioni non è che una chimera.
II." Ma veniamo al precipuo sviluppo del tema. — Nulla
v'ha di più caro e di più innato nell' umana natura, che la
tenerezza di madre. - — Pare che il Creatore abbia inserto in
questo nom_e tutti gl'incanti dell'immaginazione, e le dolcezze
del cuore.' — Ogni altro affetto scema col tempo, o si distrugge
colle vicende 5 1' affetto materno rinvigorisce ogni giorno anche
a fronte degli stenti, dell'ingratitudine, dei crucci più divoranti,
e rassomiglia a quell' eterna clemenza che ci fa splendere un
sole benefico, e cadere le pioggie a suoi tempi, e biondeggiare
327
i campi di messe , e rosseggiare i vigneti. — Un figlio in una
parola è l'universo al pensiero di una madre. — Sol nel suo
figlio ella fonda le speranze dell' avvenire , lo splendor del ca-
sato, l'oggetto della «uà nobile ambizione, la gioia della vec-
chiezza , tutte le delizie della sua vita 5 quindi né il fantasma della
gloria, né le lusinghe degli onori, né il bagliore delle dovizie
valgono a compensare il cuor materno su la perdita di un fi-
glio. — , Ella darebbe cento volte la vita per salvarla al dolce
pegno de' suoi amori, né vi ha cosa che la consoli quando a
lei la rapisce la morte. — Ogni tocco del bronzo ferale le piomba
sull'anima a colpi di martello, e la disperazione invade i suoi
sensi. — La notte non ha più quiete per lei , il giorno non ha
più attrattive. — Altro più non vede che 1' ombra dello spento'
amor suo; ad altro più non pensa che ai giorni felici, in cui
le pargoleggiava d'intorno; e quindi i panni si squarcia, e fu-
ribonda e scarmigliata si atterra sul muto avello, e il caro fi-
glio chiama per nome, e 1' aria assurda di pietosi ululati, e il
cielo accusa d' ingiusto , e di barbara la sorte , e di crudele la
stessa pietra che ne chiude i gelidi avanzi. — Tale è la forza
dell'amore materno, tale l'attaccamento ai proprii parti!
12.° Eppure chi 'Icrederebbe? — questo sviscerato trasporto
comune alle stesse belve più feroci , talvolta vien sopito e di-
strutto in gran parte dalla forza del costume. — Quando in
Cartagine uà oracolo crudele esigeva, che i suoi delubri fu-
massero di vittime innocenti, le madri di coloro, che 1' urna
fatale destinava a morire, carezzavano col sorriso su le labbra
i proprii figli suir ara del sacrificio , perchè spirassero senza
gemiti in grato olocausto agli eterni. ■ — Qual è la madre ai gior-
ni nostri capace di sì nefando eroismo ? — Dov' è la madre
che ora non palpiti al nome di guerra ? — Eppure in Isparta
le madri armavano i figli di propria mano, ed imponevano loro
di vincere , o di morire : « Vola , o caro figlio , al campo dell'
» onore, e con questo scudo ritorna, od in questo muori, m
1 3,'' Parca che la natura avesse destinato la sola virilità alle
azioni clamorose, ma L' esempio, il quale è sempre una educa-
zione efficacissima, fé' credere, che l'anima non ha sesso, e
che anche le donne sono acconcie a tutto intraprendere, a tutto
328
soflVire. — Clelia, cmulatrice di Scevola , si slancia nel Tevere
per involarsi al nemico di Roma 5 Lucrezia si pianta un pugnale
nel seno; e Virginia acconsente di morire fra le braccia del
padre, anziché vivere fra quelle di Appio 5 né Porzia é meno
eroica di Bruto. — Ma per tacere di Tomiri, di Semiramide,
di Araalasonte, e di tante altre antiche eroine, quanto nei fasti
delle armi non sono celebri i nomi di Giovanna Monfort , e
di Giovanna d'Arco, che col solo suo brando ruppe gì' Inglesi
vittoriosi, e ornai padroni della Francia *i ? — Quanto non sono
celebri nella repubblica delle scienze 'e delle lettere i nomi
di una Pellegrina Amoretti, che in pubblico agone ottenne gli
allori della giurisprudenza, di una Maddalena Lusignani, che
fa tribunale di teologia, di una Cornelia, che fu prodigio di
eloquenza, e finalmente di una Deodata Saluzzo, che può dirsi
la decima Musa del Parnaso *2?
*i E per toccare eziandio di una nostra , emola questi ultimi tempi di qual-
sivoglia più rinomata guerriera , chi non ha udito narrare di Anna Perotto di
Chieri ? — Di quella donna forte , di quella vera Bradamante , che in mentite
divise osò seguire il marito nell' armi , pugnò al Varo e alle Piramidi , fu fe-
rita a Tiro e a Sagunto , due volte prigioniei-a in Ungheria e in Irlanda , tornò
due volte all' armi; corse Lamagna e Francia , combattè in Ispagna, durò navi-
gazioni penose , fu esempio dovunque di fortezza più che virile , e reduce al
suolo natio dopo tante militari vicende brandì di nuovo la spada a difesa del
suo re e della patria , volò contro i nemici e còllo sposo al fianco piantò la prima
il vessillo vincitore su le mura della combattuta Grenoble. — Le imprese di que-
sta Amazzone subalpina sono state descritte latinamente dal maraviglioso Bouche-
ron, e in italiano dal pellegrino ingegno del Biondi in una nitidissima opei-etta
adorna del ritratto della Perotto , e stampata , se non erriamo , nel 1824 dalla
tipografia Chirio e Mina. — Speriamo che gli editori milanesi delle File e Ri-
tratti delle Donne celebri ecc. non dimenticheranno la nostra eroina , potendo
essi cosi aggiungere compimento e splendore alla magnifica opera della Du-
chessa d' Abrantes.
*2 Si potrebbero qui enumerare eziandio tra gli altri moltissimi i nomi di Pro-
perzia Derossi che maestrevolmente maneggiò lo scarpello, di Giuseppina Bo-
nomi che trattò con gran lode la storia degli Imperatori Germanici, di Te-
resa Bandettini che colse tanti allori versando all' improvviso i tesori dell'itala
poesia ; quindi dell' Albarelli Verdoni , della Moscheni , della Mazzoni , della
Taddei , poetesse pure di bellissima fama , e della interprete di Cicerone Teresa
Carnianj Malvezìi , e dell' egregia traduttrice di Chateaubriand Mantica Brocchi
G ab ardi,
D.
329
i4.° Ma se io poi avessi la tetra vaghezza di funestare il pen-
siero di chi mi legge con immagini d' orrore, io gli mostrerei
dei popoli, che per forza di consuetudine mangiavano i cada-
veri dei congiunti, coli' idea forse di dar loro un pietoso se-
polcro, come la tenera Artemisia alle ceneri di Mausolo; gli
mostrerei dei popoli, che per un' esecrabile economia strozza-
vano la prole soverchia, o di viziata natura. — Io lo condurrei
per quelle strane regioni, ove l'amor più casto è una tiran-
nide, e l'acquisto del pari, che 1' abbandono di una sposa,
non sono che un mercimonio; — finalmente gli additerei il pa-
*$bolG dei malfattori, sul quale un uomo si fa pondo d'ignominia
e di morte al suo simile. — Chi mai non raccapricciasi alla sola
idea di quello abbominevole ministero? — Eppure una lunga
consuetudine ne fa un mestiere di lucro. — Che più? — la forza
de\V educazione in Egitto formava nei Re degli schiavi coronati,
in Grecia formava degli ambiziosi, in Roma dei tiranni, e sotto
questo cielo benigno 1' educazione ha sempre formato nei nostri
regnanti i modelli della clemenza, di una pietà edificante, e
di una paterna sollecitudine per la pubblica felicità. — Per la
qual cosa, se quest'anima nostra, questo raggio di sostanza di-
vina è tanto credulo ciecamente alle prime nozioni j che vi serba
indelebile attaccamento 5 se la maggior parte delle nostre azioni
non sono che imitative; se gli errori dell'infanzia rendono inac-
cessibile al nostro cuore la verità anche cinta di tutta la sua
luce -, se la virtù non è che un cumulo d' idee rettificate nello
sviluppo dell' anima , dirò così ; se le più turpi passioni e i de-
litti non sono che funesta conseguenza di negletta educazione ;
se finalmente il mondo morale è suscettibile di qualunque mo-
dificazione, come ce lo rappresentano le storie di tutte le età,
potremo conchiudere che non sarebbe opera malagevole il for-
mare una città e una nazione di virtuosi , qualora il di lei spi-
rito venga diretto da priucipii costanti, e stimolato da esempii
coerenti *i. Francesco R.
i Ma quanti ostacoli sarebbono prima a superarsi nella odierna società per
aggiungere così sublime proposito, e non rilegarne il disegno tra quegli alti so-
gni che figurava la mente del diyipo Platone.!
D.
530
X4£TT£RATURA — Maj^faeim Tragedia di Carlo Mareuco.
Carlo Marenco è già tanto innanzi nell' arte da risvegliare
negli amici d' Italia non solo liete speranze , ma riconoscente
rispetto : e la lode gli è debita non più come conforto , ma
come tributo. E io povero critico, ormai antico lodatore di lui,
non saprei dire quanto sia il mio piacere in iscrivere queste
parole: perchè la riverenza delle nobili cose e l'amore degli
ingegni rivolti a degno fine , sono consolazioni necessarie all'
animo mio.
In questa nuova tragedia il poeta si mostra più signore che
mai dello stile e del concetto ; più libero dai vizi di quella
scuola che tutti conoscono sentenziatrice, declamatrice e pas-
sionata per poche moderne idee, senza mai sapere, né inten-
dere , né rendere le passioni e le idee de' tempi passati. Gli
affetti propri e' li serba ad un coro che sarà tra' più be' saggi
lirici dell'età nostra, quando l'autore n'avrà tolte via alcune
strofe, e ritoccato lo stile. Del resto i suoi personaggi non
predicano tutti in parole diverse la medesima cosa: non arrin-
gano quasi mai : a ciascuno è dato il conveniente linguaggio ,
né si pone studio a farli più mondi o più sudicii di quel che
li faccia la storia. Carlo d'Angiò , interrogato con qual diritto
entri nel regno di Puglia , risponde schietto :
Dirgli potrei, che cavalier qua! sia,
Che ha core in petto ed una spada al fianco,
Che a bramar basti e a procacciargU un regno,
Quei di farne ha ragion , quandunque il possa ,
E dovunque il conquisto. In non diversa
Guisa di Federico i materni avi
In Sicilia regnare. E eh' altro mai ,
Fuorché il brando e il valor, vantar potea
Quel Roberto Guiscardo, il qual sul Greco,
351
E il Longobardo, e '1 Saracen s'aderse
Di vittoria sull' ali ....
Ma d' Apulia a' lidi
10 sconosciuto avventurier non vengo.
Nel roman crisma, che sacrogli il crine
Per man di tal, che al tuo Manfredi iù fronte
Riconfiggea gli anàtemi paterni ,
Sta di Carlo il diritto ....
Però che limge vola , e inesaudito
Ad orecchio francese unqua non giunse
11 gemito del Tebro. Al trono appesa
Sta dell' Eterno al suo fulmine accanto
DI Carlomagno e Clodoveo la spada :
E s' avvien che dal fodero ei la tragga,
Non è usbergo di popoli o di prenci
Che le resista ... Or vanne, e digli
Che in battaglia affrontar me non s' arrischi ,
Poi che spada non è che non vacilli
A' suoi guerrieri in pugno, e non è petto,
Che non covi segreto il tradimento.
Questo mescuglio di buone ragioni e di ree, che fa Carlo,
uou tutto lodevole e non tutto spregevole, che parte della ragione
colloca dal lato di Manfredi , parte dal suo ; questo è il vero
drammatico , il vero storico, questo il bello. Ben gli risponde
in sul primo, il legato di Manfredi, il buon conte Giordano:
Quel popol calunniar mal ti s' addice
Che t' affanni a far tuo. Se tanto speri
Nella viltà, nella perfidia altrui,
Del tuo valor diffidi. E questa è dunque
La spirante valor gallica gente ?
Fin qui parla il conte: ma questa che segue è scappata
(bella sì, ma non drammatica ) del moderno poeta:
Antico vezzo è di francesi labbra
Dell' Italia 1' oltraggio , onde s' eterna
Contro lei , che v' ha domi , una vendetta
Resa or villana dalle sue sventure.
332
Perchè più non la teme ogni straniero
Di perfidia 1' accusa , e onesti nomi
Prende la frode se d' oltr' alpe viene.
Rimproveri troppo veri: ma ad uomo del secolo duodecimo,
quando le memorie della lega eran fresche , e le glorie delle
italiane repubbliche eran vive e continue , non opportuni. E
già quanto in essi è di storico ed eloquente , i primi cinque
versi bellissimi lo contengono. La seguente imprecazione non
oserei però dire peccante d' anacronismo simile :
Oh di codardo !
E di perfido nome abbia qualunque
Dello stranier qui la tutela invoca ,
E chi al torrente dell' ingorda Francia
I suoi varchi disserra.
Ma ritorna il Marenco a ragionare nella persona del conte.
Volgi uno sguardo a questo suolo, e tutto
Quanto s' estende in tra i due mari e '1 monte ,
Lo vedrai sparso di francesi tombe.
Né di voi mai rima» di qua dall' alpe
Fuorché r ossa, e V infamia che le copre.
Francesi predecessori di Carlo d'Angiò troviamo Carloma-
gno , il quale in Italia lasciò più feudi tedeschi che tombe
francesi; e Brenno, i cui commilitoni vi s'annidarono, se cre-
diamo alle tradizioni e all'accento della favella, se non che
questo del far pensare e dire agli uomini degli andati secoli
i nostri dolori e le nostre lamentazioni , è vezzo raro nel sig.
Marenco j e di ciò volevo congratularmi con lui.
Tutta appropriata è la risposta di Carlo :
Osi in brando cangiar la molle cetra
11 lascivo cantor , cui le delizie
Di Capua effeminaro, e della polve
De' campi asperga 1' odorato crine.
Digli, che al suon dell' armi una francese
Donna sorgea da' morbid' agi , e d' aspro
335
Acciai- vestia le delicate membra ;
E colà , donde Annibale già scese ,
Di Francia i cavalier non isdegnaro
Seguir la guida de' femminei imperi.
Digli che bench' io sia signor di cpiella
Terra , onde move si lodato il canto ,
Cinto di trovatori a lui non vengo ,
Ma di guerrier. Della vittoria 1' inno
Mi scioglieran nel mio trionfo poscia
I suoi cento cantori , ov' io pur degni
Canto venal di sempre serve muse.
Questo è r Angioino davvero, e queste che seguono sono pa-
role degne d' italiano , e nella loro mansuetudine rintuzzano
potentemente i rimproveri selvaggi del re:
Signor, non die natura esser villano
In Italia al valore.
Nella scena tra Elena e il cantore Bonetta parmi altresì ve-
dere troppo profetici e non assai drammatici accenni al regno
di Napoli , qual fu poi. Ma questi timori e querele d' Elena
mi paiono sovranamente belle, perchè non escon dai limiti del
secol suo.
Temo Carlo lontano. Il desideino
D' un giogo ancor non conosciuto io temo.
Oh ! venga , e regni , e desiar 1' antico
Faccia il nuovo signor. Temo de' Svevi
L' inclemente giustizia , e di quel!' alte
Vendette , che il ribelle ingiurie noma ,
La memoria recente.
E quello che dice Manfredi anco de' tempi suoi mi par raro,
ond' ha la bellezza dell' opportunità , senza la quale non è bel-
lezza vera. Il qual vero 1' Alfieri senti di rado , e lo dimenticò
sovente lo Schiller.
Basti , che il regno
Due volte già ricuperai perduto.
Se perdere una volta anco si debbe,
334
Sia perduto per sempre. Io questa abbono
Ai popoli ed a' regi obbrobriosa
Vece assidua di fuglie e di ritorni.
Già m' attedia il regnar, se re son io
D' irrequieto popolo ....
re di tal regno,
Che un sol giorno , un conflitto e dona e toglie ,
Facile a tutti , a conquistarsi lieve
Più che a tenersi. Ah si : cadiam , se d' uopo ,
Vittima al genio reo di questa terra.
Cadiam. Dai tradimenti è almen. secura
La cerchia d' un sepolcro.
E tutta quella scena tra Manfredi e la moglie parrai ( tranne
la fine arida un po' ) delle più vere ed alte scene del moderno
teatro , quale né Vittore Hugo , ne francese alcuno vivente com-
pose mai.
Ahi ! meco tutta
Tutta cadrà la casa mia, s'io cado,
n so pur troppo , ed un' arcana voce
Quasi la voce del desdn si fosse,
Cupamente mei grida, Eppur col fato
Degg' io , quantunque ineluttabil sia ,
Contrastar virilmente ....
O capo amato (aljiglio)
Tristo agli orfani! Guai, guai alla prole
Di vinto re ! Di che ragion feroce
S' armin le nuove signorie 1' ignori.
O nato nella porpora , il vedrai
Ciò , per cui non veder n' andrò sotterra ,
// vedrai tu del vincitor superbo
Il minaccioso volto ?
Oh rabbia! Pago
Sarà di Roma il desiderio antico ?
Gloria e possanza degli Svevi estrema
Federico fia stato? Un turbin fero
Che veemente e procelloso spira
Sovra la terra, e passa, e altro iwn lascia
Di sé che d' un gran suon la rimembranza
Maledetto
555
Quel dì cbe tratta repugnante all' ara
Nuzlfal venne da' votivi claustri
La Normanna Costanza , ond' ebbe vita
Un figlio, che dovea nel lungo corso
Del suo regno stancar della sua stirpe
I destin gloriosi , e lasciar sole
Le sventure a' nepoti ! — • O donna salvami
Tu dall' obbrobrio e dal servaggio il figlio.
A di migliori , e alla vendetta il serba ,
S' io pero : e al padre nel valor somigli :
In altio no
Qui ed altrove Manfredi sente, senza avvedersene (e questa
è l'essenza della poesia) la sua doppia natura, di re italiano
e d' uomo tedesco. E dopo aver detto in un' ora d' animo ri-
posato :
Eli' è soave , Italia ,
Al par dell' aer tuo la tua favella:
All'aspetto della sopravegnente sventura, i tedeschi spiriti
in lui si risentono, e grida allo
. . spirto eccitator della lombarda
Lega fatai , che in sanguinosi lutti
I trionfi volgea dell' Enobardo ,
E gli resse lo stil , quando in Costanza
Segnava la germanica vergogna?
E la parte cavalleresca , propria del tempo dell' uomo, nel
dramma risalta con poetica luce. Letto 1' annunzio del nemico
vicino, Manfredi non dà tempo al proprio dolore, né alle altrui
condoglianze e ai consigli. E quella scena breve e ( tranne le
parole segnate ) napoleonica , sola basta a manifestare il poeta :
Morte e sventura !
All' armi! Suoni dagli Abruzzi al Faro
Tromba di guerra. Lo stranier s' appressa
Del mio regno ai confini ....
D' Etruria e Lombardia riedan coU' armi,
Ond' io già diedi a' Ghibellin soccorso j
336
Qui tosto ì miei vicarii. Entro le mura
Di San German che fra gli eccelsi monti ,
E le paludi insuperabil stassi,
Il tedesco valor chiudasi , e seco
Ogni arcer saraceno. A te, Rainaldo,
Della vanguardia mia fido il comando.
Va , sul Liri t' accampa , e '1 varco angusto
Di Cepperano all' inimico vieta.
Maledizion su te , sovra i tuoi figli ,
Se gallico destriero unqua calpesta
L' apulo suol ! Qual tu qui sii , rammenta -,
E che sovra il tuo capo, e dell' intera
Tua schiatta piomberà , s' unqua rovina ,
La casa di Manfredi. — In Benevento
Il parlamento de' Baron s* intimi.
Col gran nerbo dell'oste io là starommi.
Ovunque degno sia d' un re '1 periglio ,
Bramoso quivi accorrerò. — Tu pria
Che l'usbergo, o Giordano, il manto vesti
D' ambasciatore. All' Angiohio incontro
Va sollecito , e reca a quel superbo
Di Manfredi gli accenti.
Gior. 0 re ! Quai patti
Propor pensi a colui , eh' altro non vuole ,
Che in tua vece regnar?
Manf. Vieni, e il saprai.
Il patto eh' egli propone è un duello : e il conte Giordano
è degno ambasciatore e degno amico al regnante guerriero. E
piene di guerriera e di drammatica vita son le parole nelle
quali gli narra la fuga degli appostati al passo del ponte:
.... Il corridor francese
Stampa 1' apula polve. Invan scorrea
Fra noi pocanzi e l' inimico , il fiume :
Ei l'ha varcato. E non a nuoto , o Sire ;
Non colla lancia in resta e '1 brando in pugno.
Di Cepperano ei lo varcò sul ponte;
E sollevata la visiera avea ,
E la spada nel fodero.
357
In questa franca semplicità sta la vera bellezza: qaesta prin-
cipalmente dimostra il poeta. E questa più che in ogni altro
luogo risplende nella scena lodata tra Manfredi e la moglie.
I pensieri di regno e di guerra soprastanno all' affetto, e lo
premono j ma là dove e' può vincere e farsi sentire un poco ,
lo fanno parer più potente.
Alla Grecia natia faccia ritorno
Di Manfredi la vedova. — Reliquie
D' una stirpe d' eroi , tu questo , o donna ,
Cresci degli avi alla virtude , e a quella
Che ai diradati e profughi sol resta ,
E sola un giorno a me restò , la speme.
£1. Siam pervenuti a tanto?
, Manf. E giunto, è giunto,
Elena , il di , eh' esperimento estremo
Far degg' io de' miei fati. — O tu, che sorgi
Dall' Adria , italo sol . . . I' itale sorti
Rivelerai cadendo. Ah ! non sia vero ,
Che allor, che in la tirrena onda sanguigno
T' attufferai , d'illuminar consenta
/ barbarici orgogli e i nostri lutti.
Et. Ahi lassa !
^ Tu corri , il veggo a' tuoi funesti accenti ,
A pugna disperata. E ti cai dunque
Di te , del trono , e di me pur si poco
Che spensieratamente arbitra farne
Vuoi d' un sol di la sorte ? E non li resta ,
Se Benevento cade, ancor gran parte
Del regno intatta , e il siculo rifugio ,
E la speme nel tempo ?
Manf, E tardi. Sempre ,
Sempre dinanzi a insullator nemico
Indietreggiar ? Della viltà 1' esenqilo
Dare ai popoli io re ?
Degno è pur di Manfi-edi j e più bello che soliloquio non
soglia ( soliloquio è ormai infausto nome come sonetto ), è quel
«he segue all' addio :
32
358
O cor mio di perigli avido, in tutta
La tua prodezza , invitto core , or sorgi.
Dappresso io lo vedrò. Starogli a fronte
Neil' armi chiuso. Al suo destriero il mio
Spingerò incontro. Ah potess' io mirarlo
Precipitato dall' arcion , la terra
eh' ei conquistar volea , premer morendo ,
E di sangue imbrattar le regie insegne
Di che mal si fregiava; ed io feroce
Soprastargli , e col pie premerlo , e dirgli
Mentr' egli muore : « oltraggiator mentisti ! »
Se io dicessi che tra i soliloqui! innumerabili dell'Alfieri non
è un solo più poetico di questo, so bene che troppe collere
e troppo terribili desterei. E però non lo dico. Dico bensì che
r Alfieri ( uomo più giusto , se non più grande , dei grandi
ammiratori suoi ) se avesse letta 1' ultima scena del quart' atto
di questo Manfredi , avrebbe onorato nel suo concittadino un
vero poeta.
Scud. Schierato
In ordin di battaglia il Franco move
Ver lo fiume a gran passi, e par che il ponte
Di Benevento ad assalir s'appresti.
E già pervenne al campo , il qual si noma . . .
£on. Taci !
Man/. Perchè ?
Boll. Di là dal ponte i nostri
Guidinsi. Ovunque il Franco sia , che importa
Del loco il nome ?
Manf. Ov' è ? prosegui.
Scud. È giunto
Testé alia Pietra del Roseto.
Man/. ... Andiaino.
Perchè questa pietra del Roseto era un campo sparso di rose,
sul quale un vaticinio profetava le ultime sventure a ìManfredi.
E il poeta aveva accennato a questo già ; e quell' aridianiu cosi
preparato, è sublime.
359
Non sempre ( e anche questa è bellezza vera ) non sempre
Manfredi si mostra così animosamente devoto a glorioso peri-
colo. Ma quando il dubbio gli tiene ancora l' anima ne' suoi
artigli (il dubbio ai generosi più insopportabile, perchè meno
vlncibile del timore), egli esclama:
Cotanta
Arroganza in costoro onde mai sorge ?
Che disegnan? che sperano?
E sebbene 1' autore accumuli volentieri sul capo di Manfredi
la meraviglia e la pietà, e lo abbellisca più forse che il vero
drammatico non vorrebbe , sebbene lo lavi da ogni peccato ,
tranne l'incesto, e gli faccia credere e dire legittima al suo
primo figliuolo, non a Corradino, l'eredità del regno 5 pure e'
gli concede 1' onor de' rimorsi 5 eh' è arte ( e di tutte più vera )
di nobilitare personaggio non nobile in tutto.
Oh quanto
Meglio per me stato savia che nato
Fossi lontano , assai lontan da questa
Bella contrada , là dove risplende
Pallido il sole , ove un fredd' aer fosco
Ogni senso mortai rende men pronto !
Natura stessa a intemperanti affetti
Sotto fervido cielo incita , e come
In grembo a' monti le ascondea , ne' petti
De' mortali qui pose orride fiamme
Divoratrici ...
. . . Ma invano
Stato pur fora , invan. Dovea più umile.
Sortir la culla , e serberia Manfredi
Sotto qualunque ciel 1' alma più pura.
Che non ponno a guastar le caste menti
Del poter l' insolenza , e gli ozi molli
D'un' opulenta sorte? Mostruosi
Desir , vergogna ai più fangosi cenci ,
L' ostro e 1' oro li copre. Nelle greche
Storie tu dotta , de' regali tetti
Le ignominie conósci. Ah non son fole ,
Pur troppo , i fasti della colpa !
340
E per questa confessione sì fa grande Manfredi. E quando
gli traggono innanzi il conte d'Aquino, il suo traditore ;, quél
cognato che primo egli tradì , amando d' amore la moglie di
lui , la propria sorella, ben fa Manfredi in un breve e tanto
miglior soliloquio a domandarne a se stesso;
Or eh' ei s' appressa
Perchè mi sento , quasi il reo foss' io ,
11 turbamento della colpa in core?
Or se Manfredi si sente reo , se V incesto non fu l' unica
macchia della sua vita 5 se l' indulgenza dovuta ai peccati di
amore non basta a farlo scusato di quelle concubine parecchie
( delle quali Elena moglie sua doveva nel dramma mostrarsi
•un po' meno ignara e perdonargliele , ma rammentarle ) 5 se
nella bella scena accennata poc' anzi Rainaldo il vile trova pa-
role altere e non ingiustamente crudeli da attutare lo sdegno
del re , e da farlo parer suo minore e suo reo 5 e l' alleanza
co' Saraceni , contro a' quali un antenato di Manfredi prese la
croce e la lancia 5 se le violenze fatte ai preti del regno 5 se
gli ambiziosi disegni non erano del resto innocenti ; se insomma
i torti e i difetti di re Manfredi sono o dal poeta conosciuti e
adombrati , o, que' eh' egli s' ingegna di palliare un po', dalla
storia non sono negabili ( da quella storia, dico, che non adula
vilmente i fortunati , e non lascia inonorate e maledette le
reliquie de' vinti ) , io non intendo perchè sia piacciuto al sig.
Marenco guastare con una epigrafe di Seneca il tragico , la mo-
ralità del suo dramma e la verità, che vuol dire la poesia;
non intendo perchè gli sia piacciuto esclamare : « felice chi ,
morendo in guerra , ogni cosa veda consunto con sé. »
Falsa sentenza , ed alla fine di Manfredi non molto oppor-
tuna. Della quale io non farei parola , e volentieri me ne pas-
serei come di cosa estrania al dramma , se non vedessi questa
mania delle epigrafi ( ambizione da eruditi citatori e non da
poeti ) imperversare in istrano modo , e , nel romanzo segna-
tamente, farsi ogni dì più intollerabile.
Ma assai di questo e assai di Manfredi. Al quale la storia
e il poeta diedero amico degno il conte Giordano, che morto
lo piange nobilmente e nella storia e nel dramma.
541
Non fu mar vinto, fu tradito sempre
Il mio prode signor -. tradito al ponte
Di Cepperan-, di San German tradito
Sulle mura -, tradito oggi nel piano
Di Benevento . . . Ahi vituperio eterno !
Sul capo ai traditor , cada sul capo
De' tiranni il suo sangue , e i suoi splendori
Perda macchiato di tal sangue il GigUo.
Ma r imaginare che Giordano fa poi , Carlo voglia lasciare
insepolte le ossa del re , è profezia di quelle che piacciono al
dramma rettorico 5 non è secondo natura. Quand' anco e' lo
pensasse, deve tacerlo per non istigare il cupo francese a nuova
vendetta. L' ultime parole son calde e non rettoriche , parrai.
Vile , ai ceppi mi serbi ? Oh vien , t' invoco
Più nobil premio a fedeltà serbato ,
Scure angioina. — Ai tiaditori impreco
Di costui r amicizia.
Siccome r esagerazione è facile ala sulla quale si librano gli
umanisti , cosi la parsimonia , e , se posso dire , la modestia
nel ritrarre gli uomini e le cose, è fausto indizio d'ingegno
già forte. E con modestia è dipinta Elena la moglie del re,
figliuola al signor di Tessaglia , tra greca e italiana , sommes-
samente affettuosa , e non altro veggente nel re che un ma-
rito. Essa invidia , senza quasi avvedersene , alla moglie dell'
Angioino l'onore di farsi nell'armi compagna al consorte, e
chiede a Manfredi, se non del combattere, il consorzio del
morire. 11 non ci verseggiare i vagiti dei due figliuoli, e rispar-
nilarci le solite smorfie paterne e materne , è altra prova di
senno. Bello quel fare Manfredi per la coscienza della vicina
sventura e de' propri falli , più superstizioso di lei misera don-
na , che trema e non osa tremare scopertamente. Il re , alla
cometa traente per V alto l' orrido crine :
Or che minacci adunque
Insolit' astro , mutator d'imperi?
Sei tu '1 nascente astro Angioin , che spinge
La mia stella al tramonto? In tua carriera
T' affretta pur. Tramonterai tu pure
342
Sovra imprecanti popoli. Ma noi
(Sia qualunque il destin ) non scenderemo
Senza gloria all' occaso.
All' ansio core
Della tua sposa , ah ! non voler, Manfredi ,
Crescer timor con rei presagi. Io spero,
Che innocua passi per le vie del cielo
Quella notturna luce.
^ E tutta la scena, «on così bella come la dipartenza, ma
e no abilmente bella e degna dell'arduo soggetto. Il sogno di
Manfredi, la preghiera d' Elena, donna e „.oglie , si riconcilii
con Roma ma ledicente , son le parti d'essa scena più vive. Poi
qua e la ,1 colorito languisce 5 ma tale poeta quale il sig. Ma-
renco, lo saprà dappertutto con le gradazioni debite ravvivare
E sapra toglier via quell' incontro d' Elena e di Rainaldo con
Manfredi morente, che offende e la storia e quell'alta poe-
sia, alla quale egli debbe oramai tener volto l'ingegno.
Tommaseo.
Prose e Poesie inedite o rare di Italiani vigenti
RACCOLTA.
Bologna, pei tipi del Nobili e Comp. , ,836.
Un opera periodica , che ha per iscopo di raccogliere tra le
molte scritture di poesia , e di prosa dettate da autori viventi
alcune o pm pregevoli o più rare, e quelle produrre e diffon-
dere siccome eletto saggio letterario, può in Italia forse più
fihe m altro luogo riuscire oggidì profittevole e benemerita. Nei
paesi che all'Italia confinano, nella Francia soprattutto , le
opere letterarie d'ogni sorta gravi e leggere, di piccola e di
343
grande mole, ciotte ed indotte , buone e cattive , uscite appena
alla luce con subita rapidità si diffondono e pervengono quasi
in sul primo loro comparire alla conoscenza ed alle mani di
tutti. Quali cbe di ciò siano le cagioni , o l' uso invalso colà
tra gli scrittori presenti di anteporre ad ogni altra legge o ri-
sguardo d' arte l' intento di piacere , seguitando 1' andazzo del
gusto e la voglia popolare, o la moltitudine de' giornali, cbe con
mille bocche o lodando o biasimando danno pubblicità ad ogni
più picciola cosa , o l'intellettual coltura diffusa universalmente
tra il popolo e il bisogno di leggere , che ne è conseguenza ,
o la naturai prontezza ed attività che quella nazione reca in
ogni sua cesa , o sia che oltre a tutte queste insieme v'abbiano
altre cause più efficaci , il fatto sta pur così 5 ed in questo so-
pra gli altri si avvantaggiano gli scrittori d' oltramonti. Ben
diversamente avviene nell'Italia. Oggidì fra noi sebbene non cor-
rano tempi di grande abbondanza e ricchezza letteraria , tut-
tavia non mancano ottimi ingegni , che s' affaticano ; né difet-
tiamo di buone scritture che di di in dì escono a luce. Ma per
un infelice concorso di più cagioni la fama di quelli lenta-
mente si diffonde , e la conoscenza di queste non che rapida-
mente si allarghi oltre i confini d'Italia, a mala pena e con
istento esce talvolta dalla chiostra delle città, dove esse nacquero.
Quindi è che alla superba ricchezza oltramontana d'opere scien-
tifiche e letterarie, che tuttodì ci si schiera innanzi agli occhi,
e di cui si fa sì gran mostra, noi Italiani, quantunque forse
ricchi del paro, non possiamo contrapporre la nostra spezzata,
spicciolata e talvolta ignoi'ata perfino in gran parte da noi
stessi. Per la qual cosa riputiam noi , che una raccolta perio-
dica di buone prose e poesie , giovandosi della voga e del fa-
cile accoglimento , che ottengono oggidì le opere periodiche ,
possa all' Italia riuscire grandemente fruttuosa , facendo cono-
scere in parte e come per saggio gli occulti tesori del suo sa-
pere , diffondendone la gloria letteraria e scientifica , quella
che a' di nostri sommamente si pregia e cresce lustro alle na-
zioni , e mantenendola in faccia allo straniero nel suo debito
seggio di onore.
Per quello che s'appartiene all'utilità che può derivare dalle
544
raccolte agli studj ed air incremento delle lettere , ella non è
da tutti consentita. A molti non piacciono le raccolte, parendo
loro essere elle inutili affatto ai provetti della letteratura, i quali
sogliono attingere alle vive fonti , quando le giudichino di buona
vena, e sdegnano i piccioli rivi, che sene derivano nelle rac-
colte,- insufficienti poi anzi alcuna volta nocive ai principianti ,
ai quali, per quanto copiose elle sì distendano, saranno pur
sempre troppo scarso alimento ; oltreché porgendo loro agevole
mezzo di acquistare qualche pronta e svariata conoscenza delle
lettere , li allontanano spesso da più profondi e maturi studj.
Noi non siamo intieramente di quest'avviso , e giudichiamo che
le raccolte quando sieno bene ordinate , e non impinzate alla
rinfusa di cose ora buone , ora mediocri , e tra di sé troppo
disparate , possano giovare alla letteratura , offerendo come in
eletto compendio quello , che di più bello e squisito produs-
sero tra le molte loro scritture il più delle volte ignorate gli
autori o presenti o passati. Ma a conseguire questo fine d'uti-
lità , e ad ottenere insieme quell'altro nobile scopo, che più
sopra dicevamo , conviene che chi assume 1' arduo incarico di
raccoglitore , elegga con molto senno e discernimento , e non
faccia, come dice il Caro, fascio d'ogni erba, ma si ben
ghirlanda d' ogni fiore.
L'egregio sig. Prof. Pietro Bernabò Silorata , editore della rac-
colta , che noi qui annunziamo , ha ingegno e dottrina più che
sufficienti per isdebitarsi degnamente del generoso incarico che
egli assunse. E ben ne è prova questa sua raccolta abbondevole
di belle e peregrine composizioni sì in prosa che in versi, tra-
scelte qua e là con buon gusto e giudìzio. 1 fascicoli d' essa
s'alternano l'uno di poesie, l'altro di prose. Tra quelle ve
n' ha delle pregevoli assai del Costa , del Biondi , del Leopardi ,
del Borghi, del Mamìani e d'altri. Tra queste ne parvero det-
tatti con nobile intendimento e con eletto scrivere l'elogio scien-
tifico d'Alessandro Volta, il discorso sull' istituzione de' sordo-
muti , la lettera dei dìsavantaggi degli scrittori ecc. Solo vor-
remmo che l'esimio editore avesse lasciato addietro, o perme-
glio dire, giacché il fatto non si può più disfare, che egli la-
sciasse a^ldietro in avvenit;e alcune prosucce di uiun momento,..
545
alcune leggere poesie , le quali non é qui bisogno di notare ,
perocché chi sopraintende alla collezione è troppo buon cono-
scitore in cosiffatta materia par distinguerle egli stesso.
La presente raccolta contiene molte e delicate composizioni
del sig. Silorata , tra le quali un saggio della sua traduzione
de' salmi, che si sta ora pubblicando per associazione. Di que-
sta si farà altra volta menzione nel Giornale. Intanto facciam
qui plauso al chiarissimo traduttore d' aver impreso a vestire
di belle forme italiane que' sublimi e splendidi canti Davidici,
ne' quali rivivono abbelliti da una pienezza ineffabile di senti-
mento gli antichi giorni , le antiche genti , il primo culto , i
primi inni. I concetti di quella poesia ebraica , scrive il Qui-
net *i , sembrano scaturire per la prima volta dal giovine
cuore dell' uomo con tutta la freschezza d' una recente crea-
zione 5 se non che le illusioni , le gioie , i cari affetti dell' età
prima vi si veggono spesso oscurati da un sentimento precoce
d' infortunio , da un senso arcano di dolore , il quale risuona
in que' carmi con modi lamentosi d' incomparabile espressione.
Alle dolci reminiscenze de' giorni antichi di gioia e d' amore
si mescola l' angoscioso senso d' un' età trista d' avvilimento e
d' oppressione.
*i Etude sur Herder.
AVVISO
Di questa raccolta annunziata esce alla fine di ciascun mese
un fascicolo di pag. i6o al prezzo di baj. i5. Si ricevono le
546
associazioni in Bologna dal tipografo Annesio Nohili , e dal di;r
reattore in via Poggiale palazzo Cappi, N. 712.
IL LIBRO DC^ SALmi
nSCATO IN VEKSI ITALIANI
(Da 35teitto 2^eiMa£ò oiiotataj
\
Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di TorinQ
Senza parlar del merito di questa versione de' Cantici inspi-
rati del Real Profeta , la quale già ebbe degna lode nelle pa-
gine di varii giornali d' Italia 5 solo ci piace far conosciuto che
tutti gli esemplari dell' edizione de' primi cinque fascicoli si-
nora pubblicati , sono interamente esauriti per un egual nu-
mero di socii all' opera stessa. Ond' è che venendoci fatte molte
dimande di associazione , ci è grato di dovere por mano ad
una ristampa de' fascicoli suddetti , con caratteri , carta e tutto
similissimi ; la quale si farà tostochè il numero delle nuove
soscrizioni equivarrà alla spesa di stampa. Frattanto i novelli
socj potranno ricevere , se loro aggrada , il fascicolo sesto che
tra poco verrà in luce , ed i seguenti.
Ogni mese circa se ne pubblica un fascicolo di pag. 82 al
prezzo di baj. 8, e franco di posta per tutto lo Stato baj. 8 e
mezzo.
Chi assicurerà 6 sottoscrizioni , avrà una copia di tutti i fa-
scicoli in dono.
Bologna 20 gennaio iSSj.
347
JriLOLOGlA — Grammaire Egyptienne , ou principes généraux
de l'Ècriture sacrée Egjptienne appliquée d la rèprèsentation
de la langue paride , par Champollion le jeune^ puhlièe sur
le manuscrit autographe. — Première partie. ~~- Paris i836'.
Molti pregevoli scritti , e due sopra gli altri han fatto chiaro
il nome , e durevole appresso la posterità faranno la memoria
di Champollion minore , da troppo immaturo destino rapito
agli studii egizii , ai quali con indicibile ardenza d' animo , e
con rara sagacità di mente fu egli unicamente consacrato. Con
la lettera a Dacier nel 1822 avea chiarito l'esistenza dei carat-
teri fonetici ovvero alfabetici nelle scritture geroglifiche dell'
Egitto 5 quindi fattosi scala di quella prima memoranda sco-
perta a più alte investigazioni , nel 1824 pubblicava nel Pre'cw
du sjstème des hièrogljphes la teoria singolare delle varie specie
di quelle antiche scritture , per quanto avea potuto ricavarla
dall'assiduo esame de' monumenti. La lettera a Dacier, nella quale
egli col metodo severo dell' analisi , e con legittime induzioni
dimostrò l'assunto che erasi proposto, venne accolta con me-
ritato favore dai dotti , e salutata quale avventuroso augurio
di scoprimenti importantissimi a farsi nella storia e nelle an-
tichità egizie. Al Précis in vero toccò varia fortuna secondo le
varie disposizioni degli umani ingegni. Gli uni a quello si ade-
rirono quale guida sicurissima per 1' inestricabile laberinto di
quelle note enigmatiche , o per tali giudicate dalle passate ge-
nerazioni. Altri all' incontro vi trovarono molteplice materia di
censura , nella quale forse anche trascorsero per soverchia a-
cerbità , come a cagion d'esempio il dottissimo Klaproth , che
nel 1829 pubblicò le sue osservazioni sopra 1' alfabeto fonetico,
e sopra i progressi fatti sino allora nell' interpretazione de' ge-
roglifici. E gli uni e gli altri peccarono di eccesso , quelli re-
putando con troppa credulità quasi sentenze d' infallibile ora-
348
colo quanto uscisse dalla bocca o dalla penna del maestro della
nuova dottrina , e questi per contrario rigettando come incoe-
rente ed arbitrario 1' intero sistema , fondando questo loro
troppo severo ed ingiusto giudizio sopra alcuni difetti di quell'
opera , e sopra il metodo per verità poco lodevole , e troppo
sovente seguitato dall' Autore , cioè di sottomettere al giogo
dell' autorità i seguaci di sua dottrina , senza darsi pensiero di
avvalorarla per ogni parte con argomenti valevoli a convincerne
gì' intelletti. Ciò nondimeno a noi pare , che un' attenta let-
tura del Précis debba persuadere ^ ognuno che libero sia da
preconcetta sentenza , se non di assoluta certezza almeno di
somma probabilità pel maggior numero de' principii in esso
contenuti ; lasciando tuttavia che ciascuno accolga come gli
pare e piace le spiegazioni delle frasi geroglifiche, delle quali
per modo d'esempii è corredata quell' opera , potendo essere
verissimi i principii teoretici , e tuttavia da gravissime diffi-
coltà esserne impedita l'applicazione. Comunque vada la cosa ,
il Champollion persuaso fermamente di battere il buon sen-
tiero , ne punto sgomentato dalle censure de' suoi oppositori ,
sino al termine di sua mortale carriera costantemente attese a
compiere il suo sistema ancora imperfetto nel Précis , e man-
cante di molte parti, siccome suole e dee accadere ne' primi
pi'incipii di qualsivoglia nuova scienza o disciplina. Però il
frutto più maturo de' suoi lunghissimi studii , il più compito
de' suoi lavori sopra le scritture sacre dell' antico Egitto ,
quello , che può darci la misura del suo sapere dopo il viaggio
dell' Egitto e della Nubia , è appunto la Grammatica della
quale intendiamo favellare , e che solamente nel testé scaduto
anno ha incominciato a vedere la luce , quasi un intero lustra
dopo la morte del suo autore. A questa avea egli posto 1' ul-
tima mano giovandosi di tutte quelle cognizioni , che il sog-
giorno di sedici mesi in mezzo ai monumenti tuttora esìstenti
sulle rive del Nilo , aveagli potuto procacciare ; cosi compiuta
e finita , nella fatale sua malattia, e dal letto di morte, egli
caldamente la raccomandava al dolente fratello , come il più
bel titolo di sua gloria letteraria e come il dono più prezioso
che egli potesse morendo h^gnre alia posterità, confidando an-
o4y
cora , che colla pubblicazione della medesima sarebbe chiusa
per sempre la bocca a' più pertinaci avversari del suo sistema.
E veramense se 1' opera al frontispizio adeguatamente corri-
sponde , in essa troveremo non solo spiegata in ogni sua parte
la teoria della scrittura geroglifica e geratica, ma eziandio chia-
rita la grammatica della lingua parlata in Egitto prima del
dominio greco e persiano, la quale per l'addietro dagli uni era
creduta sepolta nelle rovine dell' imperio de' Faraoni, dagli altri,
e più ragionevolmente', voleasi conservata , sebbene con moltis-
sime e gravi alterazioni , ne' libri copti dell' Egitto divenuto
cristiano. Ma allora soltanto potrà questa grammatica essere giu-
stamente apprezzata, quando tutta intera uscita dalle stampe,
potranno gli studiosi valersene per l'interpretazione de' testi egi-
zii. Intanto non dubitiamo di raccomandare la lettura di quella
parte, che sola finora ha veduto la luce , nella quale si com-
prendono tutti gli elementi del sistema , che dee riuscire di
grande utilità a coloro che coltivano gli studii egizii , e spie-
garne ampiamente la teoria agli altri , che senza attendervi
di proposito , pure amano di conoscerne l'andamento, ed i suc-
cessivi progressi.
Serve d' introduzione alla grammatica egizia il discorso detto
dair autore nell' incominciare le sue lezioni d' archeologia nel
collegio di Francia nel i83i , nelle quali esponeva i principii
di quella , ed i segni destinati a rappresentarli nelle due scrit-
ture geroglifica e geratica. Due sono i punti più rilevanti di
quel discorso; il primo è, che l'Egitto debb' essere tenuto
per sorgente primitiva delle istituzioni politiche e religiose ,
delle arti e delle scienze della Grecia 5 secondo lui le dottrine
di Platone sono meramente egiziane, ed uscite dai santuarii di
Sai ; le teorie psicologiche dell'antica setta pitagorica si vedono
tuttora rappresentate nelle pitture , e spiegate nelle iscrizioni
dei sepolcri dei re Tebani nei recessi della valle deserta di
Biban-el-Molouk. Non ignoriamo, che ben diversamente da lui
sentono sulle antiche origini delle cose greche molti dottissimi
ingegni dell' età nostra, né questo è il luogo da trattare siffatta
questione , né da tanto ci reputiamo di osare interporre il no-
stro giudizio. L'altro punto, di cui il Champollion e qui ed
350
ìa altri suoi scritti si fa caldo difensore , è la somma impor-
tanza dello studio de' geroglifici , per la copiosa messe di no-
tizie storiche ed archeologiclie del più antico umano incivili-
mento , la quale è riservata agi' interpreti de' monumenti egizii
scritti , dai quali soli si potrà finalmente conoscere nel suo
vero aspetto lo stato politico e religioso del vetusto imperio
de' Faraoni.
I primi nove capitoli , che sono i soli puLblicati della gram-
matica , trattano dei nomi, della forma e della disposizione ma-
teriale de' segni scritti ; della loro significazione e delle varie
loro specie 5 delle diverse maniere con cui que' segni si com-
binano insieme per formare parole e nomi , per qualificare
questi , determinarli senza equivoco , indicarne il genere , il
numero , e le varie relazioni ; finalmente de' caratteri che ser-
vono all' enumerazione delle cose , ed a quella delle civili
partizioni del tempo. La parte, che rimane a pubblicare, e
maggiore d' assai della prima, abbraccia i pronomi, gli aggettivi,
il verbo e la sua congiugazione per tempi e modi, e finalmente
le particelle, sotto le quali sono comprese le preposizioni , gli
avverbi , le congiunzioni , e le interiezioni. Così apparirà una
volta interamente svelato quello più strano che ingegnoso si-
stema di scrittura , di cui per venti e più secoli perpetua-
mente servironsi que' sacerdoti egizii un tempo già celebrati
per r altezza del loro sapere , se a buon diritto o no l' igno-
riamo 5 certamente non pare che stesse loro gran fatto a cuore
il progresso dell'umanità liè verso la perfezione delle arti , né
verso il conseguimento della vera scienza.
Forse a più d' uno , leggendo il sommario delle materie con-
tenute in questa veramente nuova grammatica , verrà in pen-
siero di domandare , come mai l'illustre Autore senza il presi-
dio d'altri monumenti bilingui, che la lapida di Rosetta, e nell'
ignoranza in cui sono i dotti dello stato della lingua egizia par-
lata nei tempi de' Faraoni, sia potuto giungere ad intendere il
vero senso de' testi geroglifici , e così perfettamente da fare de'
medesimi una grammaticale e minuta analisi, senza la quale ogni
interpretazione di quelli debbe riuscire ipotetica ed arbitraria,
ed assolutamente impossibile una ragionevole teorica di quell»^
551
scritture. E la stessa iscrizione geroglifica di Rosetta , é forse
mai stata sino ad ora convenevolmente spiegata , ed invocata
dall' Autore per confermare il suo sistema ? In verità lunga
tempo già io sperai , che questa cotanto sospirata grammatica
conterrebbe una valente difesa del sistema esposto nel Pre'cis e
costantemente seguitato di poi dal Gbampollion negli altri suoi
scritti ; sperai che sopra salde ragioni sarebbero fondate le re-
gole grammaticali ; ma quella speranza è svanita , quando nel
leggere la prima parte , V ho ritrovata positiva e dogmatica ,
come sono le gramoiatiche di quelle altre lingue più note ,
sulla natura delle quali non può cadere alcuna controversia.
Vero è , che moltissimi esempii vi sono recati con intendi-
mento di confermare per essi ciascuno degli esposti principii ,
ai quali vengono quelli soggiunti ; ma è questo un perpetuo
circolo vizioso , quando non sitasi antecedentemente provato, che
il vero senso degli addotti esempii è quello stesso dato loro
dall' autore. Dovremo noi dunque sospettare , che il Cham-
poUion abbia senza stabile base innalzato tutto questo sistema,
che r assiduo studio di più lustri , che 1' esame di un numero
quasi infinito di monumenti non abbiagli in fine fruttato ch^
errore ed illusione di mente? Che egli tessendo la storia dei
tentativi fatti sopra lo stesso argoihento nelle passate età , abbia
indicato le vere cagioni perchè quelli sieno riusciti vani , e
poscia esso medesimo non abbia saputo correre miglior cam-
mino , ed abbia fatto nelle stesse acque più tristo naufragio?
Ciò non pare in guisa veruna credibile , né certamente si
debbe ammettere , essendo noi persuasi , che lo scopritore
dell'alfabeto fonetico , che 1' autore del Precis ha bensì potuto
molte volte dare troppo libera carriera all' ardente sua immagi-
nativa neir interpretazione de' testi egiziani , che forse la sua
teoria riceverà col tempo più d' una correzione o modificazione,
ma che sopra saldo fondamento pure riposi 1' intero edifizio.
Ammettiamo per dimostrato ciò , che d' altronde è somma-
mente verosimile, 1' antica lingua egizia, quanto alla sua so-
stanza , essersi conservata nella copta; ammettiamo di più,
che r uso dell' alfabeto fonetico risalga ai tempi faraonici , la
qual cosa è posta fuori d'ogni ragionevole dubbio nel Pre'cis,
552
e premessi questi due principii noi portiamo ferrai credenza ,
che r esame de' monumenti egizii col lume dato dall'iscrizione
di Rosetta , anche senza il soccorso di verun altro testo bi-
lingue , potè condurre il ChampoUion alla scienza teoretica di
quelle scritture, dalla quale scienza tuttavia all'interpretazione
di un qualsivoglia testo egiziano, è, a parer nostro, un im-
menso intervallo , rimangono ancora difficoltà gravissime a su-
perare. In una parola , componesi la grammatica de' principii
generali , oltre ai quali richiedesi il vocabolario intero della
lingua , per potersi accingere con certezza di buon successo
alla spiegazione dei testi. Ma per dimostrare il nostro assunto,
cioè , che r esame de' monumenti scritti dell'antico Egitto potè
bastare alla sagacità del ChampoUion per ritrovare il vero si-
stema de' gerogliflci , stimiamo opportuno di dare primiera-
mente un breve sunto dei quattro primi capitoli della gram-
matica , i quali più specialmente abbracciano la teoria della
scrittura , che le regole grammaticali della lingua parlata.
» I caratteri che da principio composero il sistema geroglifico
furono imitazioni più o meno fedeli di oggetti corporei presi
da tutte le diverse classi del creato. Il numero di questi ca-
l'atteri incavato dall' analisi de' monumenti scritti, non ascende
ai novecento. La scrittura geroglifica fu principalmente ado-
prata ad ornare i pubblici monumenti ; però somma diligenza
era usata nel delineare le forme degli oggetti, ed ancora nell'
abbellirli de' colori ad essi convenienti. Ma così fatta scrittura
riusciva troppo lunga e malagevole cosa pei bisogni della vita
comune 5 quindi si cercò di facilitarne 1' uso con rendere più
semplici le forme de' caratteri , e togliendo ogni ornato della
pittura. Primieramente le immagini degli oggetti furono ridotte
ai soli estremi lineamenti , conservando tuttavia le forme di-
stintive del genere e della specie alla quale appartenevano , e
questa differenza distingue la scrittura de' libri geroglifici da
quella dei monumenti. Questa prima riduzione fu poscia seguita
da un' altra maggiore , e la novella forma de' cai-atteri ne ri-
mase per tal guisa alterata , da creare come un altro genere
di scrittura più corsiva , conosciuta col nome greco di geratica
o sacerdotale. Questa scrittura geratica, considerata unicamente
ZK-Z
ODO
nella sua forma materiale, è di quattro specie distiute una dall'
altra per varii gradi di abbreviatura , onde si viene scostando
dai geroglifici dai quali riconosce sua orìgine
« I caratteri geroglifici presi secondo la loro significazione sono
divisi in tre diverse specie, i.° in figurativi , \ quali indicano
al proprio la cosa di cui sono 1' immagine ; così la. figura d'un
cavallo serve ad indicare un individuo di quella specie di qua-
drupedi 5 -1° in tropici o simbolici , i quali non più per imi-
tazione , ma per similitudine prossima o rimota , vera o suppo-
sta richiamano alla mente 1' idea della cosa che sono destinati
a rappresentare ; 3." in fonetici ovvero alfabetici , i quali rap-
presentano semplicemente gli elementi de' vocaboli , le lettere
vocali e consonanti. Nella forma materiale punto non si distin-
guono dalle prime due specie , essendo essi ancora immagini
di cose sensibili. Anzi può uno stesso carattere geroglifico in
varii casi passare dallo stato figurativo al simbolico, ed al fo-
netico. Il principio generale del metodo fonetico fu di rappre-
sentare un suono alfabetico coir immagine d'un oggetto, il cui
vocabolo nella lingua parlata incominciasse con la lettera che
si voleva esprimere d' onde nacque nelle scritture egizie quella
gran copia d'omofoni ossieno segni indicanti un medesimo suono,
potendo una medesima lettera essere rappresentata da più ca-
ratteri immagini d' oggetti , i nomi de' quali avessero la me-
desima iniziale: ogni testo egìzio sia geroglifico , o sia geratico
è composto di segni appartenenti a ciascuna delle tre specie
indicate , i quali concorrono secondo la propria loro natura ,
ed insieme si combinano in una medesima frase. In generale
i caratteri fonetici ricorrono in maggior numero de' simbolici ,
e questi de' figurativi. (L'alfabeto de' geroglifici fonetici esposto
in questo capìtolo, e de' quali tutti l'Autore afferma avere ri-
conosciuto il vero valore , tra semplici e composti , è di due-
cento e quarantasette.) I caratteri delle vocali nell'alfabeto
fonetico hanno un valore indeterminato , il quale può variare
dall' a all'è o i, dalle semplici ai dittonghi , a ai, e ei ie ^
a cu , la più parte delle vocali medie sono oidinariameute
oramesse nelle parole trascritte con segni fonetici ne' testi ge-
joglifici e geratici , onde troviamo sn per son ( fratello ) , rt
23
554
per rat ( piede ) ainn per amori ( il dio Amrnone ). Le arti-
colazioni aspirate della lingua egizia nei testi gerogliCci sono
rappresentate con gli stessi segni delle articolazioni semplici a
quelle corrispondenti ; e le consonanti / e r si scambiano vi-
cendevolmente r una coir altra , o a dir meglio i segni omo-
foni dell'articolazione / servono a notare anche lar, e così di
rincontro. Essendo ogni testo geroglifico e geratico composto
di un numero maggiore di caratteri fonetici , che non delle
altre due specie , la scrittura sacra fu dunque strettamente col-
legala con la lingua parlata , poiché la maggior parte di que'
segni rappresentavano i suoni di questa : lo stesso vincolo , seb-
bene meno stretto, legava pure alla medesima i caràtteri figu-
rativi , ed anche i tropici o simbolici , a ciascuno de' quali
dovea pure corrispondere un vocabolo di quella favella. Poteva
impertanto un testo geroglifico o geratico essere letto con la
stessa facilità e celerità , con che appresso gli europei leggonsì
i trattati d'algebra , i quali offrono anch' essi come le scrit-
ture egiziane un miscuglio perpetuo di caratteri fonetici ed
ideografici
« I tre metodi fondamentali della scrittura sacra , l' imitazione ^
la similitudine e la rappresentazione de' suoni furono adoprati
ne' testi egizii per notare i nomi comuni della lingua parlata.
Trovansi con caratteri figurativi rappresentati: i." i nomi gene-
rici della specie umana, e quei delle membra del corpo uma-
no 5 2.° i nomi della maggior parte delle varie sorta di qua-
drupedi , e di alcune loro membra ,• 3.° i nomi di alcune specie
di uccelli , poiché d' ordinario le immagini de' volatili appar-
tengono alla classe de' caratteri fonetici , o a quella dei sim-
bolici 5 4-° i nomi di rettili in picciolo numero , quelli di al-
cune specie di serpi , e di pochissimi insetti ; 5.° i nomi di
un numero molto ristretto d'oggetti appartenenti al regno ve-
setale -, 6° i nomi della massima parte dei prodotti d' arte ed
industria umana , come di vesti , ordigni, suppellettili, edifizii
ecc.; 7.° finalmente coll'immagine d'un uomo o di una donna
ornata delle insegne caratteristiche, furono notati i nomi co-
muni di uffizii e dignità esercitate o nella società domestica,
o nella vita pubblica, come re, regina, capo, scriba, prete ,
555
guerriero ecc. Sovente con segni simbolici o tropici furono rap-
presentati molti nomi comuni , usando gli scribi o della me-
tonimia o della metafora, o finalmente del genere enigmatico.
Il terzo n»etodo di cui si servirono nelle scritture sacre per
notare i nomi comuni della lingua parlata , fu d' adoprare i
caratteri fonetici. Infatti la massima parte dei vocaboli della
lingua egizia si trovano ne' testi geroglifici e geratici trascritti
con segni fonetici , e non differiscono dagli stessi vocaboli scritti
con lettere greche nei testi copti , che per Tommessione o tras-
posizione di alcune vocali, e raramente per mutazione di luogo
di alcune consonanti 5 gli esempii che in gran copia se ne ad-
ducono , sono più che idonei a comprovai'e questo fatto. In
generale la differenza che si osserva tra 1' ortografia antica dei
vocaboli egiziani, e la copta, nasce dallo scambio delle lettere
appartenenti allo stesso organo vocale. Nei testi egizii, di qua-
lunque età sieno, s' incontrano moltissimi nomi fonetici scritti
per abbreviazione , non esprimendo che le lettere iniziali dei
medesimi
« L'ommessione delle vocali medie , e talvolta anche finali
nella trascrizione fonetica dei nomi della lingua parlata dovea
sovente generare incertezza ed oscurità nei testi egizii, poiché
un numero grandissimo di vocaboli egiziani essendo formati
delle medesime consonanti disposte con lo stesso ordine, tut-
tavia esprimono idee tra di loro diversissime , e distiuguonsi
gli uni dagli altri unicamente per le vocali, come a cagion
d' esempio sabe ( dotto ), sobe ( impuro ) , sebe ( flauto ), kob
( opera ) , hab ( lievito ) , hib (ibis uccello) ecc. Per rimediare
a così grave inconveniente fu introdotto 1' uso di notare i vo-
caboli scritti foneticamente con un carattere aggiunto , il quale
determinava nello stesso tempo ed il significato del vocabolo ,
e la pronunzia stessa di quello , indicando indirettamente le
vocali da supplire nella lettura del medesimo. Di questi carat-
teri determi fiativi gli uni determinano la specie, altri il genere
della cosa indicata dal nome fonetico , ed hanno una parte di
gran rilievo nel sistema geroglifico , trovandosi costantemente
dopo la maggior parte de' nomi fonetici , dei pronomi, dei nomi
proprii e dei verbi »
356
Ritornando ora al nostro proposito, osserviamo primiera-
mente , che una parte dell'alfabeto fonetico esposto dall' autore
nel secondo capitolo della grammatica , fu già con invincibili
pruove stabilita nella lettera a Dacier ; partendo dal principio
generale del metodo fonetico , quel primo alfabeto fu di molti
omofoni accresciuto nel Précis, ma senza dimostrazione alcuna,
che ne provasse la verità; finalmente in quest'ultima sua opera
egli ne ha aumentato ancora il numero di poco meno del
doppio , che nel Pre'cis , contentandosi di avvertire i lettori ,
che di tutti questi segni esso ha rìeonosciuto il vero valore.
Certamente trattandosi di fatti positivi e materiali la testimo-
nianza di ChampoUion , che tanti anni consacrò all'investiga-
zione del sistema delle scritture egizie , che esaminò quanti
monumenti scritti o sono tuttoi'a esistenti in Egitto , o souo
custoditi ne' varii musei d' Europa , può tener luogo di argo-
mento morale idoneo a cattivarsi la nostra fede, se non ad
ingenerare assoluta certezza. E che l'alfabeto fonetico, stabiliti
una volta que' tanti segni , che bastino a rappresentare gli
elementi de' vocaboli , si possa accrescere di omofoni col solo
materiale confronto de' monumenti , è noto a tutti coloro, che
non sono del tutto pellegrini negli studii egizii : è impossibile
paragonare insieme, a cagion d'esempio, due papiri funerarii
appartenenti a due diversi defunti, e contenenti assolutamente
le stesse materie , senza che nell' analisi comparativa dei due
testi , tu ritrovi molti caratteri varianti quanto alla forma
materiale da un testo all' altro , ma precisamente identici
quanto al significato ; che se non due soli , ma più e più di
così fatti papiri si vogliono col medesimo scopo mettere a con-
fronto ( e sono questi papiri a centinaja , e scritti o con ca-
ratteri geroglifici , o con geratici , e contengono tutti chi per
intero , e chi in maggiore o minor porzione le stesse for-
mole sacre, onde sono detti rituali^, chi non vede, come
successivamente col tempo e col lavoro debbasi ritrovare 1' in-
tera serie de' caratteri omofoni segnati sopra i monumenti ?
Ma assai più difficile è 1' investigazione del senso che hanno in
quelle scritture i caratteri simbolici , dei quali pochi solamente
troviamo dichiarati nel libro di Orapolline , od in qualche al-
557
tro scrittore greco o latino. Di molti in vero il ChampoUion
dà la spiegazione e nel Pre'cis , e nel Panthéon e'gyptien , e
nella grammatica , ma senza chiarirci come ne abbia ricono-
sciuto il valore. Anche a questo proposito osserviamo , che lo
stesso confronto de' monumenti , il quale fa conoscere i segni
varianti ed omofoni dell' alfabeto , conduce del pari a trovare
il significato di molti caratteri simbolici. Non di rado avviene,
che un' idea espressa per un seguo simbolico in un testo , sia
in un altro rappresentata con caratteri tutti fonetici ; serva
d' esempio il nome del defunto , che si legge un numero in-
finito di volte nel papiro geroglifico della grand' opera sopra
l'Egitto -j quasi sempre è scritto con segni fonetici , il valore
de' quali è pienamente riconosciuto, e si può trascrivere Ptainii
( Petamone , che i Greci traducevano per Ammonios , il di
jdmmone ) 5 nello stesso papiro il troviamo qualche volta scritto
coi due primi segni fonetici pt seguiti da un carattere che figura
un obelisco, il quale obelisco simbolicamente rappresentava ilDio
Ammone. Parimenti il più grande rituale geroglifico del Museo
torinese, che appartenne a un defunto per nome Eufonch o
Aufonch ci offre questo nome scritto ben più di quattrocento
volte ora con tutti i segni fonetici che lo compongono , ora
soltanto con quattro , cioè Euf o Auf, ed il segno detto la
chiave del nilo , che simbolicamente esprimeva la vita con
vocabolo egizio detta ondi. Apparisce per gli esempii addotti,
i quali si potrebbero in gran copia moltiplicare , che quegli
potrà giungere a conoscere il vero significato di un maggior
numero di segni e fonetici e simbolici , il quale corredato della
cognizione della lingua copta , avrà a sua disposizione anche
maggior numero di monumenti a studiare e paragonare gli uni
agli altri. E quello che abbiamo detto de' papiri possiamo cou
pari ragione aftermare d'un' altra classe di monumenti religiosi e
funebri non meno abbondante de' primi nelle collezioni pub-
bliche e private d'antichità egizie. Quelle steli , ossieno quadri
figurati di pietra o di legno , che furono tratti fuori dalle ca-
mere sepolcrali d'Egitto, rappresentano per lo più adorazioni,
libazioni ed offerte fatte pel riposo de' trapassati ad Osiride e
ad altre Deità dell'inferno o del cielo, o che so io, e sopra
358
lutti oltre ai nomi delle adorate Deità , trovansi ripetute le
medesime formole di culto , di preci e di voti , e chi atten-
tamente volesse notarne le varianti , e registrare tutti i nomi
che vi si leggono scritti ora con segni simbolici , ora con fi-
gurativi ed ora con trascrizione fonetica , senza aver mestieri
di penetrare molto addentro nella favella parlata dagli antichi
egizii , ne potrebbe raccogliere un' ampia messe di notizie pa-
leografiche , se non vuoi archeologiche. Ma un mezzo non meno
efficace a progredire nella scienza de' geroglifici, e quello ap-
punto, dal quale io avviso avere il Champollion in massima
parte ricavato la dottrina con tanta copia d' esempii esposta
ne' capitoli 3.°, 4'° ^ 5." della grammatica , intorno alla rap-
presentazione , ed ai segni determinativi de' nomi e comuni e
proprii , ci è sommiuislrato dalle figure o dipinte o delineate,
delle quali abbondano ì monumenti egizii incominciando dagli
amuletti i più piccioli , e risalendo sino ai più giganteschi edi-
fizii ; steli , papiri , casse di mummie , vasi fimerarii , suppel-
lettili domestiche, camere sepolcrali, tombe reali, tempii e
reggie , tutto in Egitto veniva nello stesso tempo adornato di
quadri rappresentanti argomenti militari o civili o religiosi o
funebri , tutti accompagnati da leggende spiegative del dipinto
o figurato. Però un' attenta analisi de' segni onde componesi
ciascheduna di quelle brevi iscrizioni apposte quasi allato , o
sopra ciascheduna figura, avvertirà sovente l'avvezzo indagatore
quali di que' segni servano ad indicare il nome , e quali 1' a-
zione , r uffizio, e le attribuzioni dell' individuo che vi è rap-
presentato. Le tavole de' monumenti dell'Egitto, e della Nubia,
che fanno parte dell' opera egregia animosamente intrapresa e
continuata con perseveranza dal professore Rosellini , possono
oftrire allo studioso di cotesto ricerche moltiplicati esempii
d'animali, od oggetti inanimati appartenenti a'varii regni della
natura o all'arte umana, ciascuno col nome della sua specie
sci'ittovi di sopra od a canto ora con caratteri fonetici , che
trascritti in caratteri copti ci danno il vocabolo esistente in
questa lingua , ora con caratteri figurativi o simbolici, i quali
riscontrati con altri analoghi esempiì ci indicano pure il pro-
prio valore , e la parte che fanno in quelle iscrizioncelle.
559
Se io mi pongo ad esaminare le figure ordinariamente rap-
presentate nella parte superiore dei rituali geroglifici in tutta
la lunghezza di que' rotoli, vi osserverò, a cagion d'esempio,
nella prima parte una figura umana ( rappresenta essa il de-
funto , il nome del quale con quello della madre , è scritto
nel papiro pressoché iu ogni linea ) armata d' un' asta , con
cui combatte successivamente coccodrilli , serpi di varia specie,
e per sino un asino ( creduti questi essere gli animali di
Tifone ) ; ciascuno di questi combattimenti è indicato da una
breve iscrizione , la cui analisi non lascia dubbio alcuno ,
che contiene 5 i." l'azione del combattere seguita dal segno de-
terminativo , 2.° il nome dell' animale che è combattuto , se-
guito anch' esso dal segno determinativo del genere o della
specie a cui appartiene. In una delle grandi rappresentazioni
dello stesso papiro è figurato un uomo che con due buoi ag-
giogati ara in un campo , dove un altro semina 5 l'azione dell'
arare è sopra i buoi indicata da due segni fonetici sk ( skai in
copto significa arare ), il senso de' quali è di più determinato
dalla figura dell'aratro, che vi è aggiunta. Potrei dall'esame
dello stesso papiro recare un numero grandissimo d' esempii ,
che tutti dimostrerebbero , per mezzo delle figure rappresen-
tate sui monumenti scritti , potersi con tutta certezza raccogliere
il vero senso delle iscrizioni che le accompagnano 5 possono
veramente chiamarsi anch' essi bilingui , perchè parlano evi-
dentemente all' occhio colle figure, e servono di traduzione alle
leggende. Non dee adunque rimanere più alcun fondato dubbio
sulla possibilità di riconoscere il sistema delle scritture sacre
d' Egitto , e ragion vuole che la grammatica egizia del Cham-
pollion sia avuta in quel conto , che ben merita l'ultimo libro
di chi a questi nuovi e difficili studii consacrò i più begli anni
d' una vita recisa in quel punto , che maggiori e più maturi
frutti dovea la scienza aspettare da così ardente ed assiduo
coltivatore. Sin dove poi sia pervenuta questa novella dottrina
de' geroglifici , e quali difficoltà rimangano ancora a superare,
per poter dire che finalmente si leggono e s' intendono i testi
egiziani , sarà argomento d' un altro lavoro:
F. B.
560
Belle Arti — Lettera Vili.
Episodio sui Giupizj Musicali
Carlssiino Amico.
» Quid faciet? ctc. Che farà, che dirà
» nella Geometria o nella Musica chi non
>' le ha imparate ? O tacerai, o giudicherà
» da pazzo.
De Orai, lib 3.
Il mondo delle arti è in alcuni punti simile al mondo della
natura , vario , vago , stupendo , curioso ; e gli artefici somi-
gliano in alcun che a Dio non tanto nel creare , quanto nel
gettar che fanno il loro mondo alle osservazioni degli uomini ,
argomento eterno di dispute , di opinioni , e di giudizi. Ma
come sul mondo fisico furono in ogni età giudizi dritti e torti,
opinioni ragionevoli e sragionevoli 5 così su quel delle arti si
pronunziarono sempre sentenze eque ed inique, rette e stra-
volte. Che se poi volete a compimento del confronto presente
anche una delle dissomiglianze voi ve l' avrete in questa , che
il mondo della natura per dritto, o torto giudicare che si faccia
non soffre , non muta , anzi va proseguendo con tutta sicurezza
i giri suoi ; dove all' opposto il mondo artifiziale per cotesto
diluvio di opinioni , e sentenze si cangia , si ferma , retrocede,
rallenta, e quasi ruota per disastrosa via gira come può. Per
questo non vi stupirete se oggi interrompo con un episodio il
corso delle mie lettere , e se invece di parlarvi dell'Espressione
musigale , come vi aveva promesso nell' ultima , io vi discorra
de' giudizi che soglionsi proferire sulla musica. Veramente la
cosa è un po' ardua, e delicata 5 ma l'obbligo che ho di spie-
garmi sopra alcune cose dette ultimamente , ed una storiella
561
aulica in cui m' avvenni , la quale fa per noi , mi fecero risol-
vere a questo episodio.
Ed in quanto alla storiella voi dovrete sapere che in Atene
tempo fu erano molto in voga i giudizi popolari, sopra la fer-
mezza , e rettitudine de' quali nulla è a dire , tanto più che
Socrate, e Aristide, e Temistocle, e Demetrio, e perfino Al-
cibiade ve ne potrebbero fare ampie testimonianze. Ora questi
giudizi non tanto avevano luogo nelle pubbliche assemblee per
gli affari di stato, quanto anche ne' teatri per faccende meno
serie , testimonio sempre lo stesso Socrate non solo di quelli ,
che di questi. Ciò posto udite la storiella che Platone racconta
nel 3." delle leggi , e se non fa per noi datemi pure dello sto-
lido per la testa , e per i piedi : « Anticamente, racconta il
» filosofo, il popolo Ateniese non era padrone, ma servo delle
» leggi, dico di quelle che riguardano la musica, la quale era
» allora distinta per specie , e figure , cioè per inni, per elegie,
» per ditirambi. Per queste leggi non era lecito usare un
» genere di canto per un altro 5 e l'autorità di conoscere, giu-
» dicare, e condannare le trasgressioni musicali non era già in
» balia de' fischi, e dello schiamazzo come ora ( il che pur
» dicasi dell'approvazione); ma nelle mani di personaggi esimii ,
» i quali nel silenzio potevano udire sino al fine , perchè i
» giovani , i pedagoghi , e la plebe venivano frenati colla ver-
» ga . . . cosi che non giudicavasi per tumulto. Ma coli' andar
» del tempo cominciarono i poeti a farsi autori d' irregolarità
» musicali , non badando , benché ingegnosi , al giusto , ed al
» legittimo , e ciò per una certa pazzia , e per secondare il
M gusto altrui. Cotestoro adunque confusero i canti lugubri cogli
» inni , i ditirambi coi peani , imitarono col canto le tibie, e
» le cetre , posero tutto sossopra. Inoltre da ignoranti ed im-
» pudenti mentirono pure centra la musica , affermando che
» essa non aveva norma e legge , ma che giudicavasi dal pia-
» cere dell' uditore fosse egli dabbene o no ; di modo che com-
» ponendo essi cosi fatti poemi, e spargendo nel volgo cotali
» massime resero la moltitudine sì ingiusta ed audace , che
» credette di poter giudicare con cognizione ; quindi i teatri
» dove prima tacevano , schiamazzarono quasi che sottilmente
362
» sentissero il bello delle muse , quindi dall' arbitrio degli
» ottimati il giudizio cadde in balìa della platea , cioè nella
» Teati'ocrazia. »
Ora andatevi a lamentare de' tempi nostri , se il costume di
giudicare senza autorità è cosi vecchio ! Deplorate l'odierno
disprezzo del buono e del bello , se per fino gli Ateniesi cosi
gentilmente educati lasciavausi affascinare dai novatori! Ma che?
Vi si vorranno adunque dei tribunali, e delle verge? Oibò. Dio
ci guardi dai rigori d' un' oligarchia musicale. Se vi è cosa an-
cora posta in medio, sono le arti belle, possessione comune a
tutti tanto per l'esercizio, quanto per il giudizio. In ciò non
solo dissento dall' antica usanza d'Atene , ma anche dalla mia
epigrafe ; poiché lasciamo stare che nelle scienze , e nella mu-
sica , quando contava tra esse, si richieda per giudicarne di
averle studiate, nelle arti poi fatte per dilettare gli uomini,
create per tutti non si esige d' averle imparate , o di profes-
sarle per sentirne , e giudicarne i lavori. Ma come dall' altra
parte evvi la tuatrocrazia , od il libertinaggio teatrale che può
nuocere all'arte, e screditare i pubblici giudizi, è da vedere
quale temperamento abbiasi a prendere per salvare la musica
dal giudizio de' pochi, e de' molti. Ed in primo luogo martel-
latevi ben bene in capo che il diritto di giudicare in fatto di
musica, siccome in tutte le arti è legittimamente nel pubblico
senza privilegio , restrizione , e prerogativa di curia , o tribù ;
in secondo luogo che a siffatto tribunale per giudicare equa-
mente certi requisiti si convengono , senza i quali la sentenza
non sarà inappellabile. Cosicché io direi così all'ingrosso, e senza
cercar il pelo nell'uovo, che almeno almeno vi si richiederebbe
una certa intelligenza , una tafl quale rettitudine o coscienza ,
e finalmente una sufficiente dose di buon gusto. Che ve ne pare?
Son io forse tanto rigoroso, come credete? Un giudizio ema-
nante da cotesti principii debbe essere per la musica la vera
vox populi , il voto unanime della natura , la decisione che
debbe sanzionare il bello musicale, non essendo altro che quella
medesima , la quale ripetutamente sanzionò i capi-lavori della
poesia, dell'eloquenza, della pittura, decisione per cui i mo-
derni consuonano cogli antichi , per cui tutti i seco li , e paesi
concordano in coro.
365
, E cominciando dal primo requisito che è l'intelligenza, dico
che questa sarà come la face che rischiarerà la mente de' giu-
dicanti. Ogni giudizio debhe partire da una certa convinzione,
da una cognizione della causa , il che non si fa senza intelli-
genza. Dunque, direte voi, bisognerà che il pubblico s'intenda
di musica ? SI signore. Ma intendersi di musica non equivale
già al sapere di musica , all' essere dotto in armonia , al pos-
seder più o meno quest' arte. Io chiamo intelligente colui che
senta e capisca quanto ode, che per ingegno, educazione, col-
tura, ed esperienza siasi formato un criterio, che abbia eser-
citato, od eserciti le sue qualità intellettuali, e via discorrendo.
Non è egli vero che voi sebben non pittore , né erudito in pit-
tura, né poeta, né esercitato in poesia, sapete distinguere un
buon quadro da nn cattivo, un bel sonetto da un brutto? Se
è così io vi assicuro che voi quantunque né musico , né dilet-
tante, per l'intelligenza vostra potete anche seder giudice di
musica in qualunque teatro. Mi direte che il vostro orecchio
non è molto fino , che non è in grado di apprezzare tutte le
armoniche gradazioni. Lo so, mio caro, che il vostro udito non
eguaglia la delicatezza del vostro sentire , e so pure che molti
per essere d'orecchio fino, e sensibile si stimano i migliori
giudici in musica 5 ma io credo che questa finezza, e sensibi-
lità opportunissima in vero non costituisce tutta 1' intelligenza
musicale. L'intelligenza primo requisito del giudizio debbe ri-
siedere oltre il timpano acustico , oltre i confini della organiz-
zazione-, l'orecchio non è che l'usciere del giudice. Se la mi-
glior disposizione degli organi sensorii dovesse decidere in que-
sta , ed in altre materie, penso che molti sciocchi sarebbero
intelligentissimi, e gli occhi lincei sarebbero i migliori giudici
in pittura , siccome erano una volta in letteratura gli uomini
di netto naso, emunctae naris. — Altri poi credonsi d'aver la
prerogativa di giudicare perchè sono infarinati di musica , ne
conoscono il vocabolario , si dilettano di canto , o di suono ,
di cantori , o suonatori. Benissimo. Siedano pure costoro tra'
giudici , ma non a preferenza d' altri non infarinati, non dilet-
tanti. Anche in quest'arte, mio caro, evvi la mezza scienza
accompagnata dalla presunzione ; anche la musica ha i suoi
364
saputelli , i quali portano ai tribunali della platea quel fino
discernimento che mostrano ne' privati concerti , allorché o can-
tando, o suonando eseguiscono un pezzo di musica in natura,
o ridotto ! Torno a dire che richiedesi intelligenza non scienza,
tanto meno la saccenteria 5 ripeto che per pronunziare un giu-
dizio esigesi criterio e buon senso, non dottrina, ed erudi-
zione. Che vale il cicalar tanto di musica in pubblico , ed in
privato ; pizzicar corde , gonfiar flauti , strimpellar chitarre ,
gorgheggiare da mattino a sera se non ce ne intendiamo ? Poco
son conosciute, diceva Mehul , le cause produttrici de' grandi
effetti drammatici ,• e perciò , comechè molti ciarlino di melo-
drammi , pochi ne sanno con esattezza ragionare. La grande
dimestichezza , cred' io clic abbiam contratta colla musica, forse
è quella che ci dispensa dall' intelligenza. Evvi di più un pre-
giudizio in questa parte , ed è che si possa dare una musica
dotta, ed un'altra popolare, cosicché ove il comune intendi-
mento a quella non giunga , possa almeno a questa arrivare.
Così p, e. per chi non intende Dante, od Alfieri , havvi Me-
tastasio , o Goldoni 5 per chi non sente le opere di Rafaello ,
o di Paolo, hanvi le bambocciate fiamminghe. Al che si ri-
sponde essere nella musica, come nella poesia, e nella pittura
diversi generi, diversi stili, i quali siccome esigono egual mae-
stria neir artefice , così richiedono pari discernimento nel giu-
dice , in modo che colui che non aggiunge allo stile sostenuto
dell'opera seria, difficilmente intenderà il semplice della buffa,
supposto che sieno ambedue lavoro perfetto nel loro genere ;
epperciò divien superflua la distinzione tra la musica dotta, e
popolare , perchè ogni musica debbe essere dottissima , cioè
vera e buona musica, che significhi qualche cosa, che esprima,
che dica quanto debbe dire , e corra speditamente al suo scopo.
Vengo ora all' altro requisito che è la coscienza, qualità som-
mamente richiesta a chi debbe giudicare. Un giudice conosciuta
la causa si volge sopra se stesso per esaminare se mai o pas-
sione , o interesse , o partito , o deferenza , o riguardo volesse o
tradire , o corrompere il suo giudizio , sapendo che 1' onestà ,
la rettitudine, l'integrità, la giustizia debbono sostenerlo e gui-
darlo. In generale ciò che corrompe ì giudizi pubblici sulle arti
565
sono i partili. Chi tien di qua, chi tien di là 5 GuelQ, e Ghi-
bellini anche in musica, né più né meno come nella filosofia,
e nelle lettere. Ed a chi non son note le guerre parigine tra
i Glukisti , ed i Piccinisti ? Non si sparse sangue è vero come
nelle altre , ma lo scandalo fu grave , il danno sopravvenuto al-
l'arte, ed agli artefici non fu leggiero. I parteggiani del maestro
italiano trova van sempre oro nelle composizioni di lui, sempre
mondiglia nei lavori del tedesco , e viceversa. Anche la Germa-
nia fu divisa dagli Haydisti , e dai Mozardisti ; anche 1' Inghil-
terra guerreggiò pel suo Haendel , senza parlare dell'Italia, Ma
io domando se nel furor di questi musicali partiti si può giudi-
care onestamente? Pure direte voi che è difficile non simpatizzare
almeno per qualcuno , ed in virtù di tale simpatia non usargli
qualche indulgenza nel giudicarlo. La simpatia, vi rispondo, è
cosa naturale , ma cieca al par dell'amore. La simpatia è tolle-
rabile , anzi commendevole finché trattasi di domestico e privato
trattenimento , finché anche in pubblico sta nei limiti d' una
discreta approvazione, e così dicasi dell'antipatia. Ma quando
prorompe, ed alza la voce per profferire un finale giudizio,
quando co' suoi sibili soffoca la sentenza della ragione , della
coscienza, dell'equità, è riprovevole, ed iniqua, Socrate ed
Aristide furono pur condannati per antipatia , per nausea che
si aveva della loro virtù. — Se cotesti giudici , diceva il ci-
tato Mehul , fossero meno amanti, che amici di quest'arte,
e volessero ben ben meditare prima di giudicare, non saremmo
più testimoni d'interminabili discordie. Ma che? Sia orgoglio,
o sia trascuraggine , gli uomini amano meglio disputare che
istruirsi — Questo maestro, e filosofo se non erro, parlava dei
dilettanti, i quali dovendo essere de' primi giudici , non portano
poi al tribunale tutta quella indifferenza che é necessaria per
giudicare, essendo già, come abbiam veduto, corredati di quella
intelligenza, che in essi chiamasi sapere musicale. La mancanza
di questa virtù che forma l'onestà d'un giudice intelligente,
si vede poi ancor meglio riguardo ai cantanti. Ciascuno di co-
storo una volta aveva i suoi settari sempre armati della doppia
nrma del fischio, e dell'applauso, segno evidente dello stato
bellicoso , in cui trovavausi le platee. Egli é vero che i più
566
caldi erano pochi, ma sufficienti per iscaldare gli altri, e per
dividere la moltitudine indifferente in due sezioni , quasi che
né anche in teatro la neutralità sia conveniente. Quindi è che
ingrossate le fazioni al terminar d'un' aria, o d' un atto veni-
vasi a battaglia. Gli applausi soverchiavano i fischi, e a tempo
loro questi coprivano quelli , non restando inerti nella mischia
uè i piedi , né le punte de' bastoni , i sì , ed i no , gli urli ,
6 le chiamate.
> Parole di dolore, accenti d'ira
» Voci alte , e fioche , e suon di man con elle
assordavano le volte teatrali, e la platea era magicamente can-
giata in campo di battaglia. Finita la diavoleria con la peg-
gio di qualche partito, il cantante giudicato con tanta equità e
pace godeva, o fremeva dietro le scene in un momento in cui
aveva bisogno di riposo, onde ripigliar lena e coraggio per farsi
giudicare collo stesso processo nell'altro atto, o all'altra sera.
Cosi giudicavasi in Atene allorché la verga non aveva più forza
sulla plebe degli spettatori.
Ho fatta menzione de' cantanti , siccome di quelli che inno-
centemente porgono occasione alle mischie teatrali 5 ma non
debbo tacervi che pur essi talvolta siedono sui banchi dei giu-
dici. In qual modo? I molti riguardi con cui soglionsi trattare,
lasciano spesso a loro la balia di sciegliere, o rappezzare le
opere che debbonsi esporre in pubblico , la quale scelta , o
rappezzatura vale un giudizio. E questo giudizio benché talvolta
sia guidato da intelligenza, senno, e gusto, nondimeno più so-
vente accade che riesca ingiustissimo, 0 perchè è giudizio di
pochi, e talora d' un solo , o perché i giudici trovansi in causa
propria, scegliendo quanto loro conviene, o perchè la scelta è
pessima in materia di gusto, e la rappezzatura é giunta peg-
giore della derrata. Questo abuso é assai pernicioso all' arte ,
ed all' ingegno de' compositori , fonte perenne di quelle oppo-
sizioni che gli attori giudici mantengono co' maestri , cogli ap-
paltatori , coi professori , e col pubblico. Per questo privalo
giudizio non si possono udire opere nuove, opere iutiere, opere
buone , e trionfano in vece i repertori! , gli zibaldoni , le mu-
tilazioni , gli ermafroditi musicali ...
567
Ma r intelligeuza e la coscieaza non bastano per giudicare
ili materia di belle arti; gusto ci vuole, e buon gusto, altri-
menti il giudizio corre pericolo di nullità. Questo delicato sen-
timento del buono, questa fina percezione con cui l'anima as-
sapora le ineffabili dolcezze del bello , questo sensibilissimo tatto
per cui si discernono i bei lavori dai mediocri, e brutti debbe
essere il compimento, V ultimatum dell'approvazione, o disap-
provazione. I grandi artefici che han per modello la natura in
sé, o ne' canoni dell'arte in ciò somigliano pure al divino Ar-
tefice, perchè sanno nelle opere loro trasfondere quell'ordine,
quell'unità, quella simmetria con cui si costituisce il bello, e
da cui è generata quella giusta meraviglia che i sensi de' ri-
guardanti rapisce. Ora chi tra gli osservatori , o giudici non
ha idea di cotesto magistero , chi non conosce il bello , o noi
sa dal brutto distinguere non può giudicare i lavori dell'arte.
E questo senso che io chiamo buon gusto non vuoisi confon-
dere colla intelligenza ; poiché a questa basterà non errare ,
non confondere, ove a quello richiedesi un sentir profondo,
uà assaporare delicato , un discernimento direi che ha da far più
col sentimento, che colla ragione, più col cuore, che colla mente.
Io non so se mi spieghi 5 ma per maggiore intelligenza fate voi
conto che il buon gusto nelle arti sia come il buon senso nelle
altre cose. Voi vedete infatti che negli aifari o speculativi , o
pratici senza tanta metafisica alcuni sono guidati da un certo
lume naturale attinto a' principii della ragione , e dell' equità
per cui vengono giustamente chiamati uomini prudenti, savi ,
o di buon senso, i quali sovente ne' processi loro fan vergogna
a più dotti, e saputi. Cosi accade nelle opere dell'arte per di-
scernere il bello dal brutto , il buono dal cattivo. Inoltre sic-
come questo buon senso non è in tutti quanti ci nascono , o
non vi è egualmente 5 cosi dite pur del buon gusto qualunque
sia la causa produttrice di tale mancanza, o disuguaglianza,*
cosicché cotesti che io chiamerei insensati nelle arti, vanno di
pari passo cogl' insipienti nelle altre cose , o coi sofisti nelle
scienze. Ciò posto dico che questo senso del bello, o buon gusto
e sommamente richiesto per formare un sodo giudizio sui la-
vori musicali. Per la musica evvi anche una legge, una norma
568
da seguire, uu tipo da imitare, e di ciò abbiaui discorso l'al-
tra volta , e prima che i novatori ateniesi ci venissero ad asserire
il contrario. Ora il giudizio emanante del buon gusto altro non
è che r effetto d'un' applicazione della legge del bello alla com-
posizione. La qual legge siccome naturale, inconcussa, univer-
sale, ovvia a chi è educato, non oscura, non ambigua, non
l'econdita ; cosi né abuso, né prescrizione, né moda, né privi-
legio, né contraria pratica può o derogarla , o renderla igno-
rata. Perciò tenete per principio, che quantun(.|ue volte i ri-
spettabili tribunali della platea giudicano un' opera senza questa
applicazione ( il che non può certo avvenire), la sentenza loro
è iniqua, ed il sentenziato debbe essere vittima, ove noi sia
dell'ignoranza, e del partito, vittima dico del cattivo palato
de' suoi giudici.
Ma voi direte che cotesta legge può essere iuterpiclata in
diverse guise, cioè che si possauo dare diversi gusti. Ed io vi
concedo varietà di gusti , purché sieno tutti buoni 5 ma nello
stesso tempo soggiungo che come il bello è un solo , cosi il
gusto veramente buono non può essere che uno. Il buon senso
è un solo, e ciò che non é lui, è stoltezza, o imprudenza.. Se
il bello, come dice il mal provverbio, é quel che piace, nulla
impedisce che il buon senso sia quel che convieiìe, l'utile non
r onesto. Ora siccome questo non sarebbe buono , ma cattivo
senso, sarebbe un ragionar perverso; cosi anche il solo piace-
vole nelle arti produrrebbe un giudizio micidiale di esse. Sia
pur bello quel che piace, perché non può essere bello se non
genera piacere, ma non sia bello perchè piace, ma perchè è
fondato su certe leggi , contro di cui nulla vale l' imperfezione,
o la corruzione del sentimento altrui , od anche perchè ragio-
nevolmente piace. Perciò tenete quest'altra massima, che nelle
belle arti la varietà de' gusti contemporanei prova l' esistenza
d'un gusto falso, e depravato,- ed i sintomi di cotesta depra-
vazione sieno subito manifesti nell'anteporre che si fa l'affettato
al naturale, lo sforzato al semplice, il fittizio al vero, il postic-
cio al proprio , la vernice alla sostanza , i fiori e le frasche ai
frutti , r apparente al sodo , e via dicendo. Questo gusto mette
Virgilio e Dante sotto Marini , ed Ossian , preferisce l' archi-
569
lettura gotica a quella di Bramante , sparge non curanza , e
disprezzo sulle antiche opere , e giura che i lavori di Pergolesi ,
di Paisiello , e di Gluck son poveri , sparuti , stolidi in con-
fronto de' moderni 5 e la ragione meno spietata che viene in
soccorso, e conferma di questo giudizio è che que' vecchi scri-
vevano con uu altro gusto. Avete inteso ? Il gusto di quel tempo
non è più il nostro: ogni secolo, ogni età ha il suo gusto. Se
è così, decidasi qual sia il migliore. Ma da ciò che si è discorso
finora la decisione non sarà difficile. Ed è qui veramente il
luogo da osservare la difficile situazione de' compositori, i quali
sono costretti ad adattarsi al gusto de' tempi loro. Veramenle
sono degni di tutta compassione. Anche voi, come spero, ne
sentirete certo tutta quanta la pietà. Essi vorrehhero far hene,
vorrebbero scrivere secondo i dettami della scienza , e della
legge ... e non possono a rischio del credito, e della fortuna.
Vedono dove sta il male, ne sanno i rimedi, e non possono
assolutamente operare per non disgustare gli ammalati. Ebbene
gli voglio compatire anch' io , ma dopo un breve colloquio. —
Chi nel seicento formò il gusto della poesia giudicata univer-
salmente malvagia? Gli autori, od i lettori? Coraggio; di qui
nou si fugge. Chi diede lo scandalo? Marini, od i suoi axnmi-
ratori? Chi educò quel secolo nel pessimo? Non son forse gli
scrittori ? Chi scrive forma il gusto , e vi aggiunge autorità ;
gli autori educano i loro contemporanei , e guai a loro se gli
educano male I Niun lamento perciò se i male educati giudicano
in conseguenza della falsa educazione , se lodano talvolta il peg-
gio , e disapprovano il meglio. I buoni maestri d' una volta di
accordo coi buoni poeti con opere coniate sull' impronta della
natura, educavano bene la moltitudine, la quale giammai non
istaucavasi della buona musica e poesia. In virtù di sì onesta
educazione non chiedeva novità onde variare il teatrale sollazzo,
ben conoscendo che meglio nou si poteva fare , e che volen-
dosi far di più , la musica avrebbe senza fallo corso il rischio
della poesia, e della pittura. Voleva opere nuove sì, perchè i
maestri abbondavano , e trattavasi di formar il patrimonio della
musica correndo per lei il tempo opportuno . opere nuove do-
mandava, ma non novità perniciose all'arie, non prevaricazioni,
24
370
jjon trasgressioni musicali. Chiedeva insomma melodie uuotc ,
motivi nuovi , diversi artifizi d'armonia, diverse apparizioni di
bellezza , ma dentro i limiti della ragione , e del gusto.
Così avrà fatto , cred' io , il popolo greco incantato alla let-
tura dell' Iliade — un altro , un altro poema simile a questo. —
Ed eccovi r Odissea coniata da Omero sul conio della prima.
— Altre tragedie , avrà gridato in teatro il medesimo popolo,-
ed eccovi Eschilo , Euripide e Sofocle far altre tragedie nuove
sì , ma sulla norma delle prime. Né colle varie produzioni uscite
sempre dal medesimo stampo del buon gusto una generazione
ben educata patisce nausee, o cessa di sollazzarsi. Certamente
1 teatri son luoghi di sollievo, e di passatempo, luoghi di one-
sta ricreazione, ma non a scapito dell' arte , a vergogna del buon
senso, e del gusto; né quella difficile contentatura che si mo-
stra verso il pittore de' scenarj , l' inventor delle vesti , e del
ballo debbe cangiarsi in bonarietà verso la musica , e la poesia.
Un popolo ben educato da' maestri guarda con egual occhio
quante arti concorrono allo spettacolo teatrale , e lascia a chi
-vuol divertirsi grossolanamente la libertà di correre a' più tri-
viali spettacoli de' funamboli , e de' giocolari. Ma , come vi di-
«;eva , i compositori son quelli che formano , e conservano , e
promuovono il gusto nel publdico. Sono essi che d' accordo coi
poeti o seguono la buona strada conformandosi ai principii del-
l'arte, alle norme del bello, o confondendo i generi, trasgre-
dendo le regole, e divulgando massime corrotte seminano quella
zizzania nel mondo che soffoca poi a loro danno i sani giudizi.
Perciò e' non sarebbe troppa esigenza e severità se da' maestri
oltre la fantasia , la fecondità , 1' ingegno , la novità , e le altre
■virtù musicali di cui son forniti, si esigessei-o pure i tre re-
quisiti finora discorsi , perchè se il pubblico debbe averli per
giudicare . nulla osta che ne vadan pure forniti i maestri nello
.«^^crivere. Dite un po' voi infatti se sarà summiim jus preten-
dere dagli scrittori di musica intelligenza, coscienza, e gusto?
Io non trovo miglior rimedio per uscire una volta di questo
manierismo, di questo seicento musicale; né conosco mezzo
più spedito e sicuro per la sanzione del bello , e del buono.
Ili tal modo il giudizio della moltitudine verrebbe tosto ad
571
accordarsi con quel de' maestri. Ma se ad una composizione
piena d' ingegno , e di gusto , ad un' opera perfetta , o vicina
alla perfezione per mancanza di uno o più requisiti il pubblico
voto sarà in gran parte sfavorevole , allora il maestro conscio
d'aver fatto bene, potrà acquietarsi sul giudizio di que'pocbi
che intendono , e sentono il buono senza parzialità ; e con tale
conforto , e con eroico disprezzo dell' avversa fortuna attendere
tempi migliori proseguendo coraggiosamente nel bene , sicuro
che almeno la posterità gli farà ragione. Veramente ella è grave
sventura che gli scrittori debbano aspettare giustizia dai posteri;
ma d' altra parte è pur bella e consolante cosa la coscienza di
non aver prostituito V ingegno, e l'arte ai pregudizi del secolo;
egli è dolce a pensare che a breve sventura tien dietro lunga
immortalità ! . . , Addio. B.
VARIETÀ
Incoraggiamento alle Scienze — Premiì che distribuirà la R.
Accademia delle Scienze di Torino alli scienziati sul reddito
dell' eredità a tal fine lasciatale dal Dottore Cesare Ales-
sandro Bressa di Morlara — Elogio funebre del medesimo
detto dal Professore di Rettorica Edoardo Giacinto Trona
il dì II noi^embre i836.
( Torino. Stamperia Reale. )
L' uomo , consapevole del passato — estimatox-e non dispet-
toso del presente — pieno di fede sapiente , non vaporosa nei
miglioramenti dell'avvenire — l'uomo che medita nel suo se-
greto sopra tulli gli elementi di civiltà che si aggiungono o che
ricevono più ampio sviluppo nell'umano consorzio, e ne segna
i veri progressi — quest' uomo ha già sicuramente notalo gli'
572
estinpj generosi di amore all' uuiauità ed alle scienze , che si
vanno luoltiplicando come in tutta l' Italia, così nel Piemonte.
Egli avrà senza dubbio registrati nel suo libro consolatore i le-
gati numerosi che quasi ogni giorno si lasciano in favore delle
opere pie , specialmente nella capitale di quest' ultima contrada.
Egli avrà scritto come non sono ancora due anni il Cav. De-
Pagave abbia fondata in Novara una casa d'industria , e l'Avv.
Parvopassu abbia ordinato un lascito per stabilire in Alessan-
dria una Cassa di risparmio. Ed ora poi questo osservatore
filantropo avrà con infinita compiacenza notato 1' esempio del
Dottore Cesare Alessandro Bressa, che nel mese di ottobre del
i836 chiamava in erede questa R. Accademia delle Scienze
di Torino , nelli seguenti termini :
« Eleggo erede universale di tutti i miei beni presenti e
futuri , dopo che siano soddisfatti tutti i varii legati , la
Reale Accademia delle Scienze di Torino : appena ces-
sato il diritto di usufrutto delle sostanze cadute in ere-
dità , la Reale Accademia andrà al possesso \di esse , e
sul reddito di tutta questa sostanza stabilirà mi premio
biennale che alternerà nel seguente modo : «
« Il reddito del primo biennio servirà di premio da ac-
cordarsi a quello scienziato , di qualunque nazione egli
sia, che durante V ultimo quadriennio avrà fatta la pia
insigne scoperta o prodotto V opera più celebre in fatto
di scienze fisiche e sperimentali , storia naturale , mate-
matiche pure ed applicate , chimica , fisiologia , e pato-
logia , non esclusa la geologia , la storia , la geografia ,
e la statistica. »
(( // reddito poi del secondo biennio si compartirà a
quello scienziato italiano, che a giudizio della stessa Ac-
cademia di Torino , avrà fatto nelV ultimo quadriennio
la più importante scoperta o pubblicata Vopera più rag-
guardevole in Italia su qualunque delle scienze sovra
enumerate , e così di seguito collo stesso ordine. »
575
Come si può scorgere dal tenore di questa disposizione l'a-
rena aperta ai dotti cimenti non è angusta , né i competitori
che vi restano invitati son pochi. Qualunque scienziato può
venirvi a far prova del suo valore.
Non si creda però che per tanta ampiezza di temi sia un'
erudizione enciclopedica , funesta spegnitrice del vei-o sapere ,
che si ricerchi in chi aspira ai premii proposti. Molte è vero
sono le Provincie proposte dello scihile umano nelle quali essi
si possono cogliere , infiniti e d'ogni nazione possono essere i
concorrenti. Ma ciò appunto aguzzerà meglio gl'intelletti 5 e la
potente emulazione non si raffredderà pensando che la gene-
rosa istituzione accorda la preferenza a' que' lavori che ver-
ranno fatti sopra le enumerate scienze secondo l' ordine iu
cui le vennero scritte, poiché ciascun concorrente facendo Te-
strema prova del suo ingegno sopra quella disciplina appunto
che gli è più famigliare, potrà accogliere così maggiore spe-
ranza di riportare la palma.
Né deve poi far meraviglia come l'ordinatore filosofo abhia
nominato soltanto le scienze positive 5 mentre ciò fece perche
essendo quelle stesse eh' egli aveva con tanto amore professate,
le erano perciò naturalmente predilette, e forse poi le credeva
più vantaggiose all' umanità. Perciò passò sotto silenzio le scienze
speculative , come le opere di semplice letteratura , fors'anche
avvisando che dì queste non occorresse penuria.
Le lodi , ed i principali fatti hiografici del Dottore Bressa
furono dette in Mortara per ordine dell'Accademia dal Profes-
sore Edoardo Giacinto Trona.
Per questa orazione funebre apprendiamo che Cesare Ales-
sandro Bressa , Dottore in Medicina e Chirurgia , spinto da
quella inquietudine sacra che è legge non rara de' più svegliati
e sommi ingegni, lasciò la patria, venne in America, dove scrit-
tavi una lodata dissertazione SuW abitudine, ed accolto mem-
bro dell'Accademia di Filadelfia, fece poi in mezzo agli Ame-
ricani una dimora di dodici anni , e questi tutti consumò nello
studio della scienza , e nel sollevare coi soccorsi di essa e della
pietà sua personale l'umanità afilitta e languente.
Reduce nel 1 829 in Mortara sua patria , quivi attese alla co-
374
siruzioue d' uà Ospedale per gì' infermi , ne compose con illu-
minata saviezza i regolamenti , e lo diresse qual padre finché
visse , e come padre morendo lo beneficò di un pingue le-
gato.
Giunto poi l'oratore Trona a celebrare l'ultima opera dell'
illustre trapassato , quella che il rende immortale , ecco eoa
quali parole la annunzia :
Tuona la parola di Dio legislatore, che fratelli tutti sono
gli uomini , tutti da un sangue redenti , tutti viventi all' ombra
d' uno stesso perdono j che tutti siamo da una legge j da una
speranza, da una fede congiunti. Ma l" uomo j che mena una
vita sempre sotto ad un cielo , sempre un'aria respira, e sem-
pre sentesi U orecchio dal suono di un linguaggio toccare, è
povero troppo egli di alti affetti , né conosce che tutto quanto
il mondo aW uomo è patria, né sa che ovunque faccia d' uomo
respira per diverso che sia l'abito onde si veste, diverso il lin-^
guaggio onde suoi bisogni e suoi sensi altrui palesa, si sente
mai sempre indotto a porgli amore.
Giustissimo ed alto pensiero , se con esso s' intende a mo-
strare che r uomo il quale inalza e stende lo sguardo e 1' af-
fetto sopra ogni suo simile in qualunque terra ei viva e soffra ,
è soventi più capace di forti e magnanime cose , di quello che
non sia colui che non mira più oltre del loco natio. E ciò po-
teva più di qualunque altro insegnare il D. Bressa perchè avendo
particolarmente studiata l'indole ed i psicologici effetti àeW'abi-
tudine , sapeva meglio di qualunque altro , come un cieco e
servile attaccamento ai luoghi, alle opinioni, ed ai costumi,
nuoc'àa talora ai sentimenti più elevati e gentili. Ma poi ci
duole , e molto ci duole , che questi istessi bellissimi pensieri
raccolti e vestiti di magnifiche parole dal Prof. Trona siano
quindi stati avviliti e falsati da luì , quando ne trae questa
ingiusta conseguenza. — Ond'è che l'Italo con nome di scherno
straniero o barbaro chiama il Britanno ed il Germano 5 e que-
sti con tal nome chiamano chiunque in Italia è nato. Chi mai
al dì d' oggi può ancora credere a sì stolte contumelie ? Dov'
è oggi giorno quell'Italiano sì poco gentile e sì stupido , dove
quel Britanno 0 Germano sì rozzo e brutale , che ancora si
375
chiami l'un l'altro barbaro ? Questa sorta di meschinerìe mu-
nicipali sono ormai sbandite dagli odierni costumi , ed è un
peccato imperdonabile lo incontrarle ancora in qualche scrittura.
Epperò che il nostro oratore le abbia ancora supposte vigenti ,
egli è tale rimprovero che ci ritorna tanto più amaro a fargli ;
in quanto meglio il conosciamo dotato di gentili e nobili spi-
riti , e che la sua orazione , tranne pochi vezzi rettorie! che
sono oramai divenuti vieti e plateali , ci parve dettata con ma-
schia eloquenza.
Ma lasciamo il lodatore , per tornare al lodato.
L' ottimo Dottor Bressa (checché ne volesse forse dalla tra-
scritta declamazione inferire il Trona) se non peccava di no-
stalgìa , nemmeno poi era colpevole di cieco cosmopolitismo ,
allorché ad uno dei premii da esso lasciati chiamò uno scien-
ziato di qualunque nazione egli sì fosse. Uomo dei due mondi ,
uomo che era divenuto dovizioso nell' altro emisfero , era uu
dovere per lui il beneficare ai dotti da qualunque paese na-
scessero. Ma con tutto ciò il Dottor Bressa non dimenticava
l'Italia, né la patria, né la terra sua natale j volendo che il
premio del secondo bieniJo fosse compartito ad un scien-
ziato italiano , conferendo il giudizio suH'eccellenza dell' opera
da premiarsi, e la distribuzione del premio all' Accauenila
delle Scienze di Torino, e gratificando Mortara con lasciti ge-
nerosi.
Egli è a questo modo che fiorirono mai sempre le più savie
istituzioni ; ed è coli' opera di concittadini come il Bressa,
dotti di sapere , e liberali di cuore , che l' Accademia delle
Scienze di Torino , sebbene conti poco più d'un mezzo secolo
di esistenza , pure salse presso di noi , e presso gli stranieri
in fama sì grande, in fama sì giusta.
Noli può dunque suonare nella repubblica letteraria novella
più gradita di questa della suprema volontà del Dottor Bressa;
né le pagine di questo Giornale potrebbero , dandole pubbli-
cità , pagare un più giusto tributo d' ammirazione e d' enco-
mio , né quindi più calda sorgere in noi la speranza , che
fra gli scienziati si accenda ognor più il desiderio di farsene
degni.
57G
Allo scieatifico convito preparato dal D. Brcssa , accorrano
pertanto volentieri tutti coloro che sentiranno di aver veste
nuziale da tanto. Gli italiani più di tutti vi accorrino, e non
perdonino a veglie ed a fatiche per cogliere assieme a quei pre-
mii materiali, quell' altro più desiderabile assai di una gloria
meritata 5 e se il premiato sarà sempre un italiano , nutriamo
certezza , che le ossa dell' illustre trapassato esulteranno , e
più forte fremeranno amore di patria.
Giovi intanto il recente beneficio ordinato da lui in sì no-
bile guisa a moderare quel lamento ancor si comune , che in
Italia non vi sia ricompensa per i veri cultori delle Scienze,
Ed il beli' esempio del nostro concittadino abbia , ovunque
r ignoranza e 1' egoismo si abborre , onore immortale di lodi
e di gratitudine j conforti il desio d' imitarlo in chiunque
sente 1' amore della patria , e delle più utili discipline 5 e lo
desti in coloro principalmente che ricchi di fortuna, ma privi
di affetti e di consolazioni di famiglia, non hanno più stretti
congiunti , a cui sorridere , tranne il sapere , e la patria.
S. B.
Viaggi scientifici del Barone di Huegel.
Il sig. Carlo, barone di Huegel, noto pe' suoi meriti verso la
botanica, ed i pellegrini esemplari di fiori mandati a Vienna,
alle esposizioni, di cui fu esso uno de' precipui fondatori, è
più noto ancora per le sue belle stufe di Hietzing , ricche di
specie rarissime di piante orientali. Egli è sbarcato a Londra il
18 di ottobre da un viaggio erudito fatto a proprie spese,
e vi aspetta l'ultimo pr«zioso bagaglio ch'egli lasciava a bordo
della nave il Child Hai old, salpando insieme da Bombai 1' 8
di giugno per ritornare a Vienna, dopo un' assenza di circa
577
6 anni. Ecco una descrizione sommaria delle sue corse e del
suo scientifico bottino. In una sua gita a Parigi ed a Londra
nel 1 800 il sig. Huegel formò il disegno di questo nuovo suo
viaggio troppo più importante di quelli che lo avean prece-
duto. L' amichevole e distinta accoglienza che gli fece allora il
sig. barone Cuvier, ritiratosi allora soltanto dallo studio delle
scienze naturali , contribuì a confermarlo in tale risoluzione.
Dopo un breve soggiorno a Vienna , il barone di Huegel ri-
passò nel mese di dicembre i83o a Parigi a farvi gli appresta-
menti del suo gran viaggio. Un naturalista francese il sig. Roux
di Marsiglia , un pittore francese il sig. Marillhat e due me-
dici tedeschi i sigg. di Wels e Prunner dovevano seguirvelo. Il
barone di Huegel s' imbarcò con questi tre ultimi nel seguente
maggio a Tolone , a bordo di una nave francese , passò in Mo-
rea, ad Atene, all'isola di Candia, e nel mese di giugno ar-
rivò ad Alessandria, ove più tardi il raggiunse il signor Roux.
Dopo una prima escursione per 1' Egitto , andò a visitare la
Siria e la Palestina , percorse erborizzando il monte Libano , e
ritornò quindi in Egitto, non senza prima aver sofferto una
febbre particolare a que' paesi, che gli rapì il suo domestico
tedesco. Egli continuò 1' esplorazione di quest' ultima contrada
fino in febbrajo i833, che trovò nolo a Cosseir su di un bat-
tello a vapore inglese per recarsi a Bombai col sig. Roux solo ( i
signori di Wels e Prunner essendo entrati al servizio del Vi-
ceré , e il sig. di Marillhat rimastosi in Egitto per aspettare
una propizia occasione di ritornare in Europa ).
Il barone di Huegel approdava a Bombai nel seguente aprile ,
dopo una breve dimora fatta a Mokka , e spediva contempora-
neamente alla sua famiglia a Vienna , per mezzo del consolato
generale austriaco in Egitto , un diario compito di questa prima
parte del suo viaggio, un portafoglio ricco di numerosi dise-
gni con una doviziosa collezione di antichità, di botanica, di
zoologia, di entomologia ecc.
Il nostro viaggiatore non tardò molto a intraprendere una
accurata esplorazione del governo di Bombai che durò fino al
mese di ottobre , e eh' egli spinse quindi soletto verso il mez-
zodì della Penisola, inviando però prima similmente in Europa
S7'8
le collezioni fatte in Bombai , e lasciando in cruesta città il si"
Roux malato, che ri 'moriva poi nel i833. Egli attraversò di-
filatamente gli alti monti Nilghcrries (gioghi azzurri ). Al prin-
cipio dell'anno i833 1' isola di Ceylan divenne l'oggetto delle
ricerche del sig. Huegel; egli la perlustrò in varii sensi. In
agosto fece vela per Madras , donde indirizzò le nuove sue
collezioni a Vienna. Verso la fine di settembre il sig. di Huegel
prese passaggio sulla fregata inglese 1' Alligatore per la Nuova
Olanda, e nel tragitto visitò Batavia, Sumatra e Singhapur.
Dalla Nuova Olanda si trasportò alle tre Colonie inglesi di
Swanriver, del paese di Van Diemen e del nuovo Sud Wale»,
fermandosi in quest' ultima circa un anno , e riportandone
poscia all' isola di Norfolk ed alla Nuova Zelanda una salute
rovinata dal clima insalubre delle Indie.
La predilezione del sig. Huegel per la ricca vegetazione della
Nuova Olanda lo determinò a profittare del suo soggiorno in
quest' isola continentale per formarsi un magnifico erbai-io ed
un assortimento di oltre a aym. varietà e specie di semi, che
egli mandò poco stante a Hietzing, ove ne furono già coltivati
con buon successo la maggior parte. Queste piante offrono oggi
soggetti rarissimi , e non pochi nuovi affatto e ignoti sinoi-a
in Europa. Il sig. di Huegel inviò pure di colà a Vienna copiose
collezioni d'oggetti appartenenti alla storia naturale. In ottobre
del 1834 egli si trasferì da Sydney a Madras , ove fermossi un
mese e donde poi giunse a Canton sull'entrare del i835. Di
quivi egli tornò indietro per Singhapur e Madras a Calcutta ,
nel mese di marzo. Lasciando onesta capitale delle Indie in-
glesi egli risalì le sponde del Gange verso i monti Himalaya ,
e dopo alcuni mesi di soggiorno in queste contrade, col per-
messo ottenutone dal Mahadarascha di Labore, Rundjit-Singh,
intraprese il viaggio di Cascemire con uno degli ufficiali di que-
sto principe. Egli si trattenne più dì mezzo un anno a Casce-
mire, di cui visitò la valle determinandone la posizione geo-
grafica, e tornò quindi a Labore, ove giunto al principio del
i836, ringraziò personalmente il Mahadarascha della sua pro-
tezione e dell'appoggio datogli durante le sue dotte esplora-
zioni, e ne fu accolto con attestati di molto riguardo e eoa
579
offerte seducentissime di servizio in quelle parti , che il sig.
di Huegel stimò tuttavia di ricusare , preferendo il ritorno in
patria. Partendo da Labore il sig. di Huegel traversò i paesi
de' Raiputi indipendenti dalla Compagnia delle Indie Orien-
tali , e arrivò dopo un penosissimo cammino e senza scorta a
Bombai il 4 di aprile , quattro anni dappoi eh' egli ebbe af-
ferrato il suolo delle Indie. Non gli riuscì, prima dell' 8 di giu-
gno, di trovar un legno che il riconducesse in Europa. Una
navigazione di quattro mesi , compresa la fermata di una set-
timana al Capo di Buona Speranza , il condusse finalmente
alla stagione delle tempeste sulle coste della Gran Bretagna.
Durante questo viaggio di sei anni il sig. di Huegel ebbe a
lodarsi delle più cordiali attenzioni per parte tanto delle po-
destà inglesi, quanto dei principi indigeni. Egli era quando
accompagnato da un seguito numeroso, e quando soletto e come
ramingo, secondo i varii paesi che attraversar dovea. Talvolta
egli era circondato di tutta la pompa dell' oriente e di ogni
comodità inglese, altre volte in preda alle fatiche ed alle pri-
vazioni del deserto , e sempre s' è trovato in climi fatali gene-
ralmente agli europei.
Egli reca da questa lunga e penosa peregrinazione, qual prin-
cipale ricchezza, un compito e minuto giornale, un ricco erbario
con semi, un grande museo di quadrupedi , d'uccelli, d'anfibii,
di ovipari , d' insetti , d' idoli ecc. Tutto ciò che egli ha ram-
massato fino al suo arrivo a Calcutta nel i835 è già pervenuto
a Vienna in circa loo casse: le raccolte fatte più tardi si tro-
vano in gran parte a bordo del Child Harold, e arriveranno di-
rettamente da Calcutta a